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    Perché non ci sono mammiferi verdi?

    Il colore verde di solito si associa al concetto di natura: sono verdi le foglie delle piante e lo sono molti animali, tra cui diversi tipi di insetti, molluschi e di vertebrati, in particolare tra i pesci, gli anfibi, i rettili e gli uccelli. Non sono verdi invece i mammiferi, la classe di animali vertebrati in cui rientrano anche gli umani: una peculiarità che nel tempo ha suscitato la curiosità dei lettori di riviste di divulgazione scientifica e dei frequentatori di forum online.Alla domanda “perché non ci sono mammiferi verdi?” non si può rispondere in modo univoco. La questione si può prendere da diversi punti di vista: quello dei ragionamenti sui vantaggi evolutivi dell’avere il pelo o la pelle di un colore piuttosto che di un altro, e quello sulle caratteristiche fisiche proprie dei peli, uno degli attributi che distinguono i mammiferi dagli altri animali.
    I colori della parte più esterna dei corpi degli animali, che si tratti di pelle nuda, squame, penne o peli, possono essere dovuti a due diversi meccanismi fisici. «Uno è la presenza di pigmenti all’interno delle cellule», spiega Adriano Martinoli, zoologo esperto di mammiferi e professore dell’Università dell’Insubria, nonché coautore del podcast del Post sulle specie aliene Vicini e lontani. I pigmenti sono sostanze colorate che determinano il colore di un tessuto. «E il colore dei pigmenti presenti in alcune cellule si può mischiare, non fisicamente ma alla vista, a quello di pigmenti contenuti in altre cellule, producendo nuovi colori».
    È un pigmento verde la clorofilla, la sostanza presente nelle cellule delle foglie che assorbe parte dell’energia del Sole che alimenta le piante. In autunno, quando le ore di luce diminuiscono, le cellule contenenti la clorofilla di molte piante diventano meno vitali e riducono via via la fotosintesi clorofilliana: come conseguenza le foglie cambiano colore, perché diventano visibili altre sostanze, in precedenza oscurate dal verde della clorofilla. Sono ad esempio i carotenoidi che hanno colori caldi che variano dal rosso al giallo. I pigmenti contenuti all’interno della pelle umana (oltre che nei capelli) sono invece le melanine: il colore varia in base alla quantità e al tipo di queste sostanze, fattori che sono influenzati dai geni e dall’esposizione alla luce solare.
    Il colore di un animale però può essere dovuto anche a qualcosa di più complesso, cioè a una «microstruttura fisica superficiale che riflette la luce in un certo modo», spiega Martinoli: «Ad esempio la colorazione scrotale di molti primati durante il periodo riproduttivo non è dovuta a un pigmento, ma alla riflessione della luce. Nelle cellule dell’epidermide infatti ci sono delle microstrutture che, riflettendo la luce, fanno apparire la superficie della pelle stessa di un certo colore, cosa che in realtà non è».
    È il caso della pelle dei mandrilli, i primati dell’Africa centro-occidentale noti per i colori sgargianti dei loro musi, rossi e blu. Il rosso è dovuto all’emoglobina, una proteina di colore rosso presente nel sangue (e quindi un pigmento), mentre il blu ha un’origine diversa. I pigmenti azzurri sono molto rari in natura e nel caso dei mandrilli il blu è prodotto dal modo in cui sono disposte le fibre di collagene nella loro pelle (il collagene è a sua volta una proteina). È un meccanismo che riguarda anche i colori delle penne di molti uccelli variopinti: non contengono pigmenti colorati, tant’è che se le si guarda ingrandite al microscopio le si vede bianche e marroncine.
    Una femmina di mandrillo e il suo piccolo nello zoo di New Orleans, negli Stati Uniti, nel 2020 (AP Photo/Gerald Herbert)
    Il fenomeno fisico responsabile di questi colori è simile a quello per cui il cielo diurno appare azzurro.
    La luce solare è una radiazione elettromagnetica ed è composta da onde di diversa frequenza. A ciascuna corrisponde un colore diverso, in uno spettro che va dal rosso al violetto, passando per l’arancione, il giallo, il verde e il blu. Quando la luce passa attraverso l’atmosfera non viene diffusa tutta allo stesso modo: quella a cui corrispondono frequenze più alte è diffusa molto di più per come sono fatte le particelle dell’atmosfera, e quindi vediamo il cielo azzurro perché la luce che è riflessa e che ci arriva è principalmente di questo colore. Anche il violetto corrisponde a un’alta frequenza ma il sole emette più luce blu che violetto.
    Qualcosa di analogo avviene con le penne degli uccelli o con la pelle di certi animali: in quest’ultimo caso c’entra la struttura microscopica del collagene.
    La struttura fisica dei peli, che sostanzialmente sono tubi di cheratina poco complicati, non consente di produrre questo tipo di effetto, a differenza delle più complesse penne degli uccelli. E per quanto riguarda i pigmenti può contenere solo i diversi tipi di melanina, che danno colori che variano tra il giallo e il marrone scuro. La feomelanina ad esempio dà sfumature tra il giallo e il rossiccio, mentre l’eumelanina è responsabile dei marroni scuri, che in alcuni casi arrivano vicino al nero. Quando i peli sono bianchi significa che non contengono pigmenti e il grigio è dato da una mescolanza di nero e bianco. Il rosso del pelo di certi mammiferi è comunque diverso da quello più acceso del piumaggio di alcuni uccelli, che invece è dovuto a un tipo di pigmenti che i mammiferi non hanno: i carotenoidi.

    – Leggi anche: Perché i capelli diventano bianchi

    A questa riflessione più strettamente legata alla fisica si può aggiungere un ragionamento sui vantaggi evolutivi legati al colore, basato su ciò che sappiamo della storia dei mammiferi. I mammiferi derivano da un gruppo di rettili ancestrale, come pure gli uccelli. Come spiega Martinoli, in questo gruppo probabilmente mancava già la capacità di produrre alcuni pigmenti, quindi non è stata ereditata. Oppure può darsi che la capacità ci fosse ma sia andata persa nel corso dell’evoluzione perché non era utile, cioè non forniva vantaggi adattativi.
    Infatti in origine i mammiferi occupavano «nicchie biologiche»: in un mondo in cui gli animali dominanti più diffusi sulla Terra erano rettili, i mammiferi vivevano nei pochi contesti rimasti liberi. Erano perlopiù animali di piccola o piccolissima taglia attivi di notte. Per questo è probabile che non avessero bisogno di avere un aspetto vistoso e colori sgargianti, così come una vista raffinata: l’olfatto e l’udito erano sensi più rilevanti.
    C’è anche un altro aspetto, cioè che la gran parte dei mammiferi ha una visione in bianco e nero, dicromica. La presenza dei colori non sarebbe stata utile per l’accoppiamento, come succede invece per molte specie di uccelli in cui i maschi attraggono le femmine anche per la qualità del loro piumaggio.
    I colori dei mandrilli, che sono primati (e quindi mammiferi) si spiegano per via di una peculiarità dei primati stessi. «Per dei casi fortuiti di mutazioni degli occhi i primati fanno eccezione e hanno una visione tricromica, cioè vedono i colori», prosegue ancora Martinoli. «E pare che nei primati ancestrali questa visione dei colori sia stata una chiave di successo, perché permetteva di distinguere molto bene i frutti maturi». Sarebbe stato un vantaggio evolutivo importante.

    – Leggi anche: La vita notturna salvò i mammiferi dai dinosauri

    Per quanto riguarda il mimetismo, cioè l’abilità di confondersi con l’ambiente, i colori vicini al marrone di molti piccoli mammiferi sono adatti a non risaltare al suolo e nel sottobosco. E anche pellicce che a noi possono apparire vistose, come quelle delle tigri, sono in realtà adatte al mimetismo se ci si vuole nascondere da animali (prede in questo caso) che hanno una visione dicromatica.
    In un certo senso comunque dei mammiferi col pelo verde ci sono, anche se non si tratta di pelo propriamente verde. Sono i bradipi, gli animali noti per la lentezza nei movimenti che vivono sugli alberi in alcune regioni dell’America centrale e meridionale: sui loro peli crescono delle alghe che fanno la fotosintesi, dunque sono verdi e danno questa sfumatura alla pelliccia dei bradipi. Gli scienziati ritengono che la presenza delle alghe sia vantaggiosa: sia perché consente di mimetizzarsi meglio tra le foglie degli alberi e nascondersi dai predatori, sia perché è una fonte aggiuntiva di cibo.
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    – Leggi anche: Perché i bradipi sono così lenti LEGGI TUTTO

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    Best of bestie

    Una delle raccolte più longeve del Post, tanto da guadagnarsi la sua quota di lettori affezionati, è quella delle foto di animali (o “bestie”, come le chiamiamo affettuosamente) e qui trovate la selezione delle migliori dell’anno, secondo noi. Ci teniamo sempre a dire che che gli animali mostrati sono solo una piccolissima parte di quelli con cui condividiamo il pianeta: le immagini vengono dalle agenzie fotografiche, i cui fotografi le scattano per lo più negli zoo, in riserve naturali o situazioni di vita quotidiana urbana. A volte le foto vengono scelte perché sono buffe, in altri casi perché dicono qualcosa di una specie o del contesto in cui vive (sempre più spesso minacciato dal cambiamento climatico). Sono però un invito a osservare bene, a scoprire un dettaglio in più e magari a guardare con occhi diversi gli stessi animali, anche quelli incontrati ogni giorno fuori dallo schermo. LEGGI TUTTO

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    La Commissione Europea ha proposto di ridurre la protezione per i lupi

    La Commissione Europea ha presentato una proposta per cambiare la classificazione del lupo grigio da specie «rigorosamente protetta» a «protetta», una modifica alle norme europee che di fatto renderebbe più semplice la caccia ai lupi. Secondo la Commissione, ci sono buoni motivi per farlo perché la popolazione di questi animali è continuata a crescere in diversi paesi europei, ma la proposta è stata criticata da numerose associazioni ambientaliste che ritengono non ci siano basi scientifiche per ritenere di nuovo praticabile la caccia.La protezione molto rigida che determina il divieto di caccia per i lupi è contenuta nella Convenzione di Berna e nella Direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat naturali. Le norme stabiliscono che, salvo alcune eccezioni per particolari territori, nell’Unione Europea non si possono cacciare né catturare i lupi, salvo che questi non costituiscano un immediato e diretto pericolo per la popolazione o per il bestiame. I provvedimenti erano stati assunti per favorire il ripopolamento del lupo grigio, che rischiava di scomparire in molte aree dell’Europa occidentale determinando una riduzione della biodiversità, cioè della varietà di specie viventi che popolano un determinato ambiente.
    Da tempo alcune associazioni del settore agricolo e dell’allevamento chiedevano alla Commissione di intervenire sulle regole, segnalando un aumento dei casi di danni causati dai lupi. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva mostrato negli ultimi mesi un particolare interesse alla questione, anche in vista delle elezioni europee del prossimo anno: allevamento e agricoltura costituiscono una parte importante dell’economia europea e hanno grandi capacità di influenza. Da qualche mese si dice che von der Leyen sia interessata al problema anche per un altro motivo: la presidente della Commissione è un’appassionata cavallerizza e l’anno scorso un lupo aveva ucciso la sua pony Dolly.
    Associazioni ambientaliste e per la protezione degli animali non sono però d’accordo con la proposta della Commissione, accusata di non essersi basata sulle prove scientifiche che mostrano come i lupi siano ancora in pericolo in parte dell’Europa occidentale. La modifica ai regolamenti, dicono, renderebbe molto più difficile se non impossibile il ripopolamento di alcune aree, vanificando i progressi raggiunti negli ultimi decenni.
    Nonostante i problemi che ci sono stati in alcuni contesti, i casi di lupi “confidenti”, cioè che mostrano di non aver paura degli umani e in più occasioni si sono avvicinati a meno di 30 metri dalle persone, sono rari. Nel 2022 l’ISPRA aveva conteggiato solo 23 casi di lupi confidenti in Italia nei dieci anni precedenti, sulla popolazione complessiva di 3.300.
    Per cambiare il livello di protezione dei lupi, la decisione dovrà essere approvata da tutti gli stati membri e dagli altri soggetti che fanno parte della Convenzione di Berna. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Non è insolito che nei dintorni di Downing Street, la residenza del primo ministro britannico a Londra, si vedano e si fotografino alcune volpi, complice la vicinanza al St James’ Park, uno dei parchi più famosi della città. Capita decisamente meno spesso che tali volpi si riescano a fotografare proprio nel momento in cui decidono di fare pipì sull’albero di Natale che si trova fuori dal suo ingresso, come in una delle foto di animali più belle della settimana. Tra le altre ci sono poi un panda su un albero innevato a Pechino, due giraffe in uno zoo in Repubblica Ceca, un pitone verde in Indonesia e il cane del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, più interessato a recuperare quello che sembra un biscottino che ad accogliere il presidente turco Recep Tayyip Erdogan..single-post-new article figure.split-gal-el .photo-container .arrow::after{content:’LE ALTRE FOTO’} LEGGI TUTTO

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    L’ultimo pasto di un giovane tirannosauro

    Le analisi dei fossili di un tirannosauride vissuto nel Nord America circa 75 milioni di anni fa hanno mostrato qualcosa di piuttosto sorprendente: tra le ossa della sua cassa toracica sono state osservate tracce di ossa appartenenti ad altri due dinosauri più piccoli, il suo ultimo pasto prima di morire. La scoperta è stata descritta in uno studio pubblicato venerdì sulla rivista Science Advances, e ha permesso di fare alcune ipotesi sia sulla dieta di questa specie di dinosauro, sia dell’evoluzione delle sue abitudini alimentari con la crescita.I resti analizzati appartenevano a un individuo adolescente di Gorgosaurus libratus, un teropode dello stesso gruppo di cui facevano parte i Velociraptor e i Tyrannosaurus rex (T. rex, o più amichevolmente e meno scientificamente T-Rex). Questi tirannosauridi vivevano nel Cretacico superiore, il periodo compreso tra 99 e 66 milioni di anni fa, prima dei T-Rex, ed erano leggermente più piccoli rispetto a loro. Da adulti comunque diventavano «tirannosauri grossi e massicci», ha detto a BBC News François Therrien, paleoecologo del Royal Tyrell Museum of Paleontology dell’Alberta e tra gli autori principali dello studio.Il fossile era stato scoperto nel 2009 nel parco provinciale dei dinosauri dell’Alberta, che si trova a est di Calgary, nel Canada occidentale; ci sono tuttavia voluti anni per recuperarlo, per rimuovere la roccia che si era solidificata all’interno della cassa toracica e per analizzare il suo contenuto con le dovute precauzioni.(Royal Tyrell Museum of Palaeontology)L’individuo di Gorgosaurus aveva tra i 5 e i 7 anni, era lungo quasi quattro metri e il suo bacino era alto più o meno come un essere umano di oggi. Al momento della morte pesava circa 330 chili, ma se si fosse sviluppato fino all’età adulta avrebbe potuto superare le tre tonnellate.Durante lo studio dei suoi resti, i ricercatori del Royal Tyrell Museum of Palaeontology e dell’Università di Calgary hanno notato altre piccole ossa corrispondenti agli arti inferiori di due Oviraptorosauria, cioè due piccoli teropodi più simili agli uccelli, con pancia profonda e zampe anteriori corte. Entrambi gli esemplari avevano meno di un anno, e dall’analisi delle ossa è emerso che erano stati mangiati in due momenti diversi, ad alcune ore di distanza l’uno dall’altro.«Sappiamo che questi [tirannosauri] adolescenti cacciavano dinosauri più giovani e piccoli», ha detto sempre a BBC News Darla Zelenitsky, paleontologa dell’Università di Calgary e una delle autrici principali dello studio. Tuttavia «questo individuo è unico» perché permette di dire che i Gorgosaurus più giovani avevano «strategie per nutrirsi molto diverse» rispetto a quelli adulti: a suo dire lo studio offre anche «prove concrete» del fatto che i tirannosauri tendevano a cambiare «drasticamente» la propria dieta con l’età.(Royal Tyrell Museum of Palaeontology)In base all’osservazione dei fossili di altri individui della stessa specie, gli scienziati erano riusciti a concludere che i Gorgosaurus adulti mangiavano un po’ di tutto, compresi dinosauri erbivori molto grossi che vivevano in gruppo. Therrien ha spiegato che probabilmente gli adulti assalivano la loro preda e strappavano la loro carne con i loro denti, che per quanto affilati erano piuttosto arrotondati, tanto da essere soprannominati “banana killer”. È tuttavia probabile che gli individui più giovani, che avevano corpi più agili, zampe più lunghe e denti più affilati, fossero troppo deboli per assaltare facilmente prede più grandi di loro.In effetti le analisi sulle ossa dei due piccoli dinosauri avevano segni tali da far ipotizzare che l’individuo adolescente li avesse morsi con i denti fino all’osso, fino a staccare i loro arti inferiori e inghiottirli completamente. Secondo Zelenitsky il fatto che siano state trovate solo queste ossa inoltre può voler dire che il predatore aveva azzannato di proposito le cosce, cioè i loro arti più carnosi.Hans-Dieter Sues, paleontologo dello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington l’ha definita «decisamente una scoperta importante». Sues, che non ha partecipato allo studio, ha detto che «anche se il cambio di abitudini alimentari tra giovani e adulti in tirannosauri come il Gorgosaurus non è una sorpresa, è meraviglioso che adesso se ne abbia la prova concreta».– Leggi anche: Magnifici dinosauri sbagliati LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Lo zoo di Londra ha approfittato dell’arrivo di dicembre per allestire alcuni calendari dell’avvento e fotografare gli animali mentre ci interagivano, come nel caso di questo saimiri. Poi ci sono un po’ di apparizioni umane: un veterinario che visita un cucciolo di rinoceronte di Sumatra, l’etologa Jane Goodall con una tartaruga, una biologa con due lupi gridi della Tundra. Nella raccolta di animali della settimana trovate anche le prime nevi a fare da sfondo a cavalli, linci, fagiani e merli, ma per chi non è pronto per l’inverno ci pensa questo scoiattolo a coprire l’eventuale preferenza di una scena autunnale..single-post-new article figure.split-gal-el .photo-container .arrow::after{content:’LE ALTRE FOTO’} LEGGI TUTTO

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    Una pillola per allungare la vita dei cani

    Caricamento playerA fine ottobre in Portogallo è morto Bobi, quello che secondo il Guinness World Records era il cane più anziano del mondo: aveva 31 anni e mezzo. La notizia era stata ripresa dai giornali e discussa sui social network, con qualche dubbio sull’effettiva età del cane al momento della morte, e aveva portato a nuovi dibattiti e riflessioni sulla longevità dei cani in generale e su come cambia il nostro rapporto con loro, man mano che invecchiano.L’aspettativa di vita di un cane varia moltissimo a seconda della razza e della taglia. Chi decide di crescerne uno sa che molto probabilmente farà parte di una porzione relativamente ridotta della sua esistenza e che gli sopravviverà. È inevitabile e per questo riscuotono un certo successo i prodotti, come mangimi e integratori, che vengono venduti come soluzioni specifiche per contribuire a mantenere in salute i cani anziani. Le confezioni e le pubblicità di questi prodotti non promettono esplicitamente di allungargli la vita, ma comunicano qualcosa che ci si avvicina e che risponde al comprensibile desiderio di prolungare il più possibile la convivenza con il proprio cane.È un settore economicamente florido e che potrebbe presto arricchirsi di farmaci sviluppati proprio con lo scopo di rendere più longevi i cani. Le sperimentazioni sono già in corso, in alcuni casi sono alquanto avanzate, e potrebbero un giorno offrire spunti e dati importanti per il passaggio successivo: rallentare il processo di invecchiamento negli esseri umani.Tra le società del settore più citate negli ultimi anni c’è Loyal, una startup di San Francisco (California) fondata nel 2019 con l’obiettivo esplicito di prolungare la vita dei cani. In poco tempo, l’azienda ha raccolto finanziamenti per circa 60 milioni di dollari e ha curato lo sviluppo di due principi attivi sperimentali. Lo scorso martedì 28 novembre uno di questi, per ora definito con il nome di sviluppo LOY-001, ha ricevuto un primo parere positivo da parte della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa di farmaci.– Leggi anche: Perché può essere così difficile elaborare il lutto per la morte di un animale domesticoUn gruppo di lavoro della FDA ha inviato una comunicazione a Loyal specificando che: «I dati che ci avete fornito sono sufficienti per dimostrare una ragionevole aspettativa di efficacia» nel principio attivo sperimentale. L’autorizzazione per poterlo commercializzare è ancora distante, ma la dichiarazione è comunque un passaggio importante per raggiungere la cosiddetta “approvazione condizionale estesa”, una procedura prevista dalla FDA per accelerare l’autorizzazione di un farmaco in ambito veterinario. Riguarda di solito principi attivi che rispondono a esigenze per cui non ci sono ancora trattamenti e che richiedono test clinici complessi e di lunga durata.La FDA deve ancora analizzare molti altri dati forniti dall’azienda legati anche alle garanzie offerte da Loyal sulla sicurezza del farmaco e della sua produzione. Se non ci saranno inconvenienti, la startup potrebbe ricevere un’autorizzazione preliminare intorno al 2026, seppure vincolata ad alcune condizioni. Il trattamento potrebbe quindi essere poi messo in vendita come prodotto per estendere la vita dei cani. Nel frattempo dovrà però continuare a svolgere i test clinici su una grande quantità di animali, in modo da fornire ulteriori dati su sicurezza ed efficacia alla FDA.Non ci sono molti dettagli intorno a LOY-001 sia perché sul principio attivo non ci sono stati ancora molti studi, sia perché Loyal mantiene riservate alcune caratteristiche in modo da tutelarsi contro la concorrenza in un settore che si sta velocemente popolando con iniziative simili. L’azienda prevede di somministrare LOY-001 periodicamente dal veterinario per intervenire sul fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-1), un ormone molto presente nella fase della pubertà e coinvolto nei meccanismi della crescita. I cani di grande taglia hanno spesso valori di IGF-1 molto più alti dei cani di dimensioni più ridotte, a parità di età, e secondo alcune ricerche questi alti livelli potrebbero essere responsabili dell’invecchiamento più rapido.Un cane di grossa taglia arriva ad avere 28 volte i livelli di IGF-1 di un cane di piccola taglia. Questa disparità è stata probabilmente causata dai numerosi incroci effettuati nei secoli scorsi per selezionare nuove razze canine. L’aspettativa di vita di un chihuahua è per esempio di 15 anni contro gli 8 di un alano danese.(Jack Taylor/Getty Images)I gruppi di ricerca di Loyal si sono quindi chiesti se portare i livelli di IGF-1 nei cani di grande taglia a quantità comparabili con quelli dei cani più piccoli potesse avere qualche effetto, per lo meno per le numerose razze canine di grandi dimensioni. Lo hanno fatto partendo da precedenti ricerche che avevano già esplorato il ruolo di quell’ormone nei processi di invecchiamento, svolti in laboratorio su piccoli organismi come i nematodi o nei topi. In quegli esperimenti era stato rilevato un allungamento della vita degli animali nel momento in cui si riduceva IGF-1 e un accorciamento della vita nel caso di un aumento dei livelli dell’ormone.Loyal ritiene che l’invecchiamento accelerato dei cani di grande taglia debba essere considerato come una condizione medica e che quindi debba essere trattata per prevenirla. Oltre alle iniezioni, la società sta lavorando a un’ulteriore versione del farmaco da somministrare sotto forma di pillole. La società non ha ancora pubblicato uno studio scientifico, ma ha segnalato l’esito di un test su piccola scala dal quale è emerso che LOY-001 sembra agire su alcuni meccanismi del metabolismo riconducibili ai processi di invecchiamento.È un risultato importante, ma l’azienda non ha ancora dimostrato che in questo modo si possa allungare la vita dei cani. Per farlo, Loyal dovrà organizzare un test clinico su larga scala, raccogliere una grande quantità di dati e derivare poi da questi le informazioni per confermare l’efficacia e la sicurezza del trattamento. Alcuni test sono già in corso, ma richiedono molto tempo e secondo altri esperti sarà difficile stabilire con chiarezza i benefici in termini di un eventuale allungamento della vita.L’approccio seguito da Loyal è simile a quello seguito da altri gruppi di ricerca, ma dedicato a un’altra molecola: la rapamicina, normalmente impiegata per ridurre il rigetto nelle persone che vengono sottoposte a un trapianto d’organi. La sostanza interviene sulla proteina mTOR, che ha il compito di trasmettere i segnali degli ormoni della crescita alle cellule. Ne riduce le funzioni e in varie sperimentazioni si è visto che può allungare la vita di alcuni tipi di lievito, di nematodi, moscerini e ratti.Gli effetti della rapamicina sui cani sono stati testati di recente su due piccoli gruppi di individui: il primo aveva ricevuto la molecola, mentre il secondo una sostanza che non faceva nulla (placebo). Al termine dei sei mesi della sperimentazione, il 27 per cento delle persone i cui cani appartenevano al primo gruppo ha segnalato miglioramenti nel comportamento e nella salute dei propri animali; nel gruppo del placebo gli stessi risultati sono stati segnalati circa nell’8 per cento dei cani.L’impiego della rapamicina è discusso da tempo anche per eventuali terapie per rallentare l’invecchiamento negli esseri umani, ma i dati per ora a disposizione sono limitati e sono stati rilevati alcuni effetti avversi da non sottovalutare. I più importanti sono a carico del sistema immunitario e per questo i dosaggi devono essere regolati attentamente a seconda dei pazienti, in modo da tenerli sotto controllo. LOY-001 sembra dare meno problemi, almeno secondo Loyal che ha segnalato per lo più eventi avversi gastrointestinali nei cani ai quali è stato somministrato. Anche in questo caso, però, servono più dati e su un numero maggiore di cani.(Matt Cardy/Getty Images)Lo sviluppo di farmaci di questo tipo si porta inoltre dietro numerose implicazioni etiche che secondo gli esperti dovrebbero essere approfondite, insieme a quelle prettamente cliniche. LOY-001 è stato pensato come molecola da somministrare a cani che sono in salute per provare a farli vivere più a lungo, la sua somministrazione dovrebbe quindi iniziare prima che il cane diventi anziano. Sarebbe una forma di prevenzione diversa da quella che si dovrebbe sempre fare, curando per esempio l’alimentazione e l’attività fisica.Non è soprattutto chiaro come i cani trattati con farmaci di questo tipo vivrebbero i loro ultimi anni, se con altri problemi di salute non letali, ma che comportano comunque un peggioramento della qualità della vita come artriti, difficoltà respiratorie o problemi cognitivi. Il prolungamento della loro esistenza sarebbe inoltre per il loro bene o per quello delle persone che non vogliono separarsene? Le società come Loyal ritengono che il problema non si porrebbe, perché semplicemente i cani diventerebbero vecchi più lentamente, ma si porrebbero comunque problemi legati al loro mantenimento in salute.Su scale e implicazioni naturalmente molto diverse, gli stessi problemi si porrebbero anche nel caso in cui dai cani si passasse a molecole che aiutano gli esseri umani a rallentare l’invecchiamento, un ambito in cui la ricerca investe molte risorse da tempo. I cani in questo senso sono visti come un buon modello di partenza per acquisire conoscenze, che potrebbero essere poi impiegate su di noi.Lo studio di cani molto longevi potrebbe offrire qualche ulteriore spunto alla ricerca, anche se le cause per cui a volte alcuni cani arrivano a vivere molto a lungo continuano a essere sfuggenti. Bobi, il cane del record di longevità, apparteneva alla razza “rafeiro do Alentejo” di taglia medio-grande i cui individui di solito vivono molto meno di 31 anni e mezzo. La famiglia che aveva cresciuto Bobi in un paese nel Portogallo centrale ha detto che il cane era libero di girare come preferiva e che viveva insieme ad altri animali. La famiglia non aveva mai adottato particolari accorgimenti, ma ha detto di essere convinta che Bobi avesse buoni geni visto che la madre aveva vissuto fino a 18 anni.La storia di Bobi ha raccolto un certo scetticismo tra i veterinari, sia per la mancanza di prove molto convincenti sul fatto che fosse nato nel 1992 sia per la scarsa probabilità di un cane di quella razza che viva così a lungo. Hanno inoltre segnalato che il record precedente era più verosimile: apparteneva a Spike, un chihuahua morto nel 2022 nell’Ohio (Stati Uniti) quando aveva 23 anni e sette giorni. I cani di questa razza sono piuttosto longevi anche per via della loro taglia più piccola. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Ogni anno il presidente in carica degli Stati Uniti concede la grazia a un tacchino per il giorno del Ringraziamento, e quel tacchino viene ovviamente fotografato durante l’apposita cerimonia alla Casa Bianca: nella raccolta degli animali da fotografare in settimana si vede quello di quest’anno, molto da vicino. Poi ci sono un giaguaro, un tucano e un alligatore nel Pantanal, nelle zone interessate dagli incendi a causa del caldo anomalo, per finire con la lingua di una giraffa e un pinguino in Antartide. Bonus: le foto che hanno vinto il concorso che premia le foto di animali che fanno ridere, qui..single-post-new article figure.split-gal-el .photo-container .arrow::after{content:’LE ALTRE FOTO’} LEGGI TUTTO