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    Dopo la Liguria si apre la partita di Genova: ecco tutti i possibili nomi in corsa per il Comune

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaDa oggi iniziano giorni cruciali per la politica genovese. Dopo l’elezione di Marco Bucci a governatore della Liguria è attesa in questi giorni la nomina ufficiale e la conseguente decadenza dal ruolo di sindaco del capoluogo. Ruolo che sarà assunto ad interim dal vicesindaco Pietro Piciocchi, probabile candidato a sindaco delle prossime comunali, che non è escluso di possano celebrare in primavera. Per il centrosinistra sempre per oggi il segretario regionale Davide Natale ha convocato la segreteria per effettuare l’analisi del voto. Probabilmente si parlerà anche del voto a Genova che ha abbondantemente premiato il centrosinistra proprio nel comune di cui era sindaco Marco Bucci e di conseguenza delle prossime Comunali, visto che Andrea Orlando (Pd) sembra orientato a mantenere il dossier Liguria.Centrodestra verso l’ok a PiciocchiPer il centrodestra tutto sembra già deciso. Il candidato sindaco in pectore è Pietro Piciocchi, vice di Bucci, da anni considerato ormai suo erede naturale. Assessore al Bilancio, Lavori pubblici, Manutenzioni, Verde pubblico, è avvocato di professione entrato in politica proprio nel 2017 a fianco di Bucci (è considerato un tecnico ma vicino alla Lega). Già durante la corsa per le regionali in Liguria era stato fatto il suo nome come possibile candidato governatore, prima che la coalizione convergesse su Bucci. Il suo compito non sarà facile: potrà sì godere dell’effetto traino della vittoria del centrodestra in Regione, ma proprio il sindaco Bucci nel suo Comune ha incassato 8 punti percentuali in meno del candidato di centrosinistra Andrea Orlando (52,27% contro il 44,29% di Bucci).Loading…Centrosinistra, campo largo da ricostruire Proprio per i risultati ottenuti da Andrea Orlando a Genova, molti nel centrosinistra vorrebbero una sua candidatura a sindaco del capoluogo. Ma Orlando è di La Spezia e non di Genova (nelle elezioni comunali contano anche queste distinzioni). E soprattutto c’è da ricostruire una coalizione, visto che ancora non si è rimarginata la cicatrice dovuta alle tensioni tra M5S e renziani. Tutta da verificare, quindi, la nuova disponibilità di Orlando. Altro nome forte potrebbe essere Roberta Pinotti (Pd), genovese, ex ministro della Difesa. Genovese è anche Luca Pastorino, sindaco di Bogliasco (Genova) e deputato Pd, rientrato nel partito dopo la vittoria della segretaria Elly Schlein. Altri nomi circolati, nessuno però che sembra avere il peso per sbaragliare tutti gli altri, sono Armando Sanna, ex sindaco di Sant’Olcese, forte di più di 8mila proprio alle regionali, e il segretario genovese dem Simone D’Angelo. Ma si parla anche di possibili figure civiche. LEGGI TUTTO

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    Dal tecnico allo spacchettamento, tutte le ipotesi per il dopo-Fitto

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaUn mese, o poco meno. Se tutto andrà bene a fine novembre Raffaele Fitto lascerà il suo posto da ministro per vestire ufficialmente la casacca di commissario e vicepresidente esecutivo della nuova Commissione europea. E nel rebus per la sua sostituzione inizierebbe a farsi strada anche l’idea di una figura tecnica, che possa prendere in mano almeno i dossier più delicati (e dal portafoglio parecchio importante) del Pnrr e dei Fondi di coesione. Giorgia Meloni, dice chi le ha parlato, ancora non si sarebbe sbilanciata, perché «ci metterà la testa dopo il 12 novembre», quando si saprà se il suo fidato ministro avrà superato il test dell’audizione al Parlamento europeo.Audizione impegnativaLui nelle ultime settimane a Roma non si è praticamente più visto. Fa la spola tra Bruxelles e Strasburgo, incontra gli europarlamentari, si prepara per l’hearing che si preannuncia impegnativa. Il commissario espresso dal governo di centrodestra italiano e da Ecr, il partito dei conservatori europei, gode del sostengo anche di Popolari e Sovranisti. Ma le eurodestre da sole non bastano per superare l’esame, che per Fitto sarà incentrato sull’europeismo, come vanno ripetendo i suoi avversari politici – dai socialisti ai liberali, che hanno scritto alla presidente von Der Leyen per ribadire che «non tollereremo alcuna deviazione dalla nostra piattaforma e dai nostri obiettivi pro-europei».Loading…Ipotesi tecnicoNell’attesa, la premier starebbe valutando in solitaria i pro e i contro delle diverse opzioni per coprire la casella che, è convinta, Fitto lascerà libera. Dopo l’affaire Sangiuliano e la bufera sul capo di gabinetto del suo successore, Alessandro Giuli, la leader di Fdi vorrebbe evitare altri polveroni che rischiano di offuscare l’immagine del governo, ma anche di risvegliare gli appetiti degli alleati. Anche per questo, nelle ultime settimane, sarebbe spuntata l’idea di affidare il portafoglio del ministro pugliese a una figura più istituzionale che politica.Portafogli da suddividereUna volta scelto lo schema, a cascata si scioglierebbe anche il nodo dello spacchettamento, o meno, delle 4 deleghe ora in mano a Fitto, che oltre a Pnrr e coesione ha l’incarico per gli Affari europei e per il Sud. Una delle soluzioni immaginate in prima battuta puntava a suddividere i portafogli. Ma tutto sarebbe ancora sotto revisione, compresa l’idea iniziale di mantenere l’interim, almeno per un primo periodo. Si starebbero infatti moltiplicando i suggerimenti alla premier a procedere velocemente al ricambio, così come accaduto proprio per la staffetta Sangiuliano-Giuli. Sull’intero quadro pesa, però, anche l’incognita di altre defezioni, visto che resta sempre in bilico la posizione della ministra del Turismo, Daniela Santanché, su cui pendono due rinvii a giudizio. LEGGI TUTTO

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    Elezioni Usa: ecco come si schierano i partiti italiani tra Trump e Harris

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaLe elezioni presidenziali Usa, con il confronto tra Donald Trump (repubblicani) e Kamala Harris (democratici) si avvicinano. I partiti italiani hanno già iniziato a schierarsi: Lega pro Trump, Pd pro Harris. Ma sono altre le posizioni che hanno fatto discutere: se da una parte è immaginabile la linea prudente della premier Giorgia Meloni (che nel 2020 era pro Trump) e del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che non si sono esposti, ha spaccato il centrosinistra la decisione del leader M5S Giuseppe Conte di non prendere apertamente posizione a favore di Harris.Meloni e la sua posizione prudentePer Giorgia Meloni è lontano anni luce il 2020, quando (dall’opposizione) durante lo spoglio delle precedenti elezioni Usa che vedevano di fronte il repubblicano Donald Trump e il democratico Joe Biden, non ebbe dubbi: «Da patriota italiana, spero possa vincere Trump». Nel suo recente viaggio in Usa, a fine settembre, da premier italiana ha fatto ben attenzione a non prendere posizioni tra Trump e Kamala Harris (vicepresidente dell’attuale presidente Usa Joe Biden). Rispondendo sulle simpatie di Elon Musk (il patron di Tesla e X, nonché sponsor di Trump) nei suoi confronti, Meloni ha precisato: «Non c’entra nulla con la campagna americana. Mi pare che il tentativo di schierare l’Italia sia soprattutto un tentativo italiano».Loading…La linea prudente di Forza ItaliaUna linea prudente, quella di Meloni, confermata anche dal leader di Fi e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha rivendicato la sua «linea di equilibrio»: «Ci prepariamo a lavorare con Trump o con Harris con la stessa intensità». Già però nel 2020 aveva detto: «Non voterei», se dovessi scegliere tra Trump e Biden.La posizione di Salvini su TrumpMatteo Salvini, leader della Lega, non ha cambiato invece la linea pro Trump: «Io lavoro bene con chiunque ci sia in amministrazione a Washington e negli Stati Uniti. Sono convinto che una vittoria di Trump e dei repubblicani sarebbe fondamentale e positiva per un ritorno all’equilibrio dell’intero occidente e per la fine dei due drammatici conflitti che ci sono».Il Pd a favore di Kamala HarrisNel centrosinistra, il Pd (che non a caso riprende nel suo nome il partito democratico degli Usa) è convintamente a favore di Kamala Harris. «Trump rappresenta una minaccia, la sfida ci riguarda, non bisogna essere d’accordo su tutto per sapere da che parte stare, cioè quella dei democratici, di Harris», ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein. LEGGI TUTTO

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    Regionali: nei sondaggi centrosinistra in vantaggio in Emilia-Romagna, centrodestra avanti in Umbria

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaIn Umbria il centrodestra sarebbe leggermente avanti rispetto al campo largo di centrosinistra, mentre in Emilia-Romagna la competizione assegnerebbe un distacco che pare incolmabile a vantaggio del centrosinistra. Questo dicono la maggioranza dei sondaggi, alla vigilia dello stop al monitoraggio delle intenzioni di voto in vista della consultazione che per le due Regioni si terrà il 17-18 novembre. Né l’esito delle recenti regionali in Liguria (svolte il 27-28 ottobre) a vantaggio del centrodestra sembra aver spostato troppo gli equilibri.Le candidature di Tesei e Proietti in UmbriaNell’ultimo periodo in Umbria sono stati effettuati molti sondaggi: tranne quello di SWG (commissionato dalla sinistra di AVS), tutti danno in lieve vantaggio Donatella Tesei (Lega, governatrice uscente e candidata del centrodestra unito). Quello realizzato tra il 17 e il 21 ottobre da BiDiMedia srl, per Perugia e Terni Today, dava Tesei al 48,2% contro il 47,7% di Stefania Proietti (indipendente di centrosinistra) del campo largo. Tesei allunga invece nei confronti di Proietti, portando il divario a 1,9%, secondo il sondaggio TechnoConsumer commissionato dal Corriere dell’Umbria ed effettuato tra il 21 e il 25 ottobre. Nel primo sondaggio (fatto dall’8 al 12 ottobre) il divario era di 1,6% sempre a favore di Tesei, la forbice dunque adesso si amplia di 0,3%. Il sondaggio SWG (commissionato dalla sinistra di AVS), realizzato tra il 21 e il 28 ottobre 2024, dava, invece, Proietti tra il 47 e il 51% dei consensi e Tesei tra il 45,5 e il 49,5. L’ultimo sondaggio, questa volta post elezioni in Liguria (realizzato il 28-30 ottobre), è di Noto Sondaggi. Questo il risultato: in testa Donatella Tesei per il centrodestra al 49 per cento e Stefania Proietti per il centrosinistra al 47.Loading…Situazione più chiara in Emilia-RomagnaIn Emilia Romagna ci sono stati molti meno sondaggi, forse anche perché le indicazioni di voto sono abbastanza chiare. Il sondaggio realizzato dall’8 all’11 ottobre da BiDiMedia s.r.l. per conto di Citynews dava Michele de Pascale (sindaco Pd di Ravenna, candidato del campo largo) al 55,9% contro il 42,5% della civica Elena Ugolini, sostenuta da tutto il centrodestra. LEGGI TUTTO

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    Giuli ha scelto: Valentina Gemignani nuovo capo di Gabinetto

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaSarà una donna a ricoprire il ruolo di Capo di gabinetto al ministero della Cultura targato Alessandro Giuli. La scelta sarebbe caduta su Valentina Gemignani, dirigente del Tesoro dove è anche una dei cinque vice Capo di gabinetto di Stefano Varone. Gemignani è dirigente di prima fascia del Mef dal 2020 dove ricopre gli incarichi di direttore generale della Direzione dei Servizi del Tesoro del Dipartimento dell’Amministrazione generale, del personale e dei servizi, oltre che, appunto, di vice Capo di Gabinetto.Avvocata, si è laureata in Giurisprudenza a Teramo nel 1994 e in Scienze dell’Amministrazione, presso lo stesso ateneo nel 2006 e possiede un Master della Bocconi in Management delle Amministrazioni Pubbliche. Gemignani è sposata con Basilio Catanoso, deputato catanese del centrodestra per 4 legislature dove è passato da An a Forza Italia e poi, dal 2018 a FdI.Loading…Dopo le dimissioni di Francesco Spano che il ministro aveva scelto di portare al MiC dal Maxxi dove era segretario generale, la scelta del ministro è caduta su questa dirigente di cui era stato già fatto il nome in alcune indiscrezioni che parlavano anche della possibile nomina, tra gli altri, di un’altra donna che sembrava essere anche lei in pole position: Cristiana Luciani in forze presso il Garante per la protezione dei dati personali e moglie del deputato meloniano Luca Sbardella. LEGGI TUTTO

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    Diversity & Inclusion Hub, a Roma la terza edizione

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di lettura«La diversità non è una questione etica, ma una necessità di business». Le parole di Cristiana Scelza, Presidente di Valore D, offrono una sintesi della terza edizione del Diversity & Inclusion Hub, l’osservatorio permanente dedicato ai temi della diversità e dell’inclusione nel mondo del lavoro a sostegno di un futuro equo, inclusivo e di successo, che il 29 ottobre, presso la Luiss Business School di Roma, ha riunito esperti, rappresentanti di aziende e istituzioni.Ad aprire i lavori, Matteo Caroli, Associate Dean for Sustainability and Impact e Responsabile BU Ricerca Applicata e Osservatori, Luiss Business School, Monica Lucarelli, Assessora alle Attività Produttive e alle Pari Opportunità Comune di Roma, e Pierangelo Fabiano, Ceo CORE Thinking Connection. Lucarelli ha evidenziato l’obiettivo di trasformare Roma in una smart city, un progetto che però resta incompleto senza un’inclusione digitale diffusa, soprattutto nelle periferie, dove il 50% degli abitanti fatica ancora a usare uno smartphone.Loading…Tre i temi fondamentali su cui i diversi relatori si sono confrontati, la sostenibilità sociale come valore per l’economia; la necessità di sviluppare pratiche di recruiting inclusive per favorire l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità, garantendo pari opportunità e un accesso equo al mondo aziendale; il sostegno e l’inclusione delle persone in stato di fragilità nel mondo del lavoro, con un focus sul ruolo di istituzioni, aziende e terzo settore in questo senso. Obiettivo: creare un’economia inclusiva, che valorizzi le diversità e garantisca non solo pari opportunità e diritti per tutti, ma equità nelle organizzazioni e nella società.Come ha ricordato Alessandra Locatelli, Ministra per le disabilità, nel suo messaggio di saluti: «Le sfide sono tante, ma il cambiamento è iniziato» LEGGI TUTTO

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    Asili nido finanziati con fondi Pnrr, mancano i soldi per la gestione

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaSindaci sul piede di guerra per la gestione degli asili nido realizzati con risorse Pnrr, che a loro dire rischiano di rimanere chiusi. All’attacco anche i Comuni, che chiamano alla difesa delle comunità “che si vedono defraudate di un diritto essenziale” che andrebbe a colpire soprattutto “i bambini del sud e le mamme e le famiglie del Meridione”.I timori, sempre più accentuati con il passare dei giorni, sono stati innescati da una possibile sforbiciata al fondo per le spese di gestione che manderebbe in fumo l’obiettivo fissato dal governo con la legge di bilancio 2022 di garantire entro il 2027 una copertura del 33% dei nidi. Questo perchè uno degli allegati al Piano strutturale e di bilancio 2025-2029 ridimensionerebbe l’obiettivo a un 15% di copertura su base regionale, con l’esito quindi di rendere incerto il raggiungimento del livello nazionale. Un quadro che riguarderebbe circa i tre quarti degli asili nido finanziati con fondi Pnrr.Loading…Diritto all’asilo al 15% alivello regionaleLa tabella A VI.4 del Psb per “i servizi di cura per la prima infanzia” recita infatti che è necessario “garantire che le strutture per l’infanzia abbiano una disponibilità di posti, pari ad almeno il 15% del numero dei bambini sotto i 3 anni, a livello regionale”. Dato che a livello nazionale è stimato invece per il livello nazionale al 33%. “La legge di bilancio 2022 (art. 1 comma 172) fissava – ammonisce la vicepresidente di Ali e sindaca di Andria Giovanna Bruno – al 33% su base locale la disponibilità di posti con l’obiettivo di rimuovere gli squilibri territoriali nell’erogazione del servizio di asilo nido. Una misura con cui per la prima volta in Italia si definiva finalmente un Lep e lo si finanziava gradualmente in 5 anni. Oggi in uno degli allegati al Piano strutturale di bilancio è scritto che il diritto all’asilo nido non sarà più pari al 33% a livello nazionale, ma del 15% a livello regionale un taglio che allargherà il divario fra Nord e Sud. Non possiamo accettare una tale beffa”.Copertura servizi a livello nazionaleCritica anche Rete EducAzioni secondo la quale la riduzione della percentuale della copertura dei servizi a livello nazionale “non solo comprometterebbe le possibilità di raggiungere il nuovo obiettivo europeo, ma accentuerebbe le attuali disuguaglianze territoriali, penalizzando bambine e bambini del Mezzogiorno e delle aree interne, che già dispongono di una dotazione di servizi più limitata”.“Il governo Meloni non ha ancora risposto a nessuna delle nostre domande”, attacca Irene Manzi, responsabile nazionale scuola del Pd. “Nel Psb c’è un evidente dimezzamento dell’obiettivo del 33% dei posti negli asili nido a livello locale che è stato ridotto al 15% a livello regionale. Stanno ridefinendo al basso i Lep, risparmiando sui servizi educativi”. LEGGI TUTTO

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    Il Pd tiene ma la crisi del M5s trascina giù la coalizione

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di lettura«Se penso che il centrosinistra per colpa di Conte ha rifiutato Italia Viva… Finirà per qualche centinaio di voti. E dire che solo Renzi alle Europee ha preso in Liguria 6.500 voti di preferenza. E Paita altri 4.200. Che follia». In serata, quando il testa a testa tra Marco Bucci e Andrea Orlando già pende dalla parte della vittoria del sindaco di Genova candidato dal centrodestra, è Francesco Bonifazi, fedelissimo di Matteo Renzi, a punzecchiare il Pd per la decisione di tenere fuori Italia Viva dall’alleanza di centrosinistra per obbedire al diktat di Giuseppe Conte. In quei giorni il presidente del M5s dichiarava addirittura la morte del “campo largo” con il Pd e gli altri alleati. E, si sa, gli elettori di entrambe le coalizioni non gradiscono le liti e i veti (anche in Basilicata, ad aprile, la rottura del campo largo per mano di Conte e le continue polemiche con il Pd e i centristi hanno finito per dare la volata alla riconferma del forzista Vito Bardi). «Oggi perde chi mette veti, perde Conte e chi ha messo veti su noi», rincara la dose a risultato consolidato lo stesso Renzi.I veti incrociati tra alleati e la guerra tra Conte e Grillo tra i motivi della sconfittaC’è poi un elemento tutto interno al M5s, impegnato nel processo costituente che a fine novembre cambierà lo statuto e forse anche il nome e il simbolo: la guerra quasi quotidiana tra Conte il fondatore e garante Beppe Grillo, che per inciso è genovese e che proprio in Liguria ha lanciato quindici anni fa la sua avventura a 5 Stelle. E che sabato, alla vigilia del voto, ha voluto lanciare il suo anatema contro un M5s ormai «evaporato» e contro i candidati regionali del campo progressista «catapultati dall’alto». Per poi non recarsi alle urne. È molto probabile che le parole del fondatore abbiano suscitato sconcerto in una parte dell’elettorato pentastellato, che in Liguria ha effettivamente accentuato la tendenza all’“evaporazione”: il M5s – che alle europee aveva preso in regione il 10% e alle scorse regionali del 2020 quasi l’8% – si è fermato sotto il 5%, superato da Alleanza Verdi/Sinistra che ha confermato il buon trend delle europee superando il 6%. Spicca, tra il flop del principale alleato, l’ottimo risultato del Pd: primo partito con oltre il 28%, quasi doppia Fratelli d’Italia e cresce rispetto alle europee (26,3%). Non solo. Orlando ha preso più di 12mila voti in più rispetto alle liste che lo sostenevano, segno che la candidatura era solida. Insomma, «il Pd la sua parte l’ha fatta», per usare l’espressione dell’ex sindaco di Firenze ora eurodeputato Dario Nardella: «Il tema riguarda gli alleati del Pd».Loading…La crisi del M5s fattore di destabilizzazione del “campo largo” anche in prospettivaOra gli occhi sono puntati su Emilia Romagna e Umbria, dove si vota il 17 e 18 novembre e dove le coalizione di centrosinistra si presenta nella formazione extralarge (i renziani hanno rinunciato a presentare il simbolo di Italia Viva ma sono candidati nelle liste civiche a sostegno del presidente). Se il risultato dovesse essere favorevole al centrosinistra non solo a Bologna, dove è più scontato, ma anche a Perugia, sarà il chiaro segno che solo tutte assieme le opposizioni possono essere competitive. Certo, la crisi continua e verticale di consensi del M5s, crisi che va avanti almeno dalle europee, rischia di essere un fattore di destabilizzazione anche in prospettiva: Conte ha dimostrato, con la caduta del governo Draghi e con le conseguenti elezioni politiche in solitaria del settembre 2022, di non temere la rottura dell’asse con il Pd se a vantaggio dei consensi per il suo M5s. E se la conseguenza del calo di consensi si riverbererà anche, come è naturale che sia, sulla sua ambizione di essere il candidato premier della coalizione i rischi dell’esplosione del campo delle opposizioni aumenteranno. Al Pd per ora non resta che continuare a tessere la tela del “testardamente unitari”, che significa continuare a far gravitare anche i centristi – compreso Renzi – nell’orbita dem. LEGGI TUTTO