Sanità, trasporti, sicurezza, giustizia, fine vita e financo la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina. Nella campagna elettorale marchigiana, che vede contrapposti il governatore meloniano uscente Francesco Acquaroli e lo sfidante dem Matteo Ricci, entrano tutti i temi caldi del dibattito politico. Né poteva essere altrimenti, in una terra di soli un milione e 300mila abitanti divenuta suo malgrado lo “swing state” che potrebbe segnare un’inversione di tendenza in vista delle prossime politiche. Se infatti Veneto e Calabria dovrebbero restare al centrodestra e Toscana, Campania e Puglia al centrosinistra, la riconquista dell’ex regione rossa finita per la prima volta a destra cinque anni fa da parte di Pd e alleati del campo largo potrebbe davvero cambiare il quadro in vista delle politiche del 2027. Da qui il passaggio in regione – tra Ancona e Pesaro, la città amministrata da Ricci per dieci anni – di tutti i leader nazionali, dalla premier Giorgia Meloni al leader del M5s Giuseppe Conte passando naturalmente per il leader leghista Matteo Salvini e per la segretaria del Pd Elly Schlein.
Schlein spera nella riconquista per rafforzarsi alla guida del Pd (e della coalizione)…
La posta in gioco è insomma alta, ed è tutta politica. Schlein spera nel miracolo del risveglio degli indecisi, soprattutto nella zona popolosa costiera tra Pesaro e Ancona dove il Pd è tradizionalmente più forte. Se dovesse avverarsi il miracolo è chiaro che la segretaria dem ne uscirebbe rafforzata non solo come leader in pectore della futura coalizione che sfiderà il centrodestra a guida Meloni tra due anni ma anche nel confronto interno, tanto che potrebbe decidere di rafforzarsi alla guida del partito anticipando al 2026 il congresso previsto per il 2027.
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… ma in caso di sconfitta ripartirebbero i distinguo interni
Ma la sfida di Ricci, che a luglio ha dovuto anche incassare l’avviso di garanzia per l’inchiesta ”affidopoli”, appare in salita. E se i marchigiani confermeranno Acquaroli il risultato della tornata elettorale nelle sei regioni – che finirà il 23 e 24 novembre con il voto in Veneto, Puglia e Campania – sarà un sostanziale pareggio, con la conferma dei “colori” di cinque anni fa. Certo, Schlein può e potrà comunque rivendicare l’indubbio successo di aver siglato l’alleanza con il M5s, con Avs e financo con la renziana Italia Viva in tutte le regioni al voto. Un risultato impensabile anche solo due anni fa. Ma il prezzo pagato al M5s non è basso: ben due candidature (Roberto Fico in Campania e Giuseppe Tridico in Calabria) e programmi regionali molto spostati sui temi ”grillini”, a partite dal reddito di cittadinanza e dal no ai termovalizzatori, tanto che Azione di Carlo Calenda si è sfilata per protesta dal campo largo in quasi tutte le regioni. E c’è da scommettere che in caso di sconfitta la “rivolta” dei riformisti del Pd, che con Lorenzo Guerini, Graziano Delrio e altri stanno organizzando per fine ottobre un evento a Milano, prenderà nuovo vigore.
L’attesa di Meloni per chiudere la partita della candidatura in Veneto…
Speculare l’attesa di Meloni, per la quale la sconfitta dell’unico governatore di Fratelli d’Italia renderebbe l’esigenza di conquistare in prima persona la guida del Veneto più pressante. Non è un caso che la quadra sulle candidature mancanti del centrodestra sia stata rimandata a dopo il voto marchigiano (oltre alla successione a Luca Zaia in Veneto mancano i candidati in Campania e Puglia). In caso di riconferma di Acquaroli, invece, è già pronto il via libera alla candidatura del leghista Alberto Stefani in cambio della rinuncia di Zaia a presentare una lista a suo nome che drenerebbe consensi a tutti i partiti della coalizione (il Doge dovrebbe essere capolista della Lega in tutte le province).
… e aprire il confronto con la riottosa Lega sulla riforma elettorale
E sul tavolo, in cambio della continuità leghista in Veneto, la premier è intenzionata a vedere le carte dell’alleato riottoso sulla legge elettorale che nelle sue intenzioni dovrà sostituire il Rosatellum: via la lotteria dei collegi uninominali, premio di maggioranza del 55% alla coalizione che supera il 40% e indicazione del candidato premier (ossia Meloni stessa) sulla scheda elettorale. Per Salvini il Veneto ”val bene una messa”?.