Dilettante, scienziata, attivista, simbolo
Caricamento playerJane Goodall, una delle scienziate più conosciute al mondo, ha compiuto oggi 90 anni. Ne sono da poco passati sessanta da quando su Nature uscì il suo articolo che fece sapere al mondo che gli scimpanzé sono capaci di usare strumenti, un’abilità che fino a quel momento era considerata una prerogativa umana. La scoperta ottenne una grande attenzione anche oltre la comunità scientifica grazie alla rivista divulgativa National Geographic, che nel 1965 pubblicò in copertina una fotografia di Goodall insieme a un gruppo di scimpanzé. La celebrità iniziata con quell’immagine è stata poi sfruttata da Goodall per proseguire i suoi studi e, dal 1986 in poi, per finanziare numerose forme di attivismo per la salvaguardia degli ambienti naturali e il benessere dei primati.
La carriera di Goodall è stata piuttosto straordinaria e irripetibile per varie ragioni. Fino alla seconda metà del Novecento le grandi scimmie antropomorfe non umane, come appunto gli scimpanzé, non erano ancora state studiate nel loro ambiente naturale e Goodall fu una delle prime a farlo. Fu anche una delle prime donne a portare avanti questo tipo di ricerche sul campo, cominciando in un periodo in cui le scienziate erano ancora pochissime in generale – lei stessa iniziò da dilettante, si può dire, senza aver fatto studi universitari di biologia o materie affini. Anche per questo negli ultimi decenni Goodall è diventata una specie di simbolo, sia per le donne che si occupano di scienza, sia per chiunque si impegni per la difesa degli ambienti naturali.
Goodall è inglese ed è cresciuta a Bournemouth, una città affacciata sul canale della Manica, che tuttora frequenta nonostante i suoi numerosissimi impegni in giro per il mondo. Ha più volte raccontato che il suo interesse per l’Africa e i suoi animali si sviluppò quando era ancora bambina, leggendo Il dottor Dolittle di Hugh Lofting e i romanzi della saga di Tarzan di Edgar Rice Burroughs. Finite le scuole superiori nel 1952, non poté studiare all’università per ragioni economiche e seguì un corso formativo per lavorare come segretaria, un mestiere all’epoca molto comune per le giovani donne.
Nel 1956, quando Goodall aveva 22 anni, le capitò l’occasione che successivamente le avrebbe cambiato la vita: una ex compagna di scuola la invitò ad andarla a trovare in Kenya, dove la sua famiglia aveva una fattoria. Goodall risparmiò per cinque mesi per permettersi il viaggio e poi partì insieme a sua madre, Myfanwe Joseph.
A quei tempi il Kenya era una colonia britannica (il paese sarebbe diventato indipendente nel 1963) ma la comunità bianca di Nairobi era relativamente poco numerosa e così Goodall ebbe l’occasione di conoscere Louis e Mary Leakey, una coppia di paleoantropologi che in quegli anni stavano cercando, trovando e studiando resti fossili di specie progenitrici di quella umana. Louis Leakey offrì a Goodall un lavoro nel museo di Storia naturale locale, di cui era curatore, e la coinvolse nelle operazioni di scavo archeologico, dove servivano persone disposte a passare molte ore a rimuovere pezzi di roccia e pulirne altri dalla terra.
Tra le altre cose Leakey voleva provare a dimostrare un’ipotesi enunciata il secolo precedente da Charles Darwin, e cioè che gli umani e gli scimpanzé discendevano da antenati comuni (è effettivamente così). Per questo voleva organizzare una missione di ricerca sulla vita degli scimpanzé, il cui comportamento all’epoca era stato osservato solo in cattività, mai nelle foreste in cui vivevano: riteneva che comprendendo meglio questi animali si sarebbe potuto scoprire qualcosa anche sugli antenati comuni.
Dopo qualche anno che la conosceva, Leakey propose a Goodall di svolgere lei questi studi, e di farlo in una foresta sulla riva orientale del lago Tanganica, nell’attuale Tanzania. Lei accettò e arrivò nel luglio del 1960 in quello che oggi è il Gombe Stream National Park. Leakey poi avrebbe fatto qualcosa di analogo con Dian Fossey, la primatologa nota per lo studio dei gorilla, e Birute Galdikas, che invece si dedicò agli oranghi: le tre donne sono state soprannominate “Trimates”, un gioco di parole tra “trio” e “primati”, o “Leakey’s Angels”.
Uno scimpanzé del Gombe Stream National Park, in Tanzania, il 26 agosto 2022 (Sandra Weller / Anzenberger)
Nei primi mesi nella foresta Goodall non riuscì ad avvicinare più di tanto gli scimpanzé, ma a un certo punto riuscì a far tollerare la propria presenza a un maschio dominante, che lei chiamò David Greybeard: gli altri scimpanzé che vivevano con lui di conseguenza la “accettarono” a loro volta.
Già quattro mesi dopo il suo arrivo a Gombe, Goodall aveva assistito all’uso di uno strumento da parte di David Greybeard: la prima volta lo vide usare un lungo filo d’erba per estrarre delle termiti da un nido nel terreno. Questo e altri comportamenti simili furono poi descritti da Goodall nel suo importante articolo del 1964. Già nell’Ottocento si sapeva che gli scimpanzé sapevano usare delle pietre per rompere il guscio di alcuni frutti, ma fino a quel momento tale informazione (per quanto menzionata pure da Darwin) era stata ignorata dalla comunità scientifica. Successivamente Goodall avrebbe scoperto altre cose sugli scimpanzé che prima non si sapevano: che cacciano e mangiano carne, oltre a frutta e altri vegetali, che possono scontrarsi con grande violenza tra gruppi rivali per un territorio, e che hanno complessi rapporti sociali tra loro.
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Intanto Leakey si preoccupò di far ottenere a Goodall un titolo di studio che le permettesse di essere riconosciuta come studiosa dalla comunità scientifica internazionale, e nel 1962 la mandò all’Università di Cambridge, in Inghilterra. Garantì per lei in modo che potesse fare un dottorato pur senza essere laureata. L’iniziativa non fu presa benissimo dagli studenti e dai professori di Cambridge, in particolare dopo che nel 1969 la National Geographic Society (che finanziava sia le ricerche di Leakey che quelle sugli scimpanzé) pubblicò il primo libro di Goodall, My Friends the Wild Chimpanzees: il professore con cui stava facendo il dottorato si indignò perché era un libro divulgativo e per poco non le tolse la borsa di studio.
La situazione e la reputazione di Goodall nel contesto accademico, all’epoca prevalentemente maschile, risentivano del fatto che avesse cominciato i propri studi da dilettante e in un certo senso da autodidatta, ma anche semplicemente che fosse una donna, peraltro giovane e di bell’aspetto – caratteristiche che anche a suo dire contribuirono all’attenzione mediatica ricevuta dal suo lavoro.
Tra le altre cose Goodall fu anche accusata di aver “antropomorfizzato” gli scimpanzé, cioè di aver interpretato il loro comportamento con criteri umani, una pratica considerata antiscientifica. Tale accusa era dovuta al fatto che Goodall aveva dato dei nomi agli animali che studiava (invece di identificarli con dei numeri) e che ne descriveva i comportamenti e le relazioni usando parole che indicano emozioni e sentimenti umani.
Ancora oggi gli etologi devono impegnarsi a non “antropomorfizzare” gli animali non umani che studiano, ma nel tempo parte degli approcci di Goodall, una delle prime scienziate a fare studi sul campo, è stata adottata anche da altri esperti. E le sue osservazioni e intuizioni sulle strutture sociali degli scimpanzé sono considerate non solo corrette, ma un riferimento anche per lo studio di altre specie. Approfondendo i suoi studi comunque Goodall rivide alcune delle sue scelte iniziali, come quella di dare da mangiare agli scimpanzé che studiava, per non influenzarne il comportamento.
Jane Goodall e Hugo van Lawick, un fotografo del National Geographic che poi sarebbe diventato suo marito, nel gennaio del 1974 (AP Photo)
Anche grazie agli studi condotti a Cambridge, Goodall ottenne vari finanziamenti per continuare le sue ricerche, non solo dalla National Geographic Society ma anche dall’Università di Stanford, negli Stati Uniti. Grazie a questi fondi aprì un proprio centro di ricerca a Gombe. Nel 1967 fu dimostrato che gli scimpanzé e i bonobo sono le specie animali viventi più vicine a quella umana e nel 1970 Goodall fondò il Jane Goodall Institute, la sua ong che si occupa di salvaguardia ambientale e della difesa dei primati, e che ha anche una divisione italiana.
Intanto la sua fama di divulgatrice continuava a crescere nel mondo: fu una dei primi scienziati a dimostrarsi efficaci comunicatori per un pubblico vasto, e ispirò molte persone, comprese tante donne, a studiare gli animali.
Negli anni Settanta e nella prima metà degli anni Ottanta Goodall continuò a lavorare come scienziata, ma poi divenne sempre di più un’attivista. Nel 1986, durante un convegno di primatologi a Chicago, si rese conto che ogni nuova ricerca presentata segnalava una riduzione degli habitat dei primati a causa della deforestazione. La stessa cosa stava succedendo anche agli scimpanzé di Gombe perché sempre più villaggi si stavano sviluppando nella zona, di fatto spezzettando la foresta.
Dagli anni Novanta Goodall di fatto lasciò la ricerca scientifica per promuovere attività di sensibilizzazione di vario genere, contro la deforestazione e in favore di uno sviluppo sostenibile per le popolazioni dei paesi poveri in cui si trovano foreste tropicali, con l’idea che solo con la collaborazione e il consenso delle comunità umane locali si possano mantenere. Anche per questo suo grande impegno, tuttora in corso a 90 anni di età, Goodall è diventata una specie di simbolo tanto che un paio di anni fa Mattel ha addirittura prodotto una bambola Barbie con le sue fattezze.
Attualmente Goodall è impegnata in una serie di incontri in giro per il mondo organizzati dal Jane Goodall Institute proprio in occasione del suo 90esimo compleanno, per raccogliere fondi e finanziare attività di vario genere per la difesa delle foreste e dei primati. LEGGI TUTTO