Sappiamo molto poco di quello che abbiamo sotto ai piedi
Tra i tanti primati della sonda Voyager 1, lanciata 47 anni fa dalla NASA, c’è quello di essere l’oggetto più distante mai costruito dall’umanità: ha ormai raggiunto i confini del Sistema solare, a circa 25 miliardi di chilometri dal centro della Terra. Se spostiamo lo sguardo dal cielo verso il suolo per occuparci di ciò che più si è avvicinato al centro del nostro pianeta, il primato è meno entusiasmante: appena 12 chilometri al di sotto della superficie, sui circa 5mila chilometri che ci separano dal nucleo interno planetario. In un certo senso, sappiamo più cose di corpi celesti lontanissimi che di cosa abbiamo sotto i piedi, sull’unico pianeta che ci ospita da sempre.Nella regione di Murmansk, nell’estremo nord-occidentale della Russia e non molto distante dal confine con la Norvegia, nelle vicinanze di un grande capannone abbandonato c’è l’estremità di un tubo (flangia) sigillata con una copertura tenuta da dodici dadi. Ricorda un tombino arrugginito come ce ne sono tanti, eppure è la via di accesso al buco più profondo mai scavato. Fu realizzato a partire dagli anni Settanta nell’ambito di un progetto sovietico per studiare il più a fondo possibile – letteralmente – la crosta terrestre.
La chiusura del Pozzo superprofondo di Kola in Russia (via Wikimedia)
L’iniziativa si rivelò molto più complessa del previsto, tanto che in circa trent’anni fu possibile raggiungere appena i 12,2 chilometri di profondità. Il progetto fu chiuso a metà degli anni Novanta e il sito del pozzo superprofondo di Kola è ormai abbandonato, con qualche turista che ogni tanto si spinge fino lassù per osservare tra la ruggine l’ingresso alle profondità del pianeta.
Dalla chiusura del pozzo in Russia non ci sono stati molti altri tentativi per spingersi per lo meno nelle parti più profonde della crosta terrestre, lo strato più esterno su cui viviamo e che fa da base agli oceani e ai continenti. Il suo spessore varia tra 4 e 80 chilometri, ma perforarlo significa fare i conti con pressioni e temperature molto alte. In media, per ogni chilometro di profondità la temperatura aumenta di 25 °C e la pressione diventa sempre più insostenibile, non solo per gli esseri umani ma anche per le strumentazioni, come sperimentarono i sovietici con il loro super buco.
La forte pressione è dovuta alla grande massa di materiale sovrastante, man mano che ci si spinge in profondità. È un po’ come per una pila di libri: il libro in fondo deve sopportare il peso di tutti gli altri volumi e subisce una maggiore pressione. A 400 metri di profondità la pressione è simile a quella della superficie del pianeta Venere, cioè circa 90 volte quella che troviamo sul livello del mare qui sulla Terra. A 100 chilometri di profondità si può raggiungere una pressione che supera ampiamente quella al livello del mare di 20-25 mila volte, cosa che equivale ad avere più o meno un peso di 25 tonnellate su ogni centimetro quadrato del proprio corpo. A pressioni e temperature così alte, anche i materiali più duri come le rocce si comportano in modo particolare, mettendo in crisi alcune delle nostre convinzioni più granitiche.
E per superare alcune delle più condivise sull’interno della Terra fu necessario molto tempo. Per secoli si pensò che il nostro pianeta fosse semplicemente cavo e che nascondesse al proprio interno mondi mai visti, proibiti o inaccessibili. Gli antichi Greci pensavano che le caverne fossero i punti di ingresso al mondo sotterraneo, mentre altre civiltà identificavano nelle profondità l’Aldilà in cui vivevano gli dei o le anime dei morti a seconda dei casi. Nel XIV secolo Dante aveva collocato l’Inferno nelle cavità della Terra per la sua Divina Commedia.
Rappresentazione dell’inferno dantesco secondo Michelangelo Caetani (via Wikimedia)
Alla fine del XVII secolo l’astronomo e fisico inglese Edmond Halley ipotizzò che la Terra fosse fatta a strati con gusci concentrici intervallati da cavità nelle quali c’era l’atmosfera, che talvolta sfuggiva dall’interno portando al fenomeno delle aurore boreali (che in realtà sono causate dall’interazione del vento solare con il campo magnetico terrestre). L’ipotesi affascinò non solo chi si occupava di scienza, ma nei secoli seguenti anche autori di libri e romanzi di avventura. Lo scrittore francese Jules Verne scrisse il suo Viaggio al centro della Terra nel 1864, immaginando che un vulcano islandese potesse essere la porta verso le profondità terrestri, in cui vivevano fantasiose creature preistoriche.
Circa un secolo prima, un esperimento condotto per misurare la densità media del pianeta aveva dimostrato che non poteva essere vuoto, ma fu necessario molto tempo prima che la teoria sulla Terra cava venisse completamente abbandonata. Un contributo importante in tal senso fu dato dalla sismologa danese Inge Lehmann negli anni Trenta, quando studiando i tracciati (sismogrammi) di alcuni terremoti che erano avvenuti in Nuova Zelanda notò che le onde sismiche erano state registrate in alcune zone della Russia, dove secondo le teorie dell’epoca non sarebbero dovute arrivare. Analizzando il loro comportamento, Lehmann fu la prima a intuire che la Terra doveva avere un nucleo interno solido, circondato da uno esterno liquido, rivoluzionando la comprensione della struttura interna del pianeta.
Ancora oggi le cose che sappiamo sull’interno della Terra derivano per lo più dallo studio del modo in cui le onde sismiche si propagano da una parte all’altra del pianeta. Non potendo osservare direttamente l’interno, come fa un chirurgo quando opera a cielo aperto, i geologi hanno imparato a studiare le profondità terrestri come farebbe un medico attraverso un’ecografia.
Per quanto differenti, sia le onde sismiche sia quelle ultrasoniche prodotte da un ecografo interagiscono con le diverse strutture del mezzo che attraversano. Nel caso di un terremoto, le onde P (primarie) attraversano sia i solidi sia i liquidi, mentre le onde S (secondarie) sono più lente e non si propagano attraverso i liquidi. Un terremoto mette in vibrazione l’intero pianeta e con strumenti (sismometri) molto sensibili può essere rilevato a migliaia di chilometri di distanza, spesso dall’altra parte della Terra.
A differenza di altri tipi di onde sismiche, le onde P riescono ad attraversare il nucleo interno, e se analizzate possono offrire dettagli sulle sue caratteristiche (Zanichelli)
Le varie modalità di propagazione delle onde sismiche fanno sì che un terremoto sia registrato in modo diverso in giro per il mondo. Confrontando la forma e le modalità di arrivo delle onde si può dedurre la densità degli strati che hanno attraversato e la presenza di punti in cui non passano le onde S, un’indicazione della presenza di strati allo stato liquido, come fece negli anni Trenta Lehmann.
È grazie soprattutto ai terremoti, naturali o registrati durante i grandi test atomici della Guerra Fredda, che si sono via via affinate le conoscenze su cosa abbiamo sotto i piedi. Oggi sappiamo che la densità della crosta terrestre è la metà rispetto a quella media di tutto il pianeta, e che quindi l’interno della Terra deve essere sensibilmente più denso dell’involucro esterno.
Sotto la crosta terrestre c’è il mantello che si estende fino a quasi 2.900 chilometri di profondità e ancora più sotto il nucleo fino al centro della Terra a quasi 6.400 chilometri dalla superficie.
Ogni sezione è a sua volta suddivisa in altri strati separati da delle “discontinuità”, cioè le zone dove le proprietà fisiche del materiale terrestre cambiano bruscamente. Il loro studio è molto importante per comprendere i meccanismi che hanno reso la Terra ciò che vediamo oggi, con terremoti, vulcani e il lento e incessante spostarsi delle grandi aree (“placche”) che formano la crosta. Queste in un certo senso galleggiano sul mantello, che a contatto con la crosta ha una temperatura intorno ai 100 °C mentre in prossimità del nucleo raggiunge i 4mila °C.
(Zanichelli)
Il mantello è per lo più solido e formato da rocce ricche di magnesio e ferro, ma per via della forte pressione e del calore nei lunghissimi tempi geologici si comporta come un fluido molto viscoso. Il materiale più caldo sale dalle profondità, si raffredda vicino alla superficie e poi ridiscende, creando un circolo continuo che fa muovere le placche e contribuisce a plasmare la crosta.
Tutto questo calore ha una lunga, lunghissima, storia alle spalle.
Si stima che circa la metà dell’energia termica interna alla Terra sia infatti “primordiale”, cioè il residuo dei processi turbolenti con cui si formò il nostro pianeta 4,5 miliardi di anni fa. I continui impatti di frammenti di corpi celesti, che aggregandosi portarono la Terra a formarsi, furono estremamente energetici e generarono enormi quantità di calore, che scaldarono le parti più interne del pianeta. L’altra metà dell’energia termica deriva invece dal decadimento radioattivo degli isotopi presenti nel mantello e in parte nella crosta terrestre, con ulteriore aumento della temperatura.
Il nucleo interno è una sfera con un diametro di circa 2.400 chilometri ed è la cosa più calda che ci sia sulla Terra. Si stima che raggiunga una temperatura di oltre 5.400 °C, paragonabile quindi a quella della superficie del Sole. Non disponiamo di campioni diretti di questo strato così profondo del pianeta, ma dallo studio delle caratteristiche delle onde sismiche che lo attraversano e del campo magnetico terrestre si ritiene che sia solido e che sia formato da una lega di ferro-nichel (è solido nonostante la temperatura per via dell’alta pressione a cui si trova, sotto strati e strati di altro materiale).
Lo schema mostra la relazione tra il moto di un fluido conduttore e il campo magnetico generato dal moto (via Wikimedia)
Questa sfera solida è racchiusa da un involucro di ferro liquido e altri metalli, cioè il nucleo esterno. L’interazione tra i due nuclei è ciò che probabilmente porta alla produzione del campo magnetico terrestre, che tra le altre cose ci protegge dalle emissioni solari più pericolose (“modello della geodinamo”). L’ipotesi è che il nucleo interno giri più velocemente del resto della Terra, forse alternando periodi in cui riduce la propria velocità, che aiuterebbero a spiegare le oscillazioni nel campo magnetico stesso.
Si ipotizza inoltre che il nucleo interno stia crescendo per via della progressiva riduzione della temperatura al confine con il nucleo esterno. È comunque un processo che avviene con estrema lentezza, almeno secondo le valutazioni su cui c’è finora maggiore consenso e che hanno identificato una riduzione di circa 100 °C ogni miliardo di anni. La Terra ha quindi ancora moltissima autonomia.
La maggiore disponibilità di stazioni sismiche in giro per il mondo e la maggiore sensibilità degli strumenti hanno permesso negli ultimi decenni di raccogliere molti più dati su come vibra il nostro pianeta, rivelando nuovi indizi sulla sua struttura interna che può anche aiutarci a capire come funzionano altri mondi, lontanissimi da noi. Quanto allo spingerci a grandissima profondità: probabilmente non potremo mai farlo. Non ci riuscirono del resto nemmeno i protagonisti del fantasioso mondo cavo di Viaggio al centro della Terra: riemersero sull’isola di Stromboli, ancora prigionieri della crosta terrestre. Appena un anno dopo, comunque, Verne liberò idealmente l’umanità da quel vincolo, proiettandola con un nuovo romanzo di avventure Dalla Terra alla Luna. LEGGI TUTTO