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    Blitz dei carabinieri, catturato il boss latitante Francesco Abbinante

    Francesco Abbinante era latitante dal 9 gennaio scorso, quando era riuscito a sfuggire a un blitz. Il reggente dell’omonima famiglia malavitosa è stato arrestato mentre si trovava in un’abitazione del casertano. Arrestato il boss Francesco Abbinante – Nanopress.itA concorrere al suo arresto è stato il suo bull terrier. I militari hanno riconosciuto l’animale e, tenendolo d’occhio per alcuni giorni, sono riusciti a risalire al covo del boss, che lo scorso novembre era sfuggito a una retata conclusa con l’arresto di 37 persone. Arrestato il latitante Francesco AbbinanteFrancesco Abbinante, il 25enne rampollo e reggente dell’omonima famiglia malavitosa di Secondigliano, è stato arrestato questa mattina grazie all’aiuto del suo bull terrier. Il cane, che i carabinieri conoscevano bene, ha consentito ai militari di incastrarlo. I carabinieri hanno infatti avvistato l’animale per le strade di Castel Volturno (Caserta) e hanno capito che il giovane boss doveva nascondersi da quelle parti.Per giorni hanno tenuto d’occhio un’abitazione, fino a quando – da una finestra – hanno visto sporgersi una persona. A quel punto è scattato il blitz e Abbinante è stato arrestato. Al momento dell’arresto era solo in casa. Lo scorso novembre, il boss era sfuggito a una retata che ha portato all’arresto di 37 persone, legate al clan Abbinante, coinvolto in numerose faide di Scampia. Abbinante è stato trasferito nel carcere di Secondigliano, in attesa dell’udienza di convalida del fermo.Non è la prima volta che l’amore per gli animali aiuta a incastrare un latitante: nel 2006, un altro Francesco Abbinante, parente dell’attuale reggente, fu arrestato quando i carabinieri seguirono un fattorino incaricato di consegnare 9 pizze e scoprirono l’abitazione dove si nascondeva. Lo scorso anno, un altro boss fu arrestato grazie alla “complicità” del suo cane. Fu proprio il cagnolino di Luigi Cacciapuoti a indicare ai carabinieri dove si nascondeva il suo padrone. LEGGI TUTTO

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    Incendio in un’abitazione a Lucca, morta una donna

    I soccorsi si sono rivelati inutili. Per la vittima, una donna di 63 anni, non c’è stato nulla da fare. Incendio in un’abitazione a Lucca, donna trovata morta – Nanopress.itDai primi accertamenti, le cause del rogo sembrerebbero di natura accidentale. Incendio nella notte a Lucca: donna trovata morta in casaDramma nella notte appena trascorsa in un’abitazione di San Lorenzo a Vaccoli, provincia di Lucca. Una donna di 63 anni – le cui generalità non sono ancora state rese note, è stata trovata morta nella sua casa, in cui è divampato un incendio. La vittima sarebbe deceduta a causa delle esalazioni. Probabilmente è stata colta nel sonno dalle fiamme e non ha avuto neppure il tempo di provare a fuggire.Sulle cause delle fiamme – stando a quanto emerso dai primi accertamenti – sarebbero accidentali. Sul posto intervenuti i vigili del fuoco, la polizia e i sanitari inviati dal 118. La chiamata ai vigili del fuoco è arrivata intorno alle 3 della scorsa notte. Quando i soccorritori sono riusciti a entrare in casa, una villetta indipendente, hanno trovato il corpo della donna riverso sul letto.Sul posto sono al lavoro diverse squadre di polizia. La salma della vittima è stata affidata all’autorità giudiziaria, che potrebbe disporre l’esame autoptico, anche se non sembrano esserci dubbi sulle cause del decesso. LEGGI TUTTO

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    Inseparabili nella vita, letteralmente

    Caricamento playerQuando nacquero il 18 settembre del 1961 a West Reading in Pennsylvania (Stati Uniti), il loro medico disse che non sarebbero vissuti più di un anno. Lori e George Schappell vissero invece 62 anni, diventando una delle coppie di gemelli congiunti più longeve mai registrate. Dopo avere trascorso una vita costantemente insieme i gemelli Schappell sono morti il 7 aprile scorso in un ospedale di Philadelphia. Alternando periodi di grande riservatezza ad altri di presenza sui media, contribuirono a modo loro a far sviluppare una maggiore consapevolezza su alcune forme di disabilità e a ridurre certi casi di emarginazione.
    Il fenomeno dei gemelli che durante lo sviluppo nell’utero rimangono collegati tra loro è estremamente raro e ha un’incidenza di un caso ogni 200mila nascite (le stime variano molto anche a seconda delle aree geografiche). Circa la metà dei gemelli congiunti non sopravvive alla nascita e il restante 30 per cento muore solitamente entro le prime 24 ore, a causa di diverse complicanze. Per chi sopravvive, l’aspettativa di vita è generalmente bassa a causa delle difficoltà che insorgono nella fase dello sviluppo. Sulla durata della vita incide spesso il punto in cui un gemello è collegato all’altro: torace, addome o cranio, come nel caso degli Schappell.
    I gemelli congiunti vengono spesso chiamati “gemelli siamesi” dal caso di Chang ed Eng Bunker, due fratelli originari del Siam (il territorio che oggi chiamiamo Thailandia) che nell’Ottocento girarono il mondo diventando un’attrazione e una curiosità per chi li andava a vedere. Ebbero un notevole successo ed essendo originari del Siam divennero conosciuti come i “gemelli siamesi”, modo di dire che si applicò poi in generale a tutte le persone con la loro condizione. Oggi si tende a preferire definizioni più neutre e senza una connotazione geografica, anche perché in ambito medico la classificazione dei tipi più comuni di gemelli congiunti utilizza una nomenclatura specifica.
    Lori e George Schappell appartenevano al tipo Craniopagus: i loro teschi erano fusi insieme, mentre il resto dei loro corpi era separato. Dopo che erano sopravvissuti al primo anno di vita, il loro medico cambiò previsione e disse che non sarebbero arrivati a compiere due anni, come raccontò Lori Schappell in un’intervista nel 2002: «Disse che non avremmo vissuto oltre i due anni o che non avremmo superato i tre. Ogni anno aveva torto. Se solo ci potesse vedere oggi».
    I loro genitori avevano altri sei figli e decisero di mettere i gemelli in un istituto per persone con problemi mentali, anche se in realtà le loro funzionalità cognitive erano nella norma. Man mano che crescevano, gli venivano affidati vari compiti come aiutanti del personale dell’istituto, per esempio per rifare i letti o imboccare gli ospiti che non erano autonomi.
    Gli Schappell avevano trascorso circa vent’anni in istituto quando incontrarono Ginny Thornburgh, la moglie del governatore della Pennsylvania per buona parte degli anni Ottanta. Thornburgh aveva dedicato una parte importante della propria vita ai diritti e all’emancipazione delle persone con disabilità, aiutata dal marito che da governatore aveva provveduto a far chiudere alcune strutture nelle quali venivano spesso lasciati i bambini con problemi dello sviluppo, privandoli della possibilità di vivere e integrarsi nella società.
    Thornburgh facilitò l’uscita degli Schappell dall’istituto e la loro sistemazione in altri tipi di strutture, dove potevano vivere più liberamente. Lori ottenne un lavoro in ospedale al quale partecipava naturalmente anche George, che non poteva muoversi autonomamente a causa della spina bifida, una malformazione delle vertebre che aveva condizionato il suo sviluppo. George non poteva camminare da solo ed era molto più basso di Lori: viveva assicurato a uno sgabello con le ruote, in modo da non obbligare la sorella e rimanere chinata tutto il tempo ed era lei a portarlo in giro con sé.
    In un breve documentario realizzato nel 1997, Lori aveva detto di pensarsi come una persona completamente distinta dal fratello: «Siamo esseri umani venuti al mondo collegati in una parte del corpo. È una condizione che si verifica nel processo di nascita e le persone devono capirlo». All’epoca George si faceva chiamare Reba, dal nome della cantante country Reba McEntire che aveva scelto per sostituire quello comunque femminile che aveva ricevuto alla nascita, ma in seguito aveva intrapreso un processo di transizione perché non si sentiva a proprio agio nel genere corrispondente al proprio sesso biologico.

    Nel periodo in cui si faceva chiamare Reba, George intraprese una carriera da cantante country, vincendo alcune competizioni canore e cantando una canzone per la colonna sonora del film Fratelli per la pelle del 2003, che raccontava la storia di due gemelli congiunti interpretati da Matt Damon e Greg Kinnear. Gli Schappell avevano fatto da consulenti al film e quando i produttori avevano scoperto che Reba cantava, le proposero di inserire una delle sue canzoni nel film.
    Il film non riscosse particolare successo, ma contribuì a mostrare sotto un’ottica diversa i gemelli congiunti. I tempi erano del resto cambiati rispetto ai primi anni Sessanta e soprattutto si stava superando una fase di un certo interventismo da parte di alcuni medici, molto inclini a intervenire chirurgicamente e separare i neonati con quella condizione. In particolare tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, alcuni casi di gemelli congiunti negli Stati Uniti avevano attirato grandi attenzioni in seguito alle operazioni svolte per separarli. Gli interventi erano sperimentali e dalle conseguenze incerte: molti gemelli congiunti non potevano essere separati facilmente, per esempio perché avevano alcuni arti o organi in comune, oppure non erano completamente chiari rischi ed esiti di un intervento.
    Come ricorda S. I. Rosenbaum sull’Atlantic, un intervento condotto nel 1987 su una coppia di gemelli congiunti di sei mesi lasciò importanti conseguenze neurologiche ai pazienti, che non svilupparono mai la capacità della parola. Altri casi controversi riguardarono la separazione di gemelli nella quale solo uno dei due sarebbe potuto sopravvivere, con le difficoltà etiche e morali connesse a quella scelta. In almeno un caso un gemello fu sacrificato per dare più opportunità all’altro, che però morì poco tempo dopo senza avere mai lasciato l’ospedale.
    George e Lori Schappell dissero in più occasioni di non avere mai pensato a un’operazione per essere separati, o di avere sperato di essere nati separati. Erano convinti che non ci fosse una “vita normale”, ma che ognuno abbia la propria, vissuta con vantaggi, scocciature, difficoltà da superare e momenti di felicità. Per quanto possibile, cercavano di mantenere un po’ di privacy, per esempio usando una tenda per fare la doccia separatamente e non necessariamente nello stesso momento. George aveva l’hobby della musica country, mentre a Lori piaceva molto giocare a bowling e avere più contatti sociali. Talvolta il fatto di vivere così uniti portava a qualche strana interazione col prossimo.
    Lori raccontò che una volta un barman in un locale si rifiutò di servire da bere a George, sostenendo che sembrava troppo giovane per avere l’età minima per consumare alcolici. Paradossalmente, lo stesso barman non si fece invece problemi a servire da bere a Lori, convinto che fosse invece grande a sufficienza per poterlo fare.
    Quando Reba cantava sul palco, Lori si copriva con un telo in modo da ridurre le distrazioni per il pubblico. Lori ebbe alcune relazioni amorose e quindi ci furono occasioni in cui ebbe momenti di intimità con altre persone. Aveva raccontato che in quei momenti riusciva a dimenticarsi di essere attaccata alla testa di un’altra persona: «Per quanto riguarda qualsiasi cosa oltre a coccolarsi e darsi dei baci, non andrò oltre. Mi concederò solo la notte del mio matrimonio». Lori non si sposò mai.
    I gemelli Schappell nel 2002 (AP Photo/Brad C. Bower, File)
    Negli anni Novanta i gemelli Schappell parteciparono ad alcuni talk show trash molto famosi negli Stati Uniti come quelli di Howard Stern e di Jerry Springer. Divennero piuttosto conosciuti dal pubblico e raccontati da numerosi articoli di giornale, che utilizzavano spesso toni sensazionalistici o carichi di retorica e di pietà nei loro confronti. Cose che gli Schappell non cercavano necessariamente, visto che cercavano di far passare il messaggio di vivere una loro normalità. Anche per questo non si impegnarono mai direttamente nelle iniziative per far aumentare sensibilità e consapevolezza nei confronti delle persone con disabilità, ma secondo diversi osservatori la loro presenza in televisione contribuì comunque al dibattito e al confronto sull’opportunità di cambiare approcci, terapie e percorsi di cura e assistenza.
    Lori e George Schappell sono morti a inizio aprile; le cause non sono state comunicate dalla famiglia. A seconda del punto in cui sono uniti, i gemelli congiunti condividono organi o specifiche funzionalità, di conseguenza la morte di uno dei due determina anche la morte dell’altro. Rispondendo a una domanda sulla possibilità di essere separati chirurgicamente in un’intervista del 1997, Lori aveva detto: «Il nostro punto di vista è no, decisamente no. Perché mai vorresti farlo? Per tutti i soldi del mondo, perché mai? Rovineresti due vite nel farlo. E sentiremmo orribilmente la mancanza se uno dei due dovesse morire». LEGGI TUTTO

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    Lo scorso aprile è stato il più caldo mai registrato

    Secondo il Climate Change Service di Copernicus, il programma di collaborazione scientifica dell’Unione Europea che si occupa di osservazione della Terra, lo scorso mese di aprile è stato il più caldo mai registrato sulla Terra.La temperatura media globale è stata di 15,03 °C, cioè 0,14 °C più alta del precedente mese di aprile più caldo mai registrato, quello del 2016. L’aprile del 2024 è stato inoltre l’undicesimo mese consecutivo considerato il più caldo mai registrato a livello globale. Le stime di Copernicus sono realizzate usando diversi tipi di dati, tra cui le misurazioni dirette della temperatura fatte da reti di termometri presenti sulla terra e in mare e le stime dei satelliti. LEGGI TUTTO

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    Forse con la sordità di Beethoven c’entrava il vino

    Caricamento playerIl 7 maggio di 200 anni fa Ludwig van Beethoven, uno dei più grandi compositori nella storia della musica, salì sul palco del Kärntnertortheater di Vienna per condurre la sua Sinfonia n. 9 che aveva da poco terminato di comporre. Tra il pubblico c’erano grande curiosità e attesa. Beethoven non appariva su un palco da dodici anni e le sue precarie condizioni di salute erano note da tempo: era completamente sordo, beveva molto ed era sempre più debole. Sarebbe morto tre anni dopo quell’esibizione, cinquantaseienne, senza che fossero mai chiarite le cause della sua sordità emersa quando aveva meno di trent’anni. Ora alcuni sviluppi su una ricerca in corso da anni sembrano suggerire una intossicazione da piombo.
    Oltre a ricordare e celebrare le composizioni di Beethoven – come la Sinfonia n. 9, il cui “Inno alla gioia” è l’inno ufficiale dell’Unione Europea – da quasi due secoli storici, medici e semplici appassionati di musica classica si chiedono da sempre che cosa determinò la sordità del compositore, diventata un elemento centrale anche della sua esperienza creativa. Beethoven compose infatti alcune delle proprie opere più famose quando non riusciva più a percepire i suoni, potendoli immaginare solo nella propria mente.
    Negli anni sono circolate molte ipotesi su ciò che causò la sordità e gli altri problemi di salute di Beethoven. Oltre ad avere perso l’udito, Beethoven aveva spesso forti crampi addominali, accompagnati da flatulenze e diarrea che lo lasciavano molto debilitato e periodicamente privo di energie. È stato ipotizzato che avesse la sindrome del colon irritabile, oppure che avesse avuto la sifilide o una forte insufficienza renale forse accompagnata da una forma di diabete. La causa della sordità sarebbe potuta derivare da una malattia degenerativa come l’osteite deformante, che porta a una formazione eccessiva e anomala di materiale osseo, incidendo in alcuni casi anche sull’udito (l’orecchio interno è formato da piccole ossa).
    Le ipotesi derivano per lo più dalle testimonianze dell’epoca di chi aveva vissuto con Beethoven e lo aveva assistito soprattutto negli ultimi anni della malattia, ma i resoconti variano molto e talvolta possono essere fuorvianti. Per questo motivo da diverso tempo alcuni gruppi di ricerca seguono un approccio diverso: analizzare alcuni campioni prelevati dal suo corpo. Le analisi si sono concentrate in particolare su alcune ciocche di capelli, prelevate in varie epoche compreso il periodo intorno al momento della morte di Beethoven da alcuni amici e conoscenti.
    Ci sono diversi musei e collezionisti in giro per il mondo che sostengono di possedere alcune ciocche di Beethoven, ma verificarne l’autenticità non è semplice. I campioni devono essere confrontati con altri certamente appartenuti al compositore, attraverso esami del DNA e di particolari composti eventualmente presenti nei capelli. Lo scorso anno, per esempio, erano emersi dubbi intorno all’autenticità di alcune ciocche proprio in seguito agli esami condotti confrontando capelli in alcune collezioni.
    Grazie alla collaborazione dei collezionisti, un gruppo di ricerca della Mayo Clinic negli Stati Uniti ha di recente ottenuto alcune ciocche autentiche di Beethoven e le ha esaminate per cercare eventuali accumuli di metalli pesanti, che avrebbero potuto spiegare alcuni dei problemi di salute riscontrati dal compositore compresa la sua sordità. Come spiegano in una lettera pubblicata lunedì sulla rivista scientifica Clinical Chemistry, i ricercatori hanno rilevato una concentrazione di 258 microgrammi di piombo per grammo in una ciocca di capelli e 380 microgrammi per grammo in un’altra. Normalmente, la concentrazione è di meno di 4 microgrammi per grammo.
    Secondo il gruppo di ricerca, Beethoven fu esposto con ogni probabilità ad alte concentrazioni di piombo, un metallo che ha importanti effetti tossici per l’organismo. Analisi condotte in precedenza non avevano portato a rilevare livelli così alti di piombo, ma la nuova ricerca più approfondita e portata avanti con altre tecniche ha permesso di calcolare con maggior precisione la concentrazione di piombo e di altri elementi come mercurio e arsenico, rispettivamente 13 e 4 volte superiori ai valori solitamente rilevati.
    Il piombo in alte concentrazioni può avere vari effetti dannosi sul sistema nervoso e potrebbe avere causato, o peggiorato, la sordità di Beethoven. È invece più difficile stabilire se l’intossicazione da piombo fosse tale da rivelarsi mortale, come era stato ipotizzato in passato. È più probabile che Beethoven avesse rimediato l’intossicazione da una delle sue più grandi passioni dopo la musica: il vino.
    Tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento non era insolito che al vino, come ad altri alimenti, venisse aggiunto del sale di piombo (dietanoato di piombo), impiegato come dolcificante per migliorare il sapore del vino di bassa qualità. Inoltre, diversi altri strumenti impiegati per la vinificazione contenevano piombo compresi i turaccioli, che venivano trattati in alcuni casi con il sale di piombo per migliorare la loro tenuta come chiusura delle bottiglie.
    Dai resoconti e dai racconti dell’epoca, sappiamo che Beethoven aveva sviluppato nel tempo una certa dipendenza dal vino e che beveva più di una bottiglia al giorno. Era convinto che lo aiutasse a stare meglio e fino agli ultimi giorni della propria vita continuò a bere, sorbendo piccole quantità con un cucchiaino quando ormai non aveva più le forze e le sue capacità digestive erano compromesse.
    L’intossicazione da piombo potrebbe non essere stata comunque l’unica causa della sua sordità. Beethoven iniziò ad accorgersi di sentire sempre meno quando non aveva ancora trent’anni e attraversò periodi psicologicamente molto difficili, con la preoccupazione di non potersi più dedicare alla composizione. Anche per questo motivo consultò decine di medici per provare a trovare un rimedio contro la sordità progressiva, ma senza ottenere benefici dalle terapie che gli venivano prescritte. Molti dei preparati realizzati all’epoca contenevano a loro volta piombo, che avrebbero potuto contribuire a un ulteriore peggioramento delle sue condizioni.
    Nonostante le difficoltà e i problemi di salute il 7 maggio del 1824 a Vienna, 200 anni fa, Beethoven volle partecipare personalmente alla conduzione della prima della sua Sinfonia n. 9. Lo fece insieme a Michael Umlauf, compositore e direttore d’orchestra austriaco che aveva la responsabilità della musica nel teatro (“maestro di cappella”) e che diede istruzioni all’orchestra e ai cantanti di ignorare il più possibile le indicazioni di Beethoven, viste le difficoltà che avrebbe incontrato nel dirigere senza poter sentire la musica.

    Beethoven teneva il tempo e dirigeva come poteva l’orchestra, anche se diverse testimonianze raccontano che fosse più il compositore a seguire l’orchestra che viceversa. Si racconta che durante lo scherzo alla fine del secondo movimento – uno dei più movimentati, creativi e iconici della sinfonia – l’orchestra fu interrotta da un lungo applauso tributato a Beethoven, che però dando le spalle al pubblico non si era accorto di nulla. Beethoven continuò quindi a dare indicazioni all’orchestra anche se ormai fuori tempo, fino a quando intervenne la contralto Caroline Unger che fece girare verso il pubblico Beethoven, che in quel momento vide la grande manifestazione di affetto e apprezzamento per il suo lavoro. LEGGI TUTTO

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    Boeing ci riprova con Starliner

    Caricamento playerAggiornamento del 7 maggio 2024A causa di un problema tecnico legato al razzo Atlas V, il lancio di Starliner è stato rinviato a non prima di venerdì 10 maggio. Il rinvio consentirà ai tecnici di effettuare alcune verifiche su una valvola di regolazione della pressione sul serbatoio di ossigeno liquido dello stadio superiore del razzo, i tempi potrebbero allungarsi nel caso in cui si renda necessaria una sostituzione della valvola.
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    Il 20 dicembre 2019 i tecnici di Boeing osservarono con un certo imbarazzo il mezzo fallimento della prima missione di test senza equipaggio di Starliner, la loro nuova capsula spaziale in ritardo di anni sulla consegna e costata alla NASA miliardi di dollari. A causa di un problema tecnico, Starliner aveva mancato la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e sarebbe quindi rientrata sulla Terra senza possibilità di verificare i propri sistemi di attracco. Fu necessario un anno e mezzo di lavoro per risolvere i problemi riscontrati con la prima missione e infine raggiungere la ISS con un nuovo volo sperimentale, ancora una volta senza astronauti a bordo e con altri problemi tecnici. Dopo altri due anni passati a risolverli, Starliner è infine pronta per portare i primi astronauti in orbita: è una delle missioni spaziali più importanti e attese del 2024, un anno estremamente difficile per Boeing.
    L’azienda, una delle più importanti e storiche degli Stati Uniti con numerosi contratti pubblici nel settore aerospaziale, è stata per mesi al centro dell’attenzione delle autorità di controllo e dei media in seguito al distacco in volo di una porta di emergenza da un proprio aeroplano, un Boeing 737 MAX 9, il 5 gennaio scorso. L’aereo aveva effettuato un atterraggio di emergenza e tre delle 177 persone a bordo erano state lievemente ferite. L’incidente aveva portato a nuove critiche e dubbi sugli standard di sicurezza seguiti da Boeing nella produzione dei propri aerei, dopo che tra il 2018 e il 2019 due 737 MAX erano precipitati per evidenti responsabilità dell’azienda.
    Da diversi anni Boeing è quindi in difficoltà con la propria immagine e ha rischiato di perdere importanti contratti con alcune compagnie aeree a favore di Airbus, l’unica altra grande società produttrice di aerei civili al mondo. Starliner è realizzata da una divisione completamente diversa rispetto a quella che si occupa degli aeroplani, ma il marchio è comunque Boeing e i problemi riscontrati con la capsula negli anni scorsi fanno sì che la grande attesa che precede sempre i primi lanci con equipaggio sia un po’ diversa dal solito, con qualche elemento di attenzione in più soprattutto da parte dei media statunitensi.
    Salvo rinvii, il primo lancio con equipaggio di Starliner avverrà quando in Italia saranno le 4:34 del mattino di martedì 7 maggio da Cape Canaveral, il principale centro di lancio spaziale della NASA. La capsula, a forma di tronco di cono e che ricorda altri veicoli spaziali come quelli impiegati un tempo per le missioni lunari Apollo, è stata collocata in cima a un razzo Atlas V di United Launch Alliance: i motori del razzo avranno il compito di spingere la capsula oltre l’atmosfera e sulla giusta traiettoria per incrociare la Stazione Spaziale Internazionale, in orbita a circa 400 chilometri di altitudine a una velocità di 27.500 chilometri orari.
    Starliner sulla rampa di lancio a Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (AP Photo/Terry Renna)
    A bordo di Starliner ci saranno due astronauti di esperienza della NASA: Barry E. Wilmore, che ha 61 anni ed è al proprio terzo lancio, e Sunita L. Williams che di anni ne ha 58 ed è alla terza esperienza nello Spazio. Raggiunta la ISS, i due astronauti rimarranno a bordo per una settimana circa, in compagnia dell’equipaggio che svolge missioni di lunga permanenza sulla Stazione, poi torneranno su Starliner per raggiungere nuovamente la Terra. Il test servirà quindi per verificare i sistemi di lancio della capsula, quelli di attracco e quelli di atterraggio, in modo da ricevere le certificazioni finali da parte della NASA per diventare ufficialmente uno dei veicoli da impiegare per trasportare persone e materiale verso e dalla Stazione Spaziale Internazionale.
    Attualmente per queste attività la NASA può fare affidamento solamente su SpaceX, la società spaziale privata di Elon Musk, e sui sistemi di lancio Soyuz dell’Agenzia spaziale russa (Roscosmos), che mette a disposizione a pagamento alcuni posti nell’ambito dei programmi di collaborazione internazionale per il mantenimento della ISS. Fino al 2011 la NASA raggiungeva la Stazione grazie agli Space Shuttle, le grandi astronavi che partivano in verticale e tornavano sulla Terra planando come un aeroplano.
    Gli Shuttle furono però ritirati nel 2011 a causa degli alti costi di mantenimento e nel 2014 la NASA decise di affidare il compito di trasportare gli equipaggi nell’orbita bassa della Terra alle aziende private. SpaceX e Boeing vinsero gli appalti per costruire due sistemi alternativi di trasporto, ottenendo rispettivamente un finanziamento da 2,6 miliardi di dollari e da 4,2 miliardi di dollari. Nel 2020 SpaceX effettuò il primo volo con astronauti della sua capsula Crew Dragon e da allora ha trasportato 11 equipaggi verso la ISS, a differenza di Boeing che ha accumulato grandi ritardi e ha dovuto investire molto più denaro per superare imprevisti e problemi tecnici.
    La prima missione di prova nel 2019 si concluse senza raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale: a causa di un’anomalia nel sistema per calcolare il tempo trascorso dal momento del lancio, la capsula non aveva raggiunto il livello orbitale necessario per attraccare alla ISS. La capsula tornò sulla Terra normalmente e il test permise comunque alla NASA di rilevare decine di problemi e cose da sistemare in vista di un secondo tentativo, sempre senza equipaggio a bordo.
    Il lancio di Starliner il 20 dicembre 2019 da Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (AP Photo/Terry Renna)
    In seguito alcuni responsabili della NASA ammisero di non avere seguito Boeing con le stesse cautele con cui avevano seguito lo sviluppo di Crew Dragon da parte di SpaceX, semplicemente perché l’agenzia aveva una collaborazione di lunga data con Boeing sia in termini di personale sia di sistemi impiegati. Quella familiarità secondo alcuni osservatori sarebbe diventata anche una delle cause dei lenti e costosi progressi dello Space Launch System, il grande razzo sviluppato dalla NASA con migliaia di aziende in appalto per raggiungere l’orbita lunare nell’ambito del progetto Artemis.
    Alle difficoltà tecniche e di sviluppo, negli anni dopo l’insuccesso del 2019 si aggiunse la pandemia da coronavirus, che rallentò sensibilmente i lavori per correggere i problemi riscontrati su Starliner e per preparare una nuova capsula per una missione sperimentale. Il secondo lancio di test fu infine effettuato nel maggio del 2022 e per la prima volta la capsula spaziale riuscì ad attraccare regolarmente alla ISS, con il sollievo di molti tra i responsabili dell’azienda e della NASA.
    Non andò comunque tutto liscio nemmeno con il secondo test. Dopo il rientro al suolo della capsula, e la sua analisi, furono scoperti due problemi non secondari. I tecnici notarono che alcuni degli ancoraggi del sistema di paracadute, che si aprono una volta che la capsula è rientrata nell’atmosfera, avrebbero potuto cedere in caso di sollecitazioni maggiori rispetto a quelle normalmente attese, di conseguenza si resero necessarie alcune modifiche strutturali. Un’ispezione dei chilometri di cavi del sistema elettrico e di trasmissione dei dati fece inoltre emergere un problema legato al nastro isolante impiegato per assicurare i cavi: sopra una certa temperatura, prendeva facilmente fuoco. Fu quindi necessario sostituire circa un chilometro e mezzo di nastro isolante per sostituirlo con un’altra soluzione.
    La sistemazione di questi e altri problemi rese necessario un nuovo slittamento del primo test con equipaggio, inizialmente programmato per il mese di luglio del 2023. In mancanza del nuovo sistema di trasporto, la NASA fu costretta a rivedere parte del proprio calendario, spostando alcuni astronauti da Starliner a Crew Dragon per mantenere le normali rotazioni degli equipaggi che trascorrono circa sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale.
    I rinvii e i problemi riscontrati in questi anni hanno contribuito a fare aumentare l’attesa per il primo test con astronauti di Starliner. La NASA ha ribadito in più occasioni che la sicurezza dei propri equipaggi è da sempre la priorità, che i sistemi della capsula spaziale sono stati verificati e sperimentati più volte e che avere un secondo fornitore di trasporti verso la ISS oltre a SpaceX offrirà maggiori opportunità e alternative in caso di problemi tecnici.
    Wilmore e Williams occuperanno due dei cinque-sette posti a disposizione (la quantità varia a seconda della configurazione) nella capsula a tronco di cono che ha un diametro di 4,6 metri e un’altezza di cinque metri, comprensiva di un cilindro alla base – il Modulo di servizio – che viene impiegato per il trasporto di materiale e per altre strumentazioni. Dopo circa 4 minuti dal lancio, la parte (stadio) più grande del razzo Atlas V si separerà e ricadrà sulla Terra (non è previsto il suo recupero), mentre Starliner proseguirà il proprio viaggio spinto dal secondo stadio del razzo che si separerà una decina di minuti dopo. La capsula effettuerà poi l’ingresso nell’orbita necessaria per raggiungere la ISS e attraccarvi, consentendo all’equipaggio di salire a bordo della Stazione.
    Fase di preparazione di Starliner (Boeing)
    Se tutto procederà come previsto, dopo una settimana Wilmore e Williams saliranno nuovamente su Starliner che si separerà dalla ISS. Il suo scudo termico proteggerà il resto della capsula dall’alta temperatura che si sviluppa nelle turbolente fasi di rientro nell’atmosfera e infine si apriranno i paracadute per rallentare la discesa della capsula prima del suo arrivo al suolo negli Stati Uniti sud-occidentali.
    Starliner dopo il suo arrivo nell’area di White Sands, New Mexico, nel dicembre del 2020 (Bill Ingalls/NASA via AP)
    A differenza di Crew Dragon che si tuffa nell’oceano dove viene poi recuperata, Starliner è stata progettata per atterrare sulla terraferma, come fanno le Soyuz russe. Il rientro può essere in alcuni casi un poco più traumatico di un ammaraggio, ma semplifica di molto le attività delle squadre di recupero che non devono fare i conti con le condizioni del mare.
    Il ritorno sulla Terra segnerà la conclusione del test e renderà infine totalmente operativa Starliner, che nelle intenzioni di Boeing sarà una capsula riutilizzabile per una decina di viaggi prima di dover essere sostituita (la società ne realizzerà più di una). Starliner-1, la prima missione vera e propria, sarà effettuata all’inizio del 2025 e consentirà di trasportare sulla ISS due astronauti statunitensi, un astronauta canadese e uno giapponese. Come Crew Dragon, anche Starliner sarà utilizzata dalle altre agenzie spaziali che collaborano alla ISS, compresa l’Agenzia spaziale europea. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Tra le foto di animali che vale la pena vedere questa settimana c’è questa che mostra un orango prima e dopo essersi medicato da solo una ferita, utilizzando alcune parti masticate di una pianta: secondo i ricercatori la scoperta si aggiunge alle osservazioni effettuate in precedenza in diverse altre specie note per utilizzare piante e altri rimedi per medicarsi, ma nella maggior parte dei casi ingerendole. Tra gli animali che si potevano trovare negli archivi delle agenzie fotografiche invece ci sono cani, coyote e sciacalli, i denti di un alligatore, l’occhio di un fenicottero e la coda di un pavone. Ma anche tigri e ippopotami ancora piccoli e gatti famosi o randagi. LEGGI TUTTO

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    La Cina fa sul serio con la Luna

    Caricamento playerAlle 11:30 di venerdì (ora italiana) un razzo Lunga Marcia 5 lanciato dal centro spaziale di Wenchang ha portato oltre l’atmosfera terrestre la missione Chang’e 6, con l’obiettivo di raggiungere la faccia nascosta della Luna per prelevare alcuni campioni di terreno e roccia da portare sulla Terra. È una delle missioni senza equipaggio più complesse e ambiziose dell’Agenzia spaziale cinese (CNSA) e conferma il grande interesse del governo cinese per la Luna e la possibilità di esplorarla entro pochi anni con gli esseri umani, con progetti alternativi a quelli avviati dalla NASA e da altre agenzie spaziali con il programma lunare Artemis.
    Come suggerisce la cifra dopo il nome, Chang’e 6 è la sesta missione del Programma cinese per l’esplorazione lunare iniziato nel 2007 con Chang’e 1, la prima iniziativa per raggiungere l’orbita lunare. Chang’e è il nome della dea della Luna in diverse mitologie cinesi e, missione dopo missione, l’iniziativa ha permesso alla Cina di compiere grandi progressi nelle complicate attività per raggiungere il suolo lunare. L’obiettivo fu raggiunto una prima volta da Chang’e 3 nel 2013, rendendo la Cina il terzo paese nella storia a compiere un allunaggio controllato dopo gli Stati Uniti e la Russia ai tempi dell’Unione Sovietica.
    Nel 2020 la Cina era anche entrata nel ristretto gruppo di paesi ad avere raccolto campioni lunari e ad averli portati sulla Terra grazie alla missione Chang’e 5, che aveva compiuto un allunaggio nell’emisfero nord della Luna. Chang’e 6, la missione partita venerdì, farà qualcosa di analogo, ma prelevando campioni dall’emisfero sud lunare e in una zona che non è mai osservabile direttamente dalla Terra. La Luna ci mostra infatti sempre la stessa faccia, indipendentemente da dove la osserviamo, a causa della rotazione sincrona, cioè il coincidere del periodo di rotazione con quello di rivoluzione. L’osservazione e l’esplorazione dell’emisfero lunare nascosto è molto difficile: se ci si trova sulla faccia nascosta, per esempio, la Luna stessa diventa un ostacolo per comunicare con la Terra.

    La Cina era stato il primo paese a riuscire a effettuare un allunaggio controllato sulla faccia nascosta della Luna con la missione Chang’e 4 nel 2019. Molte delle conoscenze maturate con quell’esperienza saranno ora impiegate per tentare la stessa cosa con Chang’e 6, che raggiungerà un’area della superficie lunare che fa parte del bacino Polo Sud-Aitken (SPA), un gigantesco cratere creato dall’impatto di una meteora nelle vicinanze del polo sud lunare. La raccolta di campioni potrebbe consentire di portare sulla Terra frammenti del mantello, uno degli strati interni della Luna, che furono proiettati verso l’esterno al momento dell’impatto. Il loro studio potrebbe consentire di approfondire le conoscenze sulla storia geologica del nostro satellite naturale, sul quale sappiamo ancora relativamente poco.
    La faccia nascosta della Luna: la grande macchia scura nell’emisfero meridionale è il bacino Polo Sud-Aitken (NASA/Goddard Space Flight Center)
    Dopo avere raggiunto la Luna, un lander (cioè un robot sviluppato per compiere un atterraggio) si staccherà da una sonda che rimarrà in orbita intorno al pianeta e inizierà la propria discesa verso il suolo lunare, effettuando buona parte delle manovre con sistemi di controllo automatici. Raggiunta la superficie, utilizzerà un braccio robotico e una piccola trivella per raggiungere i due metri di profondità, dove preleverà alcuni campioni che saranno poi inseriti in una capsula. Questa sarà inserita in un modulo di risalita, che utilizzerà il resto del lander come una sorta di mini rampa di lancio per tornare in orbita e ricollegarsi alla sonda dalla quale si era staccato in precedenza. La capsula sarà poi trasferita in un modulo di servizio che inizierà un viaggio verso la Terra, che terminerà nelle pianure della Mongolia Interna, la regione autonoma nella parte settentrionale della Cina.

    Salvo cambiamenti di programma la missione durerà 53 giorni e consentirà di portare sul nostro pianeta fino a 2 chilogrammi di rocce lunari. I responsabili dell’Agenzia spaziale cinese si sono impegnati a condividere i campioni con il resto della comunità scientifica, come del resto avevano già fatto con le rocce prelevate da Chang’e 4, ma alcuni paesi come gli Stati Uniti mantengono molte cautele e hanno qualche dubbio sulle effettive intenzioni della Cina per quanto riguarda la Luna.
    All’inizio dello scorso anno l’amministratore delegato della NASA, Bill Nelson, aveva detto che con le nuove missioni lunari della Cina era di fatto iniziata una nuova “corsa allo Spazio”, dopo quella tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Nelson aveva anche espresso la necessità di non riporre troppa fiducia nelle dichiarazioni del governo cinese: «Ed è vero che è meglio stare attenti che [la Cina] non raggiunga un posto sulla Luna con il pretesto della ricerca scientifica. Non è impensabile che poi dicano: “State lontani, siamo qui, questo è il nostro territorio”».
    Parte della diffidenza deriva anche dall’iniziativa avviata da CNSA e Roscosmos, cioè l’agenzia spaziale russa, per costruire in futuro una “Stazione di ricerca lunare internazionale” (ILRS) con missioni di lunga permanenza da parte dei cosmonauti russi e dei taikonauti cinesi. Cina e Russia hanno detto in più occasioni che il progetto è aperto a tutti i paesi interessati, ma per ora le adesioni hanno riguardato per lo più paesi della loro area di influenza come Azerbaigian e Bielorussia, o paesi che raramente collaborano con le agenzie spaziali occidentali come Venezuela, Thailandia, Turchia, Egitto e Pakistan.
    I piani non sono ancora completamente chiari e la Cina sembra avere maggiore interesse, e soprattutto maggiori risorse, rispetto alla Russia. La prima fase di perlustrazione è comunque già in corso con le missioni come Chang’e 6, mentre sarà necessario attendere un paio di anni prima che inizino a essere sperimentati moduli e sistemi in vista della costruzione di una base orbitale o sulla superficie della Luna. Il governo cinese vorrebbe comunque raggiungere la Luna con un proprio equipaggio entro il 2030, anche se diversi osservatori ritengono l’obiettivo troppo vicino nel tempo. L’Agenzia spaziale cinese ha fatto comunque grandi progressi in pochi anni, per esempio costruendo una propria stazione spaziale in orbita intorno alla Terra, occupata in modo continuativo da equipaggi di tre persone.

    I successi delle missioni spaziali sono sfruttati dalla propaganda per promuovere i progressi tecnologici raggiunti dalla ricerca e dall’industria cinese, oltre che per mostrare i risultati ottenuti dal presidente Xi Jinping. Negli ultimi anni il settore aerospaziale cinese si è ampliato in modo significativo, con l’emergere di numerose aziende private che ricevono grandi finanziamenti da parte del governo, che mantiene uno stretto controllo sulle loro attività.
    Dei 211 lanci orbitali di successo effettuati nel 2023, 109 sono stati effettuati dagli Stati Uniti, che mantengono un alto ritmo soprattutto grazie a SpaceX nel pieno dell’espansione del proprio servizio Starlink per Internet via satellite, e 66 dalla Cina, il secondo paese ad avere effettuato più missioni spaziali. In meno di cinque anni la Cina ha raddoppiato la quantità di lanci orbitali e ha aumentato sensibilmente le attività oltre l’orbita bassa terrestre, con le missioni verso la Luna.
    Nei prossimi anni la competizione tra Cina e Stati Uniti in ambito spaziale diventerà più serrata e una parte importante del confronto si svolgerà proprio intorno alla Luna. La NASA progetta di effettuare un allunaggio con astronaute e astronauti non prima di settembre 2026 nell’ambito del programma Artemis, dopo avere rivisto sensibilmente le proprie previsioni iniziali che a causa dei ritardi accumulati si erano rivelate troppo ottimistiche. I rinvii di Artemis potrebbero favorire le intenzioni lunari della Cina, interessata non solo ai progressi scientifici derivanti da un’impresa di quel tipo, ma anche a quelli commerciali e politici per dimostrare le proprie capacità tecnologiche che potrebbero anche essere sfruttate a scopi militari. LEGGI TUTTO