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    C’è un nuovo rapporto del Pentagono sugli UFO

    Caricamento playerIl dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha diffuso un nuovo rapporto sui “fenomeni aerei non identificati” (UAP; quelli che spesso sono chiamati UFO, cioè oggetti volanti non identificati) nel quale sono segnalate centinaia di avvistamenti poco spiegabili, ma senza indizi validi e credibili per ritenere una loro origine extraterrestre. Il nuovo rapporto si inserisce nella lunga scia di documenti, audizioni al Congresso e iniziative scientifiche dell’ultimo paio di anni per rendere più trasparenti le attività del governo statunitense intorno agli UFO.
    Nel rapporto sono elencati centinaia di avvistamenti di oggetti inizialmente non identificabili e che, a una più attenta analisi, si erano poi rivelati essere palloni aerostatici, uccelli, detriti o satelliti. Altri avvistamenti non hanno invece ancora spiegazione, anche se appare improbabile che le loro cause siano diverse da quelle identificate per gli altri casi.
    Dal 2022 il Pentagono ha un ufficio dedicato al tracciamento e all’analisi degli UFO, l’AARO (All-Domain Anomaly Resolution Office) che finora ha escluso l’origine extraterrestre per i casi che ha esaminato direttamente. Le attività svolte dall’AARO sono dedicate soprattutto a scoprire eventuali minacce per la sicurezza nazionale o per la sicurezza del volo, sia in ambito militare sia civile, con la possibilità di scoprire nuove tecnologie impiegate da altri stati per esempio per scopi di spionaggio.
    Il rapporto ha preso in considerazione 757 casi segnalati alle autorità statunitensi tra maggio del 2023 e giugno del 2024. La maggior parte degli avvistamenti è avvenuta in volo, mentre per circa 50 casi sono citate altitudini superiori ai 100 chilometri, quindi oltre il confine convenzionalmente utilizzato per indicare l’inizio dell’ambiente spaziale. Nel rapporto si spiega che da qualche tempo vengono spesso segnalati come UFO i satelliti di Starlink, la costellazione satellitare di Elon Musk per portare Internet dallo Spazio. Questi satelliti sono in orbita a quote relativamente basse, sono spesso visibili a occhio nudo e vengono confusi da alcuni con oggetti volanti non identificati.
    Distribuzione geografica degli avvistamenti di UFO presi in considerazione dal rapporto del Pentagono (AARO)
    Per 300 avvistamenti circa sono state trovate chiare spiegazioni, mentre centinaia di altri casi rimangono al momento senza soluzione, ma spesso perché non ci sono dati a sufficienza per indagare meglio. In nessun caso comunque sono stati segnalati casi di persone ferite in seguito agli avvistamenti.
    Mercoledì 13 novembre, prima della diffusione del rapporto, al Congresso degli Stati Uniti era stata organizzata una nuova audizione per parlare di UFO con alcuni esperti e testimoni che si occupano di questi fenomeni. La discussione ha riguardato un po’ di tutto: da eventuali oggetti prodotti da «intelligenze aliene» alle preoccupazioni sulle attività di spionaggio estere, ma non sono comunque emersi nuovi elementi o cose sorprendenti. I membri del Congresso che hanno partecipato all’audizione hanno ugualmente invitato il governo ad approfondire le indagini sugli UFO, mantenendo una maggiore trasparenza.
    In linea generale, con “oggetto volante non identificato” viene indicato qualsiasi fenomeno osservato nel cielo che non può essere spiegato, per esempio a causa del modo in cui viaggia un oggetto o per via della sua forma. Se analisi e approfondimenti permettono di spiegare che cosa si è osservato, l’UFO smette di essere tale e assume altre definizioni. Si può quindi affermare che gli UFO esistono senza implicare che esistano gli alieni e che quegli oggetti non identificati siano frutto delle loro tecnologie. Nonostante ciò, ormai da molto tempo “UFO” è diventato per molti un sinonimo per indicare le astronavi aliene. Intorno a queste convinzioni sono nate organizzazioni, talvolta perfino culti, che indicano gli avvistamenti UFO come una prova dell’esistenza di forme di vita aliene e della loro presenza sulla Terra.
    Nell’estate del 2023 un gruppo di lavoro della NASA incaricato di studiare i “fenomeni aerei non identificati” aveva fatto sapere di non aver trovato elementi che indicassero avvistamenti legati ad attività extraterrestri nella quasi totalità delle segnalazioni analizzate. Le poche restanti continuano a essere inspiegabili e su queste non possono essere escluse operazioni militari segrete – interne od ostili –, attività aliene per quanto molto improbabili, o più semplicemente illusioni ottiche al momento della registrazione delle immagini. LEGGI TUTTO

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    La NASA è responsabile dei danni causati dai detriti dei suoi satelliti?

    Caricamento playerA marzo un oggetto bizzarro, caduto dal cielo, ha squarciato il tetto di un’abitazione della città di Naples, in Florida, negli Stati Uniti. Non ha causato feriti, ma per gli abitanti della casa è stato causa di un grosso spavento: il proprietario, Alejandro Otero, ha raccontato al Washington Post di aver ricevuto una chiamata dal figlio «in preda al panico», e di essere tornato rapidamente a casa per capire cosa fosse successo, trovando «un buco nel tetto e nel pavimento del secondo piano» e «un insolito proiettile – un pezzo denso e cilindrico di metallo carbonizzato, poco più piccolo di una lattina di zuppa – conficcato in un muro». Otero ha detto di essersi reso subito conto che non si trattava di un oggetto qualunque, ma che era una cosa che «veniva dallo Spazio».
    La NASA – acronimo che sta per National Aeronautics and Space Administration, ovvero l’agenzia aerospaziale statunitense – ha poi confermato che l’oggetto cilindrico faceva parte di un carico di vecchie batterie, partito dalla Stazione spaziale internazionale nel marzo del 2021. L’oggetto, che fa parte della più ampia categoria di “spazzatura spaziale”, sarebbe normalmente dovuto bruciare e quindi scomparire nel momento del rientro nell’atmosfera terrestre, ma è invece rimasto abbastanza intatto da perforare il tetto degli Otero, che ora hanno chiesto un risarcimento per danni, principalmente per motivi psicologici, alla NASA stessa.
    La NASA ha sei mesi per decidere se rimborsare la famiglia o se aprire un caso legale al riguardo: in ogni caso si tratta di una decisione che creerebbe un precedente, dato che non è mai successo prima che un oggetto lanciato in orbita dagli Stati Uniti e poi caduto dallo Spazio abbia causato qualche tipo di danno a cittadini statunitensi.
    La distinzione del paese di lancio dell’oggetto e della nazionalità delle persone coinvolte è importante perché in realtà esiste un accordo internazionale che regolamenta quel che succede in questi casi (il Trattato sullo Spazio extratmosferico del 1967), ma si applica soltanto nei casi in cui un oggetto lanciato nello Spazio da un paese caschi nel territorio di un altro stato. In quel caso, lo stato di lancio è responsabile di qualsiasi compensazione finanziaria che potrebbe derivare dai costi di danneggiamento o di bonifica.
    In questo caso, invece, è una questione interna agli Stati Uniti – è un oggetto statunitense che danneggia proprietà statunitensi – che viene però osservata con attenzione dagli esperti. Il forte aumento di rifiuti nello Spazio negli ultimi anni, infatti, ha fatto aumentare le preoccupazioni attorno al fatto che questi casi in futuro possano diventare un po’ più frequenti. Già nel 2021 la professoressa Timiebi Aganaba, che si occupa del rapporto tra Spazio e società all’Università dell’Arizona, scriveva che «l’attuale legge spaziale ha funzionato finora perché i casi erano pochi e rari, e sono stati affrontati in modo diplomatico. Man mano che un numero crescente di oggetti viene mandato in orbita, però, i rischi aumenteranno inevitabilmente».
    Tecnicamente, tutti gli oggetti che si trovano nell’orbita terrestre stanno sempre cadendo verso la Terra. I satelliti attivi hanno dei sistemi che permettono loro di rimanere nell’orbita prevista, e quindi di rimanere sostanzialmente in equilibrio, mentre i satelliti inattivi (quelli che smettono di funzionare o vengono disabilitati per qualche motivo) non hanno più modo di opporsi alla gravità, e cadono fino a rientrare nell’atmosfera terrestre. Nel 2023 i satelliti attivi in orbita attorno alla Terra erano oltre 7.700, e quelli inattivi circa 3.300.
    Ci sono principalmente due cose che si possono fare per gestire un satellite inattivo. La prima è spostarli in un’orbita più alta, la cosiddetta “orbita cimitero”, abbastanza lontana dalla Terra che l’oggetto ci metterà centinaia di anni a raggiungere l’atmosfera. La seconda è orientare il satellite in modo che bruci del tutto nell’atmosfera o possa comunque causare danni minimi nell’impatto con il suolo.
    Può capitare però che alcuni rifiuti spaziali rientrino in modo incontrollato nell’atmosfera terrestre: anche in questo caso, raramente sopravvivono alle altissime temperature raggiunte prima di arrivare al suolo. È successo per esempio nel 1979, quando i detriti dello Skylab, la prima stazione spaziale statunitense, precipitarono nell’Australia occidentale senza però causare danni. Nel 1978, invece, i resti del satellite sovietico a propulsione nucleare Cosmos 954 caddero sul Canada settentrionale, diffondendo detriti radioattivi: è l’unico caso in cui un paese (il Canada) ha chiesto di essere rimborsato da un altro (l’Unione Sovietica) in base al Trattato sullo Spazio extratmosferico.
    «Se l’incidente fosse avvenuto all’estero e qualcuno in un altro paese fosse stato danneggiato dagli stessi detriti spaziali che hanno colpito gli Otero, gli Stati Uniti sarebbero assolutamente stati tenuti a rimborsarlo per i danni», ha detto l’avvocata della famiglia Mica Nguyen Worthy. «Peraltro, se i detriti fossero caduti qualche metro più in là avrebbero potuto esserci lesioni gravi o mortali». La famiglia ha chiesto un indennizzo che comprende i danni materiali causati dal buco nel tetto, i costi per l’assistenza di terzi e i danni causati dall’angoscia emotiva e mentale provocata da un evento così imprevisto. LEGGI TUTTO

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    In California vogliono salvare una popolazione di puma con un cavalcavia

    Caricamento playerIn California l’autostrada 101, che da Los Angeles porta a nord verso San Francisco, è nota per l’alto numero di animali che vi vengono investiti quotidianamente. Per affrontare il problema e permettere alla fauna selvatica di spostarsi più liberamente fra due riserve naturali, una trentina di chilometri a nord-ovest di Hollywood è in costruzione quello che dovrebbe diventare il più grande attraversamento stradale per animali selvatici al mondo, il Wallis Annenberg Wildlife Crossing.
    La frammentazione dell’habitat naturale, dovuta all’espansione delle aree urbane e alla costruzione di strade, ha causato grossi problemi a molte specie di animali selvatici che abitano nella zona di Los Angeles. L’attraversamento in costruzione, in pratica un grosso cavalcavia coperto di terriccio e piante locali, dovrebbe rendere più facili e sicuri gli spostamenti della fauna selvatica fra l’area protetta delle montagne di Santa Monica e quella delle Simi Hills, appena a nord, aree che sono divise dall’autostrada 101.

    Fra gli animali messi più in difficoltà dalla presenza dell’autostrada ci sono i puma. Questi grossi felini carnivori abitualmente si muovono in un’area di più di 250 chilometri quadrati, ma gli spostamenti della popolazione che abita nelle montagne di Santa Monica sono di fatto bloccati dall’autostrada 101 a nord e dalla 405 a est. La limitazione ha causato un aumento degli accoppiamenti fra puma consanguinei, che ha portato a sua volta a una maggiore diffusione di alcuni problemi di salute. Secondo il sito web del progetto, la riduzione della diversità genetica fra i puma di Santa Monica potrebbe portarli all’estinzione fra qualche decina di anni.
    Gli sforzi per la costruzione del Wallis Annenberg Wildlife Crossing, che ha un costo stimato attorno ai 90 milioni di dollari, hanno ricevuto una grossa spinta proprio dalla storia di un esemplare di puma in particolare (negli Stati Uniti chiamati solitamente leoni di montagna o coguari), diventato una sorta di celebrità locale. Nato nelle montagne di Santa Monica, il puma noto come P-22 si stanziò dalle parti di Hollywood attorno al 2012, dopo aver attraversato decine di chilometri e le autostrade 101 e 405. È un viaggio molto rischioso per un puma, e infatti una volta arrivato in città era rimasto bloccato e isolato dal resto della sua specie.
    Per una decina di anni P-22 visse in un parco cittadino, senza creare grossi problemi agli umani (è molto raro che i puma attacchino le persone), a parte un’occasione in cui probabilmente si mangiò un koala dello zoo cittadino, e un’altra in cui cercò di stabilirsi nello spazio sotto una villetta, venendo poi scacciato. Al contrario, la sua sopravvivenza in un ambiente urbano per molti versi ostile era associata dai residenti umani di Los Angeles alle proprie esperienze di sopravvivenza in città. P-22 divenne una specie di mascotte cittadina: fra le altre cose dopo la sua morte fu organizzato un evento di commemorazione a cui parteciparono migliaia di persone e diverse celebrità e politici californiani. Il puma venne abbattuto alla fine del 2022, anche per via delle gravi ferite riportate dopo essere stato investito da un’auto.

    La sua storia, dall’attraversamento di due autostrade per arrivare in città all’investimento poco prima della morte, e l’affetto che ha suscitato fra gli abitanti di Los Angeles verso i puma, hanno contribuito a dare una grossa spinta al progetto dell’attraversamento per animali selvatici sull’autostrada 101. Dopo la sua morte l’opinione pubblica cittadina aveva espresso molto favore per quelle misure, come l’attraversamento, che facilitassero la coesistenza fra le attività umane e le specie selvatiche.

    – Leggi anche: Non è così insolito trovare un puma nel tuo giardino, in California

    La costruzione del Wallis Annenberg Wildlife Crossing è iniziata nel 2022: a maggio 2024 è stata completata la posa delle 82 travi di cemento che costituiscono la sua struttura, e dovrebbe finire nel 2026. Passa a qualche metro di altezza sopra otto corsie stradali, è lungo circa 50 metri e largo 60. Oltre agli spostamenti dei puma, faciliterà anche quelli delle linci rosse, dei cervi muli e di decine di specie di rettili e anfibi.
    Ora le travi saranno coperte di terra: il progetto prevede che vi sia piantato più di un milione di piante locali, e che sia popolato da ecosistemi di funghi e di microbi analoghi a quelli che si trovano nel terreno delle zone circostanti. Per confondere il passaggio nell’ambiente naturale, e invogliare gli animali a passare da lì anziché attraversare la strada, anche nell’area adiacente al passaggio saranno piantati degli alberi.
    Rorie Skei, vicedirettrice della Santa Monica Mountains Conservancy, un’agenzia statale coinvolta in progetti di tutela ambientale nella zona, ha detto al Washington Post che il Wallis Annenberg Wildlife Crossing «è molto costoso, ma è praticamente un prototipo», uno schema per progetti futuri. Secondo Skei infatti nel tempo «potremo costruire attraversamenti più economici».
    La struttura in costruzione in California è per molti versi all’avanguardia, ma non è certo la prima del suo genere. I primi attraversamenti stradali per la fauna furono costruiti in Europa negli anni Sessanta, e dagli anni Settanta ce ne sono anche negli Stati Uniti. I loro benefici non riguardano solo gli animali selvatici, ma anche gli esseri umani: nei soli Stati Uniti ci sono circa un milione di scontri fra veicoli e animali ogni anno, che causano 26mila feriti e 200 morti, e danni economici per 10 miliardi di dollari.

    – Leggi anche: Il gran traffico di un sovrappassaggio per animali selvatici su un’autostrada dello Utah LEGGI TUTTO

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    È morto l’uomo statunitense a cui a marzo era stato trapiantato un rene da un suino geneticamente modificato

    È morto negli Stati Uniti Richard Slayman, l’uomo a cui lo scorso 16 marzo era stato trapiantato con successo un rene da un maiale geneticamente modificato. L’intervento era stato svolto al Massachusetts General Hospital di Boston con una tecnica che un giorno potrebbe consentire a centinaia di migliaia di persone con gravi malattie renali di migliorare le loro condizioni di salute: in un comunicato, lo staff dell’ospedale ha fatto sapere di essere «profondamente rattristato» dalla notizia della sua morte, precisando che «non ci sono elementi» per ritenere che sia legata al trapianto.Slayman aveva 62 anni, era afroamericano e soffriva da tempo di diabete e ipertensione, due condizioni che avevano contribuito al peggioramento dei suoi reni fino alla perdita di funzionalità. Era stata la prima persona a subire un intervento di questo tipo (uno simile era stato svolto in un ospedale di New York nel 2021, ma in quel caso il rene proveniente da un maiale geneticamente modificato era stato impiantato in un uomo cerebralmente morto). Secondo i medici che lo avevano seguito, dopo l’operazione Slayman camminava da solo e stava relativamente bene.
    I trapianti di organi provenienti da altre specie da impiantare negli esseri umani sono definiti xenotrapianti. È un approccio ritenuto promettente perché dà la possibilità di non dipendere esclusivamente dai donatori di organi umani per effettuare i trapianti. Per dare l’idea, negli Stati Uniti le persone che hanno una malattia renale cronica terminale sono circa 800mila e quelle in lista d’attesa per il trapianto di un rene 90mila.

    – Leggi anche: Il trapianto di Richard Slayman LEGGI TUTTO

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    La Cina fa sul serio con la Luna

    Caricamento playerAlle 11:30 di venerdì (ora italiana) un razzo Lunga Marcia 5 lanciato dal centro spaziale di Wenchang ha portato oltre l’atmosfera terrestre la missione Chang’e 6, con l’obiettivo di raggiungere la faccia nascosta della Luna per prelevare alcuni campioni di terreno e roccia da portare sulla Terra. È una delle missioni senza equipaggio più complesse e ambiziose dell’Agenzia spaziale cinese (CNSA) e conferma il grande interesse del governo cinese per la Luna e la possibilità di esplorarla entro pochi anni con gli esseri umani, con progetti alternativi a quelli avviati dalla NASA e da altre agenzie spaziali con il programma lunare Artemis.
    Come suggerisce la cifra dopo il nome, Chang’e 6 è la sesta missione del Programma cinese per l’esplorazione lunare iniziato nel 2007 con Chang’e 1, la prima iniziativa per raggiungere l’orbita lunare. Chang’e è il nome della dea della Luna in diverse mitologie cinesi e, missione dopo missione, l’iniziativa ha permesso alla Cina di compiere grandi progressi nelle complicate attività per raggiungere il suolo lunare. L’obiettivo fu raggiunto una prima volta da Chang’e 3 nel 2013, rendendo la Cina il terzo paese nella storia a compiere un allunaggio controllato dopo gli Stati Uniti e la Russia ai tempi dell’Unione Sovietica.
    Nel 2020 la Cina era anche entrata nel ristretto gruppo di paesi ad avere raccolto campioni lunari e ad averli portati sulla Terra grazie alla missione Chang’e 5, che aveva compiuto un allunaggio nell’emisfero nord della Luna. Chang’e 6, la missione partita venerdì, farà qualcosa di analogo, ma prelevando campioni dall’emisfero sud lunare e in una zona che non è mai osservabile direttamente dalla Terra. La Luna ci mostra infatti sempre la stessa faccia, indipendentemente da dove la osserviamo, a causa della rotazione sincrona, cioè il coincidere del periodo di rotazione con quello di rivoluzione. L’osservazione e l’esplorazione dell’emisfero lunare nascosto è molto difficile: se ci si trova sulla faccia nascosta, per esempio, la Luna stessa diventa un ostacolo per comunicare con la Terra.

    La Cina era stato il primo paese a riuscire a effettuare un allunaggio controllato sulla faccia nascosta della Luna con la missione Chang’e 4 nel 2019. Molte delle conoscenze maturate con quell’esperienza saranno ora impiegate per tentare la stessa cosa con Chang’e 6, che raggiungerà un’area della superficie lunare che fa parte del bacino Polo Sud-Aitken (SPA), un gigantesco cratere creato dall’impatto di una meteora nelle vicinanze del polo sud lunare. La raccolta di campioni potrebbe consentire di portare sulla Terra frammenti del mantello, uno degli strati interni della Luna, che furono proiettati verso l’esterno al momento dell’impatto. Il loro studio potrebbe consentire di approfondire le conoscenze sulla storia geologica del nostro satellite naturale, sul quale sappiamo ancora relativamente poco.
    La faccia nascosta della Luna: la grande macchia scura nell’emisfero meridionale è il bacino Polo Sud-Aitken (NASA/Goddard Space Flight Center)
    Dopo avere raggiunto la Luna, un lander (cioè un robot sviluppato per compiere un atterraggio) si staccherà da una sonda che rimarrà in orbita intorno al pianeta e inizierà la propria discesa verso il suolo lunare, effettuando buona parte delle manovre con sistemi di controllo automatici. Raggiunta la superficie, utilizzerà un braccio robotico e una piccola trivella per raggiungere i due metri di profondità, dove preleverà alcuni campioni che saranno poi inseriti in una capsula. Questa sarà inserita in un modulo di risalita, che utilizzerà il resto del lander come una sorta di mini rampa di lancio per tornare in orbita e ricollegarsi alla sonda dalla quale si era staccato in precedenza. La capsula sarà poi trasferita in un modulo di servizio che inizierà un viaggio verso la Terra, che terminerà nelle pianure della Mongolia Interna, la regione autonoma nella parte settentrionale della Cina.

    Salvo cambiamenti di programma la missione durerà 53 giorni e consentirà di portare sul nostro pianeta fino a 2 chilogrammi di rocce lunari. I responsabili dell’Agenzia spaziale cinese si sono impegnati a condividere i campioni con il resto della comunità scientifica, come del resto avevano già fatto con le rocce prelevate da Chang’e 4, ma alcuni paesi come gli Stati Uniti mantengono molte cautele e hanno qualche dubbio sulle effettive intenzioni della Cina per quanto riguarda la Luna.
    All’inizio dello scorso anno l’amministratore delegato della NASA, Bill Nelson, aveva detto che con le nuove missioni lunari della Cina era di fatto iniziata una nuova “corsa allo Spazio”, dopo quella tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Nelson aveva anche espresso la necessità di non riporre troppa fiducia nelle dichiarazioni del governo cinese: «Ed è vero che è meglio stare attenti che [la Cina] non raggiunga un posto sulla Luna con il pretesto della ricerca scientifica. Non è impensabile che poi dicano: “State lontani, siamo qui, questo è il nostro territorio”».
    Parte della diffidenza deriva anche dall’iniziativa avviata da CNSA e Roscosmos, cioè l’agenzia spaziale russa, per costruire in futuro una “Stazione di ricerca lunare internazionale” (ILRS) con missioni di lunga permanenza da parte dei cosmonauti russi e dei taikonauti cinesi. Cina e Russia hanno detto in più occasioni che il progetto è aperto a tutti i paesi interessati, ma per ora le adesioni hanno riguardato per lo più paesi della loro area di influenza come Azerbaigian e Bielorussia, o paesi che raramente collaborano con le agenzie spaziali occidentali come Venezuela, Thailandia, Turchia, Egitto e Pakistan.
    I piani non sono ancora completamente chiari e la Cina sembra avere maggiore interesse, e soprattutto maggiori risorse, rispetto alla Russia. La prima fase di perlustrazione è comunque già in corso con le missioni come Chang’e 6, mentre sarà necessario attendere un paio di anni prima che inizino a essere sperimentati moduli e sistemi in vista della costruzione di una base orbitale o sulla superficie della Luna. Il governo cinese vorrebbe comunque raggiungere la Luna con un proprio equipaggio entro il 2030, anche se diversi osservatori ritengono l’obiettivo troppo vicino nel tempo. L’Agenzia spaziale cinese ha fatto comunque grandi progressi in pochi anni, per esempio costruendo una propria stazione spaziale in orbita intorno alla Terra, occupata in modo continuativo da equipaggi di tre persone.

    I successi delle missioni spaziali sono sfruttati dalla propaganda per promuovere i progressi tecnologici raggiunti dalla ricerca e dall’industria cinese, oltre che per mostrare i risultati ottenuti dal presidente Xi Jinping. Negli ultimi anni il settore aerospaziale cinese si è ampliato in modo significativo, con l’emergere di numerose aziende private che ricevono grandi finanziamenti da parte del governo, che mantiene uno stretto controllo sulle loro attività.
    Dei 211 lanci orbitali di successo effettuati nel 2023, 109 sono stati effettuati dagli Stati Uniti, che mantengono un alto ritmo soprattutto grazie a SpaceX nel pieno dell’espansione del proprio servizio Starlink per Internet via satellite, e 66 dalla Cina, il secondo paese ad avere effettuato più missioni spaziali. In meno di cinque anni la Cina ha raddoppiato la quantità di lanci orbitali e ha aumentato sensibilmente le attività oltre l’orbita bassa terrestre, con le missioni verso la Luna.
    Nei prossimi anni la competizione tra Cina e Stati Uniti in ambito spaziale diventerà più serrata e una parte importante del confronto si svolgerà proprio intorno alla Luna. La NASA progetta di effettuare un allunaggio con astronaute e astronauti non prima di settembre 2026 nell’ambito del programma Artemis, dopo avere rivisto sensibilmente le proprie previsioni iniziali che a causa dei ritardi accumulati si erano rivelate troppo ottimistiche. I rinvii di Artemis potrebbero favorire le intenzioni lunari della Cina, interessata non solo ai progressi scientifici derivanti da un’impresa di quel tipo, ma anche a quelli commerciali e politici per dimostrare le proprie capacità tecnologiche che potrebbero anche essere sfruttate a scopi militari. LEGGI TUTTO

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    Le foto dell’eclissi totale di Sole

    Caricamento playerIn un’ampia area del Nord America lunedì è stata visibile un’eclissi totale di Sole: l’evento non è di per sé insolito – c’è un’eclissi all’incirca ogni anno e mezzo – ma ha attirato grandi attenzioni perché ha interessato un’area fortemente popolata e facilmente accessibile per le osservazioni. I media statunitensi da giorni si occupano dell’eclissi e moltissime persone si sono organizzate per osservare il fenomeno nelle aree in cui era visibile, anche spostandosi da altre regioni degli Stati Uniti. LEGGI TUTTO

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    Dobbiamo decidere che ora è sulla Luna

    Una delle cose che bisogna fare per procedere con il programma spaziale Artemis, pensato per riportare gli esseri umani sulla Luna, è stabilire che ora è sul nostro satellite naturale. È una questione più complicata di quanto possa sembrare e la NASA, l’Agenzia spaziale europea (ESA) e altre agenzie spaziali internazionali ci stanno lavorando da tempo. Sui giornali se ne riparla in questi giorni perché il 2 aprile il governo statunitense ha diffuso una circolare che riassume le ragioni per cui serve decidere un orario lunare standard entro la fine del 2026, indirizzata alla NASA stessa e a tutte le altre agenzie federali coinvolte.Sulla Luna la forza di gravità è inferiore a quella della Terra perché la Luna ha una massa inferiore a quella del nostro pianeta. La Teoria generale della relatività, formulata da Albert Einstein nel 1915, mette in relazione gravità, spazio e tempo, e comporta che il tempo misurato da due orologi scorre diversamente se sperimentano una attrazione gravitazionale diversa come quella della Terra e della Luna. Per un osservatore sul nostro pianeta, un orologio lunare va più veloce per via della differenza di gravità.
    Più specificamente un orologio sulla Luna inizialmente sincronizzato con uno sulla Terra sarebbe avanti di circa 56 microsecondi (cioè di 56 milionesimi di secondo) dopo 24 ore, di 112 dopo 48 ore e così via. Per la vita quotidiana sulla Terra durate nell’ordine dei microsecondi sono piuttosto trascurabili, ma si tratta di differenze che possono dare problemi quando bisogna programmare lanci di astronavi, allunaggi e orbite satellitari tra agenzie spaziali di 36 paesi diversi e aziende private. Sono tutte attività che necessitano estrema precisione.
    Per le missioni Apollo, che portarono esseri umani sulla Luna tra il 1969 e il 1972, la NASA utilizzò come indicazione temporale il fuso orario centrale degli Stati Uniti, perché l’agenzia spaziale aveva il proprio centro di controllo a Houston, in Texas. Ma si servì contemporaneamente anche del tempo trascorso dal lancio (mission elapsed time, abbreviato con MET) per evitare fraintendimenti con gli astronauti.
    Il programma Artemis però ha ambizioni maggiori rispetto alle missioni Apollo, tra cui la realizzazione di Gateway, una piccola base orbitale che sarà assemblata intorno alla Luna, e quella di un’eventuale base sul suolo lunare, e, sul lungo periodo, le basi per future missioni verso Marte. La misura del tempo serve per trasmettere informazioni sulle localizzazioni di oggetti in movimento, che nel caso di Artemis coinvolgeranno altre agenzie spaziali e aziende oltre alla NASA, e per tutte queste ragioni è necessario fissare un orario lunare standard di cui si tenga conto nelle comunicazioni tra Terra, satelliti, basi lunari e astronauti.
    Per stabilire questo orario, il “tempo coordinato lunare” (LTC), ci sono vari aspetti da tenere in considerazione, menzionati anche nella circolare del governo statunitense.
    Uno è che l’orario lunare dovrà essere riconducibile al tempo coordinato universale (UTC), il fuso orario usato come riferimento globale per la Terra, quello che fa da punto di partenza per calcolare tutti gli altri – ad esempio attualmente in Italia siamo nel fuso orario formalmente indicato come UTC+2, due ore avanti rispetto allo UTC. A certificare l’ora esatta nello UTC è l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU), una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite, grazie a una rete di orologi atomici, dispositivi estremamente precisi che sfruttano i livelli di energia (orbitali) degli elettroni all’interno degli atomi per calcolare il tempo con un margine di errore molto basso.
    Per decidere il tempo coordinato lunare la NASA, l’ESA e le altre agenzie spaziali coinvolte nel programma Artemis stanno considerando l’ipotesi di installare degli orologi atomici in punti diversi della Luna. Ne servirebbero almeno tre per ottenere una misura del tempo precisa che tenga conto di tutti gli effetti relativistici, dovuti principalmente alla gravitazione.
    Attualmente l’ora esatta dello UTC viene periodicamente trasmessa dalla Terra ai satelliti e alle sonde nello Spazio, in modo che siano sincronizzati con il fuso orario di riferimento. Avere degli strumenti che misurino il tempo in maniera affidabile e in autonomia direttamente sulla Luna ridurrebbe sensibilmente la necessità di sincronizzare di continuo l’orario dalla Terra, un’attività che richiede antenne terrestri potenti e un costante lavoro di aggiornamento, dunque un grande dispendio di energia per la trasmissione dei dati.
    Secondo i piani della NASA più aggiornati il primo allunaggio umano di Artemis avverrà nel settembre del 2026, mentre nel settembre del 2025 partirà una missione che porterà in orbita attorno alla Luna e poi di nuovo sulla Terra senza mettere piede sul satellite quattro astronauti. Anche la Cina progetta di portare delle persone sulla Luna: entro il 2030. L’India vorrebbe farlo entro il 2040.
    Come dice la recente circolare del governo statunitense, per definire il tempo coordinato lunare serviranno degli accordi internazionali tra i paesi coinvolti all’interno di Artemis (la Cina, così come la Russia, non lo è), e gli enti che già oggi si occupano degli standard di misura.

    – Approfondisci: Che ora è sulla Luna? LEGGI TUTTO

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    Henrietta Lacks «ha avuto giustizia»

    I discendenti di Henrietta Lacks, la donna le cui cellule sono state usate senza consenso per decenni nei laboratori di tutto il mondo rendendo possibili grandi progressi medici, hanno raggiunto un accordo con la Thermo Fisher Scientific, l’azienda statunitense di biotecnologie a cui avevano fatto causa nel 2021. La famiglia di Lacks aveva accusato l’azienda di aver continuato a riprodurre e a vendere le cellule della donna, chiamate HeLa dalle iniziali del suo nome, traendone profitto e tentando di assicurarsi i diritti di proprietà intellettuale sui prodotti che quelle cellule avevano contribuito a sviluppare, senza chiedere il consenso della famiglia o condividere i guadagni.Martedì 1 agosto, giorno in cui Henrietta Lacks avrebbe compiuto 103 anni se non fosse morta nel 1951, alcuni dei suoi discendenti hanno parlato durante una conferenza stampa dicendo di aver raggiunto con la Thermo Fisher un accordo extragiudiziale: i termini non stati resi pubblici ma la famiglia ha detto di aver ottenuto «giustizia» e di ritenere questo accordo «un sollievo». La Thermo Fisher, che ha sede nel Massachusetts, ha fatto una dichiarazione annunciando a sua volta l’accordo: «Le parti sono liete di essere state in grado di trovare un modo per risolvere la questione al di fuori del tribunale».La causa, come ha spiegato uno dei legali della famiglia di Lacks, si basava sul fatto che la Thermo Fisher avesse fatto la scelta consapevole di riprodurre in massa le cellule della donna, «approfittando di un sistema medico ingiusto dal punto di vista razziale». Nella causa si sosteneva che la scelta di Thermo Fisher Scientific di continuare a vendere cellule HeLa potesse «essere intesa solo come la scelta di abbracciare un’eredità di ingiustizia razziale radicata nella ricerca statunitense e nei sistemi medici».Henrietta Lacks era una donna afrodiscendente e lavorava nei campi di tabacco della Virginia, così come i suoi antenati schiavi. Morì per un tumore al collo dell’utero nel 1951, a 31 anni, nel reparto per sole persone nere dell’ospedale Johns Hopkins di Baltimora. Le cellule furono prelevate dal suo corpo mentre era in cura e sotto anestesia, e dopo la sua morte cominciarono a essere analizzate e sono state coltivate, replicate e commercializzate fino a oggi. Sono la prima linea cellulare umana immortalizzata (cioè con vita potenzialmente infinita) mai ottenuta e negli anni hanno reso possibili grandi progressi medici: tra le altre cose sono state usate per ottenere il primo vaccino contro la poliomielite, e nella ricerca sul virus del morbillo, sull’HIV e sull’ebola. Sono state anche le prime cellule umane di cui si sono contati i cromosomi e le prime a essere clonate.Né a Henrietta Lacks né ai suoi familiari fu però mai chiesto il consenso per usare quelle cellule. Non solo: fino agli anni Settanta nessuno nella famiglia Lacks seppe che erano così importanti. Successivamente, anche dopo che tutta la storia era stata resa pubblica e era stato generalmente riconosciuto che Henrietta Lacks avesse subito un’ingiustizia, la sua famiglia non ricevette per molto tempo alcuna forma di risarcimento.La storia di Lacks è stata raccontata nel libro La vita immortale di Henrietta Lacks della giornalista Rebecca Skloot, a cui si deve la notorietà fuori dal mondo scientifico della storia di Lacks, della sua famiglia e delle cellule HeLa. I proventi del libro e poi di un film del 2017 realizzato da HBO e interpretato da Oprah Winfrey hanno negli anni finanziato l’Henrietta Lacks Foundation, una fondazione che dal 2010 sostiene con borse di studio e altri aiuti economici le famiglie delle persone, soprattutto afrodiscendenti, i cui corpi e i dati biologici furono usati in passato nella ricerca scientifica senza consenso.Nel 2020 l’Howard Hughes Medical Institute, la più grande organizzazione non profit privata di ricerca biomedica degli Stati Uniti, aveva effettuato una grande donazione alla Henrietta Lacks Foundation provando a rimediare, almeno simbolicamente, agli errori del passato. Altre donazioni erano poi arrivate sia da parte di importanti scienziati che da aziende che si occupano di biotecnologie.Prima dell’accordo con la Thermo Fisher Scientific, nel 2013 i familiari di Lacks avevano ottenuto un altro risultato importante dopo che il sequenziamento del genoma delle cellule HeLa era stato inserito in una banca dati pubblica senza chiedere il loro consenso. La condivisione di quei dati era importante per molte ricerche scientifiche, ma costituiva anche una violazione della privacy della famiglia perché il genoma di una persona è in gran parte uguale a quello dei suoi familiari. Alla fine, la famiglia Lacks aveva raggiunto un accordo con il National Institutes of Health (NIH), agenzia del dipartimento della salute degli Stati Uniti: l’accesso ai dati sul genoma delle cellule HeLa è da allora regolato da un comitato di cui fanno parte due membri della famiglia.Durante la conferenza stampa, uno degli avvocati della famiglia Lacks, Chris Ayers, ha detto che presenterà delle cause simili a quella contro la Thermo Fisher contro altre aziende farmaceutiche o società di biotecnologie. «La lotta contro coloro che traggono profitto, e hanno scelto di trarre profitto, dalla storia e dalle origini profondamente immorali e illegali delle cellule HeLa proseguirà», ha commentato. LEGGI TUTTO