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    Craxi: il fardello del debito, il Britannia e la fine della Prima Repubblica

    Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaQuali furono le «vere ragioni» che portarono alla caduta della Prima Repubblica? Cosa disse Mario Draghi il 2 giugno del 1992 sul panfilo di Sua Maestà la Regina sulle privatizzazioni delle aziende pubbliche italiane? Di chi è la responsabilità storica del debito pubblico italiano? A questi e ad altri interrogativi risponde la seconda edizione di Controvento. La vera storia di Bettino Craxi (Ed. Rubbettino) in questi giorni in libreria. Non è solo una biografia quella che Fabio Martini, giornalista politico de La Stampa, ha scritto sul leader socialista, di cui il 19 gennaio sono stati ricordati i 25 anni dalla morte ad Hammamet (Tunisia). Attraverso la vita di Craxi, di cui non nasconde le grandi responsabilità, Martini fa luce su almeno un ventennio della storia politica ed economica italiana recente e su alcune vicende rilevanti per il Paese. Con l’esperienza del cronista e la messa a fuoco che il tempo trascorso consente.Le due Americhe Nella ricostruzione delle ragioni che portarono alla deflagrazione della Prima Repubblica, Martini pone l’accento sui fattori esterni e ricostruisce, in particolare, il cambio radicale di strategia delle amministrazioni americane sull’Italia, le «due Americhe»: a quella di Bush, che appoggiava il pool di magistrati milanesi, nel 1993 succede quella di Clinton che lascia le inchieste a loro corso e «incoraggia una nuova leva politica, investendo persino sugli ex comunisti e sugli ex missini». Le due amministrazioni – scrive ancora Martini –«perseguirono disegni diversi, finendo per determinare il risultato finale: l’espulsione rapida e definitiva di alcuni dei principali protagonisti della Prima Repubblica». Compreso Bettino Craxi che diventò uno dei capri espiatori di quella stagione.Loading…Il discorso di Draghi agli ospiti del BritanniaIn quel clima da fine impero si colloca anche un episodio molto citato nelle cronache e nelle ricostruzioni, ma i cui contorni sono rimasti per decenni poco definiti. Il 2 giugno del ’92 sul panfilo Britannia, ancorato davanti al porto di Civitavecchia, banchieri, economisti e manager delle aziende pubbliche italiane incontrano esponenti dei grandi istituti di credito e dei fondi d’investimento internazionali. L’Italia è in transizione tra una legislatura e l’altra. Tocca a Mario Draghi, da direttore generale del Tesoro, rappresentare il governo. Il suo discorso anticipa e spiega le scelte politiche che il Paese sta preparando per privatizzare le grandi aziende di Stato. A prescindere dai governi…Le privatizzazioni allontanarono le imprese pubbliche dalle ingerenze dei partiti privando questi ultimi di risorse e potere su cui avevano fatto affidamento per decenni. Molti degli ospiti del Britannia, italiani e internazionali, «furono gratificati» (…) «alcuni hanno investito sul tracollo italiano, ma la vecchia politica – sottolinea Martini – aveva fatto di tutto per escludersi dalla nuova stagione». Le inchieste di Mani Pulite stavano per deflagrare: non erano frutto di un complotto ordito dai poteri forti presenti nel Paese, ma il colpo definitivo su un mondo già compromesso.Dove nasce il debito pubblico«Il trascorrere degli anni – afferma la prefazione alla seconda edizione – consente di definire sempre meglio la statura di Bettino Craxi: l’incancellabile sottovalutazione della questione morale non impedisce di vedere meglio come il leader socialista affrontò questioni rimaste irrisolte». Una di queste è il debito pubblico, destinato a diventare uno dei problemi più rilevanti dell’economia italiana, a cui è dedicato un intero capitolo. LEGGI TUTTO

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    Successione a Santanchè, voci su Malan ma da Palazzo Chigi smentiscono

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaIl capogruppo al Senato di FdI, Lucio Malan, è stato a Palazzo Chigi. Nel pomeriggio si sono diffuse voci su una possibile sua successione a Daniela Santanchè, sulla quale grava un rinvio a giudizio per falso in bilancio. Ma da Palazzo Chigi smentiscono: i due capigruppo erano in riunione dal capo di gabinetto del presidente, Gaetano Caputi, per parlare di concessioni autostradali, il resto sono solo fantasie.Malan: piena fiducia in ministro? CertoPiena fiducia in Santanchè? «Il ministro Santanchè è ministro, abbiamo votato la fiducia… Certo». Risponde così ai cronisti il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan, uscendo da Palazzo Chigi assieme al capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami. «Abbiamo parlato di concessioni autostradali», spiega.Loading…Tajani: al vertice non si è parlato di Santanché, noi garantisti«Non se ne è parlato». Lo ha detto in rapporto a un vertice tra i leader, tenutosi stamattina, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani arrivando a un convegno alla Camera. «Noi – ha aggiunto – siamo garantisti: finchè una persona non è condannata in via definitiva è innocente, lo prevede la nostra Costituzione».Voci di incontro La Russa-Santanchè, fonti Senato smentisconoUn incontro tra il presidente del Senato, Ignazio La Russa e la ministra Daniela Santanché, rientrata oggi a Roma. Diverse fonti riferiscono di un momento di confronto tra i due, attorno all’ora di pranzo che però fonti della presidenza del Senato, interpellate al riguardo, smentiscono. La Russa ieri aveva incontrato, sempre all’ora di pranzo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. LEGGI TUTTO

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    Referendum, dal jobs act alla cittadinanza: su cosa si voterà in primavera

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaAl via la campagna referendaria sul lavoro e sulla cittadinanza per gli extracomunitari. Sui cinque quesiti dichiarati ammissibili dalla Consulta – quattro promossi dalla Cgil – si voterà in primavera. «Sarà una primavera di diritti, democrazia e partecipazione», afferma il segretario generale Maurizio Landini sostenendo “5 sì” per «cambiare pagina» e «cancellare e modificare le leggi sbagliate, balorde, fatte in questi anni sul lavoro, a partire dal Jobs act». Quesiti sul lavoro a loro tempo firmati anche dalla segretaria del Pd, Elly Schlein (oltre che dai leader del M5s, Giuseppe Conte, e di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli): «Li ho firmati e non faremo mancare il nostro contributo, anche sulla cittadinanza», assicura la segretaria dem. Una scelta logica per Schlein, da sempre contraria alla riforma simbolo del governo Renzi. Ma non per un pezzo di Pd (a partire dall’ala riformista) che quella riforma all’epoca l’ha sostenuta. Non solo. La bocciatura da parte della Consulta del referendum per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, che avrebbe fatto da traino, rende molto difficile il raggiungimento del quorum.Jobs act nel mirinoTornando ai quesiti, nel mirino c’è innanzitutto il Jobs act per il ripristino dell’articolo 18 e quindi del reintegro nei casi di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti dopo il marzo 2015 (da quando sono entrate in vigore le norme del governo Renzi, che hanno introdotto il contratto a tutele crescenti).Loading…Gli altri tre quesiti sul lavoroIl secondo quesito riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. L’obiettivo è innalzare le tutele per chi lavora in aziende con meno di quindici dipendenti eliminando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato. Mentre il terzo punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine, per limitarne l’utilizzo a causali specifiche e temporanee. Infine, l’ultimo quesito riguarda l’esclusione della responsabilità solidale di committente, appaltante e subappaltante negli infortuni sul lavoro. In particolare, con il referendum si vogliono tagliare le norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante.Il referendum sulla cittadinanza per gli extracomunitariL’altro quesito ammesso, proposto tra gli altri da +Europa, chiede di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanzaVoto in primaveraIl voto sui referendum sarà dunque in primavera: in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. In attesa che il governo fissi la data, gli scenari prevedono la possibilità di un accorpamento della consultazione referendaria con quelle previste in diversi Comuni, tra cui Genova, per l’elezione del sindaco. LEGGI TUTTO

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    Giovanni Amoroso nuovo presidente della Consulta: «Autonomia, il legislatore intervenga sui Lep»

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaScaduto il lasso di tempo (circa trenta giorni) che di consueto lascia correre per il rinnovo del presidente che ha terminato il suo mandato, la Corte costituzionale si è riunita in camera di consiglio per eleggere il suo nuovo presidente: il successore di Augusto Barbera è Giovanni Amoroso, finora presidente facente funzioni e membro più anziano. Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, nato a Mercato San Severino (Salerno) il 30 marzo 1949, Amoroso è membro della Consulta dal 26 ottobre 2017. Il suo mandato scadrà il 13 novembre 2026. I suoi due vice presidenti saranno Francesco Viganò e Luca Antonini.La telefonata con la premierIl neo presidente ha telefonato alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per informarla della sua elezione. La premier, fanno sapere fonti di Palazzo Chigi, gli ha espresso gli auguri di buon lavoroLoading…«Autonomia, occorre che il legislatore intervenga sui Lep»«Non ci sono linee programmatiche da esporre. La Corte è un organo profondamente collegiale. C’è da ricordare che la bussola nell’attività della Corte è la Costituzione» ha detto Amoroso nella conferenza stampa subito dopo la sua elezione. Parlando della riforma dell’Autonomia, Amoroso ha detto che «occorre che il legislatore intervenga e determini i criteri per i Lep», il «pilastro su cui si regge la legge 86» che «è stato investito dalla pronuncia di incostituzionalità».«Con undici giudici la Corte non è menomata»Amoroso ha pure affrontato la questione dello stallo in Parlamento per il mancato accordo sulla nomina dei quattro membri della Consulta di nomina politica. «Anche con undici giudici la Corte non è menomata» ha detto. «Il Parlamento ha mandato in passato giudici di eccellenza. Temere che possa esserci un atteggiamento di sottovalutazione non mi pare. Ci aspettiamo che verranno giudici di assoluto livello» ha aggiunto. «Ci aspettiamo e sicuramente sarà così che dal Parlamento verranno nominati giudici di assoluto livello» che, ha sottolineato, «dopo il giuramento si spogliano della loro provenienza» perché poi «c’è la sintesi della camera di consiglio».«Stallo su tema fine vita, serve leale collaborazione»  LEGGI TUTTO

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    Meloni: l’impegno dell’Italia è consolidare il dialogo Ue-Usa

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaLa scelta di essere presente all’inauguration day di Donald Trump è di per sé eloquente. Giorgia Meloni vuole però ribadirlo esplicitamente al termine della cerimonia del giuramento: l’impegno dell’Italia sarà «consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa». Un ruolo da pontiere che sarà complicato portare avanti e che già nelle prossime ore sarà messo alla prova dopo l’annuncio, per ora generico, da parte del presidente Usa sulla nuova politica di dazi alle importazioni. Una partita fondamentale anche per l’Italia, secondo esportatore negli States dopo la Germania.Proprio la debolezza di Berlino (le elezioni saranno tra un mese) parallelamente alle difficoltà di Emmanuel Macron in Francia le offrono un trampolino che la premier intende sfruttare fino in fondo. «Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e USA, affrontando insieme le sfide globali e costruendo un futuro di prosperità e sicurezza per i nostri popoli», scrive nel suo messaggio di auguri su X dopo aver assistito in Campidoglio alla cerimonia.Loading…Più o meno quello che aveva già detto poche ore dopo a Washington, lei unica leader europea ad essere stata inviata, che di primo mattino era nella chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca per partecipare alla messa di «benedizione» del nuovo Commander in Chief. Un segnale di attenzione da parte di Trump, già emerso nel breve faccia a faccia a Parigi in occasione della riapertura di Notre Dame prima di Natale e – ancora più evidente – durante il blitz di poche ore a Mar-a-Lago della premier e culminato ieri nella presenza alla cerimonia a Capitol Hill.Meloni seduta vicino al Presidente argentino Javier Milei e poco distante dal vicepresidente cinese Han Zheng, e dai “big tech Ceo”, tra cui ovviamente spicca elon Musk, non lesina applausi a Trump e si alza in piedi quando il nuovo inquilino della Casa Bianca, con riferimento alle guerre in corso e a quelle che potrebbero arrivare, dichiara l’intenzione di indossare i panni del «pacificatore».La presidente del Consiglio sta bene attenta a non perdere l’aplomb istituzionale. Non ha alcuna intenzione di essere etichettata come una “fan” di Trump come invece rivendica il suo alleato Matteo Salvini che probabilmente sarebbe atterrato ieri a Washington se lei non fosse stata presente. Fino all’ultimo infatti la premier ha evitato di far sapere (anche ai suoi vice) quali fossero le sue intenzioni. Una riservatezza che certamente l’aiuta a mantenere buoni rapporti sull’altro fronte, quello europeo, come conferma la telefonata intercorsa con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, prima di decollare da Roma. LEGGI TUTTO

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    Autonomia differenziata, dopo il no al referendum che cosa succede ora?

    Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaDiciamo pure subito, senza timore di essere smentiti, che una campagna elettorale con le regioni del Nord e quelle del Sud le une contro le altre armate non era una prospettiva troppo gradita nei due palazzi che si fronteggiano sul Colle più alto di Roma, il Quirinale e la Consulta. Ma naturalmente la decisione dei giudici costituzionali di stoppare il referendum abrogativo sulla legge Calderoli, legge ordinaria in attuazione dell’articolo 116 della Costituzione sull’autonomia differenziata, ha una ragione giuridica evidente: dopo la sentenza della stessa Corte costituzionale 192 del 14 novembre scorso in seguito al ricorso di quattro regioni a guida centrosinistra – sentenza che ha di fatto smontato la legge impugnata cancellandone 7 punti e riscrivendone in modo “costituzionalmente corretto” altri 5 – della Calderoli resta ben poco.Lo stop della Consulta: no a un referendum su una legge che non c’è più«La Corte ha rilevato che l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore», recita la nota serale della Consulta per la stampa, in attesa del deposito delle motivazioni. Come a dire: se non c’è più l’oggetto, su cosa si vota? Non solo. Proprio perché a restare in piedi è di fatto solo il principio dell’autonomia differenziata, principio contenuto nell’articolo 116 con la riforma del Titolo V voluta dall’allora centrosinistra nell’ormai lontano 2001, «il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta dell’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’articolo 116, terzo comma della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale».Loading…Il sospiro di sollievo di Palazzo Chigi, che evita lo scontro su tema divisivoIl primo grande sospiro di sollievo arriva da Oltre Oceano, ed è quello di Giorgia Meloni. La premier, impegnata nella cerimonia di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, si evita infatti una campagna elettorale insidiosissima, campagna che la avrebbe costretta a difendere una legge che non ha mai sentito sua e che la avrebbe costretta a subire la propaganda di un’opposizione per una volta unita attorno alla bandiera dell’unità del Paese contro la legge “spacca Italia”. E tutto sommato a tirare un sospiro di sollievo è la stessa Lega. Che con il governatore del Veneto Luca Zaia sostiene che «la Corte ha prima affermato la costituzionalità della legge, suggerendo i correttivi, e oggi pone la parola fine al referendum togliendo incertezza alla fase operativa».E ora? Primo step nuova legge delega sui Lep. Ma con calmaFase operativa che, tuttavia, dopo l’intervento della Consulta con la sentenza 192 del 2024 avrà per forza di cose tempi lunghi. Le Camere, hanno dettato i giudici costituzionali, si devono poter esprimere compiutamente su tutti i passaggi fondamentali della riforma, dai provvedimenti che fissano gli ormai famosi quanto ancora imprecisati Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) fino alle intese con le singole regioni, che potranno essere emendate dal Parlamento a differenza di quanto previsto fin qui dalla legge quadro. Inoltre ad essere trasferite non potranno essere le materie in blocco ma solo singole funzioni. Dulcis in fundo, va preventivamente calcolato l’impatto dei Lep e del loro finanziamento integrale su saldi di finanza pubblica che difficilmente possono sopportare nuova spesa, e che ora sono stati fissati in un Piano strutturale di bilancio non più modificabile a meno di eventi eccezionali.I tempi lunghi investiranno per par condicio anche il premieratoNell’immediato il primo passaggio obbligato è la riscrittura in modo puntuale e non generico della legge delega sui Livelli essenziali di prestazione (Lep). «La Corte ha detto che la delega deve essere chiara, non può essere generica, e ha chiesto un maggior coinvolgimento del Parlamento. Faremo in modo che le Camere possano emendare le intese», conferma il presidente meloniano della commissione Affari costituzionali Alberto Balboni. Ma né Meloni né Forza Italia hanno voglia di riaprire subito la questione («scriveremo una legge equilibrata», dice il vicepremier e leader azzurro Antonio Tajani). Insomma, tempi lunghi. Che investiranno anche – per par condicio – l’altra riforma costituzionale in campo, quella del premierato. Tanto che la stessa premier, nella conferenza stampa di inizio anno, ha evocato il referendum confermativo sulla “sua” riforma dopo le prossime elezioni politiche. LEGGI TUTTO

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    Autonomia, per la Consulta inammissibile il referendum abrogativo

    Tajani: scriveremo una legge equilibrataLo stop della Consulta ad una proposta di referendum che aveva «oggetto e finalità del quesito non chiari», presentato «come è evidente solo nel vano tentativo di indebolire maggioranza e il governo, consentirà al Parlamento di rimettersi subito al lavoro. Saremo impegnati a scrivere un testo equilibrato, che tenga conto dei rilievi della Corte, a partire da quelli sui servizi minimi essenziali che, come abbiamo sempre detto, devono essere garantiti a tutti i cittadini, ovunque siano nati o si trovino. Forza Italia sarà garante che la legittima richiesta di una maggiore autonomia da parte delle regioni che hanno un più alto residuo fiscale non si traduca in alcun modo in una penalizzazione delle altre, che devono al contrario essere messe nelle condizioni di aumentare qualità e quantità dei servizi offerti ai cittadini. Siamo fiduciosi di poter approvare una legge che promuova e valorizzi le specificità e le ricchezze dei territori, facendo crescere l’Italia tutta insieme». Così in una nota Antonio Tajani, segretario nazionale di Forza Italia.Zaia: Consulta chiarisce ogni dubbio su percorso autonomia Tra le prime reazioni alla decisione della Consulta di non ritenere ammissibile il quesito referendario per l’abrogazione della legge dell’autonomia differenziata, quella del presidente del Veneto. «Con questa nuova sentenza la Corte Costituzionale mette fine alla vicenda referendaria con l’assoluta imparzialità che deve esserle propria. Questo pronunciamento contribuisce a chiarire ogni dubbio sul percorso dell’autonomia, che continuerà a svilupparsi nel pieno rispetto della Costituzione, delle indicazioni della Consulta e del principio di Unità nazionale, mantenendo al centro i valori di sussidiarietà e solidarietà», è il commento di Luca Zaia.Pd: avanti con la mobilitazione di questi mesi«L’autonomia differenziata è probabilmente la peggiore legge di questa legislatura ed era nei fatti già stata demolita dalla Corte per vari motivi: dal tema del trasferimento delle funzioni alla definizione dei Lep, fino alla centralità del Parlamento, sono tanti i pasticci di una destra che a parole si è autoproclamata patriota, ma che nei fatti ha aumentato divari e disuguaglianze, definito che le opportunità dipendano dal luogo in cui nasci, legittimato l’idea che in Italia debbano esistere cittadini di serie A e di serie B. Il PD continuerà a battersi in Parlamento valorizzando gli argomenti e la straordinaria mobilitazione di questi mesi grazie alla quale sono state raccolte centinaia di migliaia di firme in pochissimo tempo. Calderoli ed i presidenti di Regione del nord che hanno sottoscritto le intese si arrendano, la loro secessione mascherata non si realizzerà mai». Così in una nota Marco Sarracino della segreteria del Partito Democratico, responsabile Mezzogiorno.M5S: legge già demolita e svuotata da ConsultaLa legge Calderoli «è già stata smantellata nei suoi pilastri portanti e di fatto svuotata dalla stessa Corte Costituzionale poche settimane fa. Ora governo e maggioranza sono obbligati o ad abbandonare del tutto il progetto o a confrontarsi con il M5S e le altre opposizioni in Parlamento con una completa riscrittura della disciplina in conformità ai dettami costituzionali. Il progetto che la Lega e tutto il governo Meloni volevano propinare agli italiani avrebbe messo in ginocchio non solo il Sud Italia ma anche tanti territori del Centro e del Nord e quindi, in poco tempo, tutta l’Italia. La Consulta lo ha fatto a pezzi articolo per articolo. La nostra battaglia per difendere e rafforzare la coesione sociale, la qualità dei servizi pubblici essenziali e la loro capillarità va avanti con la determinazione di sempre». A dirlo i rappresentanti del M5S nelle commissioni Affari Costituzionali della Camera e del Senato Enrica Alifano, Carmela Auriemma, Roberto Cataldi, Alfonso Colucci, Felicia Gaudiano, Alessandra Maiorino e Pasqualino Penza.Ceccanti: nodo era mancanza chiarezza quesito«Il nodo insuperabile per l’ammissibilità del referendum sull’autonomia come riformulato dalla Cassazione era costituito dalla mancanza di chiarezza del quesito che avrebbe portato a un anomalo plebiscito su un articolo della Costituzione». Il costituzionalista Stefano Ceccanti commenta così la decisione della Consulta di dichiarare inammissibile il quesito per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata. LEGGI TUTTO

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    Dai riformisti ai cattolici, la partita al centro interroga il Pd

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaGuarda al dibattito interno e sul centro con una certa di dose di pragmatismo, la segretaria Dem Elly Schlein. I contributi di questi giorni dal mondo cattolico a Milano e da quello riformista a Orvieto sono, di fatto, un segno costruttivo di vitalità. Quella del Pd, a differenza dei partiti della maggioranza, avrebbe ragionato con i suoi, è una comunità che discute. Certo, la richiesta di avere più voce in capitolo dell’area riformista con un big come Paolo Gentiloni a tracciare la linea non è passata inosservata. Ma, d’altra parte, c’è stato anche il riconoscimento chiaro – viene fatto notare al Nazareno – di un partito che ha ripreso quota con la sua segreteria passando in due anni e mezzo dal 14 al 24%.L’opposizione al governo MeloniL’impegno, in questo momento, è comunque concentrato sull’opposizione al governo di Giorgia Meloni, per i dibattiti sulle alleanze – ragiona qualcuno dalla segreteria – ci sarà tempo. In ogni caso, il weekend segnato dai due appuntamenti di Milano e Orvieto ha riportato nel dibattito interno una serie di questioni. Quelle poste da un lato dal fronte cattolico con la prima uscita pubblica di Ernesto Maria Ruffini e quello dell’area riformista con l’appuntamento di Libertà Eguale di Enrico Morando a Orvieto che ha visto la presa di posizione chiara di Paolo Gentiloni. L’idea dell’ex premier del fare qualcosa in più per “delineare l’alternativa” è la linea indicata anche da Morando nel suo intervento nel quale ha evidenziato la necessità di «lavorare per organizzare una scossa riformista». Insomma, la richiesta venuta da Orvieto appare ancora una volta quella di evitare un eccessivo schiacciamento a sinistra del partito. Intanto anche l’area cattolica si è fatta sentire.Loading…La ricerca di una sintesi sulle questioni divisiveInsomma, da un lato e dall’altro, in questo weekend gli input alla segretaria non sono mancati. Lei, per il momento, tira dritto sulla strada, appunto, della concretezza, assicurano i suoi. Certo, la discussione può, di sicuro essere segno di vivacità interna ma il punto ora sarà trovare una sintesi anche a fronte di una serie di questioni che rischiano di essere divisive. Tra le altre, certamente, quella del terzo mandato con le prese di posizione del sindaco di Milano Beppe Sala e del presidente del Copasir Lorenzo Guerini. E ancora quella del lavoro soprattutto se la Consulta dovesse dare il via libera ai referendum, in particolare a quello che riguarda il job act. Un tema sul quale non c’è completa assonanza di vedute tra tutte le anime del partito.Il consiglio nazionale M5sIntanto oggi è prevista la riunione del consiglio nazionale M5s. Ed è di oggi l’annuncio del capogruppo alla Camera uscente Francesco Silvestri che non si ricandiderà per quel ruolo per dare il proprio contributo per la costruzione del partito. «Dopo due anni e mezzo, e soprattutto dopo le traiettorie delineate dall’assemblea costituente – ha spiegato – ho deciso di dedicare tutto me stesso alla costruzione del partito. E per questo di non ricandidarmi per il ruolo di capogruppo alla Camera. Ora a cambiare sarà il contesto, ma il mio impegno e la mia determinazione per la crescita del Movimento saranno sempre le stesse». LEGGI TUTTO