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    Quanti sono i continenti?

    Il numero dei continenti è una delle prime nozioni di geografia che si imparano a scuola, e forse per questo una di quelle che vengono meno messe in discussione. Secondo il modello teorico più condiviso in Italia e in Europa sono sei: Africa, Asia, Europa, America, Oceania, Antartide. Ma basta poco per accorgersi di come la risposta possa variare a seconda di criteri più o meno arbitrari. I cerchi sulla bandiera olimpica, che secondo la Carta Olimpica «rappresentano l’unione dei continenti», sono cinque: perché sono presi in considerazione solo i continenti abitati, quindi non l’Antartide.Altri modelli, più diffusi nei paesi anglosassoni, prevedono che i continenti siano sette perché suddividono l’America in Sudamerica e Nordamerica. E altri modelli ancora, che includono questa stessa suddivisione, prevedono che i continenti siano però sei: accorpano infatti Europa e Asia in un unico continente, l’Eurasia, senza considerare rilevante il confine segnato dai monti Urali, una catena che attraversa più o meno tutta la Russia da nord a sud.
    La ragione fondamentale della variabilità dei modelli è che non dipendono soltanto dalla geografia e dalla geologia, ma anche da aspetti culturali, politici e storici. Generalmente la parola indica infatti un insieme di terre emerse con determinate connotazioni fisiche ma che condividono anche caratteristiche culturali. È per questo motivo che Europa e Asia sono perlopiù considerati due continenti distinti, pur facendo parte di una stessa massa continentale: perché i vari gruppi culturali in Asia hanno più in comune tra loro che con altri gruppi in Europa.
    Allo stesso modo le isole che si trovano vicino a un continente sono di solito considerate parte di quel continente in senso geografico, ma possono non esserlo in senso politico. È il caso della Groenlandia, che appartiene al continente nordamericano pur essendo un territorio danese autonomo, quindi parte dell’Europa.
    Se poi la definizione dei continenti dipendesse soltanto dai collegamenti tra territori in epoche geologicamente recenti, niente impedirebbe di considerare Europa, Asia e Nordamerica addirittura un unico continente. Durante la più recente era glaciale, il livello del mare era infatti sufficientemente basso da permettere a esseri umani e altri animali di attraversare la piattaforma del mare di Bering, che collega l’Asia settentrionale al Nordamerica.
    Per quanto apparentemente stabili possano essere sui libri di testo scolastici, libri peraltro diversi da cultura a cultura, i confini continentali sono continuamente ridiscussi e ridefiniti dai geologi che studiano la crosta continentale (la parte di crosta terrestre non coperta, o coperta solo in alcune parti, dalle acque). Uno degli aspetti problematici per la definizione di quei confini riguarda i cosiddetti plateau oceanici, regioni del fondale marino molto estese e relativamente piatte, meno profonde rispetto al fondale oceanico circostante.
    Negli ultimi decenni la struttura, la composizione e l’evoluzione dei plateau oceanici sono state oggetto di estesi dibattiti in ambito accademico, ha scritto in un articolo pubblicato a luglio sulla rivista Geology un gruppo di ricerca dell’università di Friburgo e di altre università del mondo, guidato dal geologo Valentin Rime.

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    Generalmente, per essere considerata un continente sotto l’aspetto geologico, è necessario che una parte del pianeta rispetti quattro condizioni. Prima di tutto deve trovarsi in una posizione più elevata rispetto al fondale oceanico. Deve poi includere una certa quantità di rocce magmatiche, sedimentarie e metamorfiche, composte da minerali ricchi di silice (SiO2). Inoltre deve avere una crosta più spessa rispetto alla crosta oceanica circostante. E infine deve avere limiti ben definiti in un’area abbastanza grande: la condizione più ambigua e problematica tra tutte, ha scritto il New York Times.
    Diversi punti della Terra hanno una struttura geologica che rende molto complicato individuare confini continentali stabili e definire in base a questi quali parti di terre emerse facciano parte di un continente e quali di un altro. La dorsale oceanica medio-atlantica, per esempio, è la più conosciuta e studiata congiuntura tra placche di crosta terrestre divergenti e in allontanamento l’una dall’altra: la nordamericana e l’euroasiatica. Divide quasi tutto l’oceano Atlantico, da nord a sud, e per la maggior parte è in profondità sotto il livello del mare: ma non in Islanda, che si trova esattamente lungo la linea di congiunzione delle placche.
    Una mappa dell’Islanda attraversata dalla dorsale medio-atlantica, con alcuni vulcani attivi segnalati da un triangolo rosso (U.S. Geological Survey/usgs.gov)
    Un discorso simile vale anche per la costa orientale dell’Africa, separata dall’Asia da una dorsale medio-oceanica: il rift (spaccatura) del mar Rosso. È una divergenza tra placche che si allontanano l’una dall’altra alla velocità notevole di circa 17-20 millimetri all’anno (più o meno la velocità con cui crescono le unghie). È abbastanza lineare per il suo tratto più lungo, ma si complica molto nel punto in cui il mar Rosso incontra il golfo di Aden: lì si interseca con la dorsale di Aden e il rift dell’Africa orientale, formando una tripla giunzione geologica.
    In quell’area del pianeta, anziché assottigliarsi in un punto in cui si forma una frattura, la crosta continentale tra Africa e Asia si sta frammentando in centinaia di pezzi. In un certo senso è come se si stesse allungando senza spezzarsi, ha detto Rime al New York Times, e di conseguenza non è chiaro quale sia il punto in cui finisce l’Africa e comincia l’Asia. Secondo lui e gli altri autori e autrici dell’articolo pubblicato su Geology una frammentazione della crosta continentale in parte simile a quella dell’Africa orientale si trova anche nei mari che circondano l’Islanda. E quindi anche in quel caso non è facile capire esattamente dove finisca il Nordamerica e dove cominci l’Europa.
    Una mappa delle placche dell’Africa orientale, con alcuni vulcani attivi segnalati da un triangolo rosso (U.S. Geological Survey/usgs.gov)
    In anni recenti anche la definizione del continente oceanico è stata messa in discussione, da alcuni studiosi che hanno proposto di considerare la Nuova Zelanda un continente a sé stante, la Zealandia, anziché raggrupparla con l’Australia. Oltre le coste dell’isola si estende infatti un’enorme piattaforma continentale poco profonda, composta da rocce magmatiche, sedimentarie e metamorfiche ricche di silice: come vale per ogni altro continente.
    L’obiezione a questa proposta è che la crosta della Zealandia, tra 10 e 30 chilometri, non è spessa quanto quella di altri continenti, in genere tra 30 e 46 chilometri. Inoltre la piattaforma non sarebbe abbastanza grande da rientrare nella definizione di continente: si estende per 4,9 milioni di chilometri quadrati, cioè molto meno dell’Australia, che si estende per 7,7 milioni di chilometri quadrati. Ma soprattutto la Zealandia è in larghissima parte sommersa dall’acqua: condizione in contrasto con la tendenza comune a considerare continenti le terre emerse.
    Le continue scoperte dei geologi nell’ambito degli studi sulla crosta continentale e su quella oceanica rendono l’enumerazione e la definizione dei confini dei continenti un argomento meno semplice e chiaro di quanto si pensi comunemente, da reminiscenze scolastiche. I continenti possono infatti separarsi in più modi possibili, e spesso non lo fanno in modo netto, ma parziale e incompleto.
    A seconda dei criteri presi in considerazione, secondo Rime, è persino possibile immaginare un modello estremo a due soli continenti: l’Antartide e tutto il resto. Perché il Sudamerica è collegato al Nordamerica attraverso Panama, il Nordamerica all’Asia attraverso lo stretto di Bering, e l’Asia all’Europa, all’Africa e all’Australia rispettivamente attraverso gli Urali, il Sinai e l’Indonesia.

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