Diversi studi condotti tra calciatori professionisti mostrano quanto gli aspetti psicologici siano influenti sulle percentuali di trasformazione dei in gol. Tendenzialmente i calciatori sbagliano più spesso quando la posta in palio è più alta, e cioè quando dall’esito del tiro dipende in modo più diretto un successo o un insuccesso sportivo: di solito durante gli ultimi tiri di rigore delle partite finite in parità. Altre analisi dei risultati in altri sport hanno portato a conclusioni simili.
Uno recente di neuroscienze, basato su una serie di esperimenti sui macachi e pubblicato sulla rivista Neuron, ha fornito ulteriori dati a sostegno dell’ipotesi che l’aumento della posta in palio oltre una certa soglia influenzi negativamente le prestazioni fisiche. E ha suggerito una spiegazione neurobiologica di questo fenomeno, ipotizzando che i processi neurali coinvolti nella valutazione degli incentivi interagiscano negativamente con i processi necessari per preparare e controllare i movimenti fisici.
Lo studio è stato condotto principalmente da un gruppo del Center for the Neural Basis of Cognition (CNBC), un ente di ricerca formato da ricercatori e ricercatrici della University of Pittsburgh e della Carnegie Mellon University, una delle università più autorevoli al mondo nel campo della biologia computazionale e delle scienze cognitive. Gli autori e le autrici dello studio hanno sottoposto ad alcuni esperimenti un gruppo di macachi rhesus, una specie di scimmie della famiglia dei Cercopitecidi. Dopo aver ricevuto un addestramento, le scimmie dovevano eseguire un compito di rapidità e precisione – spostare un cursore sullo schermo di un computer – per ottenere una ricompensa (una certa quantità di gocce di un liquido).
Gli esperimenti erano strutturati in modo da permettere alle scimmie di conoscere in anticipo la dimensione della ricompensa prevista prima di ogni compito: poteva essere piccola, media, grande o – più di rado – sproporzionatamente grande. Per permettere al gruppo di ricerca di osservare i cambiamenti dell’attività neuronale tra un compito e l’altro, tutte le scimmie avevano degli elettrodi collegati a un microchip impiantato nel cervello, collocato nella corteccia motoria, un’area del cervello coinvolta nella gestione dei movimenti volontari del corpo.
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Dai risultati dello studio è emerso che le prestazioni fisiche dei macachi erano influenzate dalle dimensioni note della ricompensa. Il successo era più probabile quando la ricompensa potenziale era media o grande rispetto a quando era piccola. Questa parte dei risultati è stata interpretata come una sostanziale conferma di studi precedenti, in cui ricompense maggiori accrescevano tendenzialmente le motivazioni a svolgere compiti impegnativi. Quando però la ricompensa era sproporzionatamente grande le percentuali di successo dei macachi diminuivano, confermando in parte una nella psicologia dello sport: la cosiddetta legge di Yerkes e Dodson, dal nome dei due psicologi statunitensi che la formularono nel 1908, Robert M. Yerkes e John Dillingham Dodson.
Secondo la legge di Yerkes e Dodson, le prestazioni umane migliorano con l’aumento dell’eccitazione fisiologica o mentale, ma solo fino a un certo punto. È una teoria da tempo utilizzata per spiegare le difficoltà sotto “pressione” in molte forme di compiti cognitivi, sensomotori e percettivi, e sintetizzata da un con una curva a campana, in cui le prestazioni occupano l’asse verticale e le ricompense quello orizzontale. Lo studio pubblicato su Neuron è considerato uno dei primi a fornire prove empiriche a sostegno dell’ipotesi che il peggioramento delle prestazioni fisiche nelle circostanze in cui la posta in palio è altissima non sia un fenomeno soltanto umano.
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L’osservazione dell’attività cerebrale dei macachi, correlata alle loro prestazioni durante gli esperimenti, ha permesso al gruppo di ricerca di rilevare una diminuzione dell’attività dei neuroni coinvolti nella «preparazione motoria» nei casi in cui la ricompensa era grandissima. Nelle neuroscienze è detta l’insieme di calcoli effettuati dal cervello prima di un certo movimento per compierlo nel migliore dei modi: allineare una freccia al centro di un bersaglio prima di scagliarla, per esempio. L’ipotesi dello studio è che le informazioni sulla ricompensa interagiscano in vari modi con la formazione dei segnali di preparazione motoria, producendo un «collasso delle informazioni neurali» e un calo delle prestazioni nel caso di ricompensa insolitamente alta.
In generale i risultati possono servire a comprendere meglio che la relazione tra le prestazioni e i comportamenti mediati da ricompense non è di tipo lineare, alla rivista Nature Bita Moghaddam, una neuroscienziata comportamentale della Oregon Health & Science University a Portland. «Proprio non si ottengono risultati migliori, man mano che la ricompensa aumenta», ha detto.
Uno degli aspetti ancora da chiarire, secondo il gruppo di ricerca, è se il peggioramento delle prestazioni nei casi in cui la ricompensa è grandissima possa essere evitato. Prima serviranno però ulteriori ricerche per studiare meglio questo fenomeno negli esseri umani. Alcuni psicologi, per esempio, che un modo per ridurre il calo delle prestazioni nei casi di ricompensa molto grande sia ricevere informazioni sui risultati delle proprie prestazioni passate, per poterle analizzare nel dettaglio, ed esercitarsi in situazioni di stress, in modo da poter attivare all’occorrenza una sorta di «protocollo di atterraggio di emergenza».
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