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    Iniziamo a capire qualcosa di più sul mercurio nei tonni

    Un’ampia ricerca da poco pubblicata sull’inquinamento da mercurio nei mari ha segnalato che in alcuni pesci – in particolare il tonno – la concentrazione di questo metallo è rimasta pressoché invariata dagli anni Settanta nonostante varie iniziative e un trattato per ridurre la sua dispersione nell’ambiente. La presenza del mercurio nel pesce può costituire un rischio nella fase di sviluppo del feto durante la gravidanza, ma può avere anche effetti sulla salute delle persone adulte. Secondo la ricerca, anche applicando più rigidamente i regolamenti internazionali potrebbero essere necessari decenni prima di rilevare una riduzione della concentrazione di mercurio nel tonno, tra i pesci più consumati al mondo.Mercurio e metilmercurioQuello che viene definito comunemente “mercurio nei mari” è in realtà il metilmercurio (o per meglio dire catione monometilmercurio), un composto che contiene un legame metallo-carbonio ed è quindi “metallorganico” (il carbonio è centrale nella produzione di composti organici e per la vita). Come suggerisce il nome, questa sostanza si forma a partire dal metallo attraverso l’attività di alcuni batteri anaerobi, cioè che vivono in assenza di ossigeno, e di altri microrganismi presenti soprattutto in laghi, fiumi, mari e sedimenti nelle zone umide. Più il mercurio è presente nell’ambiente, maggiore è la probabilità che una sua parte significativa venga trasformata in metilmercurio.
    Il mercurio si accumula nell’ambiente sia per fenomeni naturali, come l’attività dei vulcani e gli incendi stagionali nelle foreste, sia a causa dell’attività umana in particolare tramite la combustione dei combustibili fossili e in alcuni processi industriali, per esempio per la preparazione dell’acetaldeide, impiegata in alcuni fertilizzanti, nei solventi e in numerosi altri prodotti chimici.
    Fu proprio la produzione di acetaldeide a portare a una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione sui rischi legati alle contaminazioni di mercurio, dopo il disastro ambientale scoperto a Minamata, una città nell’estremo occidente del Giappone. Tra gli anni Trenta e la fine degli anni Sessanta del secolo scorso un’industria chimica sversò nelle acque di scarico grandi quantità di metilmercurio che si accumulò in numerose specie marine, entrando poi nella catena alimentare e causando l’avvelenamento da mercurio di molte persone che abitavano nella zona. L’intossicazione fu tale da portare alla scoperta della cosiddetta “sindrome di Minamata”, una malattia che causa gravi problemi al sistema nervoso e che in alcuni casi può essere mortale.
    Il disastro di Minamata e alcuni altri casi simili portarono alla Convenzione di Minamata sul mercurio, un trattato internazionale adottato nel 2013 da circa 140 paesi per limitare le emissioni di mercurio e dei suoi composti nell’ambiente. La Convenzione è dedicata in particolare alla preservazione degli ambienti marini, dove soprattutto il metilmercurio tende a causare contaminazioni su larga scala all’interno della catena alimentare.
    Salute e alimentazioneIl metilmercurio ha un tempo di permanenza negli organismi relativamente lungo, di conseguenza attraversa buona parte della catena alimentare degli ambienti marini (“bioamplificazione”). Batteri e plancton contaminati diventano il cibo dei pesci più piccoli, che diventano quindi un pasto contaminato per i pesci più grandi e così via fino alle specie ittiche di maggiori dimensioni. Ciò determina un aumento della concentrazione di metilmercurio man mano che aumenta la stazza dei pesci, in particolare di quelli predatori. Molte specie ittiche vengono consumate da altri animali, come gli uccelli o gli esseri umani, che finiscono a loro volta con l’ingerire quella sostanza.
    Rappresentazione schematica della bioamplificazione del metilmercurio (Wikimedia)
    La concentrazione del metilmercurio nei pesci varia a seconda delle specie, della loro stazza, della loro età e naturalmente del luogo in cui sono cresciuti, che potrebbe essere più o meno contaminato. In una stessa specie, i pesci più anziani hanno in proporzione più metilmercurio di quelli più giovani, semplicemente perché sono stati esposti più a lungo a questa sostanza che impiega molto tempo per essere smaltita. Il metilmercurio ha infatti un’emivita intorno ai due mesi e mezzo nelle specie acquatiche: significa che la sua concentrazione si dimezza in quel periodo (dopo 2,5 mesi è metà, dopo altri 2,5 mesi è metà della metà e così via). I pesci in cui sono solitamente riscontrate le maggiori concentrazioni sono i pesci spada, gli squali e i tonni di grandi dimensioni e più anziani.
    Quando si mangia pesce contenente metilmercurio, questo viene assorbito dal sistema digerente e passa nella circolazione sanguigna, attraverso la quale si distribuisce in buona parte dell’organismo, compreso il sistema nervoso. La sua emivita nel sangue è di 50 giorni, ma è raro che con una normale alimentazione si raggiungano livelli da grave intossicazione, come avvenne per esempio a Minamata dove le concentrazioni erano molto alte.
    Le caratteristiche organiche del metilmercurio fanno sì che riesca a legarsi fortemente alle proteine, rendendo quindi più difficile la sua eliminazione da parte dell’organismo. Durante la gravidanza può avvenire il trasferimento al feto del metilmercurio assunto con l’alimentazione e sopra una certa soglia possono esserci rischi, legati per esempio a un minore sviluppo del sistema nervoso centrale; nelle persone adulte possono esserci maggiori rischi di sviluppare disturbi cardiovascolari.
    Stabilire limiti per il metilmercurio non è semplice e ancora oggi le soglie da stabilire sono piuttosto discusse tra gli esperti. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha indicato una «dose tollerabile di assunzione» di 1,3 microgrammi per chilogrammo di massa corporea. È un indicazione che può apparire un poco criptica, considerato che nel momento in cui si consuma un piatto di pesce non si può sapere quale sia l’effettiva concentrazione (per il comparto alimentare ci sono comunque livelli massimi indicati nel regolamento dell’Unione Europea 2023/915). Per questo l’EFSA ha fornito indicazioni un poco più approssimative, ma utili nella vita di tutti i giorni.
    Il consiglio dell’EFSA, in linea con quelli di altre autorità ambientali e sanitarie in giro per il mondo, è di consumare pesce tra le due e le tre volte alla settimana, cercando di variare il più possibile i tipi di pesce e limitando il consumo di quelli di taglia medio-grande, che potrebbero avere un maggior contenuto di metilmercurio come pesci spada, naselli e tonni. Maggiori attenzioni dovrebbero essere mantenute per i bambini e dalle donne nel periodo della gravidanza, ma in generale l’EFSA invita comunque a mangiare pesce perché i suoi nutrienti sono comunque importanti nella fase della crescita e in età adulta. Come per molte altre cose che riguardano l’alimentazione, la questione di fondo è trovare un equilibrio tollerabile tra i rischi e i benefici portati dal consumo di un certo alimento.
    Emissioni e concentrazioneLe maggiori attenzioni portate dalla Convenzione di Minamata hanno contribuito negli ultimi decenni a ridurre la presenza di nuovo mercurio e nuovo metilmercurio negli ambienti marini, ma le analisi indicano che c’è comunque un certo accumulo che richiederà del tempo per essere smaltito. Lo studio, da poco pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology Letters, ha riguardato ricerche pubblicate nei decenni scorsi e nuovi dati che insieme hanno permesso di avere a disposizione analisi su quasi 3mila campioni di tonni, raccolti tra gli oceani Pacifico, Atlantico e Indiano negli ultimi 50 anni, con particolare attenzione ai tipi di tonno più pescati e consumati (tonno pinne gialle, tonno obeso e tonno skipjack).
    Dalle analisi è emerso che nonostante una riduzione nelle emissioni di mercurio a partire dagli anni Settanta, i livelli di metilmercurio nel tonno sono rimasti sostanzialmente invariati. Secondo la ricerca, la causa è probabilmente il modo in cui gli accumuli di metilmercurio si sono distribuiti nelle acque oceaniche. Il moto ondoso e la differenza di temperatura nell’acqua fa sì che in alcune circostanze questa sostanza raggiunga profondità meno basse, dove vivono i pesci che diventano poi prede dei tonni. Il processo non è però completamente chiaro, ma evidenzia una certa inerzia del sistema legata alle grandi quantità di mercurio accumulate nei secoli passati sia naturalmente sia in seguito alle emissioni derivanti dalle attività umane.
    Anche se i livelli di metilmercurio non sono diminuiti (nel caso del tonno skipjack c’è stato un lieve aumento, probabilmente dovuto alle maggiori emissioni di mercurio in Asia), c’è comunque una notizia incoraggiante: nessuno dei campioni analizzati ha fatto registrare concentrazioni superiori ai limiti per il consumo del tonno. Lo studio segnala comunque che le emissioni di mercurio dovranno essere ridotte molto di più per vedere una riduzione nella concentrazione di mercurio negli oceani nei prossimi 10-25 anni. A quel punto, per rilevare una riduzione nella concentrazione di metilmercurio nella carne del tonno e di altri pesci predatori potrebbero essere necessari diversi altri decenni. LEGGI TUTTO

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    Un raro avvistamento di uno squalo di plastica, forse

    Nell’estate del 2020 Giannis Papadakis notò un pesce alquanto particolare lungo un’area costiera della Grecia. Lo portò a riva, lo fotografò sugli scogli e inviò poi le immagini a un gruppo di ricercatori che lo studiarono e un paio di anni dopo pubblicarono una ricerca, annunciando un avvistamento nel Mediterraneo di uno squalo goblin (Mitsukurina owstoni), un pesce molto difficile da trovare in natura e che non era mai stato osservato prima in acque mediterranee. La scoperta aveva aperto un grande confronto tra gli esperti e a molti dubbi, fino al ritiro della ricerca perché forse quel pesce avvistato in Grecia non era uno squalo goblin, ma più banalmente un giocattolo di plastica.Il gruppo di ricerca aveva pubblicato lo studio nel maggio del 2022, citando tra la specie rare osservate nel Mediterraneo anche lo squalo goblin, che si distingue da altri squali per la forma della sua testa, con un rostro che ricorda un becco allungato e affusolato. È diffuso in buona parte del mondo, vive nelle profondità oceaniche e la maggior parte degli avvistamenti è stata storicamente effettuata al largo del Giappone, dove fu scoperto alla fine del diciannovesimo secolo.Dopo la pubblicazione della ricerca, vari esperti avevano iniziato a sollevare dubbi sulla scoperta nel Mediterraneo. C’erano diverse cose che non tornavano: era troppo piccolo rispetto agli esemplari che vengono osservati solitamente, le branchie avevano una strana forma e anche il colore lasciava qualche dubbio. L’esemplare ritrovato da Papadakis non era stato inoltre esaminato direttamente dagli autori della ricerca, che avevano basato le proprie osservazioni sulle fotografie.Nell’autunno dello scorso anno i dubbi erano diventati più concreti, con un articolo di commento firmato da un altro gruppo di ricerca. Era poi circolata una fotografia di uno squalo giocattolo venduto dalla casa editrice italiana DeAgostini che assomigliava molto a quello delle foto di Papadakis. Gli autori dello studio avevano ribadito di essere sicuri della scoperta, ammettendo comunque che l’esemplare era probabilmente di dimensioni inferiori rispetto a quelle inizialmente ipotizzate.Folks https://t.co/ViIsSoEn3t pic.twitter.com/N7fM0OooIP— Dr. David Shiffman (@WhySharksMatter) March 15, 2023Dopo ulteriori confronti e critiche, il 23 marzo scorso gli autori hanno infine convenuto che le foto fornite da Papadakis non erano sufficienti per una chiara identificazione dell’esemplare. Di conseguenza la scoperta segnalata nella loro ricerca è stata rimossa, pur non rendendo necessario il ritiro dell’intero studio che conteneva al suo interno la segnalazione di vari altri ritrovamenti nel Mediterraneo.La vicenda ha attirato qualche critica anche nei confronti di Mediterranean Marine Science, la rivista scientifica che a maggio del 2022 aveva pubblicato l’annuncio della scoperta. Lo studio aveva superato una revisione da parte di esperti indipendenti, a dimostrazione di come a volte i sistemi stessi di revisione possano portare a qualche errore (un problema noto da tempo e inevitabile, specialmente da quando si pubblicano moltissime ricerche negli ambiti più disparati).Quanto alle foto scattate da Papadakis, potremmo non sapere mai se ritraessero effettivamente un pesce o uno squalo di plastica venduto in edicola. LEGGI TUTTO