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    Uno dei centri di ricerca medica più all’avanguardia in Italia rischia di chiudere

    Nell’ultimo anno Holostem, una delle aziende di ricerca medica e farmacologica più all’avanguardia in Italia e in Europa, ha cercato di trovare un sostegno economico per continuare a sviluppare una cura per i cosiddetti “bambini farfalla”, pazienti affetti da una grave e rara malattia che attacca la pelle. Una soluzione era stata trovata: nei mesi scorsi la fondazione Enea Tech e Biomedical, creata nel 2020 dal governo proprio per investire nel settore biomedico, aveva dato disponibilità a rilevare Holostem.L’ultimo passaggio richiesto è l’autorizzazione del ministero delle Imprese e del Made in Italy che controlla la fondazione. L’investimento tuttavia è stato bloccato. Senza un rilancio economico, Holostem chiuderà e le ricerche saranno interrotte. Il 30 novembre è l’ultimo giorno disponibile per ottenere l’autorizzazione del ministero: senza una prospettiva economica, dal primo dicembre l’azienda sarà liquidata e per i ricercatori inizierà la procedura di licenziamento.Holostem si trova a Modena. È un grande laboratorio di ricerca, molto all’avanguardia, nato da una collaborazione tra l’Università di Modena e Reggio Emilia, Chiesi Farmaceutici, una multinazionale farmaceutica con sede a Parma, Michele De Luca e Graziella Pellegrini, che da oltre 30 anni studiano l’utilizzo delle cellule staminali per sviluppare terapie dedicate soprattutto alla cura di malattie rare. Negli ultimi anni De Luca e Pellegrini hanno ricevuto diversi premi e grazie ai risultati ottenuti con le loro ricerche sono diventati tra gli esperti più noti al mondo di medicina rigenerativa, la branca che studia i modi di ristabilire l’integrità dei tessuti e degli organi.Nel 2015 De Luca e Pellegrini, alla guida di una squadra di ricercatori, applicarono i loro studi su un caso particolarmente grave della malattia che avevano studiato per anni. L’epidermolisi bollosa, conosciuta anche con l’acronimo EB, è una malattia genetica rara e molto invalidante che provoca lesioni e lacerazioni sulla pelle, sintomi che possono essere causati da una lieve frizione o possono comparire persino spontaneamente. È una malattia nota anche come “sindrome dei bambini farfalla” per via della fragilità dei pazienti. Colpisce mediamente meno di un bambino ogni 20mila nati, ne soffrono oggi circa 500mila persone nel mondo. In Italia le persone malate sono poco più di un migliaio. Nelle forme più gravi, questa malattia ha una mortalità elevata entro i 2 anni di vita.De Luca e Pellegrini dovettero valutare un possibile intervento per curare Hassan, un bambino siriano di 7 anni ricoverato in Germania dopo essere scappato insieme ai genitori dal regime di Bashar alAssad. Hassan era ricoverato nel reparto ustionati dell’ospedale di Bochum: l’80 per cento della sua epidermide, ovvero lo strato superiore della pelle, era scomparso. La schiena, i fianchi e gli arti erano coperti di ferite aperte, molto dolorose.Uno dei medici tedeschi che lo avevano in cura conosceva le ricerche di De Luca e Pellegrini che avevano dedicato anni a sviluppare una possibile cura attraverso l’utilizzo delle cellule staminali epiteliali, cioè utilizzate per la rigenerazione dei tessuti. Semplificando molto, la tecnica consiste nel prelevare cellule malate dal paziente, modificare i geni che causano la malattia, utilizzare le cellule corrette per far crescere un nuovo tessuto da reinnestare infine sul paziente.Dopo aver raccolto un centimetro quadrato di pelle dall’inguine di Hassan, una delle poche parti del corpo in cui la pelle era intatta, De Luca e Pellegrini applicarono le loro ricerche e trapiantarono i nuovi tessuti sul bambino sostituendo circa l’80 per cento della sua vecchia pelle. Nel febbraio del 2016 Hassan fu dimesso dall’ospedale, a marzo riuscì a tornare a scuola. È guarito, ora ha una vita sociale normale. Negli ultimi anni Pellegrini e De Luca hanno continuato gli studi sperimentali sulla terapia e hanno ottenuto le autorizzazioni necessarie a estenderla su larga scala: è una procedura molto complessa, per cui servono anni di ricerche e lavoro.Un’altra cura sviluppata da Pellegrini e De Luca si chiama Holoclar e consiste in un trattamento con cellule staminali per sostituire le cellule danneggiate sulla superficie della cornea, la membrana trasparente che riveste l’iride, la parte colorata dell’occhio.Questo trattamento è usato in pazienti adulti affetti da una carenza di cellule staminali causata da ustioni dell’occhio. I pazienti in queste condizioni non hanno un numero sufficiente di cellule staminali che normalmente intervengono nel processo di rigenerazione della cornea sostituendo le cellule esterne danneggiate o che invecchiano. Holoclar è un medicinale per terapia avanzata, cioè contenente cellule prelevate dal paziente e successivamente coltivate in laboratorio e utilizzate poi per riparare la superficie della cornea. È una terapia unica in Europa, la prima a base di cellule staminali, e finora ha restituito la vista a 500 persone.Fino ai primi anni Duemila Pellegrini e De Luca avevano diretto laboratori sulle cellule staminali in diversi centri di ricerca italiani. L’apertura di Holostem, che di fatto è un’azienda biofarmaceutica, è la conseguenza di un nuovo regolamento europeo, il 1394 del 2007, che introdusse regole molto più stringenti per chi studia i cosiddetti farmaci avanzati, cioè realizzati con cellule e non solo con composti chimici.Il nuovo regolamento impose ingenti investimenti per realizzare laboratori molto avanzati e l’introduzione di figure professionali tipiche delle aziende farmaceutiche, come esperti dedicati al controllo della produzione. Questo regolamento ha assicurato maggiori controlli, ma ha reso questo tipo di ricerche insostenibili economicamente per le università. In molti casi i centri di ricerca si sono quindi affidati a investimenti privati, soprattutto di aziende farmaceutiche.Da questa situazione è emersa una vistosa contraddizione: le aziende farmaceutiche sono molto attente al profitto, mentre le malattie rare sono poco profittevoli per definizione. Quasi sempre la ricerca di una terapia dura anni, è molto costosa, e quando viene trovata una cura viene messa in commercio per aiutare poche persone. Anche se i farmaci sviluppati costano molto, il numero di pazienti con malattie rare sono troppo bassi per sostenere grandi investimenti.Per anni Holostem, i cui costi complessivi vanno da 8 a 10 milioni di euro all’anno, è stata sostenuta dall’azienda Chiesi Farmaceutici, che tuttavia lo scorso anno ha comunicato la volontà di uscire dalla società. Chiesi Farmaceutici, che nel 2022 ha raggiunto un fatturato di 2,7 miliardi di euro, ha messo a disposizione 17 milioni di euro per il periodo di transizione.Holostem sembra essere l’investimento perfetto per la fondazione Enea Tech e Biomedical, creata dal governo nel 2020 per «sostenere la sperimentazione pre-clinica e clinica». La fondazione ha a disposizione 500 milioni di euro per «partecipare, concorrere e investire anche in start-up e PMI [piccole e medie imprese, ndr] ad alto potenziale innovativo e spin-off universitari e di centri di ricerca e sviluppo per offrire soluzioni tecnologicamente avanzate, processi o prodotti innovativi, ovvero per rafforzare le attività di ricerca, consulenza e formazione».Con queste premesse Holostem ed Enea Tech hanno avviato una trattativa interrotta dall’opposizione del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il ministero sostiene che questo investimento possa essere considerato un aiuto di Stato, una forma di concorrenza sleale vietata dalle direttive europee. In questo preciso caso, tuttavia, non esiste concorrenza perché Holostem è l’unica azienda in Europa che fa ricerca su questa terapia. I regolamenti europei, inoltre, prevedono che l’aiuto di Stato possa essere concesso quando rappresenta uno strumento per correggere i cosiddetti fallimenti del mercato, cioè quando lo Stato interviene per garantire la produzione di un bene necessario. La fondazione Enea Tech ha presentato un ricorso argomentato alla mancata autorizzazione del ministero, anche perché da quando è stata creata non è riuscita a spendere nemmeno un euro dei 500 milioni messi dal governo.Negli ultimi giorni molti ricercatori europei e italiani hanno scritto al ministero per sostenere la causa di Holostem. «I ricercatori di Modena hanno già compiuto il loro miracolo trovando cure a malattie incurabili. Ora sta al governo dimostrare di essere all’altezza dei suoi cittadini», ha scritto sulla Stampa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze Biomediche all’Università di Padova. Le associazioni che assistono i pazienti affetti da epidermolisi bollosa hanno organizzato una raccolta firme.Dall’inizio dell’anno l’incertezza sul futuro ha portato molti ricercatori a dimettersi per cercare nuovi posti di lavoro. Fino al 2022 i dipendenti erano circa 80, oggi sono 43. Negli ultimi anni Pellegrini e De Luca hanno rifiutato diverse proposte di lavoro di ospedali e centri di ricerca esteri per continuare gli studi in Italia. LEGGI TUTTO

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    Rivolta al carcere Malaspina di Caltanissetta

    Una trentina di detenuti si sono barricati in un’ala del penitenziario per protestare contro le condizioni di detenzione. Polizia penitenziaria – Nanopress.itLa rivolta è tuttora in corso e sul posto sono arrivate diverse pattuglie di carabinieri e polizia.Rivolta nel carcere di CaltanissettaRivolta nel carcere Malaspina di Caltanissetta. Circa trenta detenuti si sono barricati in un’ala del penitenziario per protestare contro le condizioni che si trovano all’interno del carcere. A dare manforte agli agenti di polizia penitenziaria sono intervenute pattuglie della polizia e dei carabinieri. La protesta è tuttora in corso. Sul posto è presente anche il magistrato di sorveglianza. Al momento non si registrerebbero feriti.Notizia in aggiornamento.  LEGGI TUTTO

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    Uccise la ex a martellate, confermato l’ergastolo per Ezio Galesi

    Il killer attese la vittima sotto casa, a Castegnato, e la colpì con un martello per 16 volte. L’omicidio risale al 20 ottobre di due anni fa. Dopo averla colpita chiamò i carabinieri e attese l’arrivo dei militari. Elena Casanova aveva una figlia di 17 anni, avuta da un precedente matrimonio. Carabinieri sul luogo del delitto – Nanopress.itQuesta mattina la Corte d’appello di Brescia ha confermato la condanna all’ergastolo per Ezio Galesi.Confermato l’ergastolo per Ezio GalesiLa Corte d’appello di Brescia ha confermato la condanna all’ergastolo per Ezio Galesi, il 59enne che nell’ottobre del 2021 uccise a martellate la sua ex fidanzata, Elena Casanova, 39 anni. Quella sera aspettò la vittima sotto casa e la colpì con 16 martellate, poi disse ai vicini di chiamare i carabinieri. Elena Casanova aveva una figlia di 17 anni, avuta da un precedente matrimonio.  LEGGI TUTTO

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    L’anomalo aumento di polmoniti infantili in Cina

    Nelle ultime settimane in Cina è stato rilevato un aumento anomalo di casi di polmonite infantile, le cui cause non sono ancora completamente chiare. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha chiesto maggiori informazioni e il governo cinese ha risposto dicendo di non avere rilevato «nuovi o strani patogeni» collegati alle polmoniti. La situazione al momento non suscita particolare preoccupazione, ma dopo la pandemia da coronavirus SARS-CoV-2 iniziata proprio in Cina ci sono grandi attenzioni, soprattutto da parte delle istituzioni sanitarie internazionali.Ormai da qualche mese i medici cinesi segnalano un aumento dei casi di malattie respiratorie, attribuendole a varie cause note come i virus influenzali, il SARS-CoV-2 e il Mycoplasma pneumoniae, un batterio tra i più comuni nelle forme di infiammazione ai polmoni che chiamiamo genericamente polmoniti. L’infezione batterica interessa con maggior frequenza i bambini e causa di solito una malattia di lieve entità, che deve comunque essere trattata per evitare il peggioramento dei sintomi.Per i medici è quindi normale e atteso che si debbano occupare spesso di polmoniti di questo tipo tra i bambini, ma secondo le informazioni fornite dai media cinesi nelle ultime settimane i casi sono aumentati notevolmente. Per giorni ci sono state notizie di ospedali con decine di bambini ricoverati in varie zone della Cina, talvolta con seri problemi nel fornire loro assistenza a causa del grande afflusso di pazienti.In un ospedale nella provincia orientale di Anhui, i medici hanno effettuato 67 broncoscopie in un giorno rispetto alla media giornaliera di una decina di esami di questo tipo, che servono per valutare le condizioni e lo stato di infiammazione a livello polmonare. Un altro ospedale nella provincia costiera orientale dello Zhejiang ha stimato che le visite pediatriche siano triplicate rispetto allo scorso anno e che a circa un bambino su tre sia stata diagnosticata una polmonite da Mycoplasma pneumoniae.In seguito alle notizie sui molti ricoveri, mercoledì 22 novembre l’OMS aveva chiesto pubblicamente al governo cinese di fornire maggiori informazioni, utilizzando i canali appropriati per segnalare gli aumenti di particolari malattie. In seguito alla richiesta, l’agenzia di stampa Xinhua controllata dal governo aveva diffuso un articolo che segnalava le dichiarazioni di alcuni funzionari della Commissione nazionale di sanità, l’organismo che si occupa della salute pubblica in Cina. I funzionari avevano detto di essere al lavoro per analizzare le diagnosi di bambini con malattie respiratorie.Il giorno seguente, giovedì 23 novembre, l’OMS aveva poi comunicato di avere ricevuto nuove informazioni direttamente dal governo cinese, che aveva indicato di non avere rilevato la presenza di «nuovi o strani patogeni» legati alle polmoniti. Secondo le autorità sanitarie cinesi, la maggior quantità di malattie respiratorie sarebbe dovuta a più cause già note, a cominciare dai virus influenzali. L’ipotesi è che si siano diffusi più del solito in seguito alla rimozione delle forti limitazioni imposte nel paese negli anni scorsi per provare a ridurre la circolazione del coronavirus, con la cosiddetta “strategia zero-COVID”.Il lungo isolamento ha reso meno frequenti i contagi da influenza, contribuendo a una minore esposizione alla malattia e di conseguenza a una minore immunità nei suoi confronti rispetto ad altri periodi, specialmente nelle persone non vaccinate. Ciò ha fatto sì che i sintomi fossero più significativi e tali da rendere necessari accertamenti in ospedale per molti pazienti. Qualcosa di analogo potrebbe essere successo con altri virus e batteri che interessano con maggiore frequenza i bambini, come il virus respiratorio sinciziale (RSV) e il Mycoplasma pneumoniae.Le cause dell’attuale aumento di polmoniti tra i bambini sono comunque difficili da ricostruire sulla base delle informazioni fornite finora dal governo cinese, ritenute ancora insufficienti da molti osservatori. È forse anche per questo motivo che l’OMS ha scelto di chiedere pubblicamente spiegazioni, invece di seguire le vie della comunicazione interna.Un gruppo di lavoro dell’OMS si occupa infatti di sorvegliare le notizie che circolano sui giornali e sui social network, confrontandole con quelle fornite dalle istituzioni sanitarie dei singoli paesi, in modo da occuparsi il prima possibile di eventuali anomalie. Quando emergono stranezze, l’OMS invia una richiesta di maggiori informazioni al paese interessato, ma è raro che la procedura sia annunciata pubblicamente. Si preferiscono comunicazioni dirette e interne con le istituzioni coinvolte, arrivando a qualcosa di pubblico solo nel caso in cui ci siano elementi utili da condividere globalmente per esempio per ridurre i rischi di avere un’emergenza sanitaria.Nelle prime fasi di quella che sarebbe poi diventata la pandemia da coronavirus, l’OMS era accusata di essere troppo cauta nei confronti del governo cinese e di non avere richiesto da subito maggiore trasparenza sulla diffusione del SARS-CoV-2. La richiesta pubblica di chiarimenti mostra un cambiamento di approccio in un contesto in cui c’è più attenzione su questi temi da parte della popolazione in generale, che negli ultimi anni ha dovuto affrontare grandi difficoltà e limitazioni.Al momento mancano dati più precisi e ufficiali sulla diffusione delle polmoniti tra i bambini, anche se la richiesta dell’OMS ha portato a qualche maggiore concretezza. Il fatto che non sia stato segnalato un aumento di malattie respiratorie simili tra gli adulti sembra comunque rendere meno probabile la presenza di un nuovo virus, ancora non conosciuto. Per avere maggiori informazioni, i bambini con sintomi dovrebbero essere sottoposti ai test per i patogeni che con maggiore frequenza causano malattie respiratorie, in modo da comprendere meglio la causa dei loro problemi di salute. Una grande quantità di test negativi su virus e batteri noti più diffusi e in circolazione in questo periodo potrebbe dare qualche indicazione su eventuali nuovi patogeni.Secondo alcuni osservatori, la vicenda mostra come l’approccio delle autorità cinesi nel comunicare in maniera trasparente con le istituzioni sanitarie internazionali non sia cambiata molto, nonostante la recente pandemia avesse avuto origine proprio nel paese. Tra il 2019 e il 2020 la Cina era stata relativamente solerte nel condividere le informazioni su quello che sarebbe stato poi chiamato SARS-CoV-2, ma emersero comunque ritardi e omissioni nella gestione della prima fase dell’emergenza sanitaria che si sarebbe poi diffusa in tutto il mondo. LEGGI TUTTO

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    Filippo Turetta comprò del nastro adesivo giorni prima del delitto

    Il 22enne avrebbe acquistato online del nastro adesivo compatibile con quello trovato sul luogo dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Filippo Turetta – Nanopress.itGli inquirenti stanno valutando la premeditazione dell’omicidio.Filippo Turetta comprò del nastro adesivo giorni prima dell’omicidio di GiuliaFilippo Turetta avrebbe acquistato online del nastro adesivo compatibile con quello che è stato trovato sul luogo dell’omicidio di Giulia Cecchettin, nella zona industriale di Fossò. Il 22enne – ancora detenuto nel carcere di Halle, in Germania, avrebbe acquistato il nastro adesivo due o tre giorni prima dell’11 novembre. Gli inquirenti sono al lavoro per valutare di contestare a Turetta l’aggravante della premeditazione e anche il reato di occultamento del cadavere.Domattina Filippo Turetta rientrerà in Italia con un volo militare. Il volo partirà da Roma alle 8:00 con destinazione Francoforte: dopo un breve scalo, ripartirà alle 10:45 e raggiungerà Venezia intorno alle 12:30. Turetta sarà detenuto nella casa circondariale di Santa Maria Maggiore a Venezia.Intanto gli inquirenti sono al lavoro per stabilire se vi sia stata premeditazione nel delitto. Sembra che Filippo Turetta abbia effettuato un sopralluogo sul luogo del delitto di Giulia Cecchettin nel pomeriggio di sabato, qualche ora prima di colpirla a morte con un coltello.Il giallo della telefonata al 112Tra i punti ancora da chiarire nel caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, c’è quello della telefonata al 112 fatta dal vicino di casa, che aveva sentito le urla di Giulia, e dopo la quale nessuna pattuglia è stata inviata sul posto. Fonti dei carabinieri hanno fatto sapere che nella chiamata veniva segnalata una lite tra due persone “che erano già risalite in auto e si erano allontanate” e il testimone non aveva fornito il numero di targa dell’auto.Le ricerche di Giulia e Filippo sarebbero partite soltanto la domenica successiva, dopo la denuncia di Gino Cecchettin, padre della vittima. LEGGI TUTTO

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    Cosa ci dice sulla morte la ricerca sulle “near death experience”

    La presenza di funzioni autonome vitali nelle persone in arresto cardiaco è da tempo oggetto di studi, oltre che di riflessioni bioetiche complesse, generalmente basati sui segni rilevabili dall’“esterno” durante il tempo che precede l’eventuale interruzione del supporto vitale. Altri studi, più limitati, si concentrano invece sull’esperienza personale del paziente e in particolare sulle cosiddette esperienze di pre-morte o ai confini della morte (near death experience, NDE): sensazioni di vario tipo riferite da alcune persone che sopravvivono a una condizione di morte clinica reversibile, tipicamente l’arresto cardiaco.Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista medica Resuscitation ha cercato di misurare l’attività cognitiva e il livello di coscienza in pazienti ospedalizzati in fase di arresto cardiaco sottoposti a rianimazione cardiopolmonare (RCP, la procedura nota come massaggio cardiaco). I parametri dei pazienti sono stati misurati da elettroencefalografia (EEG), l’esame che registra l’attività elettrica spontanea del cervello, e ossimetria cerebrale, che misura la saturazione di ossigeno nel cervello. I risultati dello studio, considerato abbastanza raro nel suo genere (e comunque molto limitato), hanno mostrato una parziale correlazione tra segni di attività cerebrale e presenza di esperienze di pre-morte riferite da alcuni pazienti.Gli autori e le autrici dello studio hanno concluso che la quantità di dati raccolti non permette né di escludere né di dimostrare la presenza di attività cognitiva in persone il cui cuore abbia smesso di battere per un certo periodo di tempo. Lo studio è considerato comunque significativo: sia perché i risultati ammettono che la coscienza possa esistere in casi critici in cui i suoi segni non sono clinicamente rilevati, sia perché cerca di occuparsi in modo rigoroso – pur tra diversi limiti metodologici e strumentali – di un argomento comunemente trattato con approcci metafisici o pseudoscientifici.– Leggi anche: La storia di Eben Alexander, smontataNella letteratura scientifica sulle esperienze di pre-morte (NDE) i resoconti delle persone che le riferiscono tendono ad avere caratteristiche simili. Le esperienze positive includono sensazioni di distacco dal corpo, levitazione, serenità e sicurezza, e quelle negative principalmente sensazioni di angoscia. Alcune persone raccontano di aver visto parenti morti, altre persone figure bianche luminose, e altre ancora di aver rivissuto momenti della loro vita.Gli approcci sperimentali all’argomento e gli studi longitudinali sono tuttavia molto limitati: sia in termini di strumenti a disposizione per indagare il fenomeno (una cui dimensione soggettiva fondamentale rimane non misurabile), sia in termini di quantità di studi e ampiezza dei campioni analizzati. Alla guida del gruppo che ha pubblicato il recente articolo su Resuscitation c’era lo stesso ricercatore che condusse un altro studio simile nel 2013, già considerato tra i massimi esperti al mondo in materia: Sam Parnia, direttore di ricerca in rianimazione cardiopolmonare alla New York University School of Medicine e direttore del The Human Consciousness Project alla University of Southampton nel Regno Unito.Nel 2019 un gruppo internazionale di specialisti di terapia intensiva (tra cui Parnia), anestesisti, psichiatri, neurologi e neurofisiologi si riunì a New York per discutere delle prospettive future della ricerca sulle esperienze di pre-morte. Tra le proposte emerse durante l’incontro, le cui conclusioni furono poi pubblicate nel 2022 in un documento su Annals of the New York Academy of Sciences, ci fu quella di cambiare il nome delle esperienze pre-morte da near death experience (NDE) in recalled experiences of death (RED), qualcosa come “esperienze di morte rievocate”. Secondo il gruppo questa nomenclatura renderebbe più chiaro che il campo di studi è limitato alle esperienze che si verificano quando una persona è in condizioni critiche, quando il cervello non riceve più sangue né ossigeno.La domanda alla base della ricerca sulle NDE, spiegò Parnia alla rivista Nautilus nel 2022, è: «Cosa succede alla coscienza quando muori: muore a sua volta, o continua?». Parnia sostiene che, sulla base dei dati raccolti da lui e dai suoi colleghi e colleghe, l’attività cerebrale e un certo grado di coscienza possano ancora esistere anche quando altri parametri solitamente monitorati in fase di rianimazione cardiopolmonare (RCP) indicano che il paziente è clinicamente morto.– Leggi anche: Quand’è che una persona morta è davvero mortaIn situazioni normali il quadro delle condizioni del paziente è determinato dagli strumenti di monitoraggio della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna e dei livelli di saturazione dell’ossigeno, che restano attivi fino a quando non viene accertata la cessazione irreversibile delle funzioni autonome vitali, condizione necessaria per interrompere la rianimazione. Ai 567 pazienti coinvolti nello studio prospettico più recente – ricoverati tra il 2017 e il 2020 in 25 ospedali, perlopiù negli Stati Uniti e in Regno Unito – sono stati applicati anche gli elettrodi per l’EEG in tempo reale e l’ossimetria cerebrale continua.Per poter verificare in caso di successo della rianimazione anche le eventuali percezioni consce o inconsce durante l’emergenza, ai pazienti sono stati applicati degli auricolari Bluetooth, senza interferire con l’intervento dei medici. È stato quindi utilizzato un tablet per mostrare una serie di immagini casuali e per trasmettere tramite gli auricolari una registrazione di tre parole ripetute: “mela”, “pera”, “banana”. Nella ricerca sull’apprendimento implicito diversi studi citati da Parnia indicano che le persone che non ricordano di aver ascoltato questi nomi di frutti – anche persone in coma profondo – e a cui sia chiesto di pensare casualmente a tre frutti possono comunque dare la risposta corretta.Soltanto 53 persone su 567 sono sopravvissute alla rianimazione, e 28 hanno risposto alle successive interviste: 11 hanno riferito percezioni o ricordi della rianimazione, e 6 di queste persone hanno descritto esperienze tipiche di pre-morte (NDE). La ridotta percentuale di sopravvivenza del campione, secondo gli autori e le autrici, ha condizionato in particolare la parte dello studio relativa alla verifica delle percezioni: su 28 pazienti intervistati nessuno ha riconosciuto le immagini proiettate sul tablet e soltanto uno ha riconosciuto lo stimolo sonoro (troppo poco per poter escludere che fosse casuale, secondo Parnia).Secondo il gruppo di ricerca la parte più significativa dei risultati dello studio riguarda l’attività cerebrale. La maggior parte delle 53 persone sopravvissute ha mostrato un EEG “piatto” durante la rianimazione, oltre che una limitata saturazione di ossigeno nel cervello (43 per cento il valore medio). Circa il 40 per cento dei sopravvissuti ha però dato per brevi istanti segni di attività elettrica spontanea: onde cerebrali normali o quasi normali (Delta, Theta e Alfa), teoricamente compatibili con un qualche livello di coscienza. Inoltre i segni di attività rilevati tramite EEG emergevano in alcuni casi molto tempo dopo l’inizio della rianimazione cardiopolmonare: fino a un’ora dopo.Per ampliare il campione di 28 persone intervistate nel nuovo studio sono state coinvolte altre 126 persone che avevano subìto in passato arresti cardiaci. Quasi il 40 per cento del campione complessivo ha riportato una certa consapevolezza percepita dell’evento, ma senza ricordi specifici: «Ho sentito come se qualcuno mi stesse spingendo forte sul petto, cercavo di spingerli via ma mi sentivo le mani legate», ha detto una persona. Il 20 per cento delle persone ha raccontato esperienze di pre-morte. «Non ero più nel mio corpo. Galleggiavo senza peso. Ero sopra il mio corpo, direttamente sotto il soffitto della sala di terapia intensiva», ha detto una di loro. «Ricordo di essere entrato in un tunnel. Le sensazioni erano molto più intense del solito, la prima è stata di pace intesa», ha detto un’altra.La conclusione tratta dal gruppo di ricerca è che, sulla base dei risultati dell’EEG e compatibilmente con alcuni racconti dei pazienti, alcune persone sottoposte a rianimazione cardiopolmonare potrebbero essere coscienti durante la rianimazione anche in assenza di segni esterni visibili di coscienza.– Leggi anche: Perché sveniamo è un misteroUn’ipotesi di spiegazione delle esperienze di pre-morte proposta dal gruppo guidato da Parnia è che in condizioni normali il cervello disponga di un sistema che filtra la maggior parte degli elementi coinvolti nelle funzioni cerebrali, tenendoli fuori dalla nostra esperienza cosciente. Questo permette alle persone di funzionare normalmente nella quotidianità, dato che in circostanze normali «non potremmo funzionare con un accesso all’intera attività del nostro cervello nella sfera della coscienza», ha detto Parnia alla rivista Scientific American.In caso di morte imminente è invece possibile che nel cervello questo sistema di filtraggio venga rimosso, con il risultato che parti solitamente non attive diventino attive permettendo alla persona morente di avere accesso all’intera coscienza: «Tutti i tuoi pensieri, tutti i tuoi ricordi, tutto ciò che è stato immagazzinato prima», ha detto Parnia. Sebbene il beneficio evolutivo di questo ipotetico meccanismo non sia chiaro, questo tipo di esperienze potrebbe «preparare le persone alla transizione dalla vita alla morte».Indipendentemente dall’ipotesi di spiegazione delle NDE, lo studio pubblicato su Resuscitation pone una serie di domande riguardo alle conoscenze sulla resistenza del cervello a fronte della prolungata privazione di ossigeno. «L’idea tradizionale è che il cervello muoia, una volta privato di ossigeno per 5-10 minuti», ha detto Parnia, aggiungendo che i risultati dello studio suggeriscono una capacità di resistenza a periodi più lunghi, «il che apre nuove strade per trovare trattamenti per i danni cerebrali in futuro».Lakhmir Chawla, un medico dell’unità di terapia intensiva dell’ospedale Jennifer Moreno di San Diego, in California, e autore di studi sull’attività cerebrale in pazienti morenti sottoposti a EEG, ha detto a Scientific American che i dati raccolti dal gruppo di ricerca guidato da Parnia forniscono alcune importanti indicazioni. Per prima cosa suggeriscono che sarebbe opportuno «trattare le persone che stanno ricevendo la rianimazione cardiopolmonare come se fossero sveglie» (cosa che «raramente facciamo», ha aggiunto). I medici potrebbero inoltre considerare, per quei pazienti che considerano non più salvabili, di permettere ai loro familiari di salutarli, visto che «i pazienti potrebbero ancora essere in grado di sentirli». LEGGI TUTTO

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    Choc a Marigliano, studente 15enne sferra un pugno a una professoressa

    L’aggressione è avvenuta ieri nell’Istituto Tecnico Superiore Rossi Doria di Marigliano, in provincia di Napoli.Carabinieri – Nanopress.itLa docente si è recata in ospedale, ma i sanitari non hanno ritenuto necessario trattenerla. Nell’istituto sono intervenuti i carabinieri e il 15enne è stato affidato ai genitori.Alunno aggredisce professoressa in classeHa aggredito una delle sue insegnanti sferrandole un pugno al volto. L’aggressione è avvenuta all’ITS Rossi Doria di Marigliano, nel Napoletano. L’insegnante, che ha 64 anni, visibilmente impaurita, si è recata in ospedale per farsi visitare. I medici non hanno ritenuto necessario trattenerla. A scuola sono intervenuti i carabinieri, e l’adolescente è stato affidato ai genitori. LEGGI TUTTO

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    Kimberly Bonvissuto scomparsa nel nulla da 4 giorni da Busto Arstizio: l’appello disperato della madre | Il giallo dell’uscita con un ragazzo

    Kimberly Bonvissuto è scomparsa dallo scorso lunedì da Busto Arstizio. La madre ha lanciato un appello per cercare di ritrovare la figlia. Kimberly Bonvissuto – Nanopress.itLa donna ha sentito la figlia per l’ultima volta lo scorso lunedì pomeriggio, quando le ha detto che sarebbe uscita a cena con la cugina, ma sembra che fosse una scusa per coprire l’uscita con un ragazzo. Da quella sera però di Kimberly non si hanno più notizie. Il suo cellulare risulta spento, anche se la giovane avrebbe con sé il caricabatterie.Kimberly Bonvissuto scomparsa nel nulla da 4 giorni da Busto ArstizioÈ giallo a Busto Arstizio, dove – dallo scorso lunedì – non si hanno più notizie di una ragazza di 20 anni, Kimberly Bonvissuto. A diffondere la notizia della scomparsa è stata la madre della giovane, che ha già sporto denuncia alle autorità. La donna ha raccontato di aver sentito Kimberly per l’ultima volta il giorno della scomparsa. La figlia le ha detto che sarebbe andata a cena con la cugina, e che sarebbe rientrata entro le 22, ma sembra che la giovane quella sera dovesse incontrare un ragazzo.Al momento della scomparsa Kimberly indossava una tuta grigia, un giubbotto Colmar nero e scarpe da ginnastica nere. Ha i capelli rossi ed è alta circa 1,55.L’appello della madreDa quella sera il cellulare di Kimberly risulta spento. La madre ha lanciato un disperato appello per cercare di ritrovare la figlia.“Da qualche anno non è fidanzata e non ha molti amici. Esce raramente di casa e di solito vede la cugina. Ha sentito la cugina alle 21:30, le ha detto che sarebbe tornata a casa alle dieci, ma da quell’ora il telefono risulta spento”, ha raccontato la madre. Kimberly aveva con sé anche il caricabatterie del cellulare.Anche la zia di Kimberly ha lanciato un appello per ritrovare la nipote.“Torna a casa, amore. Ti aspettiamo” si legge nel messaggio. LEGGI TUTTO