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    Qual è la posizione migliore per dormire?

    All’inizio del secondo capitolo dei Promessi sposi, Alessandro Manzoni scrive che «il principe di Condè dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi», una delle battaglie più importanti della Guerra dei trent’anni tra Francia e Spagna nel Seicento. L’autore ricorda che il principe riuscì a dormire nonostante lo attendesse una battaglia decisiva perché «in primo luogo, era molto affaticato» e perché aveva già «stabilito ciò che dovesse fare, la mattina», mentre non fornisce informazioni sulla posizione che Condè mantenne a letto. A dirla tutta, anche se Manzoni ce lo avesse raccontato, ce ne saremmo fatti ben poco: a oggi non c’è infatti un consenso unanime sulla posizione migliore per dormire.Studiare il modo in cui le persone dormono non è semplice: non si possono ricostruire fedelmente in laboratorio le condizioni in cui normalmente una persona riposa come a casa propria, i sensori da indossare per tenere traccia dei movimenti a letto possono turbare il sonno e le persone in generale non sono molto affidabili nel raccontare le loro abitudini notturne. I vari gruppi di ricerca che se ne sono occupati hanno dovuto quindi confrontarsi con questi problemi e ciò spiega, almeno in parte, perché non si trovino molte ricerche solide nella letteratura scientifica.
    La posizione più usataLa pratica più semplice, ma non sempre affidabile, consiste nel chiedere a un gruppo selezionato di persone quali posizioni assumono di preferenza a letto quando si mettono a dormire. È un approccio che può offrire molti spunti, ma ha un grande difetto: mentre quasi tutti si ricordano l’ultima posizione prima di addormentarsi, nessuno ha davvero consapevolezza di quali posizioni assuma nel corso della notte, quando subentra l’alterazione della coscienza. Alcuni dicono di avere un vago ricordo, per esempio se si sono svegliati per qualche istante nottetempo, magari perché avevano un crampo o dovevano andare a fare pipì, ma anche in questo caso i ricordi sono confusi e talvolta contraddittori.
    Un approccio che offre qualche risultato più affidabile consiste nel riprendere gruppi di volontari mentre dormono, utilizzando telecamere a infrarossi che permettono di effettuare riprese anche al buio. Il sistema funziona bene se le persone dormono scoperte, mentre è meno affidabile se per ricreare il più fedelmente possibile le condizioni del normale riposo si utilizzano anche le coperte (il cui peso sembra influire sul modo in cui dormiamo e ci muoviamo a letto). Per questo da qualche tempo vengono sperimentati sistemi con telecamere con sensori che permettono di ricostruire tridimensionalmente le riprese, in modo da rilevare meglio i movimenti durante il sonno.
    Le immagini mostrano le posizioni assunte durante il riposo, anche nel caso di utilizzo di coperte (Sensors)
    Alle telecamere vengono talvolta aggiunti sensori di movimento da indossare, che possono fornire indicazioni più precise sulla posizione assunta nel corso della notte. Utilizzando questo sistema, uno studio ha ricostruito che in media una persona adulta trascorre circa metà del sonno sui fianchi, il 40 per cento dormendo sulla schiena (posizione supina) e il resto del tempo a pancia in giù (posizione prona).
    La stessa ricerca ha rilevato che più le persone invecchiano più tendono a preferire la posizione su un fianco. Per i bambini con più di tre anni di età le cose funzionano invece diversamente e il sonno sul fianco, supino e prono si distribuisce più o meno equamente. I neonati dormono quasi esclusivamente sulla schiena, sia perché hanno meno mobilità sia perché di solito hanno meno possibilità di muoversi, per come vengono messi nella culla anche per ridurre il rischio di soffocamento.
    Qualità del sonno e posizioneIl fatto che una posizione sia mantenuta senza costrizioni per la maggior parte del tempo potrebbe indicare che si tratti della migliore possibile, per ottenere un sonno di qualità e riposante, ma anche in questo caso trovare conferme non è semplice. Come racconta BBC Future, alcuni gruppi di ricerca hanno provato a valutare il rapporto tra posizione e qualità del sonno su alcuni volontari. Gli studi in tema non sono però molti e hanno coinvolto una quantità piuttosto limitata di persone.
    Uno studio osservazionale (cioè basato sulla semplice osservazione di ciò che accade senza interventi da parte di chi effettua la sperimentazione) è consistito nel far dormire alcune persone prendendo nota delle loro posizioni e chiedendo poi come si sentissero dopo avere dormito. Alla fine del test, le persone che avevano trascorso la maggior parte del tempo sul fianco destro avevano riferito di avere riposato un po’ meglio rispetto alle persone che avevano dormito sul fianco sinistro o in posizione supina.
    Una possibile spiegazione è che la maggior parte delle persone respira meglio quando dorme su un fianco, perché le vie aeree rimangono più distese e si riducono i rischi di piccole strozzature che potrebbero rallentare il flusso dell’aria. Per esempio: dormendo sul fianco ci sono meno probabilità che la lingua, l’ugola e gli altri tessuti molli del palato ostruiscano il passaggio dell’aria.
    (William Vanderson/Fox Photos/Getty Images)
    Sono proprio i tessuti molli la principale causa del russare e delle apnee notturne, le fasi dove per qualche istante si smette di respirare e che col tempo possono essere rischiose per il sistema cardiocircolatorio. Non è del resto un caso se alle persone che russano viene consigliato di dormire il più possibile su un fianco, proprio per ridurre il fenomeno, il rischio delle apnee e per dare un po’ di tregua alle persone che dormono con loro.
    Destra o sinistra?Non è comunque chiaro se un fianco sia meglio dell’altro e le testimonianze nelle ricerche variano molto. Per le persone che soffrono di reflusso gastroesofageo, cioè del passaggio ricorrente degli acidi gastrici dallo stomaco verso l’esofago con bruciori e infiammazioni (che a lungo andare possono avere conseguenze importanti sulla salute e che di solito peggiora quando ci si stende a letto), sembra essere più indicato dormire sul fianco sinistro. È stato osservato che in alcune persone che dormono in questa posizione il reflusso diminuisce, probabilmente per via dell’orientamento che assume lo stomaco e in particolare lo sfintere esofageo, che insieme al cardias regola il passaggio delle sostanze tra esofago e stomaco.
    Alle persone con reflusso viene spesso consigliato di dormire utilizzando un paio di cuscini o comunque inclinando verso l’alto il materasso dalla parte della testa, in modo da ridurre la risalita dei succhi gastrici. È un accorgimento di solito efficace, anche se può risultare scomodo per alcuni e può incidere sulla qualità del sonno. Il fatto che nel medioevo si dormisse praticamente seduti non è di grande consolazione.
    Dormire sul fianco potrebbe comunque non essere molto indicato per chi ha problemi alle articolazioni delle gambe e in particolare alle anche. Per ridurre il rischio di ulteriori infiammazioni viene consigliato di inserire un cuscino tra le gambe, più o meno all’altezza delle ginocchia, in modo da ridurre il carico in particolare in prossimità della testa del femore, che si innesta nel bacino.
    Segni e rugheSul dormire o meno sul fianco potrebbero influire anche valutazioni non legate direttamente alla qualità del sonno, salvo non si abbia il terrore di avere qualche ruga. Una decina di anni fa un gruppo di chirurghi estetici scrisse un’analisi della letteratura scientifica disponibile sulle distorsioni che la pelle subisce mentre si dorme, in particolare quella del viso che rimane per molte ore compresso tra cuscini, coperte e materasso.
    L’analisi segnalava la possibilità di distinguere tra rughe di espressione e dovute a sollecitazioni meccaniche esterne, come tenere la faccia appoggiata a lungo su un cuscino, ma indicava comunque una certa difficoltà nel ricondurre alcuni tipi di rughe alla posizione assunta a letto. Mentre le rughe di espressione sono legate a una riduzione della tenuta dell’impalcatura della pelle (costituita per lo più da collagene) e della muscolatura del viso, le rughe da sonno hanno cause diverse e potrebbero quindi rispondere meno ai trattamenti più utilizzati per nasconderle, come l’impiego di neurotossine (come il botulino).
    Schema dei segni sulla pelle che potrebbero derivare dalla compressione del viso a letto (Aesthet Surg J)
    Il gruppo di chirurghi estetici aveva concluso la ricerca suggerendo la posizione supina per ridurre il rischio di avere molte rughe da sonno, pur riconoscendo la difficoltà di mantenere la medesima posizione durante tutta la fase del sonno: «La nostra posizione iniziale deriva da una scelta, ma inconsciamente cambiamo poi posizione nel corso della notte. La posizione supina potrebbe essere ideale per l’estetica del viso, ma potrebbe peggiorare condizioni come le apnee notturne, il reflusso gastroesofageo e il forte russamento».
    Schiena e torcicolloAl di là dell’estetica, la posizione sul fianco può rivelarsi problematica per le persone che soffrono di torcicollo. Analizzando il sonno di un gruppo di volontari, uno studio ha notato che chi segnalava di svegliarsi con problemi al collo trascorreva almeno una parte della notte in una posizione contorta: iniziava dormendo normalmente sul fianco, ma dopo un po’ ruotava il bacino comportando una torsione della colonna vertebrale. In quella posizione tendini e muscoli del collo possono subire stiramenti e maggiori sollecitazioni, dai quali derivano poi i problemi alla cervicale al risveglio. Più notti trascorse in una posizione contorta possono causare una maggiore infiammazione del collo, al punto da richiedere l’uso di antidolorifici o di fisioterapia per risolvere il problema.
    Anche in questo caso lo studio deve essere comunque preso con le molle. Non è infatti chiaro se i volontari assumessero quella posizione casualmente procurandosi poi il male al collo, o se invece finissero per assumerla per non sentire il dolore di un torcicollo già presente (“posizione antalgica”). In questo secondo caso, il problema non sarebbe stato causato dalla posizione sul fianco, ma da altri fattori preesistenti.
    Sempre BBC Future segnala uno studio che fu realizzato alcuni anni fa in Portogallo, con un gruppo di volontari che soffrivano di mal di schiena o di torcicollo. Ai primi fu detto di dormire su un fianco, mentre agli altri di dormire supini. Dopo un mese, il gruppo di ricerca effettuò un sondaggio tra i partecipanti e il 90 per cento di loro disse di avere notato un miglioramento, con la riduzione del dolore. Lo studio era però stato svolto su appena una ventina di persone, quindi un campione ridotto per trarre conclusioni in generale. Non era inoltre stato possibile verificare più di tanto il rispetto delle indicazioni sulla posizione da assumere, senza contare che comunque questa varia durante il riposo.
    Altre ricerche su posizione e qualità del sonno si sono concentrare sui cuscini e le loro caratteristiche, partendo dal presupposto che un sostegno per la testa e il collo sia importante per ridurre gli stress a carico della colonna vertebrale. La mancanza di un sostegno può interferire negativamente sull’allineamento delle vertebre, causando dolori muscolari al collo, alle spalle e fino all’area lombare.
    Cuscini e materassiIl materiale con cui è fatto il cuscino sembra non incidere più di tanto sulla salute della schiena e in particolare della cervicale. Altre ricerche hanno invece segnalato come la forma del cuscino sia importante, ma comunque con un certo grado di soggettività come spesso avviene con le cose tra salute e comfort. Un cuscino con un’infossatura al centro sembra favorire un sonno di maggiore qualità, ma anche in questo caso sarebbero necessari altri studi per tenere in considerazione tutte le variabili.
    Per quanto riguarda i materassi, quelli semirigidi offrono maggiore sostegno alla schiena e riducono il rischio di assumere posizioni troppo contorte. Girare e ruotare almeno un paio di volte all’anno il materasso aiuta a mantenerlo più confortevole e a farlo durare di più, visto che la pressione esercitata dal corpo varia molto dalla testa alle gambe.
    AbitudiniIn conclusione, non c’è in assoluto una posizione migliore delle altre per dormire, ma in alcuni casi può essere utile e salutare provare a cambiare abitudine, anche se può risultare molto difficile per chi è da sempre abituato ad addormentarsi in una certa posizione. Inoltre, si stima che ogni persona si sposti tra le 10 e le 40 volte nel corso di una notte, con una certa tendenza a tornare istintivamente nella propria posizione di abitudine dopo un po’ di tempo.
    Per provare a cambiare abitudine, gli esperti consigliano di utilizzare qualche ostacolo fisico che induca a mantenere la posizione consigliata, che nella maggior parte dei casi è quella su un fianco (specialmente per chi ha problemi di reflusso o di apnee notturne, come abbiamo visto). La tecnica più suggerita consiste nel cucire una pallina da tennis nel proprio pigiama, all’altezza della schiena o del torso, a seconda se si tende a dormire molto supini o proni. In questo modo quando si prova a cambiare posizione da addormentati si eviterà di rimanere sulla schiena o a pancia in giù, tornando a dormire su un fianco. Dopo qualche notte si perde l’abitudine a dormire nella posizione da evitare, ma è stato osservato che dopo un po’ di tempo il problema tende a ripresentarsi, rendendo necessarie nuove sessioni con la pallina da tennis.
    Negli ultimi anni sono stati sviluppati particolari dispositivi da indossare che rilevano la posizione e, nel caso sia quella scorretta, inviano una lieve scossa o una vibrazione che induce a sistemarsi meglio a letto. Il sistema sembra funzionare, ma nei primi tempi potrebbe ridurre la qualità del sonno a causa dei microrisvegli dovuti alle scosse o alle vibrazioni.
    Una via di mezzo senza palline da tennis e scosse prevede di utilizzare semplicemente un cuscino, oppure un cuneo di gommapiuma, da tenere alle spalle quando si dorme sul fianco, in modo da rendere meno probabile il ritorno in una posizione prona o supina. LEGGI TUTTO

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    Bisogna credere di più ai narcolettici

    A Massimo Zenti hanno affibbiato molti nomignoli. È stato lo scansafatiche, il pigro, a scuola finiva sempre nella categoria è-intelligente-ma-non-si-applica, molte persone lo consideravano depresso, altre sotto effetto di sostanze stupefacenti. In realtà Zenti era semplicemente narcolettico ma nessuno lo sapeva, né lui né le persone che gli stavano attorno. Malgrado si sforzasse di avere una vita sociale normale la sua reputazione era segnata dalla costante e irrefrenabile necessità di farsi una dormita, anche nei posti e nei momenti meno opportuni. A 21 anni, dopo l’ennesimo ciclo di visite ed esami, uno specialista dei disturbi del sonno lo chiamò per comunicargli la diagnosi. «Mi disse che doveva darmi una brutta notizia, cioè che avevo la narcolessia. Fu uno dei giorni più belli della mia vita. Finalmente scoprii che non era colpa mia».La narcolessia è una malattia neurologica, ovvero causata da una disfunzione del sistema nervoso centrale. Il sintomo principale e più conosciuto è l’eccessiva sonnolenza diurna. Spesso le persone narcolettiche si addormentano in momenti di inattività e dormono più volte al giorno per poco tempo, tra dieci minuti e un quarto d’ora. Dopo qualche ora, o anche meno, si ripresenta la necessità di fare un nuovo sonnellino e non possono farne a meno. Secondo diverse persone che ne soffrono, la sensazione che si prova è quella di voler restare svegli dopo non aver dormito per 24 consecutive.Da decenni scienziati e medici di molti paesi studiano la narcolessia per indagarne le cause e trovare una terapia per alleviare i sintomi o ancora meglio una cura. Le conseguenze di questa malattia sono debilitanti per il fisico, ma quelle che incidono di più per chi ne soffre riguardano la vita sociale e le relazioni.Da presidente dell’associazione nazionale narcolettici, Zenti ha ricevuto centinaia di confidenze che gli hanno ricordato la sua esperienza. «Hai una perenne sensazione di colpevolezza, di non fare abbastanza», dice. «Si finisce presto in un vortice di negatività. Ci si rende conto di essere malati, ma non si capisce mai bene qual è il confine tra la malattia e la mancanza di volontà. E in pochi ti capiscono o ti credono».I dati dicono che 4 persone ogni 10mila hanno la narcolessia, ma molte persone sono malate senza saperlo. In Occidente servono in media circa dieci anni per avere una diagnosi corretta, e molto spesso le persone che ne soffrono riescono a prenderne coscienza dopo aver vissuto quasi tutta la loro vita segnata da esperienze per certi versi inspiegabili. C’è un umorismo scontato anche se un po’ crudele nelle storie delle persone che si addormentano in posti dove non dovrebbero dormire: sui banchi di scuola, sulla scrivania al lavoro, a una festa, dal dentista, allo stadio, in autobus per poi svegliarsi straniti al capolinea. Ma la narcolessia non è divertente.Zenti ricorda in particolare le discussioni con gli insegnanti e con la madre. Il suo percorso scolastico è stato disastroso perché dormiva in classe. Si era imposto di frequentare gli amici e nelle uscite serali concentrava tutte le sue forze. «Provavo a giustificarmi, però a forza di dirmi che ero pigro mi ero convinto di esserlo per davvero», dice. Uno dei tanti medici che lo visitarono disse alla madre che forse il figlio assumeva qualche sostanza stupefacente con effetti rilassanti. «Mi portarono a fare il test tossicologico del capello, e non ci fu modo di spiegare che non prendevo nulla fino a quando il test fu negativo».Quando iniziò a lavorare come addetto alla documentazione di una compagnia aerea trovò uno stratagemma che sapeva essere insostenibile, addormentarsi al bagno. «Funzionò per tre mesi, al quarto mi lasciarono a casa con la classica frase “questo lavoro non fa per te”». A 21 anni finalmente riuscì a ottenere la diagnosi dopo una serie di esami al centro narcolessia e disturbi del sonno dell’istituto di scienze neurologiche di Bologna, il più importante in Italia. Qui è stata fatta la maggior parte delle diagnosi ai circa duemila malati italiani, un numero sicuramente sottostimato rispetto alla realtà.Giuseppe Plazzi, il direttore del centro narcolessia e disturbi del sonno, si occupa di narcolessia da molti anni. Ormai gli bastano pochi minuti per individuare alcuni segnali indicativi della possibile malattia. Oltre all’eccessiva sonnolenza diurna, un altro sintomo tipico e abbastanza bizzarro è la cataplessia: è un improvviso e breve episodio di debolezza muscolare accusato provando emozioni come il riso, la sorpresa, la rabbia. Capita anche durante l’orgasmo. La cataplessia può coinvolgere improvvisamente tutti i muscoli e causare una caduta senza perdita di conoscenza, oppure iniziare dal viso e scendere man mano fino alle ginocchia.Un altro sintomo della narcolessia sono le allucinazioni ipnagogiche, esperienze spaventose che precedono il sonno o percepite durante una fase di sonnolenza. Compaiono ombre, figure, animali e false percezioni di ogni tipo, difficili da distinguere dalla realtà soprattutto prima della diagnosi. L’esperienza è ancora più terrificante se l’allucinazione è associata all’impossibilità di muoversi, fuggire o difendersi da quello che sta accadendo.Un’altra cosa sorprendente è che le persone narcolettiche sognano non appena chiudono gli occhi e non solo, anche quando li socchiudono. È come se il sogno travalicasse la linea raggiungendo la veglia, e rendendo difficile distinguere i sogni dalla realtà.– Leggi anche: 9 cose strane che succedono mentre dormiamoMolti di coloro che faticano a dormire la notte potrebbero pensare che dormire un sacco sia una fortuna, in realtà i sintomi diurni della narcolessia si riflettono anche sulle ore notturne in cui il sonno non è mai continuo ed è spesso attraversato da incubi. Sia il continuo sognare che i ripetuti riposini sono un segno evidente dell’incapacità del cervello umano di controllare il ritmo tra il sonno e la veglia. «Oltre a condizionare le relazioni e la socialità, questi sintomi portano a un rischio molto serio di incidenti domestici e sul lavoro», dice Plazzi.Nonostante sia stata descritta già nel 1880 dal medico francese Jean-Baptiste-Édouard Gélineau, la narcolessia e i suoi misteri continuano ancora oggi ad affascinare gli studiosi del cervello e del sonno. Negli anni Cinquanta del Novecento la scoperta delle fasi del sonno – un’alternanza tra fase REM, movimenti oculari rapidi (rapid eye movements), e fase non REM – consentì di descrivere in modo accurato il sonno notturno con risvolti notevoli sulla ricerca delle cause della narcolessia e di altri disturbi.Tra gli anni Ottanta e Novanta furono allestiti in molti paesi laboratori e stanze insonorizzate per proteggere le osservazioni del sonno di persone sane e pazienti. Gli esami venivano fatti con elettroencefalografi sofisticati per misurare diversi parametri: l’attività respiratoria, quella muscolare, la temperatura, l’attività cardiaca, la pressione arteriosa. Nacque la polisonnografia, un esame utilizzato ancora oggi per diagnosticare i disturbi del sonno.– Leggi anche: Perché mentre ci addormentiamo abbiamo degli scattiLa scoperta più importante in questo campo risale al Duemila. Emmanuel Mignot della Stanford University scoprì che il cervello dei pazienti narcolettici non aveva le cellule adibite alla produzione dell’orexina (conosciuta anche come ipocretina o oressina), una proteina, anzi più propriamente un peptide, che regola il sonno e la veglia.Per molti anni Mignot studiò le origini della narcolessia indagando il DNA dei cani, tra cui quello di Watson, il suo cane narcolettico. Nelle fasi più avanzate della sua ricerca, prelevando il fluido spinale da pazienti narcolettici, Mignot scoprì che i cani hanno l’orexina ma non i recettori per attivare la risposte chimiche indispensabili per regolare il sonno, mentre nelle persone ci sono i recettori, ma manca l’orexina che non viene proprio prodotta.Negli ultimi anni questa scoperta ha permesso ai centri di ricerca e all’industria farmacologica di sperimentare terapie più efficaci contro i sintomi della malattia. Assumere l’orexina non basta, perché questa proteina se assunta e non prodotta dal corpo non riesce a superare la barriera emato-encefalica, cioè la struttura che regola il passaggio di sostanze chimiche da e verso il cervello, proteggendo il sistema nervoso da infezioni. Per risolvere questo problema negli ultimi anni sono state create e sperimentate diverse molecole sintetiche che imitano il comportamento dell’orexina.L’istituto di scienze neurologiche di Bologna ha partecipato a uno studio sperimentale in collaborazione con altri centri di ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati di recente sul New England Journal of Medicine. Lo studio è stato interrotto prematuramente perché sono emersi effetti collaterali al fegato in alcuni pazienti coinvolti, ma i dati raccolti dicono che la nuova molecola elimina tutti i sintomi della narcolessia. «Sono risultati molto promettenti, sappiamo che c’è un modo per cambiare la vita a migliaia di persone», dice Plazzi. «Ne beneficeranno molti altri pazienti di altri disturbi e malattie del sonno».Finora contro i sintomi della narcolessia erano stati utilizzati due tipi di farmaci: Stimolanti molto simili alle anfetamine per far stare svegli, sedativi per dormire di notte o antidepressivi per inibire la fase del sonno REM. Zenti sta partecipando a una sperimentazione. «Per me ora la narcolessia è un ricordo. Non ho sonnolenza e dormo regolarmente». Molti altri pazienti in Italia che non hanno avuto accesso alle cure sperimentali invece sono alle prese con la carenza del farmaco più utilizzato per dormire di notte. I farmacisti dicono che bisogna aspettare almeno fino a novembre per le nuove forniture. «Mi chiamano da molte regioni italiane, non sanno che fare», conclude Zenti. «Purtroppo essendo una malattia rara non gliene frega niente a nessuno, è complicato trovare una soluzione». LEGGI TUTTO