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Vertice Nato, spese militari e flessibilità, con vista dazi: perché Meloni scommette sulla «relazione speciale» con Trump

Giorgia Meloni continua a puntare le sue fiches sulla «very special relationship» con Donald Trump. Lo fa sposando senza critiche l’accordo che sarà sottoscritto stamattina all’Aia al vertice dei capi di Stato e di governo dei 32 Paesi della Nato, spiegando ai suoi che l’aumento al 5% del Pil delle spese per difesa e sicurezza è necessario e «giusto», come sostiene anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, e che sono state accolte le principali richieste italiane: la spalmatura su dieci anni, la distinzione tra il 3,5% per la difesa in senso stretto e l’1,5% per la sicurezza (in senso più che ampio), l’assenza di obblighi di incremento annuali e la revisione degli impegni al 2029. Ma lo fa soprattutto guardando oltre: alla partita sui dazi, che deve chiudersi entro il 9 luglio, e alla Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina prevista a Roma il 10-11 luglio.

La difesa del 5%: «Richiesta giusta degli americani»

A cena al tavolo d’onore con il re d’Olanda Willem-Alexander, seduta accanto a Trump, Meloni ha mostrato ancora una volta plasticamente la sua vicinanza al presidente Usa, che ieri aveva sbandierato via social il messaggio con cui il segretario generale Nato Mark Rutte lo incoronava vincitore. Una vittoria che l’Italia gli riconosce: aveva chiesto la crescita dell’impegno degli alleati al 5% e lo ha ottenuto. Spiega Tajani in un punto stampa convocato in mattinata a margine del summit: «È una richiesta giusta che hanno fatto gli americani per avere una Nato più equilibrata, ma non è una novità: era stata fatta già nella precedente amministrazione. Erano anni che gli americani chiedevano all’Europa di investire più in sicurezza e adesso Rutte ha voluto arrivare alla conclusione».

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La flessibilità già ottenuta e quella chiesta all’Ue

La parola chiave per l’Italia è ora «flessibilità». C’è quella che il governo rivendica di aver ottenuto con l’intesa approvata alla Nato e c’è quella subito invocata dall’Unione europea, per «rendere compatibili le regole del patto di stabilità con l’incremento delle spese di difesa» ed evitare «rischi di applicazioni asimmetriche». La prima riguarda anche l’ampiezza del cappello: tra le spese ammesse al computo del 5% e in particolare della quota sicurezza che deve salire all’1,5% (si veda Il Sole 24 Ore in edicola) il governo ha intenzione di includere voci di ogni tipo. Dalle infrastrutture come il Ponte sullo Stretto di Messina alla protezione civile, dai controlli nel Mediterraneo da parte della Guardia costiera contro il traffico di esseri umani alla protezione dei cavi sottomarini, dall’antiterrorismo alla prevenzione degli attacchi cyber. In teoria, persino i costi della controversa operazione Albania potrebbero rientrare nel conteggio.

Il nodo del Patto di stabilità. Tajani: «Basta regole rigide»

Ma per raggiungere il target nel 2035, come documentato nei giorni scorsi sul Sole24Ore.com citando le stime dell’Osservatorio militare Milex, la spesa dovrà aumentare dagli attuali 35 miliardi per la difesa e 10 per la sicurezza (il 2% del Pil dichiarato raggiunto dall’Italia) a, rispettivamente, 100 miliardi e 45 miliardi. Aumenti annui medi di 9-10 miliardi che, per un Paese dagli spazi fiscali ridotti come il nostro, per di più in procedura di infrazione per deficit eccessivo, significherebbe l’esigenza di reperire nuove risorse. Attivare la clausola nazionale di salvaguardia per le spese in difesa, come ha già fatto la Germania di Friedrich Merz, per noi è impossibile e limitarsi ad accrescere le spese ci impedirebbe per sempre l’uscita dalla procedura (lo ha stimato l’Upb: il debito avvierebbe la sua discesa in rapporto al Pil solo nel 2041 e il deficit resterebbe sopra il 3% fino al 2029). Con le conseguenze sui mercati temute dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Tajani, interpellato sul punto, risponde: «La flessibilità è importante perché se si vogliono raggiungere gli obiettivi bisogna guardare alle priorità, non soltanto al rispetto di regole rigide. Questo non significa lassismo, significa però, vista la situazione attuale, che in alcuni casi bisogna essere più flessibili». Vale per l’Italia, ma anche per la Spagna e gli altri Paesi del Sud.

Il supporto alla linea Usa su Iran e la richiesta del cessate a fuoco a Gaza

Per l’esecutivo italiano, la tregua tra Israele e Iran dopo le bombe Usa sui siti nucleari iraniani è stata provvidenziale. Sarebbe stato difficile mantenere il sostegno quasi incondizionato a Trump se gli Stati Uniti fossero rimasti parte attiva nel conflitto. Diverso è poter liquidare quello a stelle e strisce come un attacco-monito. «Speriamo che la guerra dei dodici giorni sia conclusa», ha potuto commentare Tajani, proponendo Roma come la città per la ripresa del tavolo negoziale. Ha tolto Meloni dall’imbarazzo anche la telefonata durissima del presidente Usa al premier israeliano Benjamin Netanyahu: le ha dato modo di rinnovare a Trump sia il supporto al rilancio del negoziato con l’Iran sul nucleare sia la richiesta del cessate il fuoco a Gaza, da cui il titolare della Farnesina ha annunciato la partenza, direzione Italia, di 11 persone, comprese due dottoresse attese al Gemelli e all’Università per stranieri di Siena.


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/rss/notizie/politica.xml


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