Caricamento playerTra le tante massime attribuite ad Alfred Hitchcock, uno dei più importanti e famosi registi del Novecento, c’è quella secondo cui «la durata di un film dovrebbe essere commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana». La paternità della frase è ancora oggi discussa, sembra che Hitchcock stesse a sua volta citando il drammaturgo George Bernard Shaw, ma dice comunque qualcosa non solo sulla sostenibilità dei film lunghi, ma anche sulla capacità di controllo di una cosa che facciamo tutti più volte al giorno per tutta la vita: svuotare la vescica facendo pipì. È una cosa che ci viene naturale e di cui non possiamo fare a meno, ma dietro alla sua apparente semplicità si nascondono processi articolati e in parte ancora poco esplorati.
Per molto tempo medici e gruppi di ricerca hanno ritenuto che il controllo della vescica fosse il frutto di un riflesso elementare, una sorta di interruttore acceso/spento che rende possibile l’accumulo dell’urina e la sua espulsione in un dato momento. Gli studi condotti negli ultimi decenni hanno invece mostrato l’esistenza di processi molto più complessi che coinvolgono più aree del cervello e del resto del sistema nervoso centrale, particolari tessuti muscolari e terminazioni nervose che ci aiutano ad avere il senso dello stato interno del nostro organismo (enterocezione).
Tutto inizia con un bicchiere d’acqua, una fetta di anguria, un piatto di insalata o praticamente qualsiasi altro alimento che ingeriamo che contiene una certa quantità di acqua. Attraverso i processi digestivi, l’acqua finisce in ogni cellula del nostro organismo, che non a caso è costituito in media al 65 per cento da questa sostanza. Abbiamo continuamente necessità di assumere acqua, perché ne perdiamo costantemente con la traspirazione e con la produzione di urina da parte dei reni, che tra i loro compiti hanno quello di pulire il sangue dalle impurità.
Dopo essere stata prodotta, l’urina non viene eliminata immediatamente, ma si accumula in un piccolo sacchetto che si può espandere come un palloncino: la vescica. Quando è vuota appare rugosa e avvizzita, mentre quando è piena sembra tesa come una pelle di tamburo. La vescica di una persona adulta in salute arriva a contenere tra i 300 e i 500 millilitri (mezzo litro) di urina, ma ci sono casi in cui la vescica si gonfia di più arrivando a contenere anche più del doppio di quel volume. È tra gli organi più elastici del nostro organismo e arriva a espandersi più di sei volte rispetto a quando è completamente vuota.
Questa notevole espansione è resa possibile dal detrusore, un muscolo che ricopre interamente la vescica e che si rilassa man mano che questa si riempie di urina. Alla base della vescica avviene invece il contrario: i muscoli che regolano lo sfintere dell’uretra si contraggono, così da evitare che la pipì fluisca verso l’esterno nei momenti indesiderati. È un processo che avviene di continuo: la vescica passa circa il 95 per cento della propria, e della nostra, esistenza piena o per meglio dire in fase di riempimento.
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Conosciamo il resto della storia. A un certo punto la vescica è piena a sufficienza da percepire l’esigenza di vuotarla, cerchiamo il luogo più opportuno in cui farlo e ci liberiamo: il detrusore si contrae, lo sfintere si rilassa e l’urina fluisce nell’uretra, l’ultimo tratto delle vie urinarie, e infine le molecole d’acqua dopo un lungo tour del nostro organismo rivedono la luce. Nella maggior parte dei casi agiamo quando lo stimolo è ancora sopportabile e la vescica contiene mediamente poco meno di 400 ml di pipì, ma ci possono essere casi in cui non ci si può liberare immediatamente e si accumula altra urina rendendo lo stimolo sempre meno sopportabile. Oltre una certa misura, che varia molto da persona a persona, scatta un meccanismo di emergenza e la vescica si svuota involontariamente.
Non è necessario essere idraulici o ingegneri per apprezzare la semplicità del sistema nel suo risultato finale, ma ancora oggi i gruppi di ricerca faticano a mettere insieme tutti i pezzi che rendono possibile il coordinamento e la gestione delle varie attività legate alla minzione, cioè al fare pipì. Un secolo fa alcuni esperimenti su cavie di laboratorio, per esempio, fecero ipotizzare che il controllo della minzione derivasse dal “ponte”, una struttura che si trova nel tronco encefalico, la parte dell’encefalo appena al di sotto del cervello. Sarebbero però passati decenni prima di confermare l’ipotesi e soprattutto di scoprire che la regolazione della vescica deriva da meccanismi ancora più complessi.
Man mano che si accumula l’urina, determinando l’espansione della vescica, alcune cellule specializzate che si trovano a contatto con il detrusore e con la parete interna della vescica stessa inviano un segnale alla sostanza grigia periacqueduttale, un complesso di neuroni che si trova nel mesencefalo, una parte del tronco encefalico. Il segnale raggiunge poi il lobo dell’insula, un’altra area del cervello che assolve a varie funzioni legate all’omeostasi corporea, cioè alla sua capacità di mantenere un certo equilibrio nelle attività che svolge di continuo. Più la vescica si riempie e si gonfia, più segnali arrivano all’insula che a sua volta si attiva con una grande quantità di impulsi elettrici (potenziali di azione).
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È a questo punto che dall’automatismo si passa alla gestione consapevole della necessità di fare pipì, che viene gestita attraverso la corteccia prefrontale, cioè l’area del cervello legata alla pianificazione e alla decisione delle azioni da compiere in base alla nostra volontà. Lo stimolo di urinare viene quindi valutato soprattutto in base alle condizioni in cui ci troviamo e a domande che ci facciamo spesso senza farci molto caso: è socialmente accettabile interrompere ciò che sto facendo per andare in bagno adesso? Lo stimolo è forte o posso reggere ancora per un po’? Tra quanto potrò raggiungere un bagno? E così via.
Quando infine ci sono le condizioni per liberarsi, attraverso la corteccia prefrontale il segnale viene elaborato da altre aree del cervello, torna alla sostanza grigia periacqueduttale e viene indirizzato verso il ponte nel tronco encefalico (nucleo di Barrington). Il segnale arriva infine alla vescica, il detrusore si contrae, lo sfintere dell’uretra si rilassa e l’urina fluisce all’esterno.
Il tortuoso percorso del segnale dal momento in cui la vescica inizia a essere piena a quando può vuotarsi si è arricchito in questi anni di ulteriori tappe grazie a nuove tecniche di analisi, come ha raccontato di recente alla rivista Knowable Rita Valentino, responsabile del dipartimento di neuroscienze e comportamento al National Institute on Drug Abuse negli Stati Uniti.
Insieme ai propri colleghi, Valentino ha misurato l’attività elettrica dei neuroni in vari siti del sistema nervoso, identificando per esempio il particolare comportamento dei neuroni nel “locus coeruleus”, un nucleo nel tronco encefalico coinvolto nei meccanismi legati ad attenzione, stress e panico. Pochi secondi prima di iniziare a urinare, i neuroni in quest’area iniziano a produrre ritmicamente segnali indirizzati verso la corteccia. L’ipotesi è che ciò determini un maggiore stato di allerta in un momento in cui dobbiamo agire velocemente e siamo al tempo stesso vulnerabili.
Le ricerche come quelle svolte da Valentino possono anche offrire spunti importanti per affrontare i problemi di salute legati alla minzione. Alcuni derivano da eventi traumatici, come lesioni spinali che rendono impossibile il controllo diretto della vescica, mentre altri subentrano con l’età e sono legati per lo più a problemi di incontinenza e di perdite.
Eliminare l’urina è essenziale per l’organismo e per questo nelle prime fasi di vita questa funzione è svolta senza un diretto coinvolgimento del cervello. Subito dopo la nascita e fino ai 3-4 anni di vita, la minzione viene gestita da un riflesso spinale quando la vescica è piena. In seguito, le aree del cervello che usiamo per gestire alcune funzioni si sviluppano a sufficienza per controllare anche la minzione, riducendo i casi in cui si verifica il riflesso. Se a causa di un incidente si interrompono le vie di comunicazione tra il cervello e la vescica, il riflesso può riemergere e lo svuotamento della vescica avviene senza un controllo diretto.
Anche in questo caso non tutti i meccanismi sono chiari, ma comprenderli meglio insieme a quelli che coinvolgono il cervello potrebbe offrire nuove opportunità per il trattamento di alcune condizioni come la sindrome da vescica iperattiva. Porta a una necessità improvvisa di urinare che non può essere rinviata nel tempo e che si ripete più volte al giorno, sia quando si è svegli sia quando si va a dormire. Stimare la diffusione di questa sindrome è molto difficile e i dati variano molto, con alcune ricerche che indicano una prevalenza del 15,6 per cento tra gli uomini e del 17,4 per cento tra le donne in Europa. In generale, la sindrome tende a presentarsi con maggiore frequenza tra le donne sopra i 60 anni e nel periodo successivo all’inizio della menopausa.
(Sara D. Davis/Getty Images)
Le cause della sindrome da vescica iperattiva sono ancora oggetto di studio. Un probabile fattore è una eccessiva reattività del detrusore, che porta a rapide contrazioni facendo arrivare al cervello segnali sbagliati su quanto sia effettivamente piena la vescica. Alcuni trattamenti prevedono l’impiego di farmaci per provare a ridurre gli spasmi, in modo da evitare l’attivazione dei meccanismi legati alla minzione. Calibrare correttamente le dosi non è però semplice: se il dosaggio è più basso del dovuto non ci sono benefici, se invece è troppo alto ci sono rischi di bloccare il sistema con la conseguente impossibilità di urinare.
Diagnosticare la sindrome da vescica iperattiva richiede tempo e in alcuni casi non porta a identificare una causa precisa, per esempio se non vengono osservati spasmi anomali del detrusore. Per questo motivo alcuni gruppi di ricerca si stanno dedicando allo studio dell’urotelio (o epitelio di transizione), il rivestimento interno della vescica e delle vie urinarie. Gli strati cellulari che lo costituiscono assolvono a varie funzioni, oltre a quella di isolare l’urina dal resto dell’organismo, e sono molto importanti nel rilevare il grado di dilatazione della vescica su cui si basa poi l’attività del sistema nervoso.
L’analisi dell’urotelio ha portato a scoprire il ruolo di una particolare proteina (PIEZO2) solitamente coinvolta nelle risposte agli stimoli sensoriali. Un trattamento potrebbe quindi mirare a regolare diversamente quella proteina, ma farlo non è semplice perché la stessa proteina è coinvolta in numerosi altri processi in altre parti del corpo che potrebbero essere compromessi.
Ci sono poi fattori psicologici che possono condizionare la frequenza con cui si sente la necessità di vuotare la vescica, tali da rendere ancora più difficile una diagnosi. Alcune persone pensano più spesso di altre al dover fare pipì e questa condizione di assiduo “ascolto” della loro vescica fa sì che percepiscano più di frequente la necessità di vuotarla. Le cause possono essere molteplici e a volta dettate dalle circostanze.
Alcune persone arrivate fino a questo punto leggendo un lungo articolo interamente dedicato all’argomento potrebbero avvertire un certo stimolo, o una strana sensazione di maggiore consapevolezza della loro vescica rispetto al solito. Altre avvertono l’esigenza di dover fare pipì non appena infilano la chiave nella porta per rientrare a casa, con una crescente urgenza man mano che si avvicina la possibilità di andare in bagno (è la “sindrome della toppa della chiave di casa”). Un certo condizionamento può avere temporaneamente qualche effetto e non è preoccupante, ma se circostanze di questo tipo si presentano di frequente possono essere un sintomo da non sottovalutare.
Tra le cause di una maggiore frequentazione del bagno negli uomini di solito oltre i 50 anni c’è l’iperplasia prostatica benigna, cioè un naturale ingrossamento della ghiandola prostatica che si trova alla base della vescica, intorno all’uretra. L’aumento delle dimensioni fa sì che la prostata spinga verso l’alto la vescica riducendo la sua possibilità di espandersi: questo, insieme ad altri fattori, fa sì che la vescica si riempia più velocemente e di conseguenza che ci sia la necessità di urinare più di frequente. Le persone affette da diabete o da cistite e le donne incinte hanno anche di solito una minore autonomia prima di dovere andare in bagno.
Rappresentazione schematica dell’iperplasia prostatica benigna e dei suoi effetti sul volume della vescica (Wikimedia)
Anche il consumo di alcune sostanze può stimolare una maggiore produzione di urina. Il caffè e varie bibite contengono caffeina, che ha effetti diuretici piuttosto marcati. Anche l’alcol induce una maggiore attività renale e favorisce la disidratazione, portando a produrre più pipì. Periodi di particolare stress possono influire sulla frequenza con cui si va in bagno, perché alcuni neurotrasmettitori come l’adrenalina influiscono sull’attività renale. E può accadere di dovere andare più di frequente in bagno quando fa freddo: la normale traspirazione è ridotta, perché l’organismo prova a mantenere stabile la propria temperatura interna, di conseguenza c’è una minore sudorazione e maggiori quantità di acqua possono essere espulse tramite l’urina. Può succedere in una fredda giornata invernale o d’estate in una gelida sala di un cinema con l’aria condizionata.
E per Hitchcock gli eventuali problemi di vescica per i suoi spettatori erano una preoccupazione ricorrente. In un’intervista del 1966, confidò di avere ben presente che con un film un regista chiede a una persona di starsene seduta per diverse ore e che: «Man mano che la storia procede verso la fine, il pubblico potrebbe iniziare a essere – come dire – fisicamente distratto, quindi devi aumentare le cose interessanti che succedono sullo schermo per distogliere il loro pensiero da quella cosa». Il film più lungo diretto da Hitchcock dura due ore e sedici minuti. LEGGI TUTTO