Il ministro della Giustizia è intervenuto alla Conferenza internazionale contro il femminicidio a Roma. A margine dell’evento ha parlato anche la ministra delle Pari opportunità Roccella, secondo la quale “non c’è una correlazione fra l’educazione sessuale nella scuola e una diminuzione delle violenze contro le donne”. Le loro parole hanno subito provocato le reazioni dell’opposizione. “È questo il contributo che il governo Meloni offre alla Conferenza contro i femminicidi?”, si chiede Boschi
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“Anche se oggi l’uomo accetta e deve accettare questa assoluta parità formale e sostanziale nei confronti della donna, nel suo subconscio il suo codice genetico trova sempre una certa resistenza”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, alla Conferenza internazionale contro il femminicidio a Roma. Parole che hanno immediatamente suscitato non poche polemiche, a partire dalla presidente dei deputati di Italia Viva Maria Elena Boschi che ha definito le parole di Nordio come “imbarazzanti”. L’esponente di Iv non si è limitata ad attaccare quanto affermato dal ministro della Giustizia ma si è espressa anche contro le parole della ministra per le Pari opportunità Roccella, per la quale si può “parlare di educazione sessuo-affettiva, ma lateralmente. Se vediamo i Paesi dove da molti anni è un fatto assodato, come per esempio la Svezia, notiamo che non c’è correlazione con la diminuzione di femminicidi. Non voglio criminalizzare la Svezia, ma non c’è una correlazione fra l’educazione sessuale nella scuola e una diminuzione delle violenze contro le donne”. “È questo il contributo che il governo Meloni offre alla Conferenza contro i femminicidi?”, si chiede Boschi.
Le parole di Nordio
Tornando a quanto dichiarato dal ministro della Giustizia, per Nordio c’è storicamente “una sedimentazione anche nella mentalità dell’uomo, del maschio, che è difficile da rimuovere perché è una sedimentazione che si è formata in millenni di sopraffazione, di superiorità”. Per Nordio, “è necessario intervenire con le leggi, con le leggi penali, con la repressione e con la prevenzione, ma soprattutto è necessario intervenire sull’educazione, cercare di rimuovere dalla mentalità del maschio questa sedimentazione millenaria di superiorità che si è tradotta e continua a tradursi in atti di violenza”. Importante, come affermato da Nordio, “l’educazione in famiglia, fatta con l’esempio, prima ancora che con le belle parole. Se vogliamo sradicare questa forma di sopraffazione funesta che continua a tradursi con questi atti criminali, benissimo le leggi, ma soprattutto – ha ribadito – serve un’educazione che cominci dall’infanzia e dalla famiglia”.
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Il ministro della Giusitizia ha poi commentato la decisione di introdurre il reato di femminicidio: “Dal punto di vista giuridico”, ha spiegato, per “l’omicidio soprattutto aggravato in questi casi era già previsto l’ergastolo, però il femminicidio ha questo connotato che è già stato definito: si uccide una donna in quanto donna. Per quanto riguarda la sua disciplina giuridica, la novità è che è punito con l’ergastolo, e questo evita tutta una serie di problematiche che esistono in Italia, non sempre negli altri Paesi, di bilanciamento tra le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti. Non è più un reato di omicidio aggravato, è un reato che ha una sua struttura, una sua configurazione oggettiva e soggettiva completamente autonoma”.
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Le reazioni
Oltre a Maria Elena Boschi, anche altri esponenti della politica italiana hanno reagito alle parole del ministro della Giustizia. Come la deputata M5S Chiara Appendino che sui social ha scritto: “‘Violenza di genere nel codice genetico maschile’: dopo aver demolito la giustizia, garantito impunità ai soliti noti, liberato uno stupratore di bambini e preso a modello Gelli, Nordio ci regala un’altra perla. La prossima sarà propagandare Lombroso? Se questo è un Ministro…”. Le fa eco la deputata del Pd Ilenia Malavasi: “Le parole del ministro Nordio confermano, ancora una volta, quanto sia urgente abbandonare certi insopportabili stereotipi e idee distorte e ingannevoli. Ridurre millenni di oppressione femminile a una sorta di “legge del più forte”, a un presunto retaggio muscolare inscritto nel codice genetico degli uomini, significa banalizzare un fenomeno complesso e profondamente culturale. La violenza di genere non nasce esclusivamente dalla forza: nasce da rapporti di potere, da strutture sociali ingiuste, da un’asimmetria che la politica dovrebbe impegnarsi a correggere, non a giustificare con spiegazioni pseudo-darwiniane che sembrano uscite da un manuale d’altri tempi. Quello che serve non è la narrazione paternalistica del maschio che lotta con il proprio “subconscio”, ma un impegno serio e coerente dello Stato: investimenti nell’educazione al rispetto a scuola, sostegno ai centri antiviolenza, formazione adeguata per chi opera nella giustizia e nelle forze dell’ordine, politiche che liberino le donne dalla dipendenza economica. E soprattutto serve una classe dirigente capace di parlare con responsabilità”.

