Un gruppo di ricerca dell’University of Central Lancashire (Regno Unito) ha annunciato di avere scoperto una “struttura a grande scala dell’Universo”, con un diametro stimato di 1,3 miliardi di anni luce. Se confermata, sarebbe una delle più grandi strutture mai osservate e tale da generare qualche dubbio sulle attuali teorie che cercano di spiegare il modo in cui è organizzato l’Universo. In generale, le stelle sono raccolte in galassie che a loro volta formano: gruppi di galassie, ammassi di galassie e superammassi di galassie, ma anche “muri” e “filamenti” (modi diversi in cui ci appare l’organizzazione di più galassie). Queste strutture sono separate tra loro da grandi vuoti, al punto da dare l’impressione che l’Universo osservabile sia una sorta di .
Fino alla fine del Novecento si ipotizzava che alcuni tipi di superammassi fossero le strutture più grandi esistenti, e che fossero distribuite in modo omogeneo e uniforme in ogni direzione. Le cose cambiarono negli anni Ottanta con la scoperta di strutture ancora più grandi e nel 1989 fu confermata l’esistenza della , un grande gruppo di galassie con un’estensione stimata intorno ai 500 milioni di anni luce. La sua esistenza suggerisce una concentrazione di materia che almeno in parte mette in discussione le teorie sulla distribuzione pressoché omogenea dell’Universo su larga scala (e su cui si discute molto anche in termini di materia oscura ed energia oscura, ).
Nell’aprile del 2003 fu osservato il gigantesco ammasso di galassie noto come , con una estensione di 1,37 miliardi di anni luce, quasi tre volte più grande della Grande Muraglia CfA2. Nel 2021 fu invece data notizia della scoperta dell’, che potete immaginare come tante galassie messe in fila a formare un arco con una lunghezza di 3,3 miliardi di anni luce.
La nuova struttura annunciata dal gruppo di ricerca britannico è stata chiamata e ha un diametro di 1,3 miliardi di anni luce: rientra quindi ai primi posti della classifica. Si trova a circa 9 miliardi di anni luce dalla Terra e non può essere osservata a occhio nudo. La scoperta è stata esposta nel corso di un dell’American Astronomical Society a New Orleans, negli Stati Uniti, e ha fatto discutere perché aggiunge nuovi elementi sulle strutture a grande scala dell’Universo.
Dopo le prime scoperte di questo tipo, erano state elaborate teorie che ipotizzavano un limite di estensione intorno agli 1,2 miliardi di anni luce, ma sia il Grande Anello sia l’Arco Gigante sembrano contraddire quelle ipotesi e potrebbero non essere una semplice eccezione.
Se così fosse, dovrebbe essere rivisto il , cioè l’assunto secondo il quale su una scala molto grande l’Universo è omogeneo e isotropo (cioè si comporta allo stesso modo in ogni direzione che consideriamo). Queste caratteristiche appaiono appunto su grande scala, mentre a un livello più basso – come può essere un gruppo di galassie o l’organizzazione di un sistema solare come il nostro – l’Universo ci appare disomogeneo e più disordinato.
Il principio cosmologico limita in modo significativo la quantità di teorie cosmologiche, cioè le spiegazioni su come funzioni l’Universo, che possono essere considerate possibili e plausibili. Per questo le novità sulle strutture a grande scala vengono seguite con attenzione perché potrebbero portare a rivedere alcuni assunti di quel principio, un tema molto dibattuto e sul quale non c’è ancora consenso scientifico.
Nel caso del Grande Anello, l’identificazione è stata possibile grazie alla , un’iniziativa per identificare e catalogare galassie che ha permesso l’individuazione di numerosi quasar (buchi neri attivi altamente luminosi) a grande distanza. Sfruttando la loro luminosità è possibile la presenza di ammassi di galassie molte distanti, che si trovano tra i quasar e il nostro punto di osservazione, derivando in questo modo informazioni sulle caratteristiche di quegli ammassi. I dati raccolti sono stati poi analizzati utilizzando vari algoritmi per definire, tramite la statistica, l’eventuale presenza di strutture a grande scala.
Questa tecnica di osservazione è diventata via via più affidabile, grazie ad alcuni importanti progressi sia nelle tecnologie per osservare il cielo sia nei modelli e negli algoritmi per trarre informazioni dai dati raccolti. C’è comunque sempre il rischio che l’osservazione porti a descrivere strutture che sono però diverse da come ci appaiono. Ci possono essere distorsioni legate alle distanze (soprattutto in profondità, rispetto a come ci appaiono gli elementi sullo stesso piano dal nostro punto di osservazione), al modo in cui viene osservata la luce che attraversa i gruppi di galassie e al modo in cui viene riflessa da questi.