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    Mi tana es tu tana

    Caricamento playerDurante i grandi incendi tra il 2019 e il 2020 nel sud-est dell’Australia, sui social network e su alcuni giornali australiani si diffusero notizie sul comportamento virtuoso e altruistico dei vombati, ben disposti a raccogliere e ad accogliere animali di piccola taglia nelle loro tane sotterranee per proteggerli dal calore prodotto dalle fiamme.
    Dai racconti sembrava che i vombati avessero scelto volontariamente di aiutare gli altri animali, tanto che il loro comportamento fu definito “eroico”, cosa che non era vera e che tendeva a umanizzare il comportamento di una specie diversa dalla nostra. Di vero c’era però che alcune tane erano state comunque utilizzate come rifugio da altri animali, al punto da indurre un gruppo di ricerca ad approfondire la questione.
    I vombati sono nativi dell’Australia, assomigliano a grandi marmotte e a seconda delle specie da adulti possono arrivare fino a un metro di lunghezza e pesare tra i 20 e i 35 chilogrammi. Sono marsupiali erbivori, producono feci cubiche e hanno un metabolismo estremamente lento, che li aiuta a sopravvivere in condizioni aride o durante periodi in cui è più difficile trovare il cibo, come avviene nel corso degli incendi stagionali. Utilizzando i piccoli artigli sulle zampe e i denti resistenti, simili a quelli dei roditori, i vombati costruiscono tane sotterranee con reti intricate di tunnel che le mettono in collegamento, dove si riparano dai predatori e vivono al fresco.
    Quando tra il 2019 e il 2020 si svilupparono i grandi incendi nell’Australia sud orientale e iniziarono a circolare le notizie sulle presunte pratiche di accoglienza dei vombati, un gruppo di ricerca australiano iniziò a organizzare uno studio per capire come stessero effettivamente le cose. Nell’estate del 2021 alcuni ricercatori raggiunsero le zone del Woomargama National Park e in particolare della Woomargama State Forest, aree naturali coinvolte negli incendi degli anni precedenti. Posizionarono una trentina di fototrappole (fotocamere che si attivano al passaggio di qualcosa e che possono riprendere anche di notte utilizzando gli infrarossi) all’ingresso e all’interno di alcune tane dei vombati effettuando osservazioni per quasi un anno, fino all’aprile del 2022.
    Come racconta lo studio da poco pubblicato sul Journal of Mammalogy, le fototrappole hanno permesso di osservare un notevole traffico di altri animali intorno e nelle tane scavate dai vombati. Sono state contate più di cinquanta specie di vertebrati tra roditori, rettili e perfino qualche specie di uccello. La presenza di alcune di queste specie è stata osservata con maggiore frequenza in prossimità delle tane rispetto ad altre zone in cui non erano presenti gli ingressi ai tunnel.
    Frequentazione delle tane dei vombati da parte di altre specie (Journal of Mammalogy)
    Il gruppo di ricerca ha inoltre notato una certa preferenza da parte degli animali ospiti dei vombati per le tane presenti nelle zone dove gli incendi erano stati più distruttivi. Altri animali di taglia più grande, come canguri e wallaby (marsupiali simili ai canguri), si sono invece tenuti alla larga dalle tane, salvo queste non fossero allagate e offrissero allora un’opportunità di trovare refrigerio. I vombati possono essere del resto piuttosto aggressivi con gli invasori che ritengono essere una minaccia per i loro gruppi, mentre evidentemente non si curano più di tanto degli altri frequentatori occasionali delle loro tane e che ritengono innocui.
    Le tane dei vombati possono durare decenni e potenzialmente potrebbero offrire rifugio ad animali di specie diverse per un grande numero di generazioni. Secondo il gruppo di ricerca il fenomeno indica come le interazioni tra specie possano essere ancora più articolate e complesse di quanto finora osservato, soprattutto in contesti in cui viene attuata una coesistenza tutto sommato pacifica. Al tempo stesso, la ricerca mette sotto un’altra prospettiva il mito sulla presunta ospitalità dei vombati circolata negli anni scorsi, ricordando l’importanza di non proiettare sulle altre specie comportamenti tipicamente umani. LEGGI TUTTO

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    Forse è stato risolto il mistero dell’origine dei baobab

    Caricamento playerDopo anni di studio, un gruppo di ricerca ha ricostruito la storia evolutiva dei baobab e dice di avere risolto il mistero sulla loro particolare distribuzione sulla Terra. Questi grandi alberi, famosi per il loro tronco molto spesso rispetto a fronde in proporzione piccole e corte, avrebbero avuto origine nel Madagascar e non nell’Africa continentale come si pensava inizialmente. Alcune sue specie si sarebbero diffuse in seguito sul continente africano e in Australia grazie alla diffusione dei loro semi attraverso l’oceano Indiano.
    L’origine dei baobab (Adansonia) è discussa da tempo proprio per la particolare distribuzione geografica delle loro specie. Ne esistono otto in tutto il mondo: sei sono presenti in Madagascar, una nell’Africa continentale e una nell’Australia nord-occidentale. Per diverso tempo vari gruppi di ricerca avevano ipotizzato che la pianta avesse avuto origine nel continente africano e che da lì si fosse poi diffusa altrove, con l’evoluzione di nuove specie. Non era però chiaro come fosse avvenuta la diffusione e non c’erano nemmeno grandi elementi per sostenere che la specie originaria fosse quella ancora oggi esistente in Africa.
    Insieme al suo gruppo di ricerca, il botanico Tao Wan del Giardino botanico di Wuhan dell’Accademia cinese delle scienze ha effettuato un’analisi genetica di tutte le otto specie conosciute di baobab e ha poi incrociato i dati ottenuti, ricostruendo la storia nel corso di milioni di anni di questi alberi. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, dice che l’antenato comune degli odierni baobab ebbe origine in Madagascar circa 21 milioni di anni fa, differenziandosi poi nel corso del tempo nelle diverse altre specie presenti sull’isola anche a causa di fattori ambientali, come variazioni della temperatura media, attività vulcaniche e diffusione a varie altitudini delle piante.
    Secondo il gruppo di ricerca, alcune mutazioni casuali nel materiale genetico favorirono gli alberi i cui fiori erano facilmente raggiungibili da alcune specie di grandi impollinatori, come i pipistrelli della frutta e alcuni piccoli primati. Questo portò a una loro maggiore diffusione e alla successiva differenziazione delle piante nelle specie che osserviamo oggi.
    Lo studio ipotizza che circa 12 milioni di anni fa due specie di baobab tipiche del Madagascar raggiunsero l’Africa continentale e l’Australia, dove si evolsero poi diventando le specie che possiamo osservare oggi e con caratteristiche specifiche che le distinguono da quelle del Madagascar. L’ipotesi è che i loro semi furono trasportati insieme a frammenti della vegetazione dalla corrente che nell’oceano Indiano circola in senso antiorario tra Australia, Asia meridionale e costa orientale dell’Africa.
    L’analisi genetica ha inoltre permesso di rilevare una bassa diversità genetica in due specie di baobab tipiche del Madagascar, tale da mettere a rischio la loro sopravvivenza; una terza specie è considerata a rischio per i numerosi incroci con un’altra più diffusa e che potrebbe soppiantarla. Le tre specie erano già note per essere in pericolo e sono considerate a rischio di estinzione come del resto molte altre, sia vegetali sia animali, in Madagascar a causa delle attività umane. LEGGI TUTTO