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    Non ci eravamo mai spinti così vicino al Sole

    Caricamento playerNella notte tra il 24 e il 25 dicembre, la sonda spaziale Parker Solar Probe (PSP) della NASA è diventata la cosa costruita dall’umanità che più si sia avvicinata al Sole. La sonda ha resistito alle forti sollecitazioni e, dopo essersi nuovamente allontanata dal Sole, ha inviato un segnale nelle prime ore del 27 dicembre. Al di là del record, il passaggio ravvicinato è servito per raccogliere dati per studiare come si forma e quali sono le caratteristiche del vento solare, che ha una grande influenza su ciò che accade nel nostro vicinato cosmico.
    Parker Solar Probe si chiama così in onore di Eugene Newman Parker, l’astrofisico statunitense che negli anni Cinquanta fu tra i primi a ipotizzare l’esistenza del vento solare, cioè di un flusso continuo di particelle cariche (soprattutto protoni ed elettroni) che si propaga nello Spazio interplanetario. Parker aveva fatto la propria previsione in un periodo in cui non c’erano ancora satelliti e sonde per confermare l’esistenza del vento solare, confrontandosi con lo scetticismo di molti colleghi che ritenevano improbabile l’esistenza di un flusso di particelle di quel tipo. Parker aveva invece ragione e la sua teoria fu confermata nei primi anni Sessanta, soprattutto grazie ad alcune missioni della NASA come Mariner 2.
    La conferma dell’esistenza del vento solare aprì un nuovo importante ambito di studio e di ricerca per comprendere non solo come funzionano le cose nel Sistema solare, ma anche altrove, considerato che stelle come il Sole sono piuttosto comuni nell’Universo. Il vento solare non può essere osservato direttamente a occhio nudo qui dalla Terra, ma diventa evidente con le aurore, quando le sue particelle interagiscono con il campo magnetico terrestre, che ci protegge proprio dagli effetti dannosi del vento solare.

    Fu in questo contesto che nel 2009 la NASA avviò la progettazione di una sonda per avvicinarsi il più possibile al Sole, in modo da studiare i fenomeni che portano alla produzione di quel flusso di particelle. Il progetto portò alla costruzione di Parker Solar Probe, una sonda con una massa intorno ai 700 chilogrammi che fu lanciata nel 2018 per un lungo viaggio di avvicinamento al Sole. Il percorso era stato infatti studiato per permettere alla sonda di effettuare più passaggi ravvicinati, alla giusta velocità per avere il tempo di raccogliere dati a sufficienza, senza arrostire i propri componenti.
    Nel suo ultimo passaggio ravvicinato, quello del record, la sonda è arrivata a 6,1 milioni di chilometri di distanza dalla superficie solare, pochissimo in termini astronomici se consideriamo che il Sole ha un diametro di 1,4 milioni di chilometri (più di cento volte quello della Terra) e che mediamente è a circa 150 milioni di chilometri dal nostro pianeta. La sonda ha quindi attraversato una porzione della corona, la parte più esterna dell’atmosfera solare nonché una delle sue aree più calde.
    Negli scorsi anni la sonda aveva effettuato altri passaggi ravvicinati superando più volte la soglia dei 14 milioni di chilometri dalla superficie solare. Il record precedente era della sonda Helios 2, che nell’aprile del 1976 aveva raggiunto una distanza di 42,7 milioni di chilometri.
    Per studiare il vento solare è necessario trovarsi al suo interno, come ha spiegato Nicky Fox, che ha lavorato per vario tempo al progetto della NASA, è un po’ come studiare una foresta: non puoi farlo osservandola dall’esterno, devi entrarci e vedere che cosa c’è tra un albero e l’altro. Solo che puoi farlo per pochissimo tempo, perché la foresta sta bruciando. Ed è per questo motivo che PSP è stata progettata per resistere a temperature estreme.
    Parker Solar Probe durante le ultime fasi di preparazione prima del lancio nel 2018 (NASA)
    La sonda è protetta da uno scudo termico, che nell’ultimo passaggio ravvicinato ha resistito a temperature superiori a 1.300 °C. Lo scudo protegge buona parte della sonda, ma non può fare molto per il sensore (una “coppa di Faraday”) collocato nella parte posteriore di PSP e utilizzato per misurare il flusso di elettroni e particelle cariche nel vento solare. Lo strumento è stato realizzato alternando strati di titanio, zirconio e molibdeno, ottenendo una coppa che resiste a temperature ben al di sopra dei 2mila °C. I cavi che alimentano il sistema sono stati realizzati invece in niobio, un metallo con un punto di fusione intorno ai 2.500 °C.
    Il segnale ricevuto dalla sonda il 27 dicembre conferma che i suoi sistemi di comunicazione funzionano ancora dopo il passaggio ravvicinato, ma saranno necessari alcuni giorni prima di ottenere i dati raccolti dalle strumentazioni della sonda. La NASA confida di ricevere maggiori informazioni sulle condizioni di PSP il prossimo primo gennaio e di ottenere in seguito i dati dagli strumenti scientifici, che saranno analizzati qui sulla Terra, ma non da Parker in persona.
    Eugene Parker è morto nel marzo del 2022, pochi mesi dopo l’ingresso della sonda nell’atmosfera solare. A proposito di primati, quando la NASA scelse di chiamarla come lui, Parker divenne la prima persona ancora vivente ad avere intitolata una sonda dell’agenzia spaziale statunitense. LEGGI TUTTO

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    Il Sole sta invertendo il suo campo magnetico

    Caricamento playerL’aurora boreale e i fenomeni collegati dello scorso maggio osservati a basse latitudini, anche in Italia, sono stati gli indizi più visibili dell’attività solare ormai prossima al proprio massimo, ma chi studia la nostra stella sta attendendo con interesse un altro fenomeno che porterà il Sole a invertire il proprio campo magnetico. Non è un evento insolito o preoccupante e non avrà effetti catastrofici per la Terra, ma è forse il miglior promemoria su quante cose ancora ci sfuggono sul funzionamento della più grande fonte di energia di tutto il sistema solare, da cui dipendono le nostre esistenze.
    I ritmi del Sole sono ciclici, per quanto non molto regolari: in media ogni 11 anni la nostra stella raggiunge un massimo di attività per poi tranquillizzarsi fino a raggiungere un minimo, dopo il quale il ciclo ricomincia. In linea di massima, quando il Sole è più attivo c’è una maggiore frequenza e intensità di alcuni fenomeni, come le tempeste magnetiche, l’emissione di grandi quantità di particelle e le eruzioni solari, esplosioni altamente energetiche. Le cause di questa ciclicità non sono completamente chiare, ma in secoli di osservazioni è stato possibile identificare particolari andamenti e indizi che permettono di calcolare l’andamento di ogni ciclo, le sue caratteristiche e le conseguenze per la Terra, che si trova in media a 150 milioni di chilometri dal Sole.
    Gli indizi più evidenti, tanto da essere stati osservati per la prima volta due millenni fa, sono le “macchie solari”, cioè punti della superficie solare più freddi rispetto a ciò che li circonda: se mediamente il Sole ha una temperatura superficiale di circa 5.500 °C, le macchie solari raggiungono al massimo una temperatura intorno ai 3.600 °C. La quantità di macchie solari tende a cambiare nel corso del tempo e proprio osservando il loro andamento si è concluso che compaiono in gran numero quando il Sole raggiunge il massimo della propria attività.
    Macchie solari osservate nell’ottobre del 2014 (NASA)
    L’ipotesi più condivisa è che le macchie solari siano una conseguenza di ciò che avviene nella “zona convettiva” del Sole, uno strato interno e non osservabile direttamente nel quale l’energia termica prodotta dalla stella raggiunge la superficie. In questa zona il plasma (un gas estremamente caldo e carico elettricamente) che si trova verso l’esterno è più freddo e denso, di conseguenza tende a ricadere verso l’interno dove si scalda e torna verso la superficie cedendo energia.
    Le quantità di energia coinvolte nel processo sono tali da portare anche alla formazione di forti campi magnetici, che nelle fasi di alta attività solare possono diventare instabili portando alla formazione delle macchie sulla superficie della stella. Ogni macchia ha un proprio campo magnetico che viene perturbato dai flussi di plasma indebolendolo o rafforzandolo a seconda dei casi. Dalle zone in cui emergono, di solito sopra o sotto l’equatore del Sole, i flussi si spostano verso i poli e tendono ad avere un campo magnetico orientato in senso opposto rispetto a quello solare in quel momento.
    Il Sole in sezione: sotto la superficie è visibile la zona convettiva (NASA)
    Nelle fasi di massima attività solare, i campi magnetici provenienti dalle macchie solari sono talmente tanti e intensi da annullare la polarità normalmente presente ai poli del Sole e sostituirla con una nuova opposta a quella di partenza. Questo processo fa sì che in media ogni 11 anni il Sole inverta il proprio campo magnetico.
    Nel 2004, per esempio, il polo sud solare aveva una polarità negativa, quasi completamente scomparsa nel 2013 e sostituita completamente da una polarità positiva negli anni seguenti. Il processo di inversione del campo magnetico non è infatti repentino, ma richiede diverso tempo e dal momento in cui il cambiamento è più evidente trascorrono circa due anni prima che sia completo. Il Sole non è comunque molto puntuale e in alcuni cicli sono stati necessari fino a cinque anni prima che si completasse l’inversione.
    Le condizioni iniziali del polo sud solare nel 2004 (a) e la progressiva inversione della polarità iniziata nel 2013 (b) e conclusa nel 2017 (c), in una elaborazione basata sui dati dell’attività del Sole (J. Space Weather Space Clim.)
    Il modo in cui è orientato nel suo complesso il campo magnetico del Sole può avere qualche conseguenza per la Terra, costantemente esposta alle particelle cariche che arrivano dalla stella e dalle quali si protegge grazie al proprio campo magnetico. Nei periodi in cui la polarità è negativa al polo nord solare ed è positiva al polo sud, il campo che si genera è opposto a quello della Terra e ci possono essere conseguenze sull’intensità delle tempeste solari, che possono causare forti interferenze nei sistemi di telecomunicazioni sia satellitari sia al suolo, oltre a effetti più scenografici come le aurore.

    Per questo l’attività solare viene osservata con grande attenzione e negli ultimi anni ci sono stati importanti progressi nella raccolta di dati, grazie allo sviluppo di nuove sonde. Solar Orbiter dell’Agenzia spaziale europea è stato lanciato nel 2020 per studiare le zone polari del Sole, in modo da prevedere i prossimi cicli solari e la loro intensità. Un paio di anni prima la NASA aveva messo in servizio Parker Solar Probe, una sonda che si sta avvicinando il più possibile al Sole, con l’obiettivo di compiere un passaggio ravvicinato ad appena (in termini astronomici) 6 milioni di chilometri dalla superficie solare. Altri telescopi sulla Terra sono invece utilizzati per mappare le macchie solari e produrre immagini ad alta risoluzione della superficie della nostra stella.
    Studiare il Sole non serve solamente a capire come funzioni la più importante fonte di energia per la nostra esistenza. Il Sole è una stella relativamente comune, come miliardi di altre stelle simili solo nella Via Lattea, la nostra galassia. Comprenderne il funzionamento rende possibile lo studio più accurato di sistemi solari diversi dal nostro e consente di fare confronti con altri tipi di stelle e capire se possano creare condizioni compatibili per la vita, su mondi lontani e che per ora nemmeno immaginiamo. Per quanto sia a 150 milioni di chilometri da noi, il Sole è la cavia perfetta per farlo. LEGGI TUTTO

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    Le foto dell’eclissi totale di Sole

    Caricamento playerIn un’ampia area del Nord America lunedì è stata visibile un’eclissi totale di Sole: l’evento non è di per sé insolito – c’è un’eclissi all’incirca ogni anno e mezzo – ma ha attirato grandi attenzioni perché ha interessato un’area fortemente popolata e facilmente accessibile per le osservazioni. I media statunitensi da giorni si occupano dell’eclissi e moltissime persone si sono organizzate per osservare il fenomeno nelle aree in cui era visibile, anche spostandosi da altre regioni degli Stati Uniti. LEGGI TUTTO

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    La sonda spaziale indiana Aditya-L1 ha raggiunto con successo la sua destinazione in orbita attorno al Sole

    Sabato la sonda spaziale indiana Aditya-L1 ha raggiunto con successo la sua destinazione in orbita attorno al Sole, a 1,5 milioni di chilometri di distanza dalla Terra. L’obiettivo della sonda è osservare il Sole con continuità, anche quando dalla Terra è nascosto a causa di eclissi, e portare avanti diversi studi: in particolare saranno analizzate la corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera solare, la fotosfera, ossia la superficie solare, e la cromosfera, cioè il sottile strato dell’atmosfera solare spesso 10mila chilometri fra corona e fotosfera.La missione di Aditya-L1 era partita il 2 settembre, a pochi giorni di distanza da un risultato storico per l’agenzia spaziale indiana ISRO: l’atterraggio sulla Luna della missione Chandrayaan-3, che prevede di esplorare il suolo del satellite con un robot automatico (rover) per un paio di settimane. Tale missione è stata la prima ad approdare con successo al polo sud della Luna.
    La sonda realizzata per studiare la stella del Sistema solare è stata chiamata Aditya in onore della divinità indù del Sole, conosciuta con questo nome oltre che con quello di Surya. La sigla L1 rappresenta il punto di Lagrange 1, cioè la destinazione finale raggiunta oggi. Tra le altre cose Aditya-L1 permetterà di capire meglio i venti e le eruzioni solari, fenomeni dell’attività del Sole che influenzano la Terra e gli oggetti nella sua orbita (satelliti compresi) attraverso radiazioni, calore, flussi di particelle e flussi magnetici.

    India creates yet another landmark. India’s first solar observatory Aditya-L1 reaches it’s destination. It is a testament to the relentless dedication of our scientists in realising among the most complex and intricate space missions. I join the nation in applauding this…
    — Narendra Modi (@narendramodi) January 6, 2024 LEGGI TUTTO

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    L’India ha lanciato una sonda per studiare il Sole

    Caricamento playerSabato l’India ha fatto partire la sua prima missione spaziale di osservazione del Sole: si chiama Aditya-L1, è partita dal Centro spaziale Sriharikota, nell’India meridionale, e trasporterà una sonda a 1,5 milioni di chilometri di distanza dalla Terra. Il nuovo lancio è arrivato a pochi giorni di distanza da un risultato storico per l’esplorazione spaziale indiana: l’atterraggio sulla Luna della missione Chandrayaan-3, che prevede di esplorare il suolo del satellite con un robot automatico (rover) per un paio di settimane. La missione indiana è stata la prima ad approdare con successo al polo sud della Luna.Alle 11:50 ora locale (le 8:20 in Italia) il razzo Pslv Xl, che pesa 320 tonnellate ed è stato progettato dall’ISRO (Indian Space Research Organistation) è decollato con successo, iniziando un viaggio che durerà quattro mesi: la missione Aditya-L1 prevede alcune orbite intorno alla Terra prima di raggiungere l’obiettivo, posto a circa l’1 per cento della distanza totale che ci separa da Sole. In quella posizione, indicata come punto di Lagrange, le attrazioni gravitazionali di Sole e Terra in parte si compensano, permettendo alla sonda di raggiungere una situazione di “stallo” e di orbitare intorno al Sole, alla stessa velocità della Terra, con un consumo di carburante molto limitato.🌞 Aditya-L1: India’s Sun Gazer 🚀🌠🤩 With the launch of Aditya-L1, ISRO will enter the most elite club of space faring nations.👉 The Aditya-L1 mission is a solar mission by the Indian Space Research Organisation (ISRO).👉 It is the first Indian mission to study the Sun… pic.twitter.com/dnLTrXcmSP— Raj Malhotra (@Rajmalhotrachd) September 2, 2023Da quella posizione Aditya-L1 sarà in grado di osservare il Sole con continuità, anche quando dalla Terra è nascosto causa eclissi, e di portare avanti diversi studi: in particolare verranno analizzati la corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera solare, la fotosfera, ossia la superficie solare, e la cromosfera, cioè il sottile strato dell’atmosfera solare spesso 10mila chilometri fra corona e fotosfera.Uno degli obiettivi è studiare l’attività solare, e in particolare i venti e le eruzioni solari che influenzano la Terra e gli oggetti nella sua orbita attraverso radiazioni, calore, flussi di particelle e flussi magnetici. I venti solari possono influenzare anche il funzionamento dei satelliti in orbita intorno alla Terra: l’India ne ha 50, che svolgono funzioni fondamentali di comunicazione, studio e prevenzione di fenomeni atmosferici potenzialmente pericolosi per la popolazione.La missione è stata chiamata Aditya in onore della divinità indù del Sole, conosciuta con questo nome oltre che con quello di Surya. La siglia L1 rappresenta il Lagrange point 1, destinazione finale.#WATCH | Indian Space Research Organisation (ISRO) launches India’s first solar mission, #AdityaL1 from Satish Dhawan Space Centre in Sriharikota, Andhra Pradesh.Aditya L1 is carrying seven different payloads to have a detailed study of the Sun. pic.twitter.com/Eo5bzQi5SO— ANI (@ANI) September 2, 2023Se la missione sarà completata con successo l’India entrerà in un gruppo ristretto di paesi che hanno realizzato studi di questo genere sul Sole: il primo fu il Giappone nel 1981, seguito dagli enti spaziali statunitense ed europeo (NASA e ESA) a partire dagli anni Novanta. Nel 2020 La sonda Solar Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha iniziato da  il suo viaggio verso il Sole, che la porterà ad esplorarne i poli. Nel 2021 la sonda della NASA Parker Solar Probe è entrata per la prima volta nell’atmosfera solare.La partenza della missione Aditya-L1 (AP Photo/R. Parthibhan)L’India ha celebrato vivacemente il successo del lancio, confermando la grande attenzione alle missioni spaziali del governo di Narendra Modi: con l’atterraggio controllato sulla Luna del 23 agosto è stato il quarto paese a riuscirci dopo Stati Uniti, Russia (quando era ancora Unione Sovietica) e Cina.– Leggi anche: Parker Solar Probe è entrata nell’atmosfera solare LEGGI TUTTO