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Giustizia: da Barbera a Bettini, tutti i Sì che Schlein non si aspettava. La difficile partita del Pd

Passi per il simbolo di Tangentopoli, l’ex Pm della Procura di Milano Antonio Di Pietro, che si è espresso in favore della riforma Nordio. Passi per la radicale Emma Bonino, che della separazione delle carriere ha fatto una delle battaglie politiche della vita assieme a Marco Pannella. E passi pure per i centristi Carlo Calenda e Matteo Renzi, che avevano il tema nel programma del fu Terzo polo alle elezioni politiche del 2022: il leader di Azione ha sempre votato in favore in Parlamento e darà indicazioni per il Sì al referendum confermativo di marzo/aprile, il leader di Italia Viva ha preferito astenersi e lascerà libertà di voto. Ma il risultato politico è lo stesso: come accaduto a giugno scorso per il referendum abrogativo contro il renziano Jobs act, fallito per mancato raggiungimento del quorum, al fronte del no – Pd, M5s e Avs con l’aiuto delle “truppe” della Cgil di Maurizio Landini – manca del tutto il centro.

Tutti i sì a sinistra, da Bettini a Salvi a LibertàEguale

Passi per le posizioni in favore della riforma Nordio alla destra del campo largo, dunque, che non rientra nella giurisdizione dem. Ma il fatto è che i Sì che non ti aspetti stanno crescendo anche dentro il Pd: un fatto politico che sicuramente non fa piacere alla segretaria Elly Schlein e che mina l’impegno di tutto il partito in quella che – nonostante le smentite – è l’ultima vera battaglia politica contro il governo Meloni prima delle elezioni politiche del 2027. D’altra parte il tema della separazione delle carriere è da tempo presente nel dibattito dei democratici, tanto da comparire nella mozione di Maurizio Martina al congresso del 2019 poi vinto da Nicola Zingaretti: non solo i “liberal” eredi del migliorismo di Giorgio Napolitano raccolti nell’associazione LibertàEguale, che si sono di fatto schierati per il Sì – da Enrico Morando a Stefano Ceccanti, da Giorgio Tonini a Claudia Mancina – ma anche personalità provenienti dalla sinistra del partito come il big del Pd romano Goffredo Bettini e personalità provenienti dalla tradizione del Pci-Ds come Cesare Salvi e Claudio Petruccioli, i quali hanno ricordato come la divisione del Csm in due fu votata anche dalla Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema nel 1996/97 (con il voto favorevole, tra gli altri, dell’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella).

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Il colpo di Barbera: separazione delle carriere inevitabile

Su tutti, il colpo più forte lo ha battuto il presidente emerito della Corte costituzionale Augusto Barbera, già parlamentare del Pci e del Pds e ministro nel governo Ciampi nei primi anni Novanta. «Inutile girarci attorno. La riforma della giustizia di cui stiamo parlando è una riforma liberale divenuta inevitabile dopo al cosiddetta riforma Vassalli (la legge delega n.81 del 1987) che aveva smantellato il vecchio codice di impronta autoritaria e introdotto il sistema accusatorio», è l’affondo di Barbera in un intervento sul Foglio in cui ricorda anche la riforma a larghissima maggioranza nel 1999 dell’articolo 111 della Costituzione che ha introdotto il principio del «giusto processo» nel contraddittorio tra le parti «in condizioni di parità» davanti a un giudice «terzo ed imparziale». Come a dire che la riforma Nordio è una conseguenza inevitabile di quelle scelte condivise e che semmai arriva troppo tardi.

L’imbarazzo dei riformisti, Picierno verso il Sì

Un panorama, quello dei favorevoli alla separazione delle carriere a sinistra, su cui si inserisce la difficile posizione dei riformisti doc (per intenderci, quelli che – da Lorenzo Guerini a Giorgio Gori – a fine ottobre con il convegno milanese “Crescere” si sono staccati dalla minoranza di Energia popolare che fa riferimento al presidente del Pd Stefano Bonaccini). In Aula hanno sempre votato no e altrettanto si apprestano a fare al referendum confermativo. Ma è un fatto che sulla prima grande questione politica in agenda la corrente appena nata per marcare la differenza con la linea politica di Schlein evita di distinguersi, limitandosi ad auspicare un confronto nel partito «su come intende stare nella campagna referendaria». Segno se non di debolezza, quantomeno di errore di valutazione della tempistica per il lancio della prima vera corrente di opposizione interna alla segretaria. Ma i prossimi giorni riserveranno sorprese: l’eurodeputata Pina Picierno, la pasionaria ultra europeista, sembra infatti orientata a schierarsi pubblicamente per il Sì in dissenso dai compagni di corrente Guerini e Gori, viste le sue storiche posizioni garantiste e in favore della separazione delle carriere. E potrebbe non essere la sola.

La cautela di Schlein: non è voto contro il governo

E Schlein? Di certo la segretaria sa di non avere dietro di sé una falange compatta e sa anche, come per altro sa la premier Giorgia Meloni, che il referendum confermativo è di per sé pieno di incognite non essendo previsto quorum: vincerà chi più saprà mobilitare i propri elettori. Da qui i toni cauti, l’invito a non personalizzare e il tentativo di distinguere la campagna referendaria del Pd da quella degli altri partiti di sinistra: no difesa dei magistrati in quanto tali, non più popolari come ai tempi di Tangentopoli, sì difesa della Costituzione e dei suoi equilibri di poteri. Di più: «Si tratta di una riforma che non risolve i problemi endemici della giustizia, a cominciare dalla lunghezza dei processi, e quindi non va incontro a cittadini e imprese», è il refrain di Largo del Nazareno. Un po’ come camminare sulle uova…


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/rss/notizie/politica.xml


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