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    Quante specie viventi si trovano in una casa con giardino?

    Nel marzo del 2020, durante uno dei lockdown per il coronavirus, tre scienziati che si occupano di ecologia decisero di condurre un studio scientifico inedito: contare e catalogare tutte le specie viventi animali, vegetali e fungine presenti nella loro casa con giardino a Brisbane, in Australia. A dicembre i tre hanno pubblicato sulla rivista scientifica Ecology il risultato del conteggio: nel corso di un anno avevano osservato 1.168 specie diverse, di cui 876 di insetti. Sono più del triplo di quelle che si aspettavano i tre scienziati e 157 loro colleghi a cui avevano chiesto di provare a fare una stima verosimile.(Andrew M. Rogers, Russell Q-Y. Yong, Matthew H. Holden)
    Andrew Rogers è un ecologo che tra le altre cose si occupa di animali e piante invasive. Russell Yong è un biologo tassonomista, cioè esperto di classificazione delle specie viventi. Matthew Holden invece è un matematico specializzato nelle applicazioni della sua materia a problemi complessi che riguardano gli ecosistemi. Nel 2020 lavoravano tutti e tre per l’Università del Queensland e condividevano una casa con tre camere da letto e giardino che complessivamente occupa circa 400 metri quadri ad Annerley, un quartiere di Brisbane.
    Rogers ha raccontato al Brisbane Times che l’idea di contare tutti gli animali e le piante presenti nella casa gli venne facendo le pulizie, dopo aver notato che nel suo armadio c’erano parecchi ragni: «Stavo cercando di farli uscire, per evitare di farli finire dentro l’aspirapolvere ed erano tanti. Mi sono chiesto quanti coinquilini avessi tra i ragni e poi tra le falene, le mosche e via dicendo». Coinvolse nell’impresa Yong e Holden, che peraltro invitarono altri scienziati del mondo a imitarli proponendo la conta delle specie di casa come un’attività per passare il tempo durante i lockdown.

    How many species are in your home? Count them! #StayHomeBiodiversityChallenge. We’re surveying our home for plants & animals. Opportunity to learn about local flora/fauna. Look at these beautiful moths & butterflies #StayHomeAustralia #stayHome #COVID19 #stayathome #quarantine pic.twitter.com/bPgf5XPriD
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) April 1, 2020

    Tra le specie osservate dai tre nel giardino tra il 29 marzo 2020 e il 28 marzo successivo ce ne sono tante che si trovano facilmente lungo la costa orientale dell’Australia: uccelli come l’ibis bianco australiano e il kookaburra, e il tricosuro volpino, un marsupiale molto comune, furono avvistati fin dai primi giorni del monitoraggio. Molte altre sono più rare e tre non erano nemmeno incluse nel principale elenco scientifico delle specie presenti in Australia: una specie di zanzara, una di mosca e una di vermi piatti, animali vermiformi non molto conosciuti. Quest’ultima è la specie chiamata Platydemus manokwari, nativa della Nuova Guinea e invasiva e dannosa in varie parti del mondo.
    Secondo Rogers, Yong e Holden è improbabile che le tre specie ancora non registrate come presenti in Australia siano rare nel paese: «Il fatto che la loro presenza non fosse documentata indica piuttosto che sottostimiamo molto le popolazioni degli ambienti urbani».

    Say hello to our #vampire moth, Calyptra minuticornis! It mostly pierces fruit, but vampire moths get their name from the fact that they also have been observed sucking the blood of mammals. No threat to humans though. #StayHomeBiodiversityChallenge @UQ_CBCS pic.twitter.com/kgVwSHG5jJ
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) April 20, 2020

    Tra gli insetti, quelli più comuni trovati dai tre scienziati sono stati lepidotteri, cioè farfalle e falene. In totale 437 specie: alcune grandi come una mano umana, ma la maggior parte di dimensioni molto ridotte. Una di quelle che hanno interessato di più Rogers, Yong e Holden è la specie Calyptra minuticornis, detta “falena vampira”: non ha un aspetto particolarmente vistoso, ma deve il suo nome al fatto che in alcune occasioni succhia il sangue dei mammiferi su cui si posa, esseri umani compresi.
    I tre scienziati si sono stupiti di aver osservato meno di cento specie di coleotteri, l’ordine di insetti che comprende un maggior numero di specie: «Può darsi che il nostro risultato sia il sintomo del declino delle popolazioni di coleotteri, che è stato osservato nel mondo», hanno scritto, «ma può anche darsi che sia stato un pessimo anno per i coleotteri nel nostro quartiere».
    Le specie di piante individuate nel giardino della casa sono state 103, di cui 100 non originarie dell’Australia. Quest’abbondanza di specie vegetali provenienti da altre parti del mondo non deve stupire perché è una situazione comune nei giardini e negli spazi verdi urbani, dove da circa due secoli vengono fatte crescere in grande misura piante acquistate nei vivai a scopo decorativo: in tutte le città del mondo si trovano piante originarie di luoghi lontani. Nove delle piante osservate erano quelle che comunemente sono chiamate “erbacce”, e che sono tra le specie più adattabili in assoluto.
    Rogers, Yong e Holden pensano che il gran numero di specie che hanno trovato sia dovuto in buona parte al fatto che il giardino della casa non era molto curato. Di solito sui prati tagliati di frequente e nelle aiuole ordinate non si trova una gran varietà di specie di insetti, che invece possono prosperare più facilmente in un giardino dove non vengono usati tagliaerba e insetticidi.

    Cute close up with a parasitic wasp this weekend. Yet to ID this species for our #StayHomeBiodiversityChallenge where we count the wildlife found at home. One of 27 wasps so far. Probably a type of Brachonid wasp? More photos of it on @inaturalist https://t.co/pVihWwemF8 pic.twitter.com/DeKOIzqkQr
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) June 22, 2020

    Brisbane è una grande città con quasi 2 milioni e mezzo di abitanti, ma si trova in uno dei paesi che si stima abbiano una maggiore biodiversità, cioè ricchezza di specie animali diverse. Per questo Nicola Bressi, zoologo curatore del Museo civico di storia naturale di Trieste ed esperto dei rapporti tra gli esseri umani e le altre specie animali, stima che facendo un esperimento analogo in una casa con giardino in Europa si incontrerebbe un numero di specie più ridotto: «Dipende dalla città e dal tipo di giardino intorno alla casa, i tre naturalisti immagino lo tenessero molto “bio”. Diciamo che a mia esperienza potremmo ridurre la conta a un terzo. Forse un quarto nelle città meno verdi e più inquinate e trafficate. E ovviamente più si scende da Oslo verso Catania, più aumentano gli inquilini».
    Nel conteggio delle 1.168 specie australiane rientra anche Homo sapiens, a cui chiaramente appartengono Rogers, Yong e Holden: è stata inclusa per precisione. Non sono state prese in considerazione invece le specie viventi che generalmente sono invisibili all’occhio nudo, cioè i batteri e gli archei. Se fosse stato fatto il numero di specie totali trovate nella casa sarebbe stato significativamente più alto.

    – Leggi anche: Il forestale che credeva ai folletti, uno Storie/Idee di Nicola Bressi LEGGI TUTTO

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    Le cimici dei letti che infestano Parigi arriveranno anche in Italia?

    Le notizie sulla estesa infestazione di cimici dei letti a Parigi hanno suscitato qualche preoccupazione in alcuni paesi vicini o molto ben collegati alla Francia. Il 5 ottobre il ministero della Salute dell’Algeria ha annunciato l’introduzione di «misure preventive» su aerei e navi per evitare la diffusione degli insetti nel proprio territorio. E dopo che vari giornali del Regno Unito hanno parlato della possibilità che le cimici dei letti arrivassero da Parigi a Londra, Eurostar, il servizio ferroviario che collega le due capitali, ha fatto sapere che i suoi treni saranno controllati per verificare l’eventuale presenza dei parassiti.Anche tra Francia e Italia ci sono molti collegamenti, sebbene dal 27 agosto e fino alla prossima estate quelli ferroviari siano sospesi a causa di una frana, ma tra gli esperti di insetti e di disinfestazioni non c’è particolare preoccupazione. Per il momento infatti nelle città italiane non ci sono stati aumenti significativi di segnalazioni di cimici dei letti, e inoltre chi si occupa di disinfestazioni ritiene che i metodi usati in Italia per contrastarle siano più efficaci di quelli preferiti all’estero.Le cimici dei letti in Italia comunque ci sono già. Dopo essere quasi scomparse a metà Novecento in seguito al grande uso di DDT e al miglioramento delle condizioni igieniche delle case, è dai primi anni Duemila che hanno ricominciato a essere avvistate all’interno di abitazioni e alberghi sia nei paesi europei che negli Stati Uniti a causa dei viaggi internazionali. In Italia il numero di infestazioni è aumentato soprattutto tra il 2012 e il 2014 e poi è rimasto più o meno costante.«Sono abbastanza diffuse quindi la probabilità di incontrarle nelle città italiane c’è», dice Fabrizio Montarsi, biologo dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) che tra le altre cose si occupa di insetti e altri parassiti. «Ma non sono comuni come le mosche o le zanzare, il problema è comunque limitato per ora. Se si riesce a intercettare subito un’infestazione, il ciclo di diffusione si interrompe facilmente».Le cimici dei letti, il cui nome scientifico è Cimex lectularius, sono insetti ematofagi, cioè che si nutrono di sangue. I loro morsi sono fastidiosi, ma non costituiscono un pericolo a meno che non si sia allergici. In natura sono parassiti di uccelli e pipistrelli e creano le proprie colonie nei nidi o nei dormitori dei pipistrelli nelle grotte, ma nel corso della storia si sono trovate bene anche nelle abitazioni umane: soprattutto nei secoli passati era facile che nei tetti delle case si riparassero degli uccelli, e da lì le cimici potevano passare a infestare i materassi di una volta, fatti di paglia ricoperta da teli. Si chiamano “cimici dei letti” appunto per questo.Cimici dei letti (Uwe Anspach, ANSA-DPA)Di giorno si nascondono dalla luce e se infestano una casa si annidano nelle strutture dei letti e dei divani, ma anche tra i libri, dietro battiscopa, quadri o altri anfratti nascosti. Di notte escono per nutrirsi, quindi di solito la loro presenza viene scoperta dopo essersi svegliati con una serie di arrossamenti pruriginosi sulla pelle. Si possono diffondere o perché aumentano talmente tanto di numero da spostarsi da una camera di albergo a un’altra, o da un appartamento all’altro, oppure perché trovano riparo all’interno di valigie e borse e grazie a questi involontari mezzi di trasporto raggiungono treni, aerei, case o stanze d’albergo in altre città.«La diffusione delle cimici avviene quasi sempre tramite i bagagli, non sono come le zecche che rimangono addosso alle persone», chiarisce Montarsi, «quindi la cosa importante se si passa per un albergo infestato è “bonificare” i bagagli e il loro contenuto, con lavaggi ad alte temperature o usando il congelatore».Non c’è invece nessuna relazione tra la pulizia di un ambiente e la presenza di cimici, che si possono presentare anche in hotel di lusso estremamente puliti, perché l’unica condizione necessaria alla loro prosperità è la vicinanza di persone o altri animali da cui succhiare il sangue. È solo più facile che in luoghi in cui ci sono scarse condizioni igieniche una piccola infestazione venga trascurata e finisca per aggravarsi.Secondo Marco Leva, disinfestatore di Roma e consigliere dell’Associazione nazionale delle imprese di disinfestazione (ANID), a Parigi la situazione si è aggravata perché sono stati fatti degli errori: «A giudicare dalle immagini che sono state diffuse le infestazioni sono davvero estreme e se i letti sono pieni di cimici significa che la convivenza va avanti da tempo o che la ditta di disinfestazione che se ne è occupata ha sbagliato approccio».Leva spiega che all’estero contro le cimici dei letti si usano ancora molto gli insetticidi, che sono poco efficaci perché molto spesso questi insetti si rivelano resistenti alle sostanze che contengono. Gli insetticidi possono addirittura essere controproducenti, perché le operazioni per stanare le cimici ed esporle alle sostanze velenose possono spingerle a spostarsi e infestare altri spazi.L’approccio più efficace, che in Italia è stato adottato negli ultimi dieci anni e oggi è usato dalla stragrande maggioranza delle aziende che si occupano di disinfestazioni, si basa sull’uso di macchine per uccidere le cimici e le loro uova con un vapore ad alte temperature, fino a 180 °C. La prima macchina di questo tipo – prodotta dall’azienda italiana Polti – è stata sviluppata a partire dal 2011 proprio facendo degli esperimenti con le cimici dei letti, che hanno coinvolto lo stesso Leva e l’entomologo e disinfestatore Franco Casini. Da allora sul mercato sono arrivate anche altre macchine simili e il loro uso si è diffuso nel settore. «È un approccio più impegnativo rispetto a quello chimico, ma è apprezzato anche dai clienti che preferiscono che non siano sparsi insetticidi nelle camere da letto».Né l’ANID né Montarsi nelle regioni in cui lavora l’IZSVe hanno osservato un aumento dei casi di infestazioni da cimici dei letti negli ultimi mesi. Anche per questo «non c’è da creare allarmismo», per Leva: «Non ci sarà un’invasione delle cimici dei letti dalla Francia, così come non c’era stata da New York qualche anno fa». LEGGI TUTTO

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    La maggior parte delle api non è in pericolo, e anzi

    Il MoMA di New York, uno dei più importanti musei di arte moderna e contemporanea al mondo, ha recentemente mostrato sul suo profilo Instagram quattro arnie fatte costruire sul tetto dell’edificio «come parte della missione di sostenibilità del MoMA», per «il ruolo essenziale che le api svolgono nel nostro ecosistema». Per l’installazione delle arnie il MoMA aveva contattato a febbraio Andrew Coté, presidente dell’Associazione degli apicoltori di New York, che aveva però rifiutato. La motivazione di Coté era che la popolazione già esistente di api occidentali – uno dei nomi comuni dell’Apis mellifera, la specie di ape più diffusa al mondo – sarebbe responsabile dell’esaurimento delle limitate risorse floreali presenti in città per gli insetti impollinatori.La convinzione che le api stiano diminuendo pericolosamente cominciò a diffondersi nei primi anni Duemila, quando la popolazione di api mellifere si era ridotta fortemente a causa di un anomalo spopolamento degli alveari. Furono fatti molti studi e una lunga serie di iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, il cui successo ebbe tra i suoi vari effetti una grande attenzione al tema e una rapida espansione delle attività di apicoltura. Questa espansione è ancora oggi sostenuta in alcuni casi dalla convinzione, ormai infondata, che la popolazione delle api stia diminuendo.Tra il 2011 e il 2021, secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il numero di alveari nel mondo è cresciuto del 26 per cento, passando da 81,4 a 101,6 milioni. Alle ragioni storiche della diffusione delle api occidentali, allevate su larga scala per l’impollinazione oltre che per la produzione del miele e della cera, si intersecano da qualche anno interessi più ampi e di tipo diverso, tra cui il desiderio delle persone e delle aziende di mostrare un segno visibile di particolare sensibilità e attenzione per l’ambiente.L’attuale sovrappopolazione di api occidentali pone tuttavia numerosi rischi per l’ambiente e, nello specifico, per migliaia di altre specie di api e di insetti impollinatori con cui le api occidentali competono per le stesse risorse. E per salvaguardare la biodiversità alcuni apicoltori hanno cominciato a suggerire ai loro clienti interessati all’installazione di arnie nelle proprie strutture – di solito sui tetti degli edifici – di scegliere altri modi di tutelare l’ambiente. Suggeriscono di installare cassette per altri insetti, per esempio, o mettere a dimora piante che incrementino la disponibilità di nettare, cioè la risorsa necessaria per gli impollinatori.– Leggi anche: Sulle Alpi austriache si discute di genetica delle apiCome raccontato dal giornalista David Segal in un recente articolo sul New York Times l’idea che le api siano in pericolo e il desiderio di molti di difenderle allevandole in una o più arnie risalgono storicamente alla semplificazione dei fenomeni, ancora non del tutto spiegati, che determinarono uno spopolamento degli alveari negli anni Duemila.Un apicoltore statunitense, David Hackenberg, notò nel 2006 che in molti dei suoi circa 400 alveari le api erano scomparse. E la stessa cosa fu riferita in seguito da altri apicoltori in altri paesi nel Nord America e in Europa: il fenomeno, definito sindrome dello spopolamento della colonia (Colony Collapse Disorder, CCD), fu oggetto di diversi studi che non riuscirono a chiarirne esattamente le cause. Alcune ricerche attribuirono lo spopolamento all’uso di certi pesticidi, altre ipotizzarono che potesse essere causato da un virus e da un fungo parassita, e altre ancora citarono la scarsità di foraggio disponibile per le api e il cambiamento climatico.Un’ape raccoglie il polline dai fiori di un ciliegio selvatico vicino a Berlino, in Germania, il 25 aprile 2013 (Sean Gallup/Getty Images)Le molte campagne di sensibilizzazione avviate in quel periodo resero il ripopolamento degli alveari un obiettivo noto e largamente condiviso dall’opinione pubblica. Fu in generale la prima volta che un così gran numero di persone si interessò agli insetti impollinatori, ha detto al New York Times Scott Hoffman Black, direttore dell’organizzazione internazionale non profit Xerces Society for Invertebrate Conservation. Ma il rovescio della medaglia fu che nel dibattito andarono perse tutte le sfumature di una questione complessa e condizionata da fattori economici.Negli Stati Uniti per esempio circa un milione di alveari è trasportato ogni anno in paesi come la California, dove le api sono fondamentali per l’impollinazione dei mandorli – un mercato da cinque miliardi di dollari all’anno – e di altri raccolti le cui coltivazioni dipendono da colonie di api numerose e in buona salute. È un’industria estesissima, in parte descritta anche in un recente articolo del New Yorker, e attrezzata per sopperire a una quantità preventivata di perdite stagionali. Una quota compresa tra il dieci e il 20 per cento degli alveari, indipendentemente dalla sindrome dello spopolamento, non sopravvive durante i mesi invernali.Una parte di queste perdite è correlata all’evoluzione stessa delle tecniche e dei mezzi utilizzati per prolungare il rendimento degli alveari, in cui le api regine vengono spesso sostituite prima del tempo con esemplari più giovani, scrive il New Yorker, e in cui parte del miele che potrebbe servire alle api per superare l’inverno viene prelevato prima che abbiano la possibilità di mangiarlo. Nonostante gli alti tassi di mortalità delle api, la progressiva intensificazione degli sforzi per allevarle su larga scala ha fatto sì che ci siano sul pianeta «più api mellifere oggi di quante ce ne siano mai state nella storia dell’umanità», ha detto Black al New York Times.– Leggi anche: È stato approvato il primo vaccino per le apiIl dibattito dell’ultimo decennio ha generato inoltre confusione e superficialità riguardo alle api che hanno bisogno di essere salvate. A parte le api mellifere – l’unico gruppo che alimenta un’industria multimiliardaria e che non ha bisogno di aiuto – esistono oltre 20mila specie di api selvatiche (il nome improprio con cui sono di solito definite le api diverse dall’Apis mellifera). Non producono miele e vivono perlopiù in nidi nel terreno o in cavità nei tronchi d’albero, ma sono indispensabili impollinatori di piante, fiori e colture. Eppure molte di queste specie, le cui popolazioni sono effettivamente in declino, non ricevono le attenzioni delle api mellifere.Un apicoltore controlla le arnie costruite sul tetto del grande magazzino Fortnum & Mason a Londra, nel Regno Unito, il 22 luglio 2008 (Peter Macdiarmid/Getty Images)Nella letteratura scientifica l’ape occidentale è a volte paragonata alle specie invasive e definita una «specie controllata introdotta in modo massiccio» (Massively Introduced Managed Species, o MIMS), la cui popolazione è in aumento in quasi tutti i continenti a scapito di altri impollinatori selvatici. Secondo una ricerca del 2020 la densità delle colonie di api nel bacino del Mediterraneo, che ospita circa 3.300 specie di api selvatiche, è aumentata in modo esponenziale tra il 1963 e il 2017. Ma le api selvatiche sono state gradualmente sostituite dall’Apis mellifera: il rapporto tra api selvatiche e fiori era quattro volte maggiore rispetto a quello tra api mellifere e fiori all’inizio del periodo, e le proporzioni di entrambi i gruppi sono diventate più o meno simili 50 anni dopo.– Ascolta anche: “Vicini e lontani”, un podcast sulle specie alieneIl crescente interesse per la costruzione di arnie sui tetti e le terrazze di edifici commerciali come hotel e B&B negli Stati Uniti e in Europa, ha scritto Segal, asseconda in parte un diffuso desiderio di fare qualcosa di positivo per l’ambiente e riflette un’accresciuta attenzione per le iniziative ecosostenibili. Da questo punto di vista le api mellifere sono uno dei modi più popolari e visibili per attuare questa sorta di «greenwashing apiario», anche in paesi – come la Slovenia, per esempio – in cui esiste per giunta una lunghissima tradizione di apicoltura.Secondo un rapporto del 2020 del Royal Botanic Kew Gardens, l’istituto di ricerca del più grande giardino botanico di Londra, il foraggiamento delle moltissime colonie di api presenti in città rischia di soppiantare altre specie di api. «L’apicoltura per salvare le api potrebbe in realtà avere l’effetto opposto», era scritto nel rapporto. Ad aggravare la situazione contribuisce il fatto che le api mellifere siano diventate una sorta di trofeo vivente che le aziende desiderano mostrare, ha detto al New York Times Richard Glassborow, presidente dell’Associazione degli apicoltori di Londra.Un’ape selvatica raccoglie il polline da un fiore in un campo vicino a Wernigerode, in Germania, il 18 giugno 2022 (AP Photo/Matthias Schrader)Persone come Coté e Glassborow, ha scritto Segal, si trovano nella particolare condizione di essere appassionati di api da miele in luoghi con troppe api da miele. A fronte dell’interesse per l’installazione di nuove arnie cercano piuttosto di convincere le aziende a costruire cassette per insetti diversi dalle api, per esempio i bombi, o piantare alberi e fiori in modo da aumentare gli approvvigionamenti alimentari per gli insetti impollinatori: inclusi quelli meno considerati e in declino come le falene e le vespe, essenziali per l’impollinazione delle piante selvatiche e di molti raccolti.– Leggi anche: Dovremmo conoscere meglio le vespeIn particolare nelle aree urbane gli alveari sono così diffusi da aver provocato una riduzione anziché un incremento della quantità di miele che riescono a produrre. In Slovenia, secondo dati del governo citati dal New York Times, la produzione di miele è inferiore a quella di 15 anni fa nonostante il numero di alveari nel paese sia più che raddoppiato. E questo succede perché non c’è abbastanza nettare per tutti, secondo l’apicoltore sloveno Matjaz Levicar, e le api mellifere lo usano per alimentarsi anziché trasformarlo in miele. «In Slovenia dobbiamo nutrire le colonie di api mellifere con lo zucchero per la maggior parte dell’anno», ha detto Levicar. LEGGI TUTTO

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    A cosa servono le zanzare?

    Caricamento playerIl nostro rapporto con le zanzare ha picchi periodici di conflittualità, di solito in corrispondenza della stagione calda quando questi insetti sono più presenti e interessati al nostro sangue per potersi riprodurre. Si sente spesso dire che “le zanzare sono inutili” e che il loro unico scopo sia dare fastidio agli esseri umani, specialmente nel cuore della notte quando ci ronzano nelle orecchie. Le zanzare non hanno una buona fama anche per via delle numerose malattie che possono trasmettere, come la malaria, eppure svolgono un ruolo importante – e spesso poco conosciuto – negli ambienti in cui vivono.Chiedersi in generale perché esistano le zanzare è un po’ come chiedersi perché esistano gli elefanti, o qualsiasi altro essere vivente che popola il nostro pianeta. Che scopo ha un elefante oltre a quello di sopravvivere e riprodursi? Che cosa giustifica e che cosa dà senso alla sua esistenza? Sono ottime domande per le speculazioni filosofiche, ma difficilmente nel quotidiano viene da chiedersi qualcosa del genere sugli elefanti o buona parte degli altri animali. Con le zanzare è diverso perché nel nostro percepito la loro esistenza è strettamente legata a procurare grandi fastidi e in alcuni casi seri pericoli per la salute. È una percezione che si rinnova ogni estate e da qualche anno anche in parte della stagione fredda, a causa dell’arrivo di specie esotiche che si sono adattate al nostro clima.A oggi sono state censite circa 3.500 specie di zanzara, moltissime delle quali non hanno nulla a che fare con gli esseri umani o buona parte degli altri animali. Per la maggior parte della loro breve vita (circa un mese, ma la durata può variare molto) le zanzare si nutrono degli zuccheri che riescono a ottenere dalle piante, per lo più sotto forma di nettare. I maschi di zanzara si nutrono esclusivamente di queste sostanze zuccherine, mentre le femmine passano al sangue quando hanno bisogno di più energie e proteine per riprodursi: è in questa fase che vanno alla ricerca di un animale, Homo sapiens compresi, per ottenere il sangue di cui hanno bisogno.Posandosi sulle piante e sui fiori, le zanzare contribuiscono all’impollinazione, cioè al trasferimento dei pollini che per molte specie vegetali è essenziale per produrre i frutti e potersi riprodurre. È ancora dibattuto quale sia l’effettivo contributo delle zanzare all’impollinazione, ma esistono studi e osservazioni a proposito da circa un secolo e mezzo. La difficoltà nel determinare il loro ruolo in questo processo è dovuta soprattutto al fatto che molte specie di zanzare sono più attive nelle ore intorno all’alba e al tramonto. Le osservazioni devono quindi essere effettuate in scarse condizioni di luce e con grandi cautele, considerato che appena vengono disturbate le zanzare preferiscono allontanarsi, a differenza di altre specie di insetti che hanno un grande ruolo nell’impollinazione come le api.– Ascolta anche: La puntata speciale di “Ci vuole una scienza” sulle zanzareLe zanzare sono tra gli insetti volanti più antichi che esistano e sembra che una parte importante della loro evoluzione abbia avuto a che fare con i fiori. Alcuni studi genetici hanno per esempio segnalato come le zanzare iniziarono a differenziarsi in numerose specie nella fase in cui iniziarono a comparire le prime angiosperme, le piante che hanno un fiore e successivamente producono un seme protetto da un frutto. Alcune tracce della loro presenza sono state trovate in alcuni fossili di fiori risalenti a 79-145 milioni di anni fa.È stato osservato che le zanzare vanno alla ricerca dei fiori utilizzando non solo il proprio apparato visivo, ma anche l’olfatto. Alcune delle molecole che rendono odorosi certi tipi di fiori sono uguali a quelle prodotte dagli esseri umani con la sudorazione e in generale la traspirazione. Si ipotizza quindi che la particolare preferenza delle zanzare per alcune di queste molecole abbia anche favorito il loro rapporto con la nostra specie e in particolare con il nostro sangue.(Jon Cherry/Getty Images)Le zanzare utilizzano comunque vari sistemi per scoprire la presenza delle loro prede, facendo soprattutto affidamento sull’anidride carbonica che emettono e che riescono a rilevare a decine di metri di distanza. L’insistenza con cui provano a pungere deriva dalla necessità di ottenere a tutti i costi qualche goccia di sangue, essenziale per le femmine per avere energie per sopravvivere nella fase della riproduzione. In un certo senso, per molte specie ottenere del sangue è una questione di vita o di morte.L’impollinazione ha una grande importanza nel mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità, come è diventato evidente negli ultimi anni anche a causa della grave moria di api in molte aree del mondo. La perdita di grandi quantità di insetti mette a rischio questo processo e di conseguenza la preservazione degli ecosistemi con la loro grande varietà di specie viventi. Ma per le zanzare non ci sono solo fiori e nettare.Le zanzare sono anche ghiotte di melata, la sostanza zuccherina che emettono vari insetti che si nutrono della linfa delle piante, come gli afidi. Procurarsi la melata non è sempre semplice, per questo alcune specie di formiche hanno strette frequentazioni con gli afidi e hanno anche un modo particolare di condividere le loro secrezioni. Se una formica ha raccolto molta melata, una sua simile può indurla a rigurgitarne una parte strofinandole le antenne, in modo da potersene nutrire. Alcune specie di zanzara hanno fatto proprio il trucco e lo utilizzano per prelevare la melata dalle formiche inducendole a rigurgitarla.Ma le zanzare hanno anche un ruolo importante nella preservazione di particolari ecosistemi. In alcune aree del mondo può accadere di incappare in enormi sciami con decine di migliaia di esemplari, in alcuni casi in grado di uccidere animali di piccola-media taglia. Lo sanno bene le renne che vivono nella tundra e nelle regioni subartiche e che nei mesi estivi sono un bersaglio costante delle zanzare, al punto da dover cambiare le loro abitudini. Le renne provano a disfarsene correndo nel vento, di conseguenza privilegiano le aree di territorio più ventose. La loro permanenza nelle zone con aria stagnante e più umida si riduce molto d’estate e questo permette alle piante di crescere senza essere distrutte dai loro zoccoli o di essere masticate. Alcuni gruppi di ricerca ipotizzano che in assenza delle zanzare le renne sarebbero molto più libere di muoversi sul territorio, distruggendo le piante nelle zone più umide e delicate, riducendo di conseguenza la biodiversità.Le zanzare sono del resto molto presenti nelle zone umide e con acqua stagnante, le loro larve si nutrono soprattutto dei prodotti della decomposizione di alghe e altre sostanze nelle pozze d’acqua. In pochi litri d’acqua possono essercene migliaia, che diventano una fonte di cibo per pesci, anfibi e uccelli. Le larve che sopravvivono e terminano lo sviluppo diventano le zanzare per come siamo abituati a vederle, spiccano il volo e iniziano a costituire una risorse diversa per gli ecosistemi. Si spostano tra pianta e pianta favorendo l’impollinazione, le femmine scelgono le loro prede per succhiare il sangue e diventano a loro volta prede di altri animali.(CDC)Si nutrono di zanzare adulte gli uccelli, le rane, i pipistrelli, i ragni e vari insetti. Quelle che non finiscono nella bocca di qualche altro animale o spiaccicate contro il muro con una pantofola arrivano alla fine del loro ciclo vitale, cadono al suolo, si decompongono e diventano sostanze nutrienti per le piante. Può sembrare poca cosa, viste le dimensioni di una zanzara, ma ogni giorno in tutto il mondo muoiono miliardi di questi insetti. Si stima che solo in Alaska, dove sono molto presenti nei mesi estivi, le zanzare raggiungano un peso complessivo (o per meglio dire una biomassa) di oltre 43mila tonnellate.La loro presenza a latitudini come quelle delle zone subartiche aiuta a sfatare almeno in parte il mito secondo il quale le zanzare proliferano quando fa molto caldo. Lo pensano in molti perché se si pensa a questi insetti vengono soprattutto in mente le zone tropicali o molto calde come quelle del sud-est asiatico, ma in realtà anche in quei luoghi le zanzare sono presenti per lo più negli ambienti umidi e freschi, per esempio nelle acque stagnanti protette dall’ombra delle fronde degli alberi. È assai raro trovare zanzare in luoghi completamente esposti alla luce solare e questo spiega perché molte specie si fanno vedere solo all’alba o al tramonto.Molto dipende comunque dalle specie, ci sono zanzare con abitudini diverse tra loro compresi gli orari della giornata in cui sono più attive. Alle nostre latitudini accade sempre più spesso di essere morsi da una zanzara anche in pieno giorno a causa della presenza di alcune specie invasive come la zanzara tigre (Aedes albopictus), originaria dell’Asia orientale e da una trentina di anni presente in Italia. Arrivò a causa dei commerci internazionali, trasportata in alcune merci, e la sua presenza sempre più massiccia insieme a quella di altre specie deriva dal modo in cui viene gestito il territorio e dagli effetti del cambiamento climatico, con una stagione calda sempre più lunga che favorisce lo sviluppo e la riproduzione di questi insetti.Soprattutto in Africa, dove le zanzare sono tra le principali cause di morte per via della trasmissione del parassita che causa la malaria, si utilizzano repellenti, insetticidi e barriere fisiche come zanzariere per tenerle a debita distanza. Queste soluzioni non sono però sufficienti e gli insetticidi causano inoltre gravi problemi negli ecosistemi, uccidendo diverse altre specie importanti per l’impollinazione e che costituiscono le prede di altri animali. Negli ultimi anni è iniziata la sperimentazione di sistemi per rendere sterili le zanzare, in modo da ridurre le loro popolazioni intorno alle aree abitate, dove il rischio di trasmissione della malaria e di altre malattie è maggiore.Bambini riposano protetti da una zanzariera a Prey Mong ko, Cambogia (Paula Bronstein/Getty Images)La modifica genetica delle zanzare per renderle meno prolifiche è molto dibattuta, non solo dal punto di vista etico, ma anche perché non tutti sono convinti dell’efficacia del sistema e ci si interroga su quali conseguenze potrebbero esserci per specifici ecosistemi. Queste tecniche hanno portato qualche concretezza in più alla domanda che si fanno in molti, soprattutto dopo essere stati disturbati da una zanzara: “Che cosa accadrebbe se eliminassimo tutte le zanzare?”. Trovare una risposta non è semplice, anche perché è molto difficile fare simulazioni sul cambiamento di interi ecosistemi nel momento in cui si interviene per modificarli, eliminando o introducendo nuove specie.Interventi di questo tipo portano quasi sempre a risultati imprevisti, con la proliferazione di altre specie o una riduzione della biodiversità, che influisce poi sulla tenuta degli ecosistemi specialmente quando questi vengono messi sotto forti stress per esempio a causa di importanti cambiamenti climatici, come quelli che stiamo vivendo in questi anni. I più ottimisti dicono che se scomparissero le zanzare ci sarebbero semplicemente altri insetti che prenderebbero il loro spazio, riconfigurando gli equilibri all’interno degli ecosistemi. I più scettici ritengono che invece si avrebbe un impoverimento, difficile da prevedere, ma comunque tangibile, della biodiversità e la perdita ulteriore di insetti molto importanti per numerose altre specie non solo animali, ma anche vegetali. LEGGI TUTTO

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    Le zanzare invasive continuano a espandersi in Europa

    Caricamento playerIl Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’agenzia indipendente dell’Unione Europea che controlla la comparsa e la diffusione di malattie infettive, ha aggiornato le proprie mappe sulla presenza delle diverse specie di zanzare in Europa segnalando la loro continua espansione, anche in regioni dove fino a qualche anno fa non erano presenti, e il conseguente rischio che aumentino le trasmissioni di malattie legate a questi insetti. «Potremmo vedere più casi ed eventualmente morti dovute a malattie come la dengue, la chikungunya e la febbre West Nile», ha detto Andrea Ammon, direttrice dell’ECDC.L’aumento delle regioni in cui le zanzare prosperano è favorito dal fatto che per via del cambiamento climatico la stagione calda dura più a lungo, con giornate con temperature più alte e più umide in alcune zone. Ma è dovuto anche ad altri fattori, come gli scambi commerciali internazionali (la causa originaria dell’arrivo delle zanzare invasive nel continente europeo) e la gestione del territorio.Nel 2022 in undici paesi dell’Unione Europea ci sono stati 1.112 casi di trasmissione della febbre West Nile, di cui 723 in Italia: è il dato annuale più alto che sia stato registrato dopo il 2018, che fu il momento di massima diffusione del virus in Europa finora, con 1.548 casi. La febbre West Nile nella maggior parte delle persone infette non provoca sintomi; solo un quinto dei contagiati ne mostra qualcuno, solitamente è lieve. In rari casi il virus può causare convulsioni, paralisi e coma, e in quelli più gravi, che riguardano generalmente persone anziane o debilitate per altre ragioni, può essere letale ed è bene prevenirne la diffusione anche perché non esiste una cura specifica, né un vaccino.Per quanto riguarda la dengue, un’altra malattia di origine tropicale per cui non ci sono cure specifiche, ma che comunque risulta grave o letale solo raramente, nel 2022 i casi nell’Unione Europea sono stati 71, quasi tutti in Francia: è lo stesso numero di casi che è stato registrato nei paesi dell’Unione insieme a Islanda, Liechtenstein e Norvegia tra il 2010 e il 2021.Questi dati non indicano che ci si debba allarmare per questi virus, ma le autorità sanitarie devono comunque tenere conto dei fattori che favoriscono l’aumento dei rischi e prevenirli, ad esempio con iniziative per il controllo delle popolazioni di zanzare e con l’informazione.Non tutte le specie di zanzare possono essere vettori di virus, cioè contribuire alla loro trasmissione da persona a persona. Tra le specie autoctone europee, la zanzara comune (Culex pipiens) può fare da vettore al virus della febbre West Nile, mentre notoriamente le specie europee del genere Anopheles possono trasmettere il virus della malaria se diffuso – l’Italia ne fu dichiarata libera dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 1970 dopo diversi anni con assenza di casi. Invece la principale specie invasiva, la zanzara tigre (Aedes albopictus), può fare da vettore per il virus della dengue, oltre che per quello della chikungunya, che ha caratteristiche simili alla dengue, e Zika, che invece può avere conseguenze più gravi.La zanzara tigre, riconoscibile dalle visibili macchie bianche da cui prende il nome comune, è ben presente in Italia da più di trent’anni: originaria dell’Asia orientale, si è diffusa per via del trasporto accidentale delle sue uova dentro pneumatici usati e piante ornamentali commerciate tra continenti diversi. Le zanzare infatti depongono le proprie uova in luoghi umidi, come può essere l’interno di uno pneumatico con un po’ d’acqua o il sottovaso di una pianta, e quelle delle zanzare tigre possono poi resistere a temperature molto diverse e in assenza di acqua anche per mesi, e quindi nella stiva di una nave ad esempio.In alcuni paesi europei la zanzara tigre non c’è ancora, ma sta pian piano espandendo il proprio areale, cioè la zona in cui prospera: negli ultimi dieci anni è arrivata in cinque nuovi paesi europei.La diffusione della zanzara tigre in Europa: è ben presente nelle regioni indicate in rosso, assente da quelle indicate in verde, appena introdotta in quelle indicate in giallo (ECDC)Ci sono poi altre tre specie di zanzare invasive che si sono stabilite in alcune regioni europee. Due sono arrivate anche in Italia, dove infatti sono state citate più volte sui giornali negli ultimi anni: la zanzara giapponese (Aedes japonicus) e la zanzara coreana (Aedes koreicus). Entrambe possono essere confuse con la zanzara tigre perché hanno a loro volta delle macchie bianche; per il momento sono presenti solo nel nord-est del paese e, per quanto riguarda la sola zanzara coreana, in Liguria.La zanzara giapponese è originaria di vari paesi dell’Asia orientale e non solo del Giappone. Sopporta bene anche le temperature che si registrano d’inverno nelle regioni temperate e può sopravvivere in assenza di acqua stagnante, a differenza della zanzara tigre. Grazie a queste caratteristiche si è stabilita negli Stati Uniti e nell’Europa centrale, dove è arrivata a partire dagli anni Novanta grazie ai commerci internazionali. Si sa che potrebbe a sua volta fare da vettore per i virus della febbre West Nile, della dengue e della chikungunya.La diffusione della zanzara giapponese in Europa (ECDC)La zanzara coreana, un po’ più presente in Italia ma meno in Europa rispetto a quella giapponese, ha cominciato a diffondersi più di recente ma sembra a sua volta più capace di sopportare temperature basse rispetto alla zanzara tigre. In alcune zone della Russia ha trasmesso un virus che causa l’encefalite che però non è presente in Europa. Come le altre specie del genere Aedes è attiva anche nelle ore diurne.La diffusione della zanzara coreana in Europa (ECDC)Una specie di zanzara più preoccupante per l’ECDC è la cosiddetta zanzara della febbre gialla (Aedes aegypti), che è originaria dell’Africa, ha a sua volta macchie bianche ed è ritenuta la più pericolosa per il trasporto dei virus; la malattia da cui prende il nome peraltro ha sintomi più gravi rispetto alla febbre West Nile e alla dengue. Da tempo la zanzara della febbre gialla si è espansa lungo le coste orientali del mar Nero, in alcune regioni della Russia, della Georgia e della Turchia, e nell’ultimo anno secondo i dati dell’ECDC anche a Cipro – l’isola del Mediterraneo orientale che è anche un paese membro dell’Unione Europea.Per questa come per le altre specie comunque il fatto che sia presente non comporta necessariamente la trasmissione di malattie e in particolare la trasmissione della febbre gialla, il cui virus non è presente in Europa.– Leggi anche: Perché certe zanzare preferiscono pungere noi invece che altri animali LEGGI TUTTO

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    Le farine di insetti, spiegate

    A un centinaio di chilometri a nord di Ho Chi Minh, la città più popolosa del Vietnam, c’è un grande capannone in cui vivono centinaia di migliaia di grilli. È gestito da Cricket One, una società vietnamita che produce “farine” a base di insetti, altamente proteiche e considerate una valida alternativa ad altri alimenti ricchi di proteine come la carne bovina, la cui produzione ha un alto impatto ambientale. I grilli vengono triturati e macinati, per ottenere una polvere che viene poi sgrassata con un trattamento simile a quello che si applica alla polvere di cacao, in modo da offrire una base alimentare più bilanciata.Lontana quasi diecimila chilometri dall’Europa, fino all’inizio di quest’anno erano in pochi a sapere dell’esistenza di Cricket One dalle nostre parti. Le cose sono cambiate circa un mese fa, dopo l’autorizzazione da parte della Commissione europea a vendere quella specifica polvere di grillo dell’azienda. Soprattutto in Italia la notizia è stata ampiamente commentata, con dichiarazioni di vari esponenti politici che hanno insistito sulla necessità di tutelare i prodotti alimentari «della tradizione», impedendo che si diffondano cibi a base di insetti.L’autorizzazione della polvere di grillo di Cricket One ha suscitato grande interesse, ma in realtà non costituisce una particolare novità per l’Unione Europea. Per come è stata raccontata la notizia, con alcune approssimazioni sui giornali, è passato il messaggio che la Commissione europea avesse autorizzato in generale tutti gli alimenti a base di insetti, mentre il provvedimento ha riguardato un solo produttore, come era del resto avvenuto già in passato con altre aziende del settore alimentare che lavorano con gli insetti.– Ascolta anche: Un’invasione di cavallette a tavola – Ci vuole una scienzaL’aggiunta degli insetti agli alimenti che possiamo consumare è discussa da decine di anni, ma è soprattutto nell’ultimo decennio che ha portato a qualche maggior progresso. A differenza dei classici allevamenti, in particolare quelli dei bovini, gli allevamenti di insetti richiedono meno energia e producono minori quantità di gas serra, i principali responsabili del riscaldamento globale. Secondo varie analisi potrebbero quindi costituire una valida alternativa per ottenere alimenti proteici a basso impatto ambientale, se confrontati con altri tipi di prodotti per il consumo alimentare. Ma il settore è ancora relativamente piccolo, di conseguenza è difficile stimarne con precisione l’impatto ambientale nel momento in cui assumesse maggiori dimensioni, con tutte le implicazioni del caso per la sua filiera produttiva e di logistica.Non essendoci regolamenti specifici sugli alimenti a base di insetti, al momento i regolatori applicano le regole già utilizzate per il resto del settore alimentare. Nel caso dell’Unione Europea il testo di riferimento è il Regolamento CE 258 del 1997, che comprende la categoria del cosiddetto “novel food”, cioè alimenti o ingredienti mai consumati all’interno dell’Unione Europea (in quantità significative e tali da essere definibili “cibo”) prima dell’entrata in vigore del regolamento stesso.Ogni volta che si vuole introdurre un “novel food”, questo deve ricevere un’autorizzazione specifica da parte dell’Unione Europea. Prima che ciò avvenga, è previsto che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) faccia analisi e valutazioni del rischio sui nuovi alimenti. Questo processo, è bene ricordarlo, viene applicato a uno specifico prodotto, non all’intera categoria di cui fa parte. Nel caso delle farine di insetti, quindi, non è stato approvato l’impiego di tutte, ma solamente di quella specifica polvere di grillo prodotta dall’azienda vietnamita. Lo stesso era accaduto in passato con altri alimenti a base di insetti, da quelli contenenti cavallette o larve di vario genere.La società che richiede l’autorizzazione deve produrre una documentazione molto dettagliata, con informazioni sui metodi di allevamento e di produzione, sulle caratteristiche sanitarie e nutrizionali del prodotto. Con le differenze del caso, il processo non è molto diverso da quello per la richiesta di autorizzazione di un nuovo farmaco.L’allevamento di Cricket One in Vietnam (Cricket One)Nonostante se ne sia parlato molto solo nell’ultimo mese, Cricket One aveva fatto la propria richiesta di autorizzazione quasi quattro anni fa. Era trascorso un po’ di tempo e poi nell’estate del 2020 la Commissione europea aveva incaricato l’EFSA di fare tutte le valutazioni del caso. Il processo di revisione è lungo e articolato, inoltre le richieste sono molte e ci vuole quindi tempo per smaltirle.L’EFSA aveva dato il proprio parere tecnico positivo un anno e mezzo dopo, nella primavera del 2022, indicando comunque la necessità di includere nell’etichetta informazioni sul rischio di eventuali reazioni allergiche, come già avviene per alimenti che possono contenere tracce di frutta secca o soia. Sulla base delle indicazioni dell’EFSA, la Commissione europea ha infine dato il proprio parere positivo a inizio anno, dando la possibilità a Cricket One di vendere la polvere di grillo a partire dal 24 gennaio.La polvere di grillo potrà essere impiegata nella produzione di altri alimenti, ma la sua presenza dovrà essere indicata chiaramente nell’elenco degli ingredienti, con l’aggiunta di un avviso per le persone allergiche. Lo stesso vale per prodotti già autorizzati in precedenza, sempre di specifici produttori, a base di camola della farina o cavallette.La scelta di utilizzarli dipenderà dai produttori del settore alimentare, che valuteranno se sia o meno opportuno modificare gli ingredienti dei loro prodotti o introdurne di nuovi. Al momento nessun grande produttore nel nostro paese ha segnalato di voler introdurre la polvere di grillo vietnamita, forse anche in seguito alla confusione che si è sviluppata sull’argomento e ai numerosi allarmismi.(Sean Gallup/Getty Images)Il processo di verifica, controllo e autorizzazione previsto dalle norme europee offre comunque ampie garanzie su ciò che finisce nei negozi di alimentari e nei supermercati. Secondo gli esperti i controlli cui sono sottoposti gli alimenti normali sono più che sufficienti anche per il “novel food”. Parte delle preoccupazioni è derivata probabilmente da un certo pregiudizio e dall’idea di dover partire dagli insetti come materia prima per l’alimentazione.Seppure in quantità molto contenute, mangiamo insetti per buona parte della nostra esistenza. Il grano macinato per produrre la farina ha spesso al proprio interno piccoli parassiti che vengono polverizzati con tutto il resto, lo stesso vale per i pomodori lavorati per produrre le conserve o più semplicemente per qualche larva che inconsapevolmente mangiamo insieme alla frutta e alla verdura fresca. È previsto che ci siano tracce di questo tipo, che non compromettono comunque la sicurezza degli alimenti che vengono consumati.Mentre per quanto riguarda il settore dell’alimentazione umana gli insetti sono ancora visti come una scelta esotica, qualcosa da provare per togliersi la curiosità più che da integrare nella propria dieta, nel settore dell’alimentazione animale si stanno facendo importanti investimenti. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha stimato che le farine a base di insetti potrebbero sostituire senza particolari problemi dal 25 al 100 per cento della farina di soia o di pesce impiegata per i mangimi animali. Queste farine potrebbero essere prodotte con un minore impatto sull’ambiente rispetto alle coltivazioni di soia, per esempio, perché gli insetti possono essere allevati con materiale di scarto e sono più energetici da un punto di vista alimentare.Più in generale e tornando agli esseri umani, un’autorizzazione al consumo di un “novel food” non implica che poi quell’alimento sia effettivamente consumato in grandi quantità o che ottenga un particolare successo. Il modo in cui scegliamo e consumiamo il cibo non ha solo a che fare con la sua capacità di essere più o meno energetico o proteico, ma riguarda aspetti soggettivi e culturali che variano molto a seconda delle aree geografiche. Persone diverse sono abituate a diverse tipologie di aspetto, sapore, profumo e consistenza di ciò che hanno nel piatto, con preferenze e abitudini difficili da cambiare.C’è poi un fattore economico da non trascurare, e che spesso prevale sulla semplice autorizzazione nel determinare o meno il successo di un nuovo alimento. I prodotti a base di insetti sono attualmente molto costosi, sia perché la loro disponibilità è limitata, sia perché per essere resi più appetibili vengono lavorati e trasformati in salatini, patatine e altre tipologie di alimenti poco impegnativi da assaggiare e che possono suscitare qualche curiosità. Le farine di insetti potrebbero in parte cambiare questa circostanza, se impiegate come un ingrediente insieme ad altri più “tradizionali”, ma è ancora presto per fare previsioni. Quando la patata fu introdotta in Europa dalle Americhe era a tutti gli effetti un “novel food” per gli europei, che impiegarono moltissimo tempo prima di capire che farsene e renderla uno degli alimenti più consumati nel continente. LEGGI TUTTO