La crisi climatica renderà impraticabile il tennis all’aperto?
Caricamento playerDomenica sono cominciati gli Australian Open, il primo dei quattro tornei stagionali del Grande Slam (i più prestigiosi nel tennis) e forse il più esposto alla crisi climatica, perché si gioca a Melbourne durante l’estate australe e possono quindi esserci temperature ben superiori ai 30 gradi, oppure improvvise piogge torrenziali, o incendi che rendono l’aria difficile da respirare. Sono tutti eventi estremi che si stanno intensificando nella frequenza e nell’intensità a causa del cambiamento climatico, che mettono in pericolo la salute di tenniste e tennisti e, a volte, lo svolgimento delle partite.
Gli sport che si svolgono all’aperto sono sempre più influenzati dalla crisi climatica, sia a livello professionistico sia amatoriale. Quelli invernali come lo sci subiscono la mancanza di neve e l’aumento delle temperature che complica anche l’utilizzo della neve sparata (secondo uno studio, metà dei posti che hanno ospitato le Olimpiadi invernali in passato oggi avrebbero grosse difficoltà a rifarlo); quelli in cui la resistenza è cruciale come il ciclismo o le corse di fondo devono fronteggiare condizioni di caldo e umidità in cui gli sforzi diventano più complicati; gli stadi delle principali città affacciate sul mare, tra le altre cose, saranno sempre più esposti alle inondazioni.
Il tennis è tra gli sport che la crisi climatica cambierà (e in parte sta già cambiando) maggiormente, per ragioni legate innanzitutto a come si svolge. L’80 per cento dei tornei si gioca all’aperto, le partite possono diventare molto lunghe (quelle maschili del Grande Slam, che si giocano su 5 set, superano non di rado le quattro ore di durata), è uno sport faticoso ed esigente a livello fisico. Inoltre si gioca tantissimo, praticamente undici mesi l’anno, e i tennisti sono soli, non possono essere sostituiti se sono affaticati o spossati.
Durante una partita degli US Open del 2023, che si giocarono in un caldo ai limiti della sopportazione, il tennista russo Daniil Medvedev guardò la telecamera e disse: «Un giocatore morirà, e poi vedranno». Due anni prima, durante le Olimpiadi di Tokyo, in una partita condizionata da caldo torrido e umidità, l’arbitro chiese a Medvedev se se la sentisse di continuare a giocare: «Posso finire la partita, ma posso morire. Se muoio, ti prendi tu la responsabilità?» fu la risposta del russo, provocatoria, ma anche piuttosto allarmante.
«Un giocatore morirà, e poi vedranno»
Per cercare di evitare che i giocatori (o gli spettatori) collassino durante una partita, da anni gli Australian Open hanno un protocollo per il caldo estremo, in base al quale le condizioni atmosferiche vengono misurate su una scala dello stress termico che tiene conto di fattori come l’intensità del sole, la temperatura dell’aria all’ombra, l’umidità percepita e la velocità del vento. La valutazione di questi parametri genera un indice da 1 a 5: quando si arriva a 4, l’arbitro può scegliere di prolungare i momenti di pausa, per consentire ai giocatori di riposarsi e reintegrare liquidi ed energie; quando si raggiunge il livello massimo della scala dello stress termico, la partita può essere sospesa. Nei campi in cui è possibile – al momento a Melbourne sono 3 – si può chiudere il tetto per impedire ai raggi solari di entrare.
Due anni fa il sito specializzato FiveThirtyEight raccolse alcuni dati e simulazioni e arrivò a concludere che «il tennis all’aperto potrebbe essere la prima grande vittima del cambiamento climatico nello sport». Basandosi sugli ultimi modelli climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, il principale organismo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, FiveThirtyEight ha stabilito che nel 2050 la media della temperatura massima a Melbourne nel periodo degli Australian Open sarà di circa 39 gradi; quella di New York agli US Open di 35 gradi; al Roland Garros e a Wimbledon saranno di 28 e 30 gradi, comunque molto alte e con un’umidità decisamente più elevata rispetto a Melbourne.
In queste condizioni, giocare a tennis all’aperto potrebbe essere pericoloso. La temperatura corporea media di una persona di solito è di circa 37 gradi, ma quando uno sportivo fa uno sforzo eccessivo in un clima molto caldo può avere un colpo di calore, i cui sintomi includono problemi di respirazione, crampi, stordimento, nausea e, se non affrontato subito, può portare anche a conseguenze mediche peggiori. Inoltre, il caldo cambia anche il tennis stesso, perché le superfici cambiano (soprattutto quelle naturali) e la pallina rimbalza in modo diverso: quanto ancora sopravviverà sempre uguale a se stessa la famosa erba di Wimbledon?
Secondo un’elaborazione dell’agenzia Associated Press, peraltro, tra il 1988 e il 2022 la media della temperatura massima ai quattro tornei del Grande Slam è già aumentata di circa 3 gradi. Negli ultimi anni sono in crescita i casi di tenniste, tennisti e tifosi colpiti da malori e colpi di calore: «Stiamo vedendo molti più problemi medici legati al caldo in tutti gli sport», disse a margine di quell’indagine di AP Elan Goldwaser, del Columbia University Medical Center. Come spesso accade con le conseguenze della crisi climatica, cose che sembrano distanti nel tempo e difficili da concepire in realtà stanno già accadendo. Lo ha riassunto bene qualche mese fa il giornalista esperto di tennis Emanuele Atturo, in un numero della newsletter A Fuoco dedicato proprio al rapporto tra tennis e cambiamento climatico:
A essere meno distratti, non si tratta di uno scenario futuro ma di uno presente. Abbiamo già vissuto, attorno al tennis, quegli scenari che associamo nel nostro immaginario ai film apocalittici. Abbiamo già vissuto incendi attorno ai campi, uragani, temporali improvvisi, le invasioni impreviste di insetti. I tennisti in fuga, o in preda a colpi di calore; giocatori che si infilano un asciugamano di ghiaccio dietro la nuca, cercando di raffreddarsi davanti al ventilatore come un motore surriscaldato. Le polveri tossiche, il pubblico che perde i sensi sugli spalti e i giocatori che svengono in campo, o arrivano a pensare di morire.
La tennista estone Anett Kontaveit esce dal campo durante una partita degli Australian Open del 2023 sospesa per il caldo estremo (Daniel Pockett/Getty Images)
È facile ipotizzare che la stagione tennistica dovrà adeguarsi sempre più al clima che cambia, ma è più difficile capire come lo farà. Fino a questo momento i vari tornei in giro per il mondo sono stati pianificati proprio con la logica di inseguire il sole, cioè di giocare nelle stagioni in cui piove meno e le giornate sono lunghe e calde; ora potrebbe essere utile, se non necessario, invertire questa logica, cioè non giocare gli Australian Open, Wimbledon e gli US Open nelle rispettive estati.
Il problema è che il calendario è sempre più intasato e pieno di impegni, e rivedere tutti gli incastri sarebbe (sarà) una cosa tutt’altro che semplice. Diminuire il numero di tornei sarebbe la soluzione più logica (ma anche quella meno praticabile, vista la tendenza all’aumento, dettata soprattutto da ragioni economiche), anche perché questo consentirebbe a tenniste e tennisti di avere più tempo per acclimatarsi nei posti in cui vanno a giocare, un fattore molto importante per abituarsi e resistere al caldo estremo.
È prevedibile che i vari tornei si doteranno sempre più di campi coperti, nati principalmente per difendersi dalla pioggia ma diventati oggi altrettanto validi per ripararsi dal sole, e in generale i tornei indoor potrebbero aumentare in numero e in parte soppiantare quelli giocati all’aperto. Un’altra ipotesi prevederebbe di diminuire la durata delle partite: è una cosa di cui si discute da tempo, soprattutto in realtà nell’ottica di rendere il tennis più fruibile in televisione, ma per il momento gli esperimenti fatti in tornei come le Next Gen Finals non sono stati estesi ad altri tornei ATP o WTA, i due principali circuiti professionistici maschile e femminile.
Alcuni tifosi si difendono dal caldo estremo con asciugamani bagnati durante gli US Open (AP Photo/Matt Rourke, File)
In tutto questo bisogna tenere conto del fatto che il tennis è uno sport con un impatto ambientale notevole: BBC Sport ha stimato che i giocatori professionisti percorrono quasi centomila chilometri all’anno in aereo (tra i mezzi di trasporto più inquinanti) per raggiungere i luoghi dei vari tornei; non è raro che i più forti, e quindi benestanti, lo facciano con aerei privati. Oltre a questo, e a tutto l’impatto ambientale generato dall’organizzazione di migliaia di partite in giro per il mondo, spesso i tornei sono sponsorizzati da aziende, banche e compagnie con legami con l’industria dei combustibili fossili, se non proprio direttamente impegnate nella loro produzione: dall’anno scorso la classifica mondiale dei tennisti maschili è sponsorizzata dal Fondo sovrano dell’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio al mondo, che sta investendo tanto denaro nel tennis.
Per questo, e per il fatto che il tennis si presta a questo tipo di azioni (ci sono meno controlli e barriere tra pubblico e campo), negli ultimi anni stanno aumentando le proteste di attiviste e attivisti per il clima durante le partite di tennis. Agli scorsi Internazionali d’Italia, l’importante torneo che si gioca annualmente a Roma, alcuni attivisti del movimento Ultima Generazione hanno manifestato durante una partita che si giocava sul campo Pietrangeli, causandone la momentanea sospensione: alla fine in nove sono stati denunciati e hanno ricevuto il daspo (cioè un divieto di avvicinamento all’area).
Nonostante stiano crescendo la consapevolezza e la richiesta che l’industria del tennis si spenda maggiormente nel contrasto alla crisi climatica – soprattutto perché una discreta parte del pubblico è costituita da persone benestanti – per il momento il tema non sembra interessare troppo agli organizzatori e agli stessi tennisti. LEGGI TUTTO