Il caso di influenza aviaria in un umano contagiato da un bovino
A inizio settimana negli Stati Uniti è stato segnalato il primo caso di influenza aviaria in un essere umano trasmessa da un bovino, che probabilmente era stato in precedenza contagiato da pollame infetto o da un uccello. Il contagio è avvenuto in Texas e la persona interessata non ha sviluppato particolari sintomi fatta eccezione per un lieve arrossamento degli occhi (congiuntivite), ma la notizia ha comunque portato ad alcuni titoli e articoli allarmati sulla vicenda che si inserisce nell’ampio filone delle notizie intorno all’epidemia da influenza aviaria in corso in molti paesi da quasi cinque anni.Il probabile doppio salto di specie conferma la capacità dei virus aviari di evolvere molto rapidamente, ma per ora non indica che ci siano maggiori rischi rispetto a quelli già indicati dalle autorità sanitarie negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in altre aree del mondo. I rischi per la popolazione generale legati all’influenza aviaria sono ancora molto bassi, per quanto ci sia grande attenzione sulla diffusione della malattia soprattutto negli allevamenti, dove un focolaio può causare gravi danni economici e qualche rischio di contagio in più tra chi ci lavora.
Con “influenza aviaria” viene indicata una malattia che interessa principalmente gli uccelli e che viene causata da un’ampia varietà di virus, per quanto imparentati tra loro. Quello che suscita maggiore interesse da qualche anno è H5N1, un virus le cui prime versioni erano state identificate in Cina nella seconda metà degli anni Novanta. Più in generale, i virus aviari sono comuni e interessano da moltissimo tempo gli uccelli selvatici. Le versioni meno aggressive vengono definite LPAI (dall’inglese “low-pathogenic avian influenza”, cioè “influenza aviaria a bassa patogenicità”) e non sono solitamente rischiose per gli animali.
In alcuni casi, però, un virus LPAI riesce a passare dagli uccelli selvatici agli allevamenti di pollame, finendo in un contesto in cui ci sono migliaia di animali che vivono a stretto contatto e dove sono molto più probabili i contagi. In poco tempo il virus si replica producendo nuove generazioni che contengono mutazioni, dovute per lo più a errori del tutto casuali nella trasmissione del suo materiale genetico, tali da renderlo più letale per gli animali. Questo passaggio fa sì che il virus diventi più contagioso e rischioso e per questo viene definito HPAI, per indicare una forma ad alta patogenicità.
Gli HPAI possono causare in poco tempo grandi focolai negli allevamenti di pollame, rendendo necessario l’abbattimento di migliaia (in alcuni casi di milioni) di polli per evitare che il contagio prosegua e che generazione dopo generazione i virus coinvolti acquisiscano nuove capacità diventando per esempio ancora più contagiosi. L’attuale forma di aviaria è particolare e osservata con attenzione perché, oltre a causare molti contagi tra gli uccelli e il pollame, mostra una spiccata capacità di trasmettersi anche a specie molto diverse come alcuni mammiferi.
In generale, il virus dell’influenza aviaria è imparentato con quello che causa l’influenza stagionale negli esseri umani, l’influenza equina e quella suina, ma le varianti e i sottotipi coinvolti sono alquanto differenti tra loro sia in termini di virulenza sia di contagiosità. Le relative somiglianze e altri fattori rendono comunque possibili i salti di specie, cioè il passaggio del virus da una specie a una completamente diversa. Con l’influenza accade spesso: ci sono casi di influenza umana nei maiali e più in generale si ritiene che l’influenza che stagionalmente ci riguarda sia emersa dagli uccelli.
In questi due anni sono stati segnalati passaggi di H5N1 dagli uccelli selvatici a volpi, puzzole, lontre, procioni e orsi. Nell’autunno del 2022 era inoltre emerso un grande focolaio tra i visoni di un allevamento intensivo in Spagna, che aveva poi reso necessario l’abbattimento degli animali per ridurre il rischio di ulteriori contagi all’esterno della struttura.
Il 2022 era stato un anno particolarmente complesso soprattutto per gli allevamenti di pollame negli Stati Uniti, dove vengono allevate insieme grandi quantità di polli a stretto contatto e di conseguenza con un alto rischio di contagi. Si era reso necessario l’abbattimento di decine di milioni di tacchini e galline da uova, con conseguenze sulla disponibilità e i prezzi di queste ultime in molte aree degli Stati Uniti. La situazione era migliorata nel corso del 2023 negli allevamenti, ma i virus aviari avevano continuato comunque a diffondersi non solo tra gli uccelli, ma anche tra i mammiferi.
(Jamie McDonald/Getty Images)
Nell’ultimo anno sono stati confermati casi di aviaria nel bestiame e in particolare negli allevamenti di bovini in Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho e Texas. È probabile che i bovini abbiano contratto il virus da specie selvatiche di uccelli o dal pollame allevato nelle loro vicinanze, ma al momento non ci sono molti elementi concreti per avere qualche certezza in più. Le autorità di controllo negli Stati Uniti non escludono inoltre che i contagi nel bestiame siano molto più diffusi di quanto emerso finora, ma che i casi passino inosservati perché raramente gli animali si ammalano.
È in questo contesto che è avvenuto il contagio in Texas da bovino a essere umano. Stando alle informazioni fornite dai Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) degli Stati Uniti, la persona sarebbe stata contagiata mentre lavorava in un allevamento per la produzione del latte e di prodotti caseari (il latte pastorizzato può essere consumato senza correre rischi). Era risultato positivo all’aviaria dopo alcuni controlli dovuti alla congiuntivite che aveva sviluppato, unico sintomo evidente della malattia. Oltre a essere stato messo sotto controllo, il paziente ha iniziato una terapia con farmaci antivirali per ridurre la capacità del virus di continuare a replicarsi nell’organismo, in modo da favorire la guarigione.
È il primo caso di un passaggio da bovino a essere umano a essere segnalato negli Stati Uniti, ma in precedenza c’era già stato un caso di contagio che aveva invece riguardato un passaggio dal pollame a un operatore che lavorava in un allevamento. Anche in quella circostanza la persona interessata non aveva sviluppato particolari sintomi e si era ripresa dopo qualche giorno.
Nel corso dell’attuale epidemia alcune decine di persone, in particolare in Asia, sono risultate positive ai virus aviari più diffusi dopo essere state a stretto contatto con animali che avevano l’infezione. Nella maggior parte dei casi non sono stati segnalati sintomi preoccupanti, ma ci possono essere casi in cui si sviluppano complicazioni che in rari casi portano alla morte.
Un’infezione virale da un certo tipo di H5N1 in una persona non implica comunque che questa sia contagiosa, anzi: è altamente improbabile che in un singolo passaggio il virus acquisisca la capacità di diventare contagioso tra esseri umani. È inoltre probabile che i casi pollame-umani si siano verificati in seguito all’esposizione ad alte quantità del virus nell’ambiente in cui lavoravano. Alcuni virus hanno comunque mostrato una certa capacità nell’effettuare sporadicamente salti di specie e non è un particolare da trascurare.
I virus influenzali mutano velocemente e spesso in modi poco prevedibili, per esempio se nell’organismo che infettano incontrano altre tipologie di virus dai quali possono prendere in prestito parti di materiale genetico. Un virus che passa da un uccello a un mammifero, come un bovino, potrebbe in questo modo sviluppare la capacità di replicarsi più facilmente nel nuovo ospite e di diventare anche più contagioso. Mutazioni del tutto casuali potrebbero poi far sì che qualcosa di analogo avvenga nel caso di contagio in un essere umano, portando infine a un virus che riesce a circolare con maggiore facilità nella nostra specie.
Il rischio che ciò avvenga è attualmente considerato basso, ma ci sono studi e ricerche in corso sulle caratteristiche degli HPAI e sui fattori che potrebbero renderli più pericolosi. Il contenimento delle infezioni, per esempio con l’abbattimento del pollame infetto, serve proprio a evitare che ci siano ulteriori contagi che potrebbero fare aumentare la probabilità di nuove mutazioni e salti di specie. Più si riducono i casi di passaggio da specie aviarie a mammiferi, minori sono i rischi anche per gli esseri umani.
Nel suo ultimo rapporto sull’influenza aviaria, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha segnalato che tra dicembre 2023 e marzo 2024 i casi di HPAI rilevati negli uccelli sono stati inferiori rispetto ai periodi precedenti. In Europa non sono stati inoltre segnalati finora casi di passaggio dei virus coinvolti negli esseri umani, anche grazie alle pratiche di contenimento effettuate negli allevamenti. Le principali cause di contagio del pollame derivano comunque dal passaggio di uccelli selvatici contagiosi, che entrando in contatto con gli animali negli allevamenti causano poi la diffusione dei virus. Per l’ECDC anche in Europa «il rischio di infezione rimane basso per la popolazione in generale». LEGGI TUTTO