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    La Cina ha annunciato che un suo lander senza equipaggio è atterrato sul lato nascosto della Luna

    Sabato sera l’Agenzia spaziale cinese (CNSA) ha annunciato che un lander (cioè un robot costruito per compiere un atterraggio) della missione Chang’e 6 è riuscito ad atterrare sul lato nascosto della Luna, dove preleverà alcuni campioni di terreno e roccia da portare sulla Terra: se la missione verrà completata la Cina sarà il primo paese a riuscire a riportare sulla terra dei campioni della parte nascosta della Luna, cui si sa pochissimo.Si pensa che il lato nascosto possa avere una composizione chimica diversa da quella del lato meglio conosciuto, che è principalmente composto da rocce vulcaniche, e che contenga del ghiaccio: l’area non è mai visibile dalla Terra e già qualche anno fa erano state trovate tracce di ghiaccio in alcuni crateri costantemente in ombra sul lato visibile della Luna. Chang’e è il nome della dea della Luna in diverse mitologie cinesi.
    La Chang’e 6, partita dalla Terra il 3 maggio, è una delle missioni senza equipaggio più complesse e ambiziose della CNSA, a cui la Cina si preparava da molti anni: l’atterraggio sulla parte nascosta della Luna è particolarmente difficile poiché la comunicazione fra la Terra e il lander è disturbata dai profondi crateri presenti.
    Nel 2019, con la missione Chang’e 4 aveva portato sul lato nascosto della Luna un piccolo robot per studiarne la composizione del suolo e gli effetti del vento solare sulla sua superficie, ma senza riuscire a portare niente indietro. L’anno successivo la missione Chang’e 5 aveva raccolto e riportato sulla Terra dei campioni del lato visibile della Luna: la Cina era diventata così il terzo paese a riuscirci dopo gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

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    La Cina fa sul serio con la Luna

    Caricamento playerAlle 11:30 di venerdì (ora italiana) un razzo Lunga Marcia 5 lanciato dal centro spaziale di Wenchang ha portato oltre l’atmosfera terrestre la missione Chang’e 6, con l’obiettivo di raggiungere la faccia nascosta della Luna per prelevare alcuni campioni di terreno e roccia da portare sulla Terra. È una delle missioni senza equipaggio più complesse e ambiziose dell’Agenzia spaziale cinese (CNSA) e conferma il grande interesse del governo cinese per la Luna e la possibilità di esplorarla entro pochi anni con gli esseri umani, con progetti alternativi a quelli avviati dalla NASA e da altre agenzie spaziali con il programma lunare Artemis.
    Come suggerisce la cifra dopo il nome, Chang’e 6 è la sesta missione del Programma cinese per l’esplorazione lunare iniziato nel 2007 con Chang’e 1, la prima iniziativa per raggiungere l’orbita lunare. Chang’e è il nome della dea della Luna in diverse mitologie cinesi e, missione dopo missione, l’iniziativa ha permesso alla Cina di compiere grandi progressi nelle complicate attività per raggiungere il suolo lunare. L’obiettivo fu raggiunto una prima volta da Chang’e 3 nel 2013, rendendo la Cina il terzo paese nella storia a compiere un allunaggio controllato dopo gli Stati Uniti e la Russia ai tempi dell’Unione Sovietica.
    Nel 2020 la Cina era anche entrata nel ristretto gruppo di paesi ad avere raccolto campioni lunari e ad averli portati sulla Terra grazie alla missione Chang’e 5, che aveva compiuto un allunaggio nell’emisfero nord della Luna. Chang’e 6, la missione partita venerdì, farà qualcosa di analogo, ma prelevando campioni dall’emisfero sud lunare e in una zona che non è mai osservabile direttamente dalla Terra. La Luna ci mostra infatti sempre la stessa faccia, indipendentemente da dove la osserviamo, a causa della rotazione sincrona, cioè il coincidere del periodo di rotazione con quello di rivoluzione. L’osservazione e l’esplorazione dell’emisfero lunare nascosto è molto difficile: se ci si trova sulla faccia nascosta, per esempio, la Luna stessa diventa un ostacolo per comunicare con la Terra.

    La Cina era stato il primo paese a riuscire a effettuare un allunaggio controllato sulla faccia nascosta della Luna con la missione Chang’e 4 nel 2019. Molte delle conoscenze maturate con quell’esperienza saranno ora impiegate per tentare la stessa cosa con Chang’e 6, che raggiungerà un’area della superficie lunare che fa parte del bacino Polo Sud-Aitken (SPA), un gigantesco cratere creato dall’impatto di una meteora nelle vicinanze del polo sud lunare. La raccolta di campioni potrebbe consentire di portare sulla Terra frammenti del mantello, uno degli strati interni della Luna, che furono proiettati verso l’esterno al momento dell’impatto. Il loro studio potrebbe consentire di approfondire le conoscenze sulla storia geologica del nostro satellite naturale, sul quale sappiamo ancora relativamente poco.
    La faccia nascosta della Luna: la grande macchia scura nell’emisfero meridionale è il bacino Polo Sud-Aitken (NASA/Goddard Space Flight Center)
    Dopo avere raggiunto la Luna, un lander (cioè un robot sviluppato per compiere un atterraggio) si staccherà da una sonda che rimarrà in orbita intorno al pianeta e inizierà la propria discesa verso il suolo lunare, effettuando buona parte delle manovre con sistemi di controllo automatici. Raggiunta la superficie, utilizzerà un braccio robotico e una piccola trivella per raggiungere i due metri di profondità, dove preleverà alcuni campioni che saranno poi inseriti in una capsula. Questa sarà inserita in un modulo di risalita, che utilizzerà il resto del lander come una sorta di mini rampa di lancio per tornare in orbita e ricollegarsi alla sonda dalla quale si era staccato in precedenza. La capsula sarà poi trasferita in un modulo di servizio che inizierà un viaggio verso la Terra, che terminerà nelle pianure della Mongolia Interna, la regione autonoma nella parte settentrionale della Cina.

    Salvo cambiamenti di programma la missione durerà 53 giorni e consentirà di portare sul nostro pianeta fino a 2 chilogrammi di rocce lunari. I responsabili dell’Agenzia spaziale cinese si sono impegnati a condividere i campioni con il resto della comunità scientifica, come del resto avevano già fatto con le rocce prelevate da Chang’e 4, ma alcuni paesi come gli Stati Uniti mantengono molte cautele e hanno qualche dubbio sulle effettive intenzioni della Cina per quanto riguarda la Luna.
    All’inizio dello scorso anno l’amministratore delegato della NASA, Bill Nelson, aveva detto che con le nuove missioni lunari della Cina era di fatto iniziata una nuova “corsa allo Spazio”, dopo quella tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Nelson aveva anche espresso la necessità di non riporre troppa fiducia nelle dichiarazioni del governo cinese: «Ed è vero che è meglio stare attenti che [la Cina] non raggiunga un posto sulla Luna con il pretesto della ricerca scientifica. Non è impensabile che poi dicano: “State lontani, siamo qui, questo è il nostro territorio”».
    Parte della diffidenza deriva anche dall’iniziativa avviata da CNSA e Roscosmos, cioè l’agenzia spaziale russa, per costruire in futuro una “Stazione di ricerca lunare internazionale” (ILRS) con missioni di lunga permanenza da parte dei cosmonauti russi e dei taikonauti cinesi. Cina e Russia hanno detto in più occasioni che il progetto è aperto a tutti i paesi interessati, ma per ora le adesioni hanno riguardato per lo più paesi della loro area di influenza come Azerbaigian e Bielorussia, o paesi che raramente collaborano con le agenzie spaziali occidentali come Venezuela, Thailandia, Turchia, Egitto e Pakistan.
    I piani non sono ancora completamente chiari e la Cina sembra avere maggiore interesse, e soprattutto maggiori risorse, rispetto alla Russia. La prima fase di perlustrazione è comunque già in corso con le missioni come Chang’e 6, mentre sarà necessario attendere un paio di anni prima che inizino a essere sperimentati moduli e sistemi in vista della costruzione di una base orbitale o sulla superficie della Luna. Il governo cinese vorrebbe comunque raggiungere la Luna con un proprio equipaggio entro il 2030, anche se diversi osservatori ritengono l’obiettivo troppo vicino nel tempo. L’Agenzia spaziale cinese ha fatto comunque grandi progressi in pochi anni, per esempio costruendo una propria stazione spaziale in orbita intorno alla Terra, occupata in modo continuativo da equipaggi di tre persone.

    I successi delle missioni spaziali sono sfruttati dalla propaganda per promuovere i progressi tecnologici raggiunti dalla ricerca e dall’industria cinese, oltre che per mostrare i risultati ottenuti dal presidente Xi Jinping. Negli ultimi anni il settore aerospaziale cinese si è ampliato in modo significativo, con l’emergere di numerose aziende private che ricevono grandi finanziamenti da parte del governo, che mantiene uno stretto controllo sulle loro attività.
    Dei 211 lanci orbitali di successo effettuati nel 2023, 109 sono stati effettuati dagli Stati Uniti, che mantengono un alto ritmo soprattutto grazie a SpaceX nel pieno dell’espansione del proprio servizio Starlink per Internet via satellite, e 66 dalla Cina, il secondo paese ad avere effettuato più missioni spaziali. In meno di cinque anni la Cina ha raddoppiato la quantità di lanci orbitali e ha aumentato sensibilmente le attività oltre l’orbita bassa terrestre, con le missioni verso la Luna.
    Nei prossimi anni la competizione tra Cina e Stati Uniti in ambito spaziale diventerà più serrata e una parte importante del confronto si svolgerà proprio intorno alla Luna. La NASA progetta di effettuare un allunaggio con astronaute e astronauti non prima di settembre 2026 nell’ambito del programma Artemis, dopo avere rivisto sensibilmente le proprie previsioni iniziali che a causa dei ritardi accumulati si erano rivelate troppo ottimistiche. I rinvii di Artemis potrebbero favorire le intenzioni lunari della Cina, interessata non solo ai progressi scientifici derivanti da un’impresa di quel tipo, ma anche a quelli commerciali e politici per dimostrare le proprie capacità tecnologiche che potrebbero anche essere sfruttate a scopi militari. LEGGI TUTTO

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    Dobbiamo decidere che ora è sulla Luna

    Una delle cose che bisogna fare per procedere con il programma spaziale Artemis, pensato per riportare gli esseri umani sulla Luna, è stabilire che ora è sul nostro satellite naturale. È una questione più complicata di quanto possa sembrare e la NASA, l’Agenzia spaziale europea (ESA) e altre agenzie spaziali internazionali ci stanno lavorando da tempo. Sui giornali se ne riparla in questi giorni perché il 2 aprile il governo statunitense ha diffuso una circolare che riassume le ragioni per cui serve decidere un orario lunare standard entro la fine del 2026, indirizzata alla NASA stessa e a tutte le altre agenzie federali coinvolte.Sulla Luna la forza di gravità è inferiore a quella della Terra perché la Luna ha una massa inferiore a quella del nostro pianeta. La Teoria generale della relatività, formulata da Albert Einstein nel 1915, mette in relazione gravità, spazio e tempo, e comporta che il tempo misurato da due orologi scorre diversamente se sperimentano una attrazione gravitazionale diversa come quella della Terra e della Luna. Per un osservatore sul nostro pianeta, un orologio lunare va più veloce per via della differenza di gravità.
    Più specificamente un orologio sulla Luna inizialmente sincronizzato con uno sulla Terra sarebbe avanti di circa 56 microsecondi (cioè di 56 milionesimi di secondo) dopo 24 ore, di 112 dopo 48 ore e così via. Per la vita quotidiana sulla Terra durate nell’ordine dei microsecondi sono piuttosto trascurabili, ma si tratta di differenze che possono dare problemi quando bisogna programmare lanci di astronavi, allunaggi e orbite satellitari tra agenzie spaziali di 36 paesi diversi e aziende private. Sono tutte attività che necessitano estrema precisione.
    Per le missioni Apollo, che portarono esseri umani sulla Luna tra il 1969 e il 1972, la NASA utilizzò come indicazione temporale il fuso orario centrale degli Stati Uniti, perché l’agenzia spaziale aveva il proprio centro di controllo a Houston, in Texas. Ma si servì contemporaneamente anche del tempo trascorso dal lancio (mission elapsed time, abbreviato con MET) per evitare fraintendimenti con gli astronauti.
    Il programma Artemis però ha ambizioni maggiori rispetto alle missioni Apollo, tra cui la realizzazione di Gateway, una piccola base orbitale che sarà assemblata intorno alla Luna, e quella di un’eventuale base sul suolo lunare, e, sul lungo periodo, le basi per future missioni verso Marte. La misura del tempo serve per trasmettere informazioni sulle localizzazioni di oggetti in movimento, che nel caso di Artemis coinvolgeranno altre agenzie spaziali e aziende oltre alla NASA, e per tutte queste ragioni è necessario fissare un orario lunare standard di cui si tenga conto nelle comunicazioni tra Terra, satelliti, basi lunari e astronauti.
    Per stabilire questo orario, il “tempo coordinato lunare” (LTC), ci sono vari aspetti da tenere in considerazione, menzionati anche nella circolare del governo statunitense.
    Uno è che l’orario lunare dovrà essere riconducibile al tempo coordinato universale (UTC), il fuso orario usato come riferimento globale per la Terra, quello che fa da punto di partenza per calcolare tutti gli altri – ad esempio attualmente in Italia siamo nel fuso orario formalmente indicato come UTC+2, due ore avanti rispetto allo UTC. A certificare l’ora esatta nello UTC è l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU), una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite, grazie a una rete di orologi atomici, dispositivi estremamente precisi che sfruttano i livelli di energia (orbitali) degli elettroni all’interno degli atomi per calcolare il tempo con un margine di errore molto basso.
    Per decidere il tempo coordinato lunare la NASA, l’ESA e le altre agenzie spaziali coinvolte nel programma Artemis stanno considerando l’ipotesi di installare degli orologi atomici in punti diversi della Luna. Ne servirebbero almeno tre per ottenere una misura del tempo precisa che tenga conto di tutti gli effetti relativistici, dovuti principalmente alla gravitazione.
    Attualmente l’ora esatta dello UTC viene periodicamente trasmessa dalla Terra ai satelliti e alle sonde nello Spazio, in modo che siano sincronizzati con il fuso orario di riferimento. Avere degli strumenti che misurino il tempo in maniera affidabile e in autonomia direttamente sulla Luna ridurrebbe sensibilmente la necessità di sincronizzare di continuo l’orario dalla Terra, un’attività che richiede antenne terrestri potenti e un costante lavoro di aggiornamento, dunque un grande dispendio di energia per la trasmissione dei dati.
    Secondo i piani della NASA più aggiornati il primo allunaggio umano di Artemis avverrà nel settembre del 2026, mentre nel settembre del 2025 partirà una missione che porterà in orbita attorno alla Luna e poi di nuovo sulla Terra senza mettere piede sul satellite quattro astronauti. Anche la Cina progetta di portare delle persone sulla Luna: entro il 2030. L’India vorrebbe farlo entro il 2040.
    Come dice la recente circolare del governo statunitense, per definire il tempo coordinato lunare serviranno degli accordi internazionali tra i paesi coinvolti all’interno di Artemis (la Cina, così come la Russia, non lo è), e gli enti che già oggi si occupano degli standard di misura.

    – Approfondisci: Che ora è sulla Luna? LEGGI TUTTO

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    Il lander Odysseus è caduto su un lato

    Il lander Odysseus, che ha raggiunto il suolo della Luna venerdì ed è il primo veicolo spaziale degli Stati Uniti a compiere un allunaggio controllato dai tempi delle missioni Apollo, è con ogni probabilità caduto su un fianco. Lo ha fatto sapere Intuitive Machines, la società privata che l’ha costruito e che collabora con la NASA alla missione.Il lander è ancora funzionante, ma anziché appoggiarsi sulla sua base composta da sei “zampe”, come previsto originariamente, durante la fase di contatto con il suolo lunare non è riuscito a stabilizzarsi completamente ed è caduto su un lato: molto probabilmente la sommità del lander è appoggiata a una roccia, e il lander è sdraiato.
    Nonostante questo dovrebbe essere in grado di proseguire parte della sua missione, che comporta analisi ed esperimenti da fare per conto della NASA. Ci sono però degli ostacoli. Ora che Odysseus è sdraiato su un fianco, le sue antenne non puntano direttamente alla Terra, cosa che potrebbe limitare il flusso di comunicazioni. Intuitive Machines ha detto di aver ricevuto comunicazioni da Odysseus, ma che il lander non ha ancora cominciato a fare fotografie del suolo lunare, come avrebbe dovuto fare.
    In conferenza stampa Stephen Altemus, l’amministratore delegato di Intuitive Machines, ha detto che ci sono buone speranze che Odysseus riesca a portare avanti i suoi esperimenti perché il grosso delle strumentazioni scientifiche si trova nella parte del lander che è rivolta verso l’alto e non al suolo, cosa che potrebbe comunque consentirne l’utilizzo. «Abbiamo ancora abbastanza capacità operative anche se siamo caduti su un fianco», ha detto Altemus.
    (NASA via AP)
    Odysseus fa parte della classe di veicoli Nova-C sviluppati sempre da Intuitive Machine, e ha l’aspetto di un grande prisma a base esagonale sorretto da sei “zampe”. Ha una massa di quasi 2 tonnellate e un diametro di 2 metri, e raggiunge un’altezza di circa 3 metri. L’attuale missione, denominata IM-1, è per lo più dimostrativa e serve per verificare le capacità di allunaggio automatico del sistema e per trasportare alcuni esperimenti e altro materiale sulla Luna.
    IM-1 fa parte del Commercial Lunar Payload Services (CLPS), il programma avviato dalla NASA per inviare sulla Luna piccoli robot automatici per esplorarne il suolo, raccogliere dati sulle sue caratteristiche e prepararsi meglio alle future esplorazioni con esseri umani del programma lunare Artemis.
    A differenza di quanto avveniva un tempo, l’iniziativa prevede un forte coinvolgimento di aziende private, che hanno la diretta responsabilità sull’organizzazione della missione e che la finanziano attraverso contratti di appalto con la NASA e accordi con altre aziende e organizzazioni, interessate a trasportare sulla Luna robot, sensori, oggetti e persino le ceneri di persone che in vita avevano espresso il desiderio di essere sepolte tra i crateri lunari. LEGGI TUTTO

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    Il lander statunitense Nova-C Odysseus è partito verso la Luna

    Giovedì mattina da una base NASA in Florida è stato lanciato verso la Luna il lander Nova-C soprannominato Odysseus: l’obiettivo della missione è quello di raggiungere la superficie della Luna giovedì 22 febbraio. Se riuscirà sarà il primo allunaggio fatto con mezzi statunitensi dopo quello della missione Apollo 17 del 1972. Non sarebbe solo il primo allunaggio controllato da allora (ossia fatto senza schianti), ma anche il primo nella storia fatto con un mezzo privato: il lander è stato costruito dalla società aerospaziale Intuitive Machines, che ha anche dato il nome alla missione, IM-1. Per il decollo è stato usato un razzo Falcon 9, della compagnia SpaceX di Elon Musk.[embedded content] LEGGI TUTTO

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    Perché la NASA ha rinviato i suoi piani per la Luna

    Caricamento playerLa NASA ha rinviato di almeno un anno il programma lunare Artemis, che nei progetti dell’agenzia spaziale statunitense dovrà riportare gli astronauti sulla Luna dopo le missioni Apollo di oltre 50 anni fa. Il rinvio era stato previsto da tempo da numerosi esperti e analisti considerati i ritardi in quasi tutti i settori del progetto, ma fino a ieri la NASA aveva mantenuto ufficialmente il calendario fissato anni fa e che prevedeva il primo viaggio intorno alla Luna di un equipaggio entro la fine di quest’anno. Il rinvio conferma le numerose difficoltà intorno ad Artemis, con ricadute non solo per la NASA, ma per le decine di aziende private e agenzie spaziali in giro per il mondo che collaborano al progetto, compresa l’Agenzia spaziale europea (ESA).
    A oggi il programma lunare avviato sette anni fa, sulla scia di precedenti iniziative, ha portato a termine una sola missione senza equipaggio: Artemis 1, un volo dimostrativo che nel novembre del 2022 aveva permesso di verificare il funzionamento del potente razzo SLS (Space Launch System) e di Orion, la capsula all’interno della quale viaggeranno un giorno gli astronauti diretti verso il nostro satellite naturale. Quella missione, arrivata dopo numerosi ritardi e rinvii a causa di problemi tecnici, era stata un successo, ma aveva comunque messo in evidenza numerosi problemi che secondo la NASA non potranno essere risolti entro la fine dell’anno, come inizialmente auspicato.
    Nel corso di una conferenza stampa organizzata martedì 9 gennaio, l’amministratore associato della NASA Jim Free ha pronunciato una frase che molti osservatori, non necessariamente i più critici, attendevano da tempo: «Dobbiamo essere realistici». Free ha ammesso che molti dettagli di Artemis devono essere ancora chiariti, ma soprattutto che alcune tecnologie non sono pronte per permettere al programma lunare di essere realizzato secondo i piani. Il progetto è del resto molto ambizioso e al tempo stesso complicato, se confrontato con il programma Apollo che per la prima volta portò gli astronauti sulla Luna.
    A differenza di come andarono le cose negli anni Sessanta, la NASA ha previsto per Artemis un forte coinvolgimento delle aziende private, affidando loro in appalto la gestione di numerose attività sulle quali sono richieste più autonomie rispetto al passato. La società spaziale SpaceX di Elon Musk, per esempio, ha ricevuto l’incarico di sviluppare un sistema per trasportare gli astronauti dall’orbita lunare al suolo della Luna, attraverso la sua nuova grande astronave Starship. Il veicolo spaziale è però ancora in fase di test, ha condotto due soli lanci e non ha mai compiuto nemmeno un’orbita intorno alla Terra. Musk sostiene che nei prossimi mesi ci sarà una rapida accelerazione nei test e nei progressi, ma servirà del tempo prima che Starship raggiunga i requisiti della NASA per essere certificata per il trasporto di esseri umani.
    Starship sulla rampa di lancio a Boca Chica in Texas (SpaceX)
    Artemis 2 non prevede l’utilizzo di Starship, perché l’equipaggio a bordo non compirà un allunaggio; nello sviluppo dei suoi sistemi sono comunque emersi problemi legati soprattutto a Orion. L’analisi della capsula dopo Artemis 1 aveva fatto riscontrare alcuni problemi allo scudo termico, la parte che la protegge durante il rientro nell’atmosfera in cui si sviluppano temperature molto alte, fino a 2.700 °C. Lo scudo in alcuni punti si è sfaldato, rimanendo ampiamente nei margini di sicurezza, ma in modo sufficiente da far staccare alcuni frammenti: la NASA vuole capire se questi avrebbero potuto colpire altre parti di Orion, costituendo un rischio per le missioni in cui ci sarà un equipaggio a bordo, a partire proprio da Artemis 2.
    Le analisi avevano inoltre messo in evidenza un altro problema legato al sistema di abbandono del lancio, fondamentale nel caso di un malfunzionamento del grande razzo SLS che spinge Orion oltre l’atmosfera terrestre e lo indirizza poi verso la Luna. La capsula è collocata in cima a SLS e c’è la possibilità di accendere alcuni razzi, molto più piccoli, per staccarsi dal lanciatore in poche frazioni di secondo se questo non dovesse funzionare come previsto. Le simulazioni e i test sul sistema di abbandono del lancio avevano dato i risultati attesi, ma era emerso un danneggiamento di alcune batterie della capsula, che potrebbe costituire un rischio per chi è a bordo e che devono quindi essere sistemate.
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    Altri problemi sempre legati a Orion sono emersi nella preparazione delle prossime missioni di Artemis, in particolare a causa di un errore di progettazione di un circuito che gestisce il funzionamento di alcune valvole all’interno della capsula impiegate tra le altre cose per ridurre i livelli di anidride carbonica al suo interno, mantenendo l’aria respirabile per l’equipaggio. I tecnici hanno dovuto smontare il modello di Orion realizzato per Artemis 2, in modo da poter sostituire i componenti difettosi. Questi lavori secondo le informazioni fornite dalla NASA sono stati una delle principali cause del rinvio.
    Il lancio di Artemis 2 era infatti previsto per settembre di quest’anno, ma si è deciso di rinviarlo a settembre 2025. Il rinvio fa sì che tutte le altre missioni di Artemis scalino di almeno un anno, con Artemis 3 – la prima missione con un allunaggio – che non avverrà prima di settembre 2026. L’amministratore della NASA, Bill Nelson, ha motivato in modo piuttosto perentorio, ripetendo un concetto che usa spesso quando si verifica qualche imprevisto nella programmazione delle missioni con equipaggi: «Non voliamo finché tutto non è pronto. La sicurezza è fondamentale».
    Artemis 2 prevede che a bordo di Orion ci siano quattro astronauti che dopo il lancio rimarranno in orbita intorno alla Terra per 24 ore, in modo da condurre vari test sulla capsula. Dopodiché inizierà il viaggio verso la Luna, ma senza che Orion entri in orbita intorno al satellite: lo supererà, sorvolerà la parte della Luna non osservabile dalla Terra a circa 7.400 chilometri di distanza e poi tornerà verso il nostro pianeta. La missione servirà per verificare buona parte delle strumentazioni, fatta eccezione per tutto ciò che sarà necessario per l’allunaggio, a cominciare da Starship.
    (CSA)
    La grande astronave di SpaceX servirà infatti per Artemis 3, una missione molto più complessa. Nei piani della NASA, Starship dovrà raggiungere autonomamente l’orbita lunare e attendere l’arrivo di Orion con quattro astronauti a bordo. I veicoli spaziali si uniranno, rendendo possibile il passaggio di due membri dell’equipaggio, una donna e un uomo, da Orion a Starship, che effettuerà poi le manovre per compiere l’allunaggio. Dopo avere trascorso alcune ore sulla superficie lunare, i due astronauti torneranno in orbita sempre con Starship e rientreranno su Orion, raggiungendo i due colleghi che li avevano attesi nel frattempo. L’equipaggio riunito potrà quindi tornare verso la Terra e concludere la missione.
    (NASA)
    Annunciando il rinvio, la NASA ha elencato le molte difficoltà ancora da superare per poter realizzare Artemis 3. La prima e più evidente è la mancanza a oggi di un sistema per effettuare l’allunaggio: Starship non ha mai raggiunto nemmeno l’orbita terrestre ed è ancora molto lontana dall’essere testata per il suo impiego con equipaggi, così come devono essere ancora sperimentati i sistemi di attracco tra Orion e l’astronave di SpaceX, essenziali per permettere ai due astronauti di effettuare l’allunaggio.
    C’è poi un dettaglio che preoccupa più di tutto molti esperti: dopo il lancio, Starship dovrà essere in grado di ricevere rifornimenti in orbita intorno alla Terra prima di poter iniziare il proprio viaggio verso la Luna. Il rifornimento di combustibile in orbita non è stato mai sperimentato e implica l’impiego di altre astronavi per poterlo fare. La procedura pone ulteriori difficoltà tecniche, senza contare che saranno necessari più rifornimenti per Starship per le missioni lunari.
    Ipotesi del sistema di rifornimento orbitale per Starship, in un’elaborazione grafica (SpaceX)
    In futuro la NASA sfrutterà altri sistemi per l’allunaggio commissionati ad altre aziende, ma in molti da anni si chiedono l’utilità di un sistema così complicato per Artemis, soprattutto se confrontato con quello del programma Apollo. Le missioni che portarono i primi astronauti sulla Luna utilizzavano un sistema relativamente più semplice, con il modulo per l’allunaggio (LEM) che viaggiava insieme all’equipaggio già dalla Terra e progettato insieme agli altri sistemi per il trasporto degli astronauti. Quella soluzione aveva però il difetto di limitare la quantità di materiale trasportabile, un problema che la NASA ha cercato di superare anche nell’ottica di costruire Gateway, una piccola base orbitale che sarà assemblata intorno alla Luna.
    Artemis ha avuto inoltre una genesi alquanto travagliata. Ufficialmente il programma lunare fu avviato alla fine del 2017, quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, chiese alla NASA di tornare a esplorare la Luna con astronauti il prima possibile. Il suo predecessore, Barack Obama, aveva invece deciso che la NASA si dovesse concentrare sulle esplorazioni con equipaggi di destinazioni molto più remote come Marte. SLS e Orion erano già in fase di sviluppo da tempo e con enormi ritardi: in un certo senso fu cambiata la loro destinazione d’uso.
    I piani iniziali di Artemis prevedevano che il primo allunaggio non sarebbe stato effettuato prima del 2028, cosa che però non piaceva all’amministrazione Trump. Nel 2019 il vicepresidente Mike Pence, che aveva le deleghe sulle attività spaziali, annunciò che sarebbe stata necessaria un’accelerazione dei progetti e tra lo stupore di molti disse che l’allunaggio si sarebbe verificato entro la fine del 2024. Trump all’epoca confidava di ottenere un secondo mandato e vedeva in Artemis la possibilità di terminare la propria presidenza con un grande evento.
    Pence disse che del resto tra il famoso discorso del presidente John F. Kennedy con l’annuncio di portare i primi astronauti sulla Luna e il primo allunaggio erano passati appena otto anni, di conseguenza si poteva ottenere un risultato simile se non migliore con Artemis. All’epoca però la NASA aveva ricevuto per anni finanziamenti enormi, incomparabili con quelli degli ultimi anni destinati all’agenzia. Poco tempo dopo gli annunci di Pence si concretizzarono i problemi previsti da numerosi osservatori, sulla base di come erano andate fino ad allora le cose con i grandi ritardi legati a SLS e Orion.
    Artemis 1 nei piani iniziali sarebbe dovuta avvenire alla fine del 2020, ma nella realtà dei fatti la missione fu pronta per partire solo a novembre del 2022, quando ormai Trump non era più presidente e al suo posto c’era Joe Biden. Artemis 1 fu comunque un successo e ciò convinse la nuova presidenza a mantenere i piani, anche perché ormai la NASA aveva stretto una grande quantità di contratti e avviato anche un piano di intenti internazionale, sottoscritto da numerose agenzie spaziali.
    La capsula da trasporto Orion della missione lunare Artemis 1 e sullo sfondo la Luna e la Terra, osservate da una delle telecamere del veicolo spaziale nel corso delle attività orbitali intorno al nostro satellite naturale. L’immagine è stata realizzata a fine novembre 2022 (NASA)
    Considerati i precedenti ritardi, anche le nuove date annunciate martedì dalla NASA sembrano difficili da rispettare, come hanno fatto notare alcuni giornalisti nel corso della conferenza stampa. Free ha risposto alle obiezioni ricordando che le società che lavorano in appalto per Artemis hanno concordato sulla definizione delle nuove scadenze: «Da come la vedo io, le persone coinvolte nell’industria spaziale sono qui per dirci che sono d’accordo. Per quanto riguarda il governo abbiamo firmato contratti che ci impegnano per quelle date, sulla base dei dettagli tecnici che ci hanno fornito, e che hanno valutato i nostri gruppi di tecnici».
    Il forte coinvolgimento delle aziende private non riguarda solamente le missioni con astronauti, ma anche la possibilità di raggiungere e trasportare sulla Luna materiale come robot e strumentazioni. La NASA vuole creare un ecosistema in cui i privati sono incentivati a essere il più autonomi possibile, riducendo in questo modo i costi per l’agenzia spaziale che potrà poi fruire dei loro servizi. Tra i progetti più importanti in tal senso c’è il Commercial Lunar Payload Services (CLPS) che ha di recente portato a Peregrine, una missione lunare privata gestita dalla società Astrobotic per portare sulla Luna strumentazioni di vario tipo, compresi alcuni sistemi per esperimenti scientifici della NASA. Dopo il lancio, la missione ha però avuto problemi tecnici e non sarà in grado di compiere un allunaggio.
    I progetti come CLPS consentono di accelerare i tempi delle missioni, ma come dimostra Peregrine non offrono le garanzie che di solito danno le iniziative gestite direttamente dalla NASA. I responsabili dell’agenzia ne sono consapevoli e dicono che i maggiori rischi sono comunque compensati dalla possibilità di avviare più di frequente nuove missioni verso la Luna. Le esplorazioni lunari sono del resto considerate essenziali sia per sperimentare soluzioni che un giorno potranno essere impiegate su destinazioni ancora più ambiziose, come Marte, sia per lo sfruttamento delle risorse lunari o per la produzione di nuovi materiali, sfruttando le diverse condizioni di gravità rispetto alla Terra. Prima, però, sulla Luna dobbiamo tornarci. LEGGI TUTTO

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    Il business delle sepolture sulla Luna

    Da lunedì 8 gennaio le ceneri di oltre 80 persone sono nello Spazio, trasportate dalla missione spaziale privata statunitense Peregrine. Avrebbero dovuto essere portate sulla Luna, dove sarebbero poi rimaste per sempre, ma a causa di un problema ai sistemi del veicolo spaziale non succederà: martedì sera Astrobotic, l’azienda che aveva organizzato la missione, ha detto che ci sono «zero possibilità» che Peregrine atterri sulla luna. Familiari e amici delle persone defunte erano preparati a un eventuale fallimento della missione, che nei mesi scorsi aveva suscitato qualche polemica e protesta da parte dei nativi americani della Nazione Navajo, una riserva nel sud degli Stati Uniti, per i quali la Luna è un luogo sacro che non può essere trasformato in un cimitero.Le società che organizzano queste missioni la pensano diversamente: per loro le sepolture sono un importante opportunità di affari, con prezzi intorno ai 13mila dollari per ogni partecipante.
    Peregrine era partita nella notte tra domenica 7 e lunedì 8 gennaio (in Italia era la mattina di lunedì) da Cape Canaveral in Florida, spinta da un nuovo razzo Vulcan della joint venture United Launch Alliance, al proprio volo inaugurale. Il lancio, considerato una delle parti più critiche della missione visto che Vulcan non era mai stato utilizzato prima, era andato come previsto e aveva permesso di collocare Peregrine nella giusta orbita per raggiungere la Luna. Nelle ore seguenti, però, Astrobotic aveva segnalato alcuni problemi nei sistemi per mantenere il veicolo spaziale stabile e nella giusta traiettoria verso la Luna, che avrebbe dovuto raggiungere a fine febbraio.
    Inizialmente sembrava che ci fossero margini per sistemare le cose, ma ulteriori analisi avevano portato all’identificazione di un malfunzionamento nel sistema di propulsione tale da compromettere l’arrivo sulla Luna. Martedì mattina Astrobotic ha confermato l’impossibilità di compiere un allunaggio, ma ha detto di essere comunque al lavoro per raccogliere quanti più dati possibile e cercare di fare avvicinare Peregrine alla Luna, prima di perderne il controllo.
    Peregrine era nata nell’ambito del Commercial Lunar Payload Services (CLPS), il programma avviato dalla NASA per inviare sulla Luna piccoli robot automatici per esplorarne il suolo, raccogliere dati sulle sue caratteristiche e prepararsi meglio alle future esplorazioni con esseri umani del programma lunare Artemis. A differenza di quanto avveniva un tempo, l’iniziativa prevede un forte coinvolgimento di aziende private, che hanno la diretta responsabilità sull’organizzazione della missione e che la finanziano attraverso contratti di appalto con la NASA e accordi con altre aziende e organizzazioni, interessate a trasportare sulla Luna robot, sensori, oggetti o, appunto, le ceneri di persone che in vita avevano espresso il desiderio di essere sepolte tra i crateri lunari.
    Il lander Peregrine nelle ultime fasi di preparazione prima dell’inserimento nel razzo per il lancio (Astrobotic)
    L’idea di avere una sepoltura spaziale non è nuova, anzi, è più longeva dell’era dell’esplorazione spaziale stessa, iniziata una settantina di anni fa. Tra i primi a immaginarla ci fu lo scrittore di fantascienza statunitense Neil Ronald Jones, che nel 1931 pubblicò il racconto The Jameson Satellite sull’ultimo essere umano sopravvissuto grazie a una capsula che lo aveva perfettamente conservato per 40 milioni di anni, in giro per lo Spazio.
    Si sarebbero però dovuti attendere più di sessant’anni prima che fosse effettuata una prima sepoltura spaziale, per quanto simbolica. Nel 1992 sullo Space Shuttle Columbia della NASA c’era un piccolo campione delle ceneri di Gene Roddenberry, diventato famoso per essere stato l’ideatore della serie televisiva Star Trek. Le ceneri furono riportate sulla Terra alla fine della missione, quindi formalmente il progetto servì più che altro per portare idealmente Roddenberry nello Spazio, l’ambiente che più aveva raccontato tramite la sua serie di fantascienza (oltre a essere una buona occasione per la NASA per farsi un po’ di pubblicità, risvegliando un certo interesse ormai sopito intorno alle missioni degli Shuttle).
    Le ceneri di Roddenberry tornarono nello Spazio cinque anni dopo, quando la società Celestis organizzò la prima sepoltura spaziale vera e propria, trasportando in orbita i campioni di 24 persone cremate. Per circa un mese, le ceneri orbitarono all’interno di una capsula intorno alla Terra, ma persero man mano quota fino a quando rientrarono nell’atmosfera finendo a nord-est dell’Australia.
    Il successo dell’iniziativa e l’interesse dimostrato da molte altre persone desiderose di avere le proprie ceneri nello Spazio portò Celestis ad ampliare le attività e a organizzare altri trasporti di campioni oltre l’atmosfera terrestre. Alla fine degli anni Novanta la NASA incaricò Celestis di organizzare qualcosa di diverso: portare le ceneri di una persona sulla Luna. Non una persona qualsiasi, ma Eugene Merle Shoemaker, geologo statunitense famoso per i suoi studi sugli impatti tra corpi celesti (identificò per tempo il grandioso impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove), morto nel 1997 in un incidente stradale in Australia, dove stava studiando un cratere.
    Due anni dopo un campione delle sue ceneri raggiunse la Luna a bordo di Lunar Prospector, una sonda della NASA per lo studio del campo magnetico e del campo gravitazionale lunare, fatta appositamente schiantare in un cratere alla fine della sua missione. Il 31 luglio 1999, a poco più di 30 anni dal primo allunaggio con gli astronauti dell’Apollo 11, Shoemaker divenne l’unico essere umano le cui ceneri erano state sepolte su un corpo celeste diverso dalla Terra. Il primato sarebbe dovuto cadere il prossimo febbraio, con l’arrivo dei campioni delle ceneri delle 66 persone gestite da Celestis e trasportate da Peregrine, ma il fallimento della missione rende improbabile questa circostanza (a bordo ci sono inoltre le ceneri di una ventina di altre persone gestite da Elysium Space, un’altra società specializzata in sepolture spaziali).
    Celestis offre diversi pacchetti e opzioni per portare oltre l’atmosfera terrestre le ceneri di qualcuno e negli anni ha ampliato la propria offerta commerciale, rispondendo a una domanda crescente per i suoi servizi. La società prenota dalle aziende spaziali un piccolo spazio sui loro razzi come “carico secondario”, rispetto a quello “primario” che può essere un satellite o una sonda. I carichi secondari sono un’importante opportunità per i centri di ricerca e alcune aziende per trasportare qualcosa nello Spazio, per effettuare test ed esperimenti di vario tipo, ma negli ultimi anni sono diventati anche una risorsa per le società che promettono di portare qualcosa (oggetti, piccole opere d’arte o appunto le ceneri di qualcuno) oltre l’atmosfera terrestre come iniziativa simbolica.
    Le capsule utilizzate da Celestis per il trasporto nello Spazio dei campioni di ceneri (Celestis)
    Un carico secondario deve avere una massa contenuta (ogni grammo conta quando si deve usare un sacco di energia per portare qualcosa nello Spazio), di conseguenza Celestis non porta tutte le ceneri derivanti dalla cremazione di una persona, ma solamente un piccolo campione che viene conservato in una capsula grande più o meno quanto una batteria stilo (AA). Sulla capsula vengono incisi nome e cognome della persona defunta e una frase per ricordarla.
    L’opportunità è sia rivolta alle persone direttamente interessate, che prima di morire si premurano di esprimere la loro volontà e firmano un contratto con Celestis, sia ai familiari e agli amici che decidono di mantenere un ricordo particolare della persona che hanno perso. Le tariffe variano molto a seconda dell’esperienza: per un semplice rapido passaggio nell’ambiente spaziale prima di tornare sulla Terra si spendono circa 3mila dollari, per un lancio in orbita si arriva a 5mila, mentre per una sepoltura sulla Luna o alla deriva nello Spazio si spendono circa 13mila dollari. La possibilità di farlo è inoltre vincolata alle leggi sul modo in cui possono essere conservate e disperse le ceneri, che variano molto a seconda dei paesi. Altre opzioni prevedono di poter inviare nello Spazio un proprio campione di DNA, cosa che può anche essere fatta in vita attraverso un prelievo di saliva che viene poi analizzata per sequenziarne il materiale genetico.
    Il maggiore coinvolgimento dei privati nelle attività verso la Luna, favorito sia dai piani della NASA sia in generale da una riduzione nei costi di lancio dalla Terra, ha fatto sì che aumentasse l’interesse per le sepolture spaziali in un contesto dove ci sono pochissime regole.
    Molte delle cose che si possono o non si possono fare oltre l’atmosfera terrestre sono regolate dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico (Outer Space Treaty), un documento internazionale sottoscritto da diversi paesi a partire dal 1967 dove si sancisce che l’uso dello Spazio è aperto a tutti, con qualche limitazione. Il trattato dice chiaramente che non si possono collocare armi atomiche e di distruzione di massa nello Spazio e che non si può nemmeno reclamare la sovranità su un territorio di un altro corpo celeste. Viene anche chiesto ai sottoscrittori di non causare contaminazioni che siano dannose per la Luna e i pianeti del sistema solare, specialmente nell’ottica di identificare eventuali tracce di vita riducendo il rischio che siano gli umani stessi a portarle dalla Terra.
    Sulle sepolture spaziali non ci sono indicazioni e il modo in cui sono state gestite finora rientra nei criteri del trattato, almeno secondo la maggior parte degli esperti. Celestis come le altre società del settore può quindi portare nello Spazio le ceneri, che del resto sono inerti e non possono comportare particolari contaminazioni. Ma su questo aspetto non tutti sono d’accordo e tra chi protesta da più tempo ci sono i rappresentanti della Nazione Navajo – la riserva indigena tra Arizona, Nuovo Messico e Utah – per i quali la Luna è sacra e non può diventare un luogo di sepoltura.
    La Luna vista da uno dei territori della Nazione Navajo (David McNew/Getty Images)
    Già alla fine degli anni Novanta quando era stata annunciata la sepoltura lunare di Shoemaker l’allora presidente della Nazione Navajo, Albert Hale, protestò con la NASA per la scelta di lasciare i resti di un essere umano in un luogo dalla valenza sacra per molte persone. All’epoca l’agenzia spaziale statunitense ammise che forse avrebbe potuto consultare più estesamente i membri di quella comunità, prima di procedere con l’iniziativa, e si impegnò a farlo nel caso in cui ci fossero state altre sepolture sulla Luna.
    Quella consultazione, hanno segnalato nei mesi scorsi i rappresentanti della Nazione Navajo, non è però poi avvenuta in occasione del lancio di Peregrine nonostante il problema fosse stato sollevato più volte in passato. I responsabili della NASA hanno risposto ricordando che tecnicamente la missione è interamente gestita da Astrobotic e che l’agenzia non ha alcun controllo su ciò che l’azienda decide di portare sulla Luna, al di là delle strumentazioni per le attività scientifiche gestite dalla NASA. La giustificazione è stata percepita come una sorta di scaricabarile spaziale, suscitando ulteriori malumori nella comunità.
    L’attuale presidente della Nazione Navajo, Buu Nygren, ha detto che: «L’atto di depositare sulla Luna resti umani e altro materiale, che potrebbe essere percepito come uno scarto in qualsiasi altro luogo, equivale a una profanazione di un posto sacro». Il CEO e cofondatore di Celestis, Charles Chafer, la pensa diversamente: «Penso che sia l’esatto opposto di una profanazione. È una celebrazione. Non capisco perché fare questa cosa su un corpo celeste “morto” sia una profanazione, mentre abbiamo letteralmente milioni di luoghi in cui vengono disperse le ceneri su un pianeta vivente come la Terra, e non lo consideriamo una profanazione».
    A inizio anno la NASA si era comunque offerta di avviare un ulteriore confronto sulla questione. La tendenza in generale è comunque normare il meno possibile iniziative di questo tipo, considerato che per ora riguardano pochissime aziende e che regole troppo rigide potrebbero fermare la crescita in generale del settore delle esplorazioni spaziali private. Il problema comunque esiste, perché man mano che ci saranno nuove opportunità di raggiungere la Luna a costi più bassi aumenterà anche la quantità di materiali trasportati sul suolo lunare, molti dei quali a un certo punto diventeranno rifiuti.
    Nei prossimi giorni si capirà che fine farà Peregrine e come proseguirà il viaggio nello Spazio delle ceneri che ha a bordo. Tra queste c’è anche un campione delle ceneri di Arthur C. Clarke, autore di fantascienza britannico famoso soprattutto per il romanzo 2001: Odissea nello spazio del 1968 e il film con lo stesso titolo diretto da Stanley Kubrick, nel quale immaginò tra le altre cose una base lunare prima ancora che i primi astronauti l’avessero raggiunta nella realtà. La sepoltura lunare di Clarke avrebbe avuto per molti appassionati un importante valore simbolico, ma l’autore è comunque già ricordato con un asteroide (4923) e con il nome informale dato all’orbita geostazionaria della Terra. LEGGI TUTTO

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    Il primo lancio del nuovo razzo Vulcan dagli Stati Uniti è stato un successo

    Nella mattina di lunedì il nuovo razzo Vulcan della joint venture United Launch Alliance (ULA) ha effettuato con successo il proprio lancio inaugurale da Cape Canaveral in Florida, negli Stati Uniti, trasportando oltre l’atmosfera terrestre la missione Peregrine per l’esplorazione della Luna con un lander per conto della NASA.Il primo lancio era atteso da tempo a causa di alcuni ritardi nello sviluppo di Vulcan, un razzo molto importante per l’esplorazione spaziale dagli Stati Uniti frutto della collaborazione tra le due grandi aziende aerospaziali Boeing e Lockheed Martin, che lavorano insieme nell’ambito di ULA. Il successo del lancio è una prima conferma dell’affidabilità di Vulcan, che sostituirà i precedenti lanciatori Atlas V e Delta IV, più costosi e meno efficienti.
    ULA ha già venduto più di 70 lanci con Vulcan, la maggior parte dei quali ad Amazon, che ha necessità di portare rapidamente in orbita centinaia di piccoli satelliti per attivare Project Kuiper, il proprio progetto per portare Internet dallo Spazio. ULA riceverà inoltre almeno un paio di commissioni da parte della United States Space Force, quindi per strumentazioni militari, ma a patto che anche il prossimo lancio di un Vulcan avvenga senza problemi.

    We have liftoff! The first American commercial robotic launch to the Moon will deliver science instruments to study its surface, a critical part of preparing for future #Artemis missions. https://t.co/KoOZjXvqjD pic.twitter.com/Vo2Dnn6TwA
    — NASA (@NASA) January 8, 2024

    Peregrine raggiungerà la Luna nelle prossime settimane e se il suo lander toccherà regolarmente il suolo lunare avvierà alcune analisi, raccogliendo dati importanti per le nuove iniziative della NASA legate all’esplorazione della Luna anche con astronauti nei prossimi anni. La missione è totalmente gestita dalla società privata Astrobotic Technology, che ha ricevuto un appalto da 108 milioni di dollari da parte della NASA. LEGGI TUTTO