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    Anche gli elefanti si salutano

    Caricamento playerGli elefanti sono da anni considerati una delle società animali più strutturate e complesse, come attestato da varie ricerche sui loro comportamenti, sulle loro relazioni di gruppo e sui modi in cui interagiscono. Uno studio pubblicato il 9 maggio scorso su Communications Biology, una rivista scientifica del gruppo Nature, ha ampliato le conoscenze sulla comunicazione tra gli elefanti africani e scoperto che diversi loro gesti in passato considerati casuali, tra cui scuotere le orecchie o muovere la coda in un certo modo, seguono uno schema e sono probabilmente parte di un articolato sistema di condivisione di informazioni all’interno del gruppo.
    Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricerca dell’università di Vienna e dell’università di Portsmouth, che ha seguito per un mese un gruppo di nove elefanti in semi-cattività nella riserva Jafuta, vicino alle Cascate Vittoria, in Zimbabwe. Le osservazioni si sono concentrate in particolare sui saluti all’interno del gruppo, e hanno permesso di scoprire che è una circostanza in cui gli elefanti si esprimono in modo molto creativo. Dispiegano le orecchie o le scuotono per fare rumore, camminano all’indietro mostrando la parte posteriore del corpo, allungano la proboscide ed emettono versi a frequenze molto basse, simili a brontolii. Spesso urinano e defecano. Utilizzano insomma una grande varietà di gesti visivi, tattili e acustici, e anche segnali olfattivi: una comunicazione detta “multi-modale”.
    Gli elefanti africani di savana (Loxodonta africana) sono gli animali terrestri viventi più grandi al mondo: possono arrivare a circa 4 metri di altezza al garrese e a un peso di 7 tonnellate. Si distinguono facilmente da quelli asiatici per le orecchie molto grandi, che permettono loro di disperdere il calore corporeo durante la stagione secca. E vivono in gruppo e in grandi spazi aperti: condizione che rende più semplice stimare la popolazione complessiva (circa 415mila individui) e la composizione di ogni nucleo familiare, di solito guidato da una matriarca e formato da una decina di femmine e dai loro cuccioli.

    Gli elefanti africani vivono in società di “fissione-fusione”, un’espressione utilizzata in etologia per indicare organizzazioni complesse – tipiche degli scimpanzé – in cui le dimensioni e la composizione del gruppo, e anche le relazioni al suo interno, cambiano nel tempo. Gli individui si uniscono in un gruppo unico quando dormono o si spostano per lunghi tragitti, per esempio, e si dividono in gruppi più piccoli durante il foraggiamento diurno. Possono quindi trascorrere un certo periodo di tempo, più o meno lungo, senza vedersi.
    Un gruppo di elefanti in fila nel Parco nazionale di Amboseli, in Kenya (AP Photo/Ben Curtis)
    Il gruppo ha scoperto che le combinazioni di versi e gesti di saluto reciproco tra gli elefanti cambiano a seconda di quanto tempo è trascorso dall’ultima volta che i due individui si sono incontrati. E i gesti cambiano anche a seconda che un individuo stia prestando attenzione all’altro oppure no: quando uno dei due elefanti cerca di richiamare l’attenzione utilizza più spesso gesti tattili e uditivi, come sventolare le orecchie, mentre i gesti visivi silenziosi, come dondolare la proboscide, sono utilizzati quando i due si guardano a vicenda. Queste condizioni hanno permesso al gruppo di ricerca di dedurre l’intenzionalità comunicativa dei gesti, alcuni dei quali erano stati invece considerati casuali e irriflessi in precedenti ricerche.

    Uno dei mezzi di comunicazione più noti e studiati negli elefanti è un loro brontolio che produce infrasuoni, cioè frequenze così basse da non essere percepibili dagli esseri umani. Gli elefanti percepiscono le vibrazioni con le loro enormi orecchie, ma anche via terra, tramite le zampe, e utilizzano quindi gli infrasuoni per condividere informazioni anche a chilometri di distanza. Hanno una vista relativamente scarsa ma un olfatto molto sviluppato, che permette loro di fiutare attraverso la proboscide informazioni su altri individui come l’età e la parentela. Molte ricerche si sono tuttavia concentrate sull’olfatto o sull’udito, separatamente, trascurando l’integrazione dei sensi e la combinazione dei diversi gesti comunicativi a distanze ravvicinate.
    Per studiarne meglio i comportamenti durante i saluti il gruppo di ricerca ha selezionato in particolare tre coppie di elefanti che erano molto amici tra loro. Ha separato ogni volta i due individui per circa una decina di minuti, per poi riunirli e osservarli. L’analisi dei dati ha fatto emergere alcuni schemi e sequenze di saluti ricorrenti: la combinazione più comune era un brontolio molto basso e una sventagliata con le orecchie. Era utilizzata prevalentemente dalle femmine, in linea con quanto emerso da altre ricerche su gruppi di elefanti in natura.

    «Proprio come potrei agitare io una mano e urlare “Hey!” verso un amico dall’altra parte della strada, anche gli elefanti combinano apparentemente segnali di comunicazione appropriati quando salutano i loro amici», ha detto a Live Science commentando lo studio Robbie Ball, ricercatore in psicologia cognitiva e comparata alla City University of New York.
    Durante i saluti gli elefanti osservati dal gruppo di ricerca utilizzavano in particolare l’olfatto, tra tutti i sensi: non solo urinavano e defecavano, ma secernevano sostanze attraverso le ghiandole temporali, che si trovano tra gli occhi e le orecchie. Su 89 saluti annotati dal gruppo, il 71 per cento riguardava comportamenti olfattivi. Da precedenti ricerche è noto che tramite le secrezioni delle ghiandole temporali, ma anche tramite i brontolii, gli elefanti sono in grado di comunicare informazioni come la loro identità individuale, l’età e lo stato riproduttivo.

    È anche possibile che gli elefanti urinassero o defecassero durante i saluti semplicemente per l’eccitazione di rivedersi, ha detto a Reuters Vesta Eleuteri, una delle autrici dello studio. Il fatto però che spostassero la coda di lato o la agitassero, mentre urinavano o defecavano, suggerisce che possa essere un modo di invitare il destinatario ad annusare le feci e l’urina. «Forse non hanno bisogno di dirsi a vicenda come stanno, dato che possono sentirlo dall’odore», ha detto Eleuteri.
    La speranza condivisa da Eleuteri e dal resto del suo gruppo è che studi del genere possano contribuire, sul lungo periodo, a estendere un repertorio di gesti degli elefanti e a saperne di più sul modo in cui comunicano. Come ricordato nello studio, gli elefanti vivono in organizzazioni sociali articolate: i gruppi familiari si separano e si ritrovano di continuo, e ogni individuo deve tenere traccia delle proprie relazioni con gli altri. Considerando che gli elefanti possono vivere fino a 70-80 anni, avere molti incontri in un arco di tempo così lungo potrebbe essere in relazione con la necessità di sviluppare forme di comunicazione complesse. LEGGI TUTTO

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    Gli animali hanno una cultura?

    Un recente articolo scientifico sui bombi, un genere di insetti della stessa famiglia delle api, ha fornito alcune informazioni rilevanti a sostegno di un’ipotesi da tempo discussa nel campo dell’etologia, la parte della biologia che studia il comportamento animale. L’ipotesi è che la capacità tipicamente umana di imparare dagli altri più di quanto sia possibile imparare da sé nel corso di una vita – condizione necessaria per la formazione di quella che definiamo “cultura” – sia una capacità condivisa con altre specie animali.Pubblicato a marzo sulla rivista Nature da un gruppo di ricercatrici e ricercatori della Queen Mary University of London e della University of Sheffield, l’articolo descrive i risultati di un esperimento in cui ai bombi era richiesto di risolvere un problema complesso su una specie di giradischi all’interno di una scatola. Per ottenere una ricompensa (una soluzione zuccherina) che percepivano ma non potevano raggiungere direttamente, i bombi dovevano compiere due azioni in sequenza: sbloccare un piatto girevole spingendo un fermo e poi ruotarlo in senso antiorario.
    I bombi, che sono considerati insetti prodigiosi nell’apprendimento sociale, non sono riusciti a risolvere il problema durante l’esperimento, nemmeno dopo un tempo di esposizione prolungata di 24 giorni. Alcuni ce l’hanno fatta solo dopo un addestramento: in pratica gli sperimentatori li hanno indotti ad apprendere il passaggio intermedio ponendo una prima ricompensa sul fermo che bisognava spingere per sbloccare la piattaforma. A quel punto i bombi sono riusciti a superare anche il secondo passaggio e ad arrivare alla soluzione zuccherina.
    Il risultato sorprendente e giudicato più significativo dai ricercatori è che un gruppo di bombi non addestrati, che come tutti gli altri non avevano inizialmente saputo risolvere il problema, è riuscito in seguito a capire come agire senza bisogno della prima ricompensa. Si è limitato ad apprendere dal comportamento di un bombo «dimostratore», cioè uno di quelli addestrati a superare il primo passaggio.

    La capacità degli animali non umani di compiere azioni nuove apprendendo dal comportamento dei propri simili è nota e studiata da decenni in specie come gli scimpanzé, i macachi, i corvi e le megattere. Il risultato descritto nello studio uscito su Nature è tuttavia considerato la prima prova della presenza di questa capacità sociale tra gli invertebrati, applicata alla soluzione di problemi particolarmente complessi: problemi cioè troppo difficili perché un solo individuo possa risolverli procedendo per tentativi ed errori.
    Alcuni commenti a questo esperimento e ad altri simili hanno interpretato i risultati come un’ulteriore prova della possibilità che la cultura, intesa come capacità di una specie di apprendere e diffondere comportamenti complessi in una popolazione, non sia un fatto unicamente umano. L’esempio dei bombi è significativo perché suggerisce che anche i comportamenti di insetti di cui sono note da tempo le sofisticate strutture sociali, come le api, potrebbero essere almeno in parte comportamenti appresi e non innati, che era l’ipotesi finora prevalente.

    – Leggi anche: Capiremo mai come ragionano gli animali?

    Sebbene nel linguaggio comune sia utilizzata in molti modi diversi, la parola “cultura” in etologia e in altre discipline affini ha un significato abbastanza preciso. Indica l’insieme di tradizioni comportamentali di una popolazione, cioè comportamenti tramandati attraverso l’apprendimento sociale e che persistono in un gruppo o in una società nel corso del tempo. I ricercatori hanno osservato nel regno animale numerosi comportamenti che soddisfano questa definizione di cultura cumulativa, contraddistinta da innovazioni sequenziali che si basano su altre precedenti.
    Quasi ogni parte della vita degli esseri umani si basa su conoscenze e tecnologie di questo tipo, troppo complesse per essere gestite da un individuo in modo indipendente e senza una tradizione culturale, appunto. Non sarebbe stato possibile altrimenti viaggiare nello Spazio, per esempio, ma nemmeno far funzionare un wc.
    Un articolo uscito a marzo sulla rivista Nature Human Behaviour ha presentato i risultati di un esperimento simile a quello con i bombi, ma condotto con gli scimpanzé da un gruppo di ricercatori dell’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, e del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, in Germania. Nel Chimfunshi Wildlife Orphanage, un rifugio per la fauna selvatica in Zambia, i ricercatori hanno lasciato a disposizione di una comunità di 66 scimpanzé, suddivisi in due gruppi, una scatola di noccioline che funzionava come una specie di distributore automatico.
    Gli scimpanzé potevano vedere e annusare le noccioline, ma per raggiungerle dovevano azionare il distributore raccogliendo una delle palline di legno lasciate dai ricercatori nelle vicinanze. La scatola aveva un cassetto a molla che bisognava aprire e tenere aperto, perché al suo interno si trovava un incavo in cui far scivolare la pallina per ricevere una manciata di noccioline. Dopo tre mesi in cui nessuno scimpanzé è riuscito a far funzionare il distributore, i ricercatori hanno selezionato in ciascuno dei due gruppi una femmina anziana per l’addestramento.
    «Non si può scegliere un animale a caso», ha detto Edwin van Leeuwen, uno degli autori dello studio, spiegando che per il successo dell’addestramento è importante selezionare individui audaci e di rango medio-alto all’interno del gruppo. Una volta finito l’addestramento delle due femmine, il distributore è stato riposizionato e lasciato di nuovo a disposizione dei due gruppi. Dopo due mesi trascorsi in presenza degli individui addestrati, 14 scimpanzé sono riusciti ad azionare il distributore osservando più volte il comportamento di un altro individuo che aveva capito come farlo funzionare.

    Sia lo studio sugli scimpanzé che quello sui bombi sono considerati importanti prove sperimentali dell’apprendimento sociale negli animali, di cui esistono da tempo numerose prove aneddotiche. La capacità di apprendere osservando e imitando il comportamento di altri individui è infatti ritenuto uno dei fattori che contribuiscono a determinare differenze comportamentali intraspecifiche tra gruppi diversi.
    Degli scimpanzé, per esempio, è ben nota la pratica di utilizzare dei bastoncini o dei fili d’erba per catturare le termiti, osservata e studiata fin dai primi anni Sessanta dall’etologa inglese Jane Goodall. Ma alla fine degli anni Novanta lo zoologo e psicologo Andrew Whiten scoprì insieme al suo gruppo di ricerca della University of St Andrews, in Scozia, e alla stessa Goodall che gli scimpanzé utilizzano le tecniche di cattura delle termiti in modo diverso a seconda del gruppo a cui appartengono. Quelli di alcune zone dell’Africa mangiano gli insetti direttamente dal bastoncino, mentre altri usano la mano libera per raccoglierli prima di mangiarli.

    – Leggi anche: Jane Goodall: dilettante, scienziata, attivista, simbolo

    In anni recenti è inoltre aumentata la quantità di prove dell’esistenza di comportamenti sociali, abitudini alimentari e persino canti e richiami diversi tra gruppi della stessa specie. Le differenze sono dovute a fattori ambientali, ma sono anche rese possibili dalla tendenza sociale ad accogliere e diffondere elementi di innovazione introdotti dai singoli individui all’interno dei gruppi. Prove di una simile evoluzione culturale sono state osservate tra le orche, i capodogli e altre cetacei, ma anche tra diverse specie di uccelli.

    Le differenze culturali all’interno di una stessa specie possono riflettersi anche in aspetti della vita sociale più stabili ed evidenti, come hanno mostrato alcuni ricercatori del dipartimento di biologia della Katholieke Universiteit Leuven, in Belgio, e del laboratorio di entomologia dell’istituto Embrapa, in Brasile, in un articolo pubblicato a marzo sulla rivista Current Biology. In un grande apiario a Jaguariúna, in Brasile, il gruppo di ricerca ha osservato 416 colonie di Scaptotrigona depilis, una specie di ape senza pungiglione diffusa in Sudamerica, per due lunghi periodi nel 2022 e nel 2023.
    Circa il 95 per cento delle colonie presentava favi costruiti in strati orizzontali sovrapposti, come torte nuziali su più livelli, il tipo di struttura preferita dalle Scaptotrigona depilis. Le restanti colonie presentavano invece una struttura a spirale: sia in un caso che nell’altro lo stile architettonico veniva mantenuto per molte generazioni di api. Inoltre non c’erano differenze nella velocità di costruzione, quindi nessun vantaggio in termini di efficienza nel seguire uno stile anziché l’altro.

    Per escludere che la differenza di stile derivasse da fattori genetici il gruppo di ricerca ha trapiantato alcuni individui da colonie i cui favi erano costruiti su più strati in colonie con favi strutturati a spirale, e viceversa. Prima di farlo ha svuotato le strutture ospitanti in modo da non lasciare adulti “indigeni” nella colonia, che avrebbero potuto influenzare il comportamento delle operaie importate. In breve tempo le api importate adottavano lo stile locale, che veniva ereditato anche dalle larve della colonia quando maturavano in adulti.
    Secondo il biologo Tom Wenseleers, a capo del laboratorio della KU Leuven che ha condotto la ricerca, le api potrebbero cambiare stile per far fronte all’accumulo di microscopici errori di costruzione commessi dai loro predecessori. Questo processo, in cui alcuni individui di insetti sociali influenzano indirettamente il comportamento di altri attraverso le tracce che lasciano nel loro ambiente, è definito stigmergia. Per avere conferma dell’ipotesi di Wenseleers il gruppo ha quindi introdotto micro-variazioni nella struttura di favi a strati orizzontali sovrapposti, e ha scoperto che in quel caso le api passavano effettivamente alla costruzione a spirale.
    I risultati dello studio sulle api a Jaguariúna suggeriscono che la trasmissione di differenti tradizioni nella costruzione dei favi attraverso le generazioni possa avvenire anche senza bisogno che gli individui siano direttamente istruiti dai loro coetanei. Permettono quindi di pensare alla cultura in termini più ampi, senza intenderla rigidamente come un insieme di comportamenti trasmessi da individuo a individuo fino a diventare caratteristici di un gruppo.
    Anche la trasmissione di comportamenti animali più complessi – come la costruzione delle dighe da parte dei castori o dei giacigli sugli alberi da parte degli scimpanzé – potrebbero avvenire in questo stesso modo indiretto, ha detto Whiten all’Economist. Ed è possibile che processi di stigmergia siano anche alla base della trasmissione di alcune tradizioni umane. LEGGI TUTTO