Nella nuova avventura che il mondo, bendato, sta intraprendendo, Israele e Russia confliggono. Putin ha annunciato la chiusura dell’Agenzia Ebraica in Russia, la «Sochnut» che divenne il primo governo di Israele: nata nel 1923, divenne nel ’48 il primo governo di Ben Gurion; tiene insieme nel mondo il bandolo della diaspora, laica e religiosa, del ritorno in Israele del popolo ebraico. Paese per Paese, città per città, il nesso fra identità culturale e religiosa delle varie comunità e Israele è là.
Il ministero della Giustizia russo ha accusato la «Sochnut» di raccogliere informazioni sui cittadini russi, e questo è illegale. La risposta tecnica è stata l’incarico a un gruppo di legislatori israeliani di partire per Mosca per trovare il modo di far cessare l’inquisizione, ma per ora il gruppetto aspetta presso il ministero degli Esteri e non ottiene il permesso di presentarsi in Russia. L’Agenzia ha deciso al momento di spostare la sua attività online e a Gerusalemme, una sconfitta momentanea, accompagnata dalla protesta simile a una vera e propria minaccia di rappresaglia da parte del primo ministro e ministro degli Esteri Yair Lapid. Insieme a un gruppo di ministri in un incontro a porte chiuse ha segnalato rabbia, decisione, ma soprattutto un grande sconcerto insieme alla promessa di rivedere i rapporti con la Russia. Lapid pensa di richiamare l’ambasciatore per consultazioni, di rimandare la consegna del consegna alla Russia del complesso di una chiesa a Gerusalemme da tempo promesso, e soprattutto, si capisce senza dirlo, di spostarsi dalla scelta di non fornire armi agli Ucraini, né aiuto strategico.
Non saranno certo le minacce a spaventare Putin: nella sua irritazione oltre alla spallata da bullo, probabilmente c’è anche un elemento personale. Lapid, al contrario di Bennett, e del rapporto molto cortese con l’accordo di non ingerenza del 2015 con Netanyahu, non ha contatti con Putin, e ha inveito parecchio contro i «crimini di guerra», le «stragi», le «aggressioni non provocate», pur mantenendosi sulla linea degli aiuti puramente umanitari e del sostegno morale a Zelensky.
Israele, che sapeva bene di camminare su un’asse di equilibrio data la presenza militare massiccia della Russia in Siria, ha votato all’Onu il 7 aprile per espellere Putin dal Comitato per i diritti umani, ha spinto molto l’aiuto sanitario e l’immigrazione, Lapid è apparso come il miglior amico di Biden durante la visita di pochi giorni fa. L’incontro di Putin a Teheran e i nuovi accordi con gli ayatollah, anche se non hanno contemplato un aspetto esplicitamente anti israeliano, pure devono non averne escluso qualcuno. L’asse fra Russia, Iran e Turchia ha un tratto anti americano e anti israeliano. E in Siria Israele contrattacca il disegno iraniano di creare un fronte nemico pronto alla guerra, come quello degli Hezbollah in Libano. Adesso, vedremo se la Russia seguiterà a chiudere un occhio. Difficile che voglia confrontarsi militarmente con Israele, che sul campo resta un nemico molto temibile, e Putin è già molto occupato. Ma la chiusura dell’Agenzia è un atto duro, che mette insieme un attacco agli ebrei russi e a Israele, così catturato nello scontro mondiale di cui ha cercato invano di restare ai margini.
Israele non può ignorare l’incubo degli ebrei bloccati come ai tempi di Nathan Sharansky, che dovette trascorrere 9 anni in prigione fra gli anni ’70 e ’80, quando l’Unione Sovietica perseguitava gli ebrei refusenik. Per ora siamo agli inizi di quello che si può trasformare in una prigione per circa un milione di ebrei russi. Un milione giunsero negli anni ’90 dopo la fine dell’Urss. Ma quando c’è una crisi mondiale, è raro che non risuoni un ritornello anti ebraico. Funziona.