Alle 16:52 di oggi (ora italiana) è partita da Cape Canaveral in Florida la missione Hera dell’Agenzia spaziale europea, per verificare le condizioni di Dimorphos, l’asteroide deviato dalla sonda DART della NASA nell’autunno del 2022. Il lancio è stato reso possibile da un razzo Falcon 9 dell’azienda spaziale privata SpaceX, partito nonostante le difficili condizioni meteorologiche a causa della stagione degli uragani. La sonda Hera viaggerà per circa due anni, raggiungendo il proprio obiettivo quando si troverà a circa 195 milioni di chilometri di distanza dalla Terra.
La storia di Hera è strettamente legata a quella di , la missione organizzata negli scorsi anni dalla NASA per deviare un asteroide per noi del tutto innocuo e verificare la possibilità di evitare in futuro collisioni disastrose nel caso di corpi celesti sulla stessa traiettoria del nostro pianeta. Il test era stato effettuato facendo schiantare una sonda su Dimorphos, che ha una larghezza massima di 151 metri e orbita intorno a un asteroide più grande, Didymos, con un diametro massimo di 780 metri. L’impatto aveva effettivamente modificato il periodo orbitale di Dimorphos, cioè il tempo che il piccolo asteroide impiega per compiere un giro completo intorno a Didymos, a conferma dell’avvicinamento dei due asteroidi.
La modifica era superiore alle aspettative ed era stata misurata da vari telescopi, ma per raccogliere maggiori informazioni sarebbe stata necessaria un’osservazione più da vicino, considerato quanto è remoto il sistema dei due asteroidi dalla Terra. Lo scopo di Hera è di compiere osservazioni e misurazioni nelle vicinanze dei due asteroidi, offrendo nuovi dettagli non solo sugli effetti dell’impatto di due anni fa, ma anche sulle caratteristiche di quei corpi celesti.
Raggiunti Dimorphos e Didymos nell’ottobre del 2026, Hera utilizzerà i propri strumenti per determinare forma, massa e il modo in cui si muovono mantenendosi a una distanza di circa 20-30 chilometri dalla loro superficie. In una seconda fase la distanza verrà ridotta a 8-10 chilometri in modo da poter misurare nel dettaglio le caratteristiche della superficie dei due asteroidi. Nella fase finale, la sonda sarà impiegata per passaggi ancora più ravvicinati per provare a rilevare il punto di impatto di DART e infine per tentare un atterraggio su Didymos. Quest’ultima parte della missione è sperimentale e potrebbe quindi mancare il proprio obiettivo: Didymos è del resto il più piccolo asteroide mai visitato da una sonda spaziale.
Hera ha una massa di circa una tonnellata, ha una forma pressoché cubica (1,6 x 1,6 x 1,7 metri) ed è alimentata grazie ai suoi pannelli solari, che una volta aperti hanno un’area di 13 metri quadrati. Insieme alla sonda principale ci sono anche due “CubeSat”, piccoli satelliti grandi più o meno come una scatola da scarpe che effettueranno misurazioni aggiuntive e permetteranno di effettuare test su nuovi sistemi di comunicazione con la sonda.
Il CubeSat “” è stato progettato per effettuare misurazioni sulle caratteristiche della gravità esercitata dagli asteroidi, mentre “” è stato costruito per raccogliere dati sulla composizione superficiale degli asteroidi e per verificare la presenza di polveri nelle loro vicinanze, frutto dell’impatto di due anni fa con DART.
Questo secondo CubeSat è stato sviluppato e realizzato in Italia, e in parte in Finlandia: si chiama Milani in ricordo di , astronomo e matematico che diede un fondamentale contributo nello studio delle comete e degli asteroidi, in particolare dei NEO, cioè dei corpi celesti a maggior rischio di avvicinarsi e scontrarsi con la Terra. Al termine della missione, Juventas e Milani tenteranno di posarsi su Dimorphos e di trasmettere i dati raccolti dai loro strumenti a Hera. Il sistema di comunicazione tra i due satelliti e la sonda sarà essenziale per svolgere queste attività.
L’intera missione ha un costo intorno ai 350 milioni di euro e ha coinvolto i 18 stati membri dell’ESA e oltre 100 aziende europee, che hanno contribuito alla realizzazione dei componenti impiegati sulla sonda e sui due CubeSat. Per l’Italia tra le società coinvolte ci sono Avio, Leonardo, Tyvak International e TSD-Space.
Intorno al Sole ci sono miliardi di asteroidi e loro frammenti. L’ipotesi più condivisa è che siano ciò che è rimasto del “disco protoplanetario”, l’esteso ammasso di polveri e gas in orbita intorno al Sole miliardi di anni fa dal quale si formarono i pianeti e i satelliti naturali del sistema solare che vediamo oggi. Quasi tutti gli asteroidi si trovano nella “fascia principale”, un grande anello di detriti che gira intorno al Sole, tra le orbite di Marte e di Giove a debita distanza da noi.
Collisioni e altri eventi possono turbare le orbite di alcuni di questi asteroidi, portandoli ad avvicinarsi al nostro pianeta, e sono proprio questi a essere tenuti sotto controllo. I sistemi di rilevazione e tracciamento degli asteroidi più vicini hanno permesso nel tempo di catalogarne quasi diecimila con diametro di almeno 140 metri, che nel caso di un impatto potrebbero causare grandi devastazioni su scala regionale. Nessun asteroide conosciuto sembra costituire un pericolo diretto per la Terra per il prossimo secolo, ma è comunque importante non farsi trovare impreparati.
Vari gruppi di ricerca hanno lavorato ad alcune soluzioni sperimentali per “deflettere” gli asteroidi, cioè per far cambiare loro orbita. La tecnica più esplorata e promettente, l’impattatore cinetico, consiste nell’urtare con una sonda l’asteroide quando è ancora molto lontano dalla Terra, in modo che il suo nuovo percorso non incroci più quello del nostro pianeta. DART ha dimostrato la fattibilità, per lo meno su piccola scala, di questa tecnica con un esperimento dal vero, più affidabile rispetto alle simulazioni al computer e Hera consentirà di comprendere meglio gli esiti di quell’impatto, avvenuto a milioni di chilometri da noi.