More stories

  • in

    Cecilia Rodriguez sfila insieme ai suoi amati cani alla Fashion Week

    Gossip.it © 2000 – 2024. Contents, marketing and advertising managed by Mediafun Ltd. Vat: BG205038334.
    GossipNews, quotidiano di cronaca rosa, gossip, costume e società fondato da Paola Porta. Registrazione tribunale di Napoli n.5246 del 18 ottobre 2001. Registrazione al ROC n.14687 del 2 gennaio 2007. PWD srl, P.Iva: 06523591219. All rights reserved. LEGGI TUTTO

  • in

    Perché i cani capiscono in che direzione indichiamo, ma non cosa?

    Caricamento playerAlle persone che vivono con un cane capita abbastanza spesso di voler attirare la sua attenzione puntando il dito verso un oggetto che si trova a una certa distanza, come succede anche in molte normali interazioni umane. Di solito non passa molto prima che il cane raggiunga l’oggetto indicato, se è un biscotto o un gioco che conosce. La maggior parte dei cani rivolge in generale l’attenzione nella direzione giusta, ma ci mette un po’ a capire quale sia l’oggetto indicato, e a volte non lo capisce affatto.
    In uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Ethology un gruppo di ricerca ungherese del dipartimento di etologia dell’Università Eötvös Loránd, a Budapest, ha cercato di fornire una spiegazione al fatto che i cani, quando viene loro indicato un oggetto, capiscono di solito in che direzione concentrare l’attenzione ma non su cosa. Dopo aver condotto una serie di esperimenti, il gruppo ha ipotizzato che questo comportamento dipenda dalla priorità che i cani tendono ad assegnare alla posizione anziché alla forma degli oggetti.
    È una conseguenza non soltanto del modo in cui vedono, ma anche del modo in cui “pensano”. Alcuni individui con particolari abilità cognitive riescono infatti a cambiare il loro approccio e imparano a elaborare le informazioni in un modo più simile a quello umano, in modo da riconoscere gli oggetti anche dal loro aspetto oltre che dalla posizione.
    Riconoscere gli oggetti a partire da un segnale che ne indica la posizione è una capacità che emerge abbastanza presto negli esseri umani durante lo sviluppo. È generalmente descritta negli studi sulla comunicazione, sul linguaggio e sulla pragmatica (lo studio della relazione tra i segni e i loro utenti) come un effetto della condivisione di un codice comune e soprattutto di un contesto linguistico, senza i quali qualsiasi definizione “ostensiva” rimarrebbe indeterminata. In mancanza di un simile contesto definire un tavolo indicandolo, per esempio, non permetterebbe all’interlocutore o all’interlocutrice di comprendere quale delle numerose informazioni meritevoli di elaborazione – il colore, la forma, una parte del tavolo (il piede) anziché tutto – è la più pertinente tra tutte le informazioni disponibili.
    La capacità di comprendere l’intenzione comunicativa alla base dei gesti che indicano la posizione di un oggetto è una delle differenze più evidenti nella reazione a quei gesti da parte dei bambini rispetto alla reazione dei cani, ha scritto il gruppo di ricerca ungherese. Mentre i bambini già a nove mesi interpretano il gesto come un’indicazione dell’oggetto specifico, i cani interpretano quello stesso gesto come un generico segnale direzionale. Indipendentemente dall’intenzione della persona che utilizza il gesto, il significato del gesto per i bambini e per i cani è diverso.
    I ricercatori e le ricercatrici hanno definito «pregiudizio spaziale» la propensione dei cani a dare priorità nell’elaborazione delle informazioni alla posizione, alla distanza e alle relazioni spaziali tra gli oggetti, spesso a scapito delle caratteristiche degli oggetti. Per studiare questo comportamento hanno condotto in una stanza vuota del dipartimento di etologia dell’università due diversi esperimenti su 82 cani (39 femmine e 43 maschi) di varie razze, tra cui Border Collie (19), Bracco ungherese (17) e Whippet (6), ciascuno dei quali accompagnato dal suo proprietario o dalla sua proprietaria, che partecipava agli esperimenti.
    Nel primo esperimento i cani dovevano reagire a un gesto del loro proprietario o della loro proprietaria e imparare in quale tra due piatti posizionati all’estremo opposto della stanza, uno a destra e uno a sinistra, veniva posizionato un premio (un bocconcino). Dall’inizio della prova avevano 15 secondi di tempo per raggiungere il piatto corretto, e un massimo di 50 tentativi per apprendere il compito che era stato loro assegnato.
    (Eniko Kubinyi/Ethology)
    Un secondo esperimento prevedeva l’utilizzo di un solo piatto per volta, posizionato al centro all’estremo opposto della stanza. A ciascun cane veniva dato il bocconcino in un solo tipo di piatto: o uno rotondo e bianco, o uno quadrato e nero. L’alternanza dei due tipi di piatto era semi-casuale: non veniva mai usato lo stesso tipo di piatto per più di due volte consecutive. Il compito dei cani in questo secondo esperimento, in pratica, era imparare a riconoscere l’oggetto dalle sue caratteristiche (forma e colore) anziché dalla sua posizione. Sia nel primo che nel secondo esperimento i ricercatori e le ricercatrici hanno misurato la velocità con cui il cane correva verso il piatto “corretto”.
    (Eniko Kubinyi/Ethology)
    I risultati hanno mostrato che i tempi di apprendimento dei cani nel primo esperimento erano più brevi rispetto a quelli nel secondo esperimento, in cui in generale i cani avevano più difficoltà a memorizzare l’oggetto giusto. Per ottenere informazioni sulla duttilità mentale dei cani i ricercatori e le ricercatrici hanno poi replicato gli esperimenti con quelli che avevano ottenuto i risultati migliori, invertendo però la collocazione del bocconcino rispetto alle prove precedenti. In un esperimento lo hanno posizionato nel piatto a destra, per tutti i cani che nel primo esperimento lo avevano nel piatto a sinistra. E in un altro esperimento lo hanno posizionato soltanto nel piatto nero quadrato, per i cani che in precedenza lo avevano ricevuto in quello bianco rotondo.
    Alcuni cani riuscivano più facilmente e velocemente di altri a superare il compito, dimostrando maggiore capacità di modificare sulla base delle nuove informazioni il comportamento precedentemente appreso. I cani che più facilmente degli altri riuscivano a riconoscere il piatto dalla forma e dal colore erano tendenzialmente quelli con più capacità di superare il pregiudizio spaziale, al quale contribuiscono variamente non soltanto le particolari capacità sensoriali dei cani – in particolare quella visiva, già studiata in precedenti ricerche – ma anche le capacità cognitive individuali.
    Gli autori e le autrici dello studio hanno spiegato che le capacità visive dei cani sono diverse a seconda delle razze, in base alla forma della testa. «I cani con la testa più corta, scientificamente definiti “brachicefali”, sviluppano una visione simile a quella umana», ha detto Zsófia Bognár, una delle coautrici dello studio, perché la struttura della loro retina implica una visione più nitida e a fuoco rispetto a quella dei cani di razze con la testa più lunga. Come misura approssimativa della qualità della vista nei cani viene infatti utilizzata una misura della forma della testa chiamata “indice cefalico”, che si calcola dividendo la larghezza del cranio per la lunghezza del cranio: più è corta la testa, più è alto l’indice.
    Sulla base dei risultati complessivi degli esperimenti e dalla valutazione di altre caratteristiche dei cani tramite test cognitivi sulla memoria, l’attenzione e la perseveranza, lo studio ha tuttavia concluso che i cani con prestazioni cognitive migliori riescono a superare i limiti sensoriali e associano le informazioni agli oggetti con la stessa facilità con cui le associano alle posizioni. Se i cani di solito non comprendono quale oggetto stiamo indicando ma soltanto la posizione in cui si trova, in definitiva, dipende in primo luogo da limiti di visione relativi alle caratteristiche fisiche della razza: limiti che determinano in generale una maggiore attenzione verso gli oggetti in movimento anziché verso quelli fissi. Ma dipende in secondo luogo anche da capacità cognitive individuali di ciascun cane. LEGGI TUTTO

  • in

    Una pillola per allungare la vita dei cani

    Caricamento playerA fine ottobre in Portogallo è morto Bobi, quello che secondo il Guinness World Records era il cane più anziano del mondo: aveva 31 anni e mezzo. La notizia era stata ripresa dai giornali e discussa sui social network, con qualche dubbio sull’effettiva età del cane al momento della morte, e aveva portato a nuovi dibattiti e riflessioni sulla longevità dei cani in generale e su come cambia il nostro rapporto con loro, man mano che invecchiano.L’aspettativa di vita di un cane varia moltissimo a seconda della razza e della taglia. Chi decide di crescerne uno sa che molto probabilmente farà parte di una porzione relativamente ridotta della sua esistenza e che gli sopravviverà. È inevitabile e per questo riscuotono un certo successo i prodotti, come mangimi e integratori, che vengono venduti come soluzioni specifiche per contribuire a mantenere in salute i cani anziani. Le confezioni e le pubblicità di questi prodotti non promettono esplicitamente di allungargli la vita, ma comunicano qualcosa che ci si avvicina e che risponde al comprensibile desiderio di prolungare il più possibile la convivenza con il proprio cane.È un settore economicamente florido e che potrebbe presto arricchirsi di farmaci sviluppati proprio con lo scopo di rendere più longevi i cani. Le sperimentazioni sono già in corso, in alcuni casi sono alquanto avanzate, e potrebbero un giorno offrire spunti e dati importanti per il passaggio successivo: rallentare il processo di invecchiamento negli esseri umani.Tra le società del settore più citate negli ultimi anni c’è Loyal, una startup di San Francisco (California) fondata nel 2019 con l’obiettivo esplicito di prolungare la vita dei cani. In poco tempo, l’azienda ha raccolto finanziamenti per circa 60 milioni di dollari e ha curato lo sviluppo di due principi attivi sperimentali. Lo scorso martedì 28 novembre uno di questi, per ora definito con il nome di sviluppo LOY-001, ha ricevuto un primo parere positivo da parte della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa di farmaci.– Leggi anche: Perché può essere così difficile elaborare il lutto per la morte di un animale domesticoUn gruppo di lavoro della FDA ha inviato una comunicazione a Loyal specificando che: «I dati che ci avete fornito sono sufficienti per dimostrare una ragionevole aspettativa di efficacia» nel principio attivo sperimentale. L’autorizzazione per poterlo commercializzare è ancora distante, ma la dichiarazione è comunque un passaggio importante per raggiungere la cosiddetta “approvazione condizionale estesa”, una procedura prevista dalla FDA per accelerare l’autorizzazione di un farmaco in ambito veterinario. Riguarda di solito principi attivi che rispondono a esigenze per cui non ci sono ancora trattamenti e che richiedono test clinici complessi e di lunga durata.La FDA deve ancora analizzare molti altri dati forniti dall’azienda legati anche alle garanzie offerte da Loyal sulla sicurezza del farmaco e della sua produzione. Se non ci saranno inconvenienti, la startup potrebbe ricevere un’autorizzazione preliminare intorno al 2026, seppure vincolata ad alcune condizioni. Il trattamento potrebbe quindi essere poi messo in vendita come prodotto per estendere la vita dei cani. Nel frattempo dovrà però continuare a svolgere i test clinici su una grande quantità di animali, in modo da fornire ulteriori dati su sicurezza ed efficacia alla FDA.Non ci sono molti dettagli intorno a LOY-001 sia perché sul principio attivo non ci sono stati ancora molti studi, sia perché Loyal mantiene riservate alcune caratteristiche in modo da tutelarsi contro la concorrenza in un settore che si sta velocemente popolando con iniziative simili. L’azienda prevede di somministrare LOY-001 periodicamente dal veterinario per intervenire sul fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-1), un ormone molto presente nella fase della pubertà e coinvolto nei meccanismi della crescita. I cani di grande taglia hanno spesso valori di IGF-1 molto più alti dei cani di dimensioni più ridotte, a parità di età, e secondo alcune ricerche questi alti livelli potrebbero essere responsabili dell’invecchiamento più rapido.Un cane di grossa taglia arriva ad avere 28 volte i livelli di IGF-1 di un cane di piccola taglia. Questa disparità è stata probabilmente causata dai numerosi incroci effettuati nei secoli scorsi per selezionare nuove razze canine. L’aspettativa di vita di un chihuahua è per esempio di 15 anni contro gli 8 di un alano danese.(Jack Taylor/Getty Images)I gruppi di ricerca di Loyal si sono quindi chiesti se portare i livelli di IGF-1 nei cani di grande taglia a quantità comparabili con quelli dei cani più piccoli potesse avere qualche effetto, per lo meno per le numerose razze canine di grandi dimensioni. Lo hanno fatto partendo da precedenti ricerche che avevano già esplorato il ruolo di quell’ormone nei processi di invecchiamento, svolti in laboratorio su piccoli organismi come i nematodi o nei topi. In quegli esperimenti era stato rilevato un allungamento della vita degli animali nel momento in cui si riduceva IGF-1 e un accorciamento della vita nel caso di un aumento dei livelli dell’ormone.Loyal ritiene che l’invecchiamento accelerato dei cani di grande taglia debba essere considerato come una condizione medica e che quindi debba essere trattata per prevenirla. Oltre alle iniezioni, la società sta lavorando a un’ulteriore versione del farmaco da somministrare sotto forma di pillole. La società non ha ancora pubblicato uno studio scientifico, ma ha segnalato l’esito di un test su piccola scala dal quale è emerso che LOY-001 sembra agire su alcuni meccanismi del metabolismo riconducibili ai processi di invecchiamento.È un risultato importante, ma l’azienda non ha ancora dimostrato che in questo modo si possa allungare la vita dei cani. Per farlo, Loyal dovrà organizzare un test clinico su larga scala, raccogliere una grande quantità di dati e derivare poi da questi le informazioni per confermare l’efficacia e la sicurezza del trattamento. Alcuni test sono già in corso, ma richiedono molto tempo e secondo altri esperti sarà difficile stabilire con chiarezza i benefici in termini di un eventuale allungamento della vita.L’approccio seguito da Loyal è simile a quello seguito da altri gruppi di ricerca, ma dedicato a un’altra molecola: la rapamicina, normalmente impiegata per ridurre il rigetto nelle persone che vengono sottoposte a un trapianto d’organi. La sostanza interviene sulla proteina mTOR, che ha il compito di trasmettere i segnali degli ormoni della crescita alle cellule. Ne riduce le funzioni e in varie sperimentazioni si è visto che può allungare la vita di alcuni tipi di lievito, di nematodi, moscerini e ratti.Gli effetti della rapamicina sui cani sono stati testati di recente su due piccoli gruppi di individui: il primo aveva ricevuto la molecola, mentre il secondo una sostanza che non faceva nulla (placebo). Al termine dei sei mesi della sperimentazione, il 27 per cento delle persone i cui cani appartenevano al primo gruppo ha segnalato miglioramenti nel comportamento e nella salute dei propri animali; nel gruppo del placebo gli stessi risultati sono stati segnalati circa nell’8 per cento dei cani.L’impiego della rapamicina è discusso da tempo anche per eventuali terapie per rallentare l’invecchiamento negli esseri umani, ma i dati per ora a disposizione sono limitati e sono stati rilevati alcuni effetti avversi da non sottovalutare. I più importanti sono a carico del sistema immunitario e per questo i dosaggi devono essere regolati attentamente a seconda dei pazienti, in modo da tenerli sotto controllo. LOY-001 sembra dare meno problemi, almeno secondo Loyal che ha segnalato per lo più eventi avversi gastrointestinali nei cani ai quali è stato somministrato. Anche in questo caso, però, servono più dati e su un numero maggiore di cani.(Matt Cardy/Getty Images)Lo sviluppo di farmaci di questo tipo si porta inoltre dietro numerose implicazioni etiche che secondo gli esperti dovrebbero essere approfondite, insieme a quelle prettamente cliniche. LOY-001 è stato pensato come molecola da somministrare a cani che sono in salute per provare a farli vivere più a lungo, la sua somministrazione dovrebbe quindi iniziare prima che il cane diventi anziano. Sarebbe una forma di prevenzione diversa da quella che si dovrebbe sempre fare, curando per esempio l’alimentazione e l’attività fisica.Non è soprattutto chiaro come i cani trattati con farmaci di questo tipo vivrebbero i loro ultimi anni, se con altri problemi di salute non letali, ma che comportano comunque un peggioramento della qualità della vita come artriti, difficoltà respiratorie o problemi cognitivi. Il prolungamento della loro esistenza sarebbe inoltre per il loro bene o per quello delle persone che non vogliono separarsene? Le società come Loyal ritengono che il problema non si porrebbe, perché semplicemente i cani diventerebbero vecchi più lentamente, ma si porrebbero comunque problemi legati al loro mantenimento in salute.Su scale e implicazioni naturalmente molto diverse, gli stessi problemi si porrebbero anche nel caso in cui dai cani si passasse a molecole che aiutano gli esseri umani a rallentare l’invecchiamento, un ambito in cui la ricerca investe molte risorse da tempo. I cani in questo senso sono visti come un buon modello di partenza per acquisire conoscenze, che potrebbero essere poi impiegate su di noi.Lo studio di cani molto longevi potrebbe offrire qualche ulteriore spunto alla ricerca, anche se le cause per cui a volte alcuni cani arrivano a vivere molto a lungo continuano a essere sfuggenti. Bobi, il cane del record di longevità, apparteneva alla razza “rafeiro do Alentejo” di taglia medio-grande i cui individui di solito vivono molto meno di 31 anni e mezzo. La famiglia che aveva cresciuto Bobi in un paese nel Portogallo centrale ha detto che il cane era libero di girare come preferiva e che viveva insieme ad altri animali. La famiglia non aveva mai adottato particolari accorgimenti, ma ha detto di essere convinta che Bobi avesse buoni geni visto che la madre aveva vissuto fino a 18 anni.La storia di Bobi ha raccolto un certo scetticismo tra i veterinari, sia per la mancanza di prove molto convincenti sul fatto che fosse nato nel 1992 sia per la scarsa probabilità di un cane di quella razza che viva così a lungo. Hanno inoltre segnalato che il record precedente era più verosimile: apparteneva a Spike, un chihuahua morto nel 2022 nell’Ohio (Stati Uniti) quando aveva 23 anni e sette giorni. I cani di questa razza sono piuttosto longevi anche per via della loro taglia più piccola. LEGGI TUTTO

  • in

    Baciare gli animali domestici è rischioso?

    Una decina di anni fa una donna di 44 anni si presentò in un ospedale in Giappone dicendo di avere un forte mal di testa, nausea e rigidità al collo. Dopo averla visitata, i medici avevano riscontrato febbre alta, ma nessun indizio di una infezione e nemmeno segni di ferite o punture di insetto. I sintomi indicati dalla paziente sembravano comunque indicare qualche problema neurologico e le furono prescritti altri esami. Le fu infine diagnosticata una meningite di origine batterica, ma non fu possibile stabilire che cosa l’avesse causata fino a quando la paziente ammise di avere l’abitudine di baciare il muso del proprio cane, passandogli talvolta il cibo stringendolo tra le labbra. Il grande trasporto verso il suo animale domestico le era costato una pericolosa infezione batterica, diagnosticata comunque per tempo e trattata con successo con alcuni antibiotici.Casi come quello giapponese sono rari e nella maggior parte delle circostanze la convivenza e le effusioni con gli animali domestici non portano a sviluppare zoonosi, cioè malattie infettive che vengono trasmesse dagli animali agli esseri umani. Le zoonosi domestiche hanno un’incidenza relativamente bassa rispetto ad altre malattie, ma secondo gli esperti molti casi passano inosservati e di conseguenza falsano le stime del fenomeno. Per quanto piccolo, il rischio esiste e può essere utile avere qualche conoscenza in più su cosa cani, gatti e altri animali possono trasmettere a chi li accudisce e non solo.I patogeni – come virus, batteri e parassiti – noti per passare dagli animali domestici a noi sono una settantina e non sempre causano sintomi evidenti in cani, gatti e altri animali da compagnia. Le vie di trasmissione possono essere dirette, per esempio in seguito al contatto con saliva, feci e altri fluidi corporei, oppure indirette quando si maneggiano sostanze contaminate come acqua, cibo o i materiali con cui gli animali restano a lungo vicino, come lettiere e cucce.Il rischio è solitamente più alto con i contatti diretti, dove c’è una stretta interazione tra l’animale e la persona che lo accudisce. Senza arrivare a scambiarsi il cibo di bocca come nel caso della paziente giapponese, molte persone quando giocano con un cane si lasciano leccare la faccia, con la saliva che può raggiungere le mucose della bocca e del naso, oppure depositarsi sugli occhi. Nel cavo orale di un cane c’è una grande quantità di batteri e altri microrganismi tipici della specie canina (Canis familiaris) contro i quali non abbiamo sempre difese adeguate.Tra i batteri che i cani possono trasmetterci ce ne sono alcuni appartenenti al genere Clostidrium, ma anche E. coli e quelli responsabili delle salmonellosi, tutti con il potenziale di causare malattie gastrointestinali. Il Pasteurella multocida trovato nella paziente giapponese, è presente in molte altre specie oltre ai cani (uccelli, gatti, conigli, maiali e bovini) e sebbene porti molto di rado alla meningite, può causare problemi all’apparato respiratorio e cardiaco innescando una risposta immunitaria eccessiva che finisce per danneggiare i tessuti.(AP Photo/Sergei Grits)I gatti sono meno inclini a leccare gli umani con cui vivono, ma si lisciano di frequente il pelo con cui si entra inevitabilmente in contatto. I casi di zoonosi sono comunque legati più che altro al modo in cui viene gestita la lettiera: per buona pratica si dovrebbero utilizzare guanti usa e getta quando si cambia la sabbia, o per lo meno ricordarsi di lavare accuratamente le mani per almeno 20-30 secondi al termine della pulizia. La via oro-fecale è infatti tra le principali modalità in cui si può contrarre infezioni come salmonellosi, toxoplasmosi o giardiasi, una malattia dovuta a un protozoo che invade l’apparato digerente causando nausea, vomito e diarrea.I contatti diretti che possono portare a una zoonosi comprendono morsi e graffi, che spesso coi gatti più sensibili si verificano alla minima incomprensione. Molti di loro fanno da serbatoio naturale al Bartonella henselae, un batterio noto non a caso per causare la malattia “da graffio di gatto”. Dopo qualche giorno nel punto della ferita si forma una pustola talvolta accompagnata dalla febbre. Normalmente il sistema immunitario riesce da solo a superare l’infezione nel giro di 2-4 mesi, ma nelle persone immunodepresse la malattia può durare molto più a lungo e causare altri effetti, come problemi al fegato.In generale, più si vive a stretto contatto con i propri animali domestici maggiori sono i rischi di dover fare i conti con qualche imprevisto. Oltre a farsi leccare la faccia, dare libero accesso alla camera da letto a cani e gatti può essere problematico. Dormire in compagnia dei propri animali domestici prolunga inevitabilmente i tempi di esposizione a eventuali patogeni. Lo stesso vale per altre zone della casa, per esempio nel caso in cui si lascino i gatti liberi di saltare sui pensili della cucina, ammesso che ci sia un modo davvero efficace per impedirglielo.(Brooke Cagle su Unsplash)Mentre per le persone in salute i rischi sono tutto sommato bassi, per alcune categorie viene consigliata qualche precauzione in più. I bambini hanno occasioni di contatto più stretto con gli animali domestici: giocano con loro e si mettono le mani in bocca dopo averli toccati, con un maggior rischio di essere contagiati e sviluppare un’infezione. Altri soggetti a rischio sono le persone con problemi al sistema immunitario, che potrebbero avere complicazioni anche con un’infezione che per altri sarebbe banale e risolvibile in pochi giorni con o senza farmaci.Come segnalano due esperti sul sito The Conversation, non sono solamente i cani e i gatti a diffondere malattie tra gli esseri umani: «Gli uccelli domestici possono talvolta trasmettere la psittacosi, un’infezione batterica che causa la polmonite. Il contatto con testuggini domestiche è stato collegato a infezioni batteriche dovute al genere Salmonella, in particolare nei bambini. Anche i pesci da tenere in acquario sono stati ricondotti a una serie di infezioni batteriche negli umani».Tornando ai cani e ai gatti, è importante comunque ricordare che se si viene leccati su mani, braccia, gambe e piedi ci sono poche probabilità di trasmissione dei patogeni. La pelle è la prima e più importante barriera di cui disponiamo per difenderci dagli agenti esterni e fa un ottimo lavoro anche nello sbarrare la strada a molti dei patogeni trasportati dagli animali. Il rischio aumenta (sempre relativamente) se si hanno ferite o se saliva e altri fluidi entrano in contatto con le mucose. Per questo di solito viene sconsigliato di farsi leccare la faccia dal proprio animale domestico. Nel caso dei cani, basta ricordarsi dove mettono il muso, come ha spiegato un virologo: «Non è solo questione di ciò che è contenuto nella saliva. I cani passano buona parte della loro vita con il naso in angoli sudici o annusando gli escrementi di un altro cane, quindi il loro muso è pieno di batteri, virus e germi di ogni tipo».Oltre a virus e batteri ci sono poi i parassiti come i nematodi, chiamati spesso impropriamente “vermi cilindrici”, che infestano una grande quantità di animali. Si diffondono soprattutto attraverso le feci, che possono essere ingerite nei casi di coprofagia o quando i cani si annusano e leccano a vicenda. È comunque raro che il materiale fecale presente nella loro bocca causi la parassitosi in un essere umano, ma la contaminazione può comunque avvenire per via indiretta, per esempio quando viene accidentalmente ingerito qualcosa che era entrato a contatto con i bisogni di un cane infetto, se per esempio questo si era liberato nelle vicinanze di un orto domestico.Per ridurre i rischi e godersi lo stesso una certa affettuosa vicinanza con gli animali domestici possono essere sufficienti alcuni accorgimenti. Il primo, che vale per molte altre cose legate all’igiene e alla salute, consiste nel lavarsi bene le mani dopo avere giocato con loro e dopo essere entrati in contatto con i loro giocattoli, le lettiere, le cucce o ciò che usano per riposarsi. Il consiglio vale anche per i bambini, che dovrebbero essere sorvegliati per assicurarsi che si abituino a lavarsi le mani. Alcuni ambienti della casa come la cucina dovrebbero essere preclusi agli animali, specialmente se possono facilmente saltare sui ripiani e magari raggiungere del cibo. Assicurarsi di avere tutte le vaccinazioni in regola e di rispettare le scadenze per i rinnovi di questi trattamenti aiuta a ridurre ulteriormente alcuni rischi.In linea di massima è infine meglio non farsi leccare la faccia. LEGGI TUTTO

  • in

    Cosa succederebbe ai cani se sparissero gli umani?

    Caricamento playerImmaginare cosa succederebbe al mondo se la specie umana scomparisse da un momento all’altro, del tutto o in grande parte, è un esperimento mentale che hanno fatto moltissimi scrittori e sceneggiatori e probabilmente anche tante altre persone: le fantasie sull’apocalisse esistono da millenni e sono sia una fonte di intrattenimento sia un modo per riflettere sull’esistenza. C’è però anche chi si è figurato possibili scenari di estinzione umana per fare ragionamenti scientifici: ad esempio su cosa succederebbe ai cani.I cani sono stati i primi animali a essere domesticati e quindi in una certa misura a essere “creati” dagli esseri umani: nel corso dei millenni, favorendo gli accoppiamenti tra animali con certe caratteristiche di comportamento e di aspetto fisico piuttosto che altre, gli umani hanno condotto progressive selezioni artificiali che hanno portato dal lupo (Canis lupus) al cane (Canis lupus familiaris), che ne è una sottospecie, e poi alle diverse e numerose razze che distinguiamo. Come per tutte le specie domestiche, la vita dei cani dipende da quella degli umani, sia nel caso dei cani che hanno qualcuno che li nutre regolarmente, sia nel caso dei randagi, che sopravvivono in gran parte grazie ai rifiuti prodotti dalle persone.Per questo la prima difficoltà che i cani dovrebbero affrontare in caso di sparizione di tutte le persone sarebbe la ricerca di fonti di cibo, ragionano la bioeticista Jessica Pierce e l’ecologo Marc Bekoff in I cani senza di noi, pubblicato in italiano da Haqihana, una casa editrice specializzata in saggi divulgativi sul comportamento canino.Secondo i due studiosi, autori di vari libri sui cani e sul nostro rapporto con loro, è «quasi certo» che i cani sopravviverebbero a una scomparsa improvvisa degli umani «ammesso che non avvenisse su un pianeta diventato completamente invivibile per la crisi climatica». Questa conclusione deriva dal fatto che i cani che attualmente vivono in libertà in diverse zone del mondo riescono a sopravvivere abbastanza bene (secondo una stima citata da Pierce e Bekoff i cani randagi sarebbero 800 milioni nel mondo, quelli con una famiglia 200 milioni) e dalla flessibilità alimentare dei cani, che si adattano a mangiare anche cose diverse dalla carne: potrebbero sostentarsi con piante, frutti e insetti, oltre che con piccoli mammiferi e uccelli.Nell’immediato è verosimile che molti cani morirebbero – alcuni, più piccoli e deboli, anche uccisi e mangiati da altri cani – ma è probabile che nel complesso riuscirebbero ad adattarsi a nuovi stili di vita, facendo affidamento sugli istinti che hanno in comune con i lupi e gli sciacalli. Ovviamente le cose andrebbero in modo diverso in diverse parti del mondo a seconda delle specifiche caratteristiche climatiche, delle risorse naturali di cibo e della competizione con altre specie di predatori: in alcune regioni i cani prospererebbero, in altre potrebbero scomparire a loro volta. In generale però la specie continuerebbe a scorrazzare per il pianeta.– Leggi anche: I cani di ChernobylPierce e Bekoff hanno poi provato a immaginare cosa ne sarebbe dei cani nel più lungo periodo successivo alla scomparsa degli umani, e più in particolare a come i cani sarebbero cambiati dalla selezione naturale, tolta di mezzo quella artificiale. Per i due studiosi tentare di rispondere a questa domanda, anche senza poter mai verificare la bontà delle proprie ipotesi, è utile per capire meglio che animali sono i cani e i rapporti che abbiamo con loro.Il punto di partenza del loro ragionamento è che i cani non tornerebbero a essere lupi.Sappiamo che quando un gruppo di animali domestici si trova a vivere in libertà e perde ogni contatto con gli umani avviene un processo di feralizzazione, cioè di adattamento a uno stato selvatico. Le caratteristiche proprie delle specie domesticate – una maggiore mansuetudine, in aggiunta a tanti aspetti fisici – non scompaiono, quindi non si può parlare di una “de-domesticazione”, ma di un avvicinamento dei singoli animali ai comportamenti delle specie selvatiche sì. Nel caso in cui il gruppo di animali feralizzati continui a vivere in libertà per diverse generazioni, e in cui quindi la selezione naturale inizi ad agire, gli scienziati parlano di inselvatichimento secondario.Non sappiamo quante generazioni di cani dovrebbero susseguirsi per arrivare ai «cani post-umani», ma secondo Pierce e Bekoff è probabile che sarebbero molto diversi dai cani di oggi e diversi tra loro in base al contesto geografico. I cani più piccoli potrebbero specializzarsi nella caccia di insetti, piccoli rettili e anfibi, mentre quelli più grandi dovrebbero trovare altre strategie di adattamento e nel tempo diverse popolazioni di cani potrebbero evolvere in specie canine diverse.Ma si può anche ipotizzare che il rimescolamento dei geni canini portato dalla nuova libertà di accoppiamento porti a cani post-umani tutti di “taglia media”, cioè con un peso intorno ai 15 chili – ci sono cani che pesano poco più di un chilo e altri che superano i 100.Le altre caratteristiche fisiche sarebbero a loro volta influenzate dall’ambiente: ad esempio, ipotizzano Pierce e Bekoff, nei climi più freddi potrebbero essere favorite e dunque prevalere le orecchie più piccole, che disperdono meno il calore; nei climi miti invece è possibile che le orecchie di dimensioni maggiori, più adatte a captare i rumori, si rivelerebbero più utili nella caccia.Di certo scomparirebbero quei tratti fisici dei cani che gli umani hanno selezionato per ragioni estetiche ma che sono legati a problemi di salute, come i musi schiacciati dei carlini che causano problemi respiratori e l’eccesso di pieghe della pelle degli shar pei. Sparirebbero anche le orecchie pendule dei cocker e le code arricciate dei chow chow, perché sia le code che le orecchie sono usate dai cani per comunicare tra loro, e sarebbero favorite quelle che permettono di farlo meglio. Potrebbero scomparire anche le pellicce a macchie e di colori diversi, che non hanno alcuna funzione biologica.– Leggi anche: Il governo olandese vuole vietare il possesso di cani e gatti di certe razzeNel campo della riproduzione ci sarebbero sicuramente dei cambiamenti, ed è possibile che le femmine andrebbero in calore solo una volta all’anno invece che due (una più frequente disponibilità all’accoppiamento rispetto alle specie selvatiche è una delle caratteristiche comuni a tutte le specie domesticate). Un’altra possibilità è che, come succede nei branchi di lupi, la collaborazione dei padri, zii e altri membri di un gruppo di cani diventerebbe un elemento importante per la crescita dei cuccioli. Ma può anche darsi che i cani – o certe specie evolute dai cani – svilupperebbero stili di vita solitari.È più difficile immaginare cosa succederebbe ai tratti comportamentali dei cani selezionati dalla domesticazione: l’ipersocialità sviluppata stando con gli umani verrebbe sfruttata con altri scopi dai cani post-umani o si perderebbe come tratto caratteriale di specie?Pierce e Bekoff hanno finito il loro ragionamento cercando di stabilire se in prospettiva per i cani un mondo senza umani sarebbe un mondo migliore: sono giunti alla conclusione che i vantaggi (come la scomparsa di patologie dovute agli incroci tra cani della stessa razza, un maggior spazio in cui muoversi e maggiori possibilità di socialità) supererebbero gli svantaggi (come la maggiore esposizione alle malattie, l’assenza di cure e di cibo disponibile in abbondanza).Per i due studiosi portare avanti l’esperimento mentale, riflettere su questi vantaggi e svantaggi ma anche dedicare maggiori studi ai cani randagi e feralizzati potrebbe aiutarci a comportarci meglio nei confronti dei cani: capendo meglio la loro natura, saremmo più in grado di garantirgli buone condizioni di vita. Ad esempio, evitando che nascano animali sofferenti a causa di certe caratteristiche fisiche comuni a certe razze create dagli umani, ma anche facendo passeggiare e correre i cani in spazi sufficientemente grandi, e facendo interagire i cani tra loro nel modo migliore per dargli una buona qualità della vita.– Leggi anche: Il più noto libro di “biologia speculativa” LEGGI TUTTO