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    I no di Landini costano 5,1 miliardi agli statali

    screen da Di Martedì / La7

    Le trattative per il rinnovo dei contratti pubblici, in particolare nel comparto sanitario, si sono arenate in un pantano di veti incrociati e conflitti sindacali. La Cgil di Maurizio Landini e la Uil di Pierpaolo Bombardieri, insieme al sindacato autonomo Nursing Up, hanno impedito l’approvazione dell’accordo per il triennio 2022-2024. I sindacati più a sinistra (insieme a Cgil e Uil ci sono anche l’Usb e altre sigle autonome) rischiano di bloccare stanziamenti da 5,1 miliardi, destinati ai contratti di 2,3 milioni di dipendenti nei comparti istruzione e ricerca, enti territoriali e sanitàLa legge di Bilancio 2025, in linea con la riforma del Patto di Stabilità Ue, ha segnato una svolta per la Pa, stanziando in anticipo risorse significative per i rinnovi contrattuali 2025-2027 e 2028-2030. Si tratta di 11,6 miliardi a regime dal 2030 (21,3 miliardi includendo anche i comparti autonomi). Queste risorse, come detto, potrebbero rimanere “intrappolate” nella palude contrattuale.Il caso della sanitàIl rinnovo del contratto per il personale sanitario, che interessa 581mila lavoratori, è naufragato a causa del mancato raggiungimento della maggioranza necessaria al tavolo negoziale. Mentre la Cisl, insieme a Nursind e Fials, aveva espresso voto favorevole, Cgil, Uil e Nursing Up hanno fatto mancare il consenso, sostenendo che le risorse economiche stanziate non fossero sufficienti per far fronte all’inflazione e alle esigenze normative.La posizione di Cgil e Uil si è concentrata sulla critica agli incrementi salariali previsti: un aumento medio di 172 euro lordi mensili, giudicato inadeguato rispetto a un’inflazione del 16%. Tuttavia, i sindacati favorevoli all’accordo, tra cui la Cisl, hanno sottolineato come il mancato rinnovo penalizzi gravemente i lavoratori, privandoli di aumenti già disponibili e ritardando ulteriormente le prossime trattative per il triennio 2025-2027.Le conseguenze per i lavoratoriLa sanità pubblica è il settore più colpito dall’impasse. L’impossibilità di rinnovare il contratto compromette il riconoscimento economico di professionisti già sotto pressione per carichi di lavoro insostenibili. Le indennità per turni notturni e festivi restano ferme a livelli irrisori, mentre i fondi per la formazione e la sicurezza non possono essere utilizzati.Questa situazione alimenta il rischio di fuga di personale sanitario verso il settore privato o l’estero, aggravando la carenza di operatori nei reparti e allungando le liste d’attesa per i cittadini. La protesta di Nursing Up, che lamenta il mancato riconoscimento delle carriere infermieristiche e l’inadeguatezza delle risorse per la formazione, evidenzia una crisi che mina la qualità del servizio sanitario nazionale.La rigidità delle posizioni sindacali sembra funzionale più alla ricerca di consenso elettorale che alla tutela dei lavoratori. Il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo, ha definito la situazione “un’occasione persa”, sottolineando che “non potranno essere applicati molti degli istituti che avrebbero da subito migliorato le condizioni lavorative e di vita dei lavoratori”.“Questo contratto, che porterà un aumento in busta paga di circa 170 euro, non è il migliore dei risultati; tuttavia la priorità è chiudere con l’obiettivo di aprire a stretto giro la trattativa per il nuovo contratto con ulteriori risorse”, aveva dichiarato il segretario del sindacato degli infermieri Nursind, Andrea Bottega.Enti locali e RegioniLa proposta dell’Aran, modellata su quella delle Funzioni centrali (approvata a novembre – con molte novità tra le quali lo smart working – ma con la contrarietà di Cgil e Uil) prevede un aumento medio mensile per i dipendenti comunali pari a 128 euro lordi. Nel dettaglio, si tratta di 111,45 euro per l’area degli operatori, di 116,03 euro per gli operatori esperti, di 130,41 euro per gli istruttori e di 141,5 euro per i funzionari e per le elevate qualifiche. Resterebbero così sul piatto 8 euro da destinare eventualmente a istituti della parte normativa che comportano un aumento di costi. Il governo con la manovra di bilancio ha poi stanziato un ulteriore 0,22% di aumento per rifinanziare i fondi della contrattazione integrativa.Il contratto riguarda quasi 404mila dipendenti e anche se la prossima settimana è previsto un nuovo round negoziale, l’intesa sembra impossibile perché Cgil e Uil superano da sole il 55% della rappresentanza e quindi l’accordo eventuale è bocciato a priori.ScuolaL’atto di indirizzo del ministero dell’Istruzione ha determinato le riserve dei tecnici del ministero dell’Economia. Questo ha frenato la partenza del tavolo. La legge di Bilancio, però, ha stanziato 1,7 miliardi di euro nel 2025, 3,5 miliardi nel 2026 e 5,55 miliardi a partire dal 2027. L’importanza di queste risorse non può essere sottovalutata, poiché permetteranno un sostegno concreto ai lavoratori pubblici, in un contesto economico caratterizzato da sfide e incertezze. Gli aumenti retributivi previsti, secondo le prime stime dei tecnici del governo, si attesteranno attorno al 5,4%, superando così l’inflazione programmata. Restano, tuttavia, le precedenti problematiche del contratto scaduto per i circa 1,3 milioni di dipendenti (di cui 850mila docenti). In totale, gli aumenti previsti porteranno a una somma complessiva di 272 euro al mese per 13 mensilità, garantendo così una maggiore stabilità economica agli insegnanti e al personale scolastico. Lo stallo totale sul triennio 2022-2024 porterà probabilmente al riconoscimento di una doppia indennità di vacanza visto che solo l’anno scorso si è chiuso il triennio 2019-2021. Difficile vedere la luce in fondo al tunnel: Cgil e Uil con il loro 41% possono fare da sponda al potere di veto di altre sigle come la Gilda.Un blocco “politico”Il clima di tensione è amplificato dall’avvicinarsi delle elezioni per le Rsu, previste ad aprile che determinerà il rinvio delle trattative. Il rischio è che il 2025 si apra senza alcun contratto in vigore per la maggior parte dei comparti pubblici. Il muro di Cgil e Uil è un ostacolo non solo economico, ma anche politico e sociale, che penalizza milioni di lavoratori e mette in difficoltà servizi pubblici essenziali come la sanità e l’istruzione. La necessità di una svolta appare urgente, ma sembra subordinata alla risoluzione delle tensioni interne al fronte sindacale, non ultime quelle con la Cisl sulla pdl per la rappresentanza dei lavoratori nelle imprese. LEGGI TUTTO

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    Salario minimo, la Corte di Giustizia Ue verso la bocciatura della direttiva

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    L’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pubblicato ieri le sue conclusioni nella causa C-19/23, avviata dalla Danimarca e sostenuta dalla Svezia, per richiedere l’annullamento della Direttiva (UE) 2022/2041 sui salari minimi adeguati. Le conclusioni propongono alla Corte di accogliere il ricorso, dichiarando nulla la direttiva per eccesso di competenze da parte dell’Unione Europea. Un parere che, se accolto, potrebbe segnare una battuta d’arresto significativa per le politiche sociali europee e per i sostenitori di un salario minimo comunitario, a partire dalla Cgil e dal Pd in Italia.Le argomentazioni dell’Avvocato generaleL’Avvocato generale ha evidenziato tre punti critici nell’adozione della direttiva, richiamando l’articolo 153, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che esclude esplicitamente le retribuzioni dalle competenze dell’Unione. Secondo questa interpretazione:L’esclusione dell’articolo 153, paragrafo 5, riguarda tutti gli aspetti delle retribuzioni, inclusa la fissazione di salari minimi, non solo l’armonizzazione retributiva.L’Unione Europea non ha alcuna competenza a intervenire in materia retributiva, nemmeno per stabilire requisiti minimi, poiché ciò costituirebbe un’ingerenza nelle prerogative nazionali.Sebbene la direttiva salvaguardi formalmente l’autonomia contrattuale, ciò non garantisce il rispetto dell’esclusione di competenza europea in materia di retribuzioni.In aggiunta, il ricorso danese ha sollevato dubbi sulla validità della procedura legislativa adottata, sostenendo che la direttiva persegua obiettivi distinti (condizioni di lavoro e rappresentanza collettiva) che richiederebbero percorsi decisionali diversi. Tuttavia, su questo punto, l’Avvocato generale non ha ravvisato una violazione procedurale.Impatti sull’Ue e sugli Stati membriSe la Corte di Giustizia seguirà le conclusioni dell’Avvocato generale, come accade nella maggior parte dei casi, la direttiva sarà annullata. Ciò significherebbe che gli Stati membri non sarebbero più vincolati agli obblighi previsti dal testo normativo. Questa prospettiva potrebbe avere ripercussioni significative, specie in quei Paesi che hanno già adottato disposizioni basate sulla direttiva o che stavano pianificando modifiche normative in tale direzione.Secondo Silvia Spattini, ricercatrice di Adapt, questa decisione solleverebbe importanti interrogativi sulla possibilità dell’Unione di intervenire in settori considerati centrali per il mercato del lavoro e il welfare. Inoltre, la pronuncia potrebbe inasprire il dibattito sull’equilibrio tra competenze nazionali e sovranazionali, un tema centrale nella configurazione dell’Unione.Una sconfitta per Landini e SchleinLa possibile invalidazione della direttiva rappresenterebbe una battuta d’arresto per i partiti e i sindacati che hanno sostenuto il salario minimo come strumento di lotta alla precarietà e alle disuguaglianze. Per il leader della Cgil, Maurizio Landini, l’adozione di un salario minimo europeo è cruciale per contrastare anni di politiche che hanno accentuato l’insicurezza lavorativa. Anche l’opposizione politica italiana, guidata dal Partito Democratico di Elly Schlein, si era impegnata a riportare il tema in Parlamento con forza, sostenuta da milioni di firme raccolte attraverso una campagna nazionale. LEGGI TUTTO

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    Lavoro a termine, smart working e cassa integrazione: le novità del Ddl lavoro al via da oggi

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    I punti chiave

    Somministrazione di lavoro a termine, smart working, cassa integrazione e apprendistato. Sono alcuni degli ambiti dove il nuovo Ddl lavoro introduce importanti cambiamenti. Previste anche regole aggiornate per le dimissioni per fatti concludenti, la dilazione dei debiti contributivi e le visite mediche. Un quadro completo delle misure appena diventate operative. Ecco tutto ciò che c’è da sapere.Le dimissioni per fatti concludentiLe dimissioni per fatti concludenti si verificano quando il lavoratore si assenta ingiustificatamente per un periodo superiore ai termini previsti dal contratto collettivo nazionale (CCNL) o, in assenza di indicazioni specifiche, oltre 15 giorni. In tale circostanza, il datore di lavoro deve informare l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), che verifica la situazione. L’assenza prolungata viene interpretata come una chiara manifestazione della volontà del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro. Inoltre, viene previsto l’utilizzo di strumenti telematici e di collegamenti audiovisivi per lo svolgimento delle conciliazioni sindacali legate alle controversie lavorative, favorendo procedure più snelle e moderne.Smart workingIl datore di lavoro deve comunicare al Ministero del Lavoro, attraverso il portale Servizi, l’elenco dei lavoratori coinvolti nello smart working e le relative date di inizio e fine entro cinque giorni dall’avvio. Questa comunicazione è obbligatoria sia in caso di avvio del lavoro agile, sia in caso di proroga della durata concordata o di cessazione del periodo. La mancata comunicazione comporta una sanzione amministrativa che varia da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato. Lo smart working, o lavoro agile, è una modalità di lavoro subordinato definita da un accordo tra le parti che prevede flessibilità di luogo e orario, eventualmente con l’uso di strumenti tecnologici. La prestazione lavorativa può avvenire sia in azienda che all’esterno, senza postazione fissa, rispettando gli orari stabiliti da legge e contratti. L’accordo di lavoro agile deve essere scritto per garantirne validità e definire modalità, strumenti forniti, tempi di riposo e disconnessione tecnologica. Il documento può essere temporaneo o permanente e firmato al momento dell’assunzione o successivamente, inoltre regola anche il controllo delle attività esterne e le sanzioni per eventuali infrazioni. In caso di contratto a tempo indeterminato, il recesso richiede un preavviso di 30 giorni. LEGGI TUTTO