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    Mattarella: «Situazione a Gaza inaccettabile. All’Ue servono meccanismi decisionali più rapidi»

    Ascolta la versione audio dell’articolo«Occorre una riflessione veloce, che coinvolga anche i Paesi arabi, per trovare una soluzione che risolva la grave situazione odierna». Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nei suoi colloqui politici oggi in Lussemburgo con il primo ministro Luc Frieden e il presidente della Camera dei deputati Claude Wiseler, ha definito la situazione a Gaza «inaccettabile», auspicando che si arrivi immediatamente «a un cessate il fuoco e al rilascio, da parte di Hamas, di tutti gli ostaggi» e ricordando la tradizionale amicizia che l’Italia ha sempre mantenuto sia per i palestinesi che per Israele.«”Due popoli, due Stati” unica strada percorribile»L’obiettivo di lungo periodo continua a essere «la soluzione “due popoli, due Stati”», che «può sembrare irraggiungibile in questa situazione, ma è l’unica strada percorribile», ha ribadito Mattarella, convinto che sia necessario lavorare per «indicare una prospettiva storica che consenta ai palestinesi di avere il proprio Stato, accantonando sofferenze e rancori, e che assicuri, nel contempo, la sicurezza di Israele».Loading…«L’Ue cambi o rischia di essere spettatrice»Al centro degli incontri anche il quadro europeo. «Bisogna trovare meccanismi decisionali più rapidi ed efficaci perché altrimenti l’Europa rischia di essere spettatrice di soluzioni che verranno inevitabilmente decise da altri soggetti».«All’Ucraina serve pace stabile, nessuno vuole umiliare la Russia»Inevitabile pensare all’Ucraina. «Nessuno vuole umiliare la Russia o sminuirne il ruolo», ha affermato Mattarella. «Ma la ricerca ostinata di una soluzione deve portare una pace vera, stabile, fondata sul diritto e la giustizia. Altrimenti non durerebbe».«Impensabile il ritorno alla politica di potenza»Tanto Gaza quanto l’Ucraina – ha continuato il presidente – «non sono solo temi decisivi di politica internazionale ma toccano profondamente le nostre coscienze. Non è pensabile tornare alla politica di potenza dei secoli scorsi quando le nazioni più grandi imponevano il loro dominio ai Paesi meno grandi e meno forti. Questo è il passato, il futuro è la collaborazione e la cooperazione internazionale sul modello di quanto fatto dall’Unione europea negli ultimi settant’anni». LEGGI TUTTO

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    Via libera del Senato al decreto acconti Irpef: ecco le novità

    Ascolta la versione audio dell’articoloDisco verde dell’Aula del Senato al Dl che detta disposizioni in materia di acconti Irpef dovuti per l’anno 2025. Il provvedimento passa all’esame della Camera, per essere convertito in legge entro il 22 giugno. Il Dl interviene per rendere coerente la normativa dopo che la legge di bilancio 2025 ha stabilizzato le nuove aliquote Irpef e l’ampliamento della no tax area. In particolare, si limita al solo 2024 la norma che escludeva la rimodulazione Irpef dal calcolo degli acconti. Viene riassestato lo squilibrio creato con la riforma fiscale 2023, che aveva ridotto le aliquote Irpef e alzato la no tax area per i lavoratori dipendenti, ma solo per il 2024. Il Governo interviene per correggere la stortura normativa riguardante il calcolo degli acconti Irpef per l’anno in corso. La misura, composta da due articoli, è già in vigore dal 24 aprile e punta a garantire coerenza tra la nuova struttura dell’Irpef – entrata a regime con la legge di bilancio – e le modalità di pagamento degli anticipi fiscali.Impatto sui contribuentiIl decreto elimina la vecchia regola per il 2025: gli acconti dovranno ora essere calcolati usando le nuove aliquote e detrazioni in vigore. Una decisione che riguarda circa 2,2 milioni di contribuenti, principalmente lavoratori autonomi o soggetti con redditi non da lavoro dipendente o pensione. Per la grande maggioranza dei lavoratori dipendenti e pensionati non cambia nulla: le nuove aliquote erano già state “assorbite” nei calcoli delle ritenute Irpef 2025. Per gli altri, il cambiamento comporta una riduzione degli acconti dovuti nel 2025 (pari a 245,5 milioni di euro), con un recupero previsto nel saldo del 2026.Loading…I principali contenuti del DecretoIl comma 1 stabilisce che il calcolo dell’acconto Irpef 2025 deve tener conto delle nuove aliquote e detrazioni stabilite dalla riforma, limitando l’applicazione della norma transitoria solo al 2024. Viene confermata la nuova detrazione di 1.955 euro per redditi da lavoro dipendente fino a 15.000 euro (esclusi i pensionati). Si precisa che solo circa 2,2 milioni di soggetti su 37,8 milioni sono realmente tenuti al versamento degli acconti Irpef. Per i lavoratori dipendenti e pensionati, invece, il maggiore acconto è già stato “assorbito” nel 2025, quindi nessun impatto reale. Per gli altri contribuenti (con redditi non da lavoro dipendente o pensione), l’effetto è uno spostamento di gettito: minori entrate nel 2025 (-245,5 milioni) e maggiori nel 2026 (+245,5 milioni). Il Mef, con comunicato del 25 marzo 2025, ha precisato che la norma vale solo per chi ha debiti Irpef residui superiori a 51,65 euro. Infine i commi 2–4 riguardano la copertura finanziaria: aumento di un fondo del Mef per il 2026 (+245,5 milioni); con riduzioni corrispondenti da altri fondi già esistenti per compensare l’impatto finanziario.I passi successivi del Governo Dopo le parole della presidente del Consiglio «finalmente è giunto il momento di realizzare il provvedimento che consiste nell’abbassamento dell’aliquota Irpef dal 35 al 33% – sottolinea Maurizio Casasco, responsabile economico di Forza Italia – per i redditi fino a 60mila euro lordi annui che metterà nelle tasche degli italiani risorse che serviranno anche a far aumentare i consumi e alla crescita generale dell’economia. Essendoci questa piena condivisione della premier Meloni, ora si passi rapidamente alla concretizzazione e all’attuazione di una misura fondamentale per la classe sociale che partecipa con grande responsabilità alla crescita del Paese», conclude Casasco. «La priorità è il taglio dell’Irpef. Non siamo contrari alla rottamazione, ma prima si fa il taglio dell’Irpef poi la rottamazione, così si aiuta il ceto medio. Più il rinvio della sugar tax di un anno». Così Antonio Tajani, vice presidente del Consiglio e segretario di Forza Italia, interpellato alla Camera. LEGGI TUTTO

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    Tasse e terzo mandato, scontro nella maggioranza

    Ascolta la versione audio dell’articoloUn vertice del centrodestra sul terzo mandato non è riuscito a risolvere i dissidi all’interno della coalizione. Forza Italia ha ribadito la propria contrarietà, la Lega rimane favorevole mentre Fratelli d’Italia ha confermato la volontà di discutere della materia. E dunque la delega della decisione passa nelle mani dei leader Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi.Tajani: Fi contraria, no a incrostazioni potere«Noi siamo contrari» al terzo mandato «ed è una posizione che abbiamo sempre avuto: siamo pronti ad ascoltare sempre tutti» ma «il terzo mandato poi devi farlo anche per i sindaci e diventa una cosa troppo complicata, non si può fare alla vigilia del voto ma siamo contrari proprio al principio». Lo ha detto Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepremier, parlando alla Camera. «Io sono sempre pronto al dialogo – ha specificato – ad ascoltare le ragioni ma gli altri devono ascoltare le nostre. Le incrostazioni di potentati rischiano di essere dannose per i cittadini».Loading…«Priorità a taglio Irpef, poi rottamazione»Ad agitare le acque nelle ultime ore c’è poi il nodo fisco. Sulla questione intorno alla manovra, come spiegato a chiare lettere dal leader azzurro, «la priorità per noi è il taglio dell’Irpef, poi la rottamazione. Ma la priorità è il taglio dell’Irpef, allargando la base a 60mila euro annui. Rimane anche il ritiro della Sugar tax».Salvini: per la Lega la pace fiscale è priorità ed emergenza Per la Lega e per il governo «una giusta, attesa e definitiva pace fiscale, una rottamazione di milioni di cartelle esattoriali che stanno bloccando l’economia del Paese, sono una priorità, anzi una emergenza». Così il segretario della Lega e vicepremier Matteo Salvini in una nota. LEGGI TUTTO

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    A Goni, in Sardegna, al voto solo l’1,54% degli elettori

    Ascolta la versione audio dell’articoloIl quorum richiesto era del 40%: ossia, 155 elettori su un elenco di 389 aventi diritto. Invece, a disertare le urne sono stati tantissimi, giacché a votare si sono presentati in 6. Per questo motivo a Goni, paese di poco più di 400 abitanti nel Sud Sardegna, le elezioni non hanno portato alcun risultato. Nessun sindaco guiderà il piccolo centro, conosciuto per il parco archeologico, per i prossimi cinque anni. A governare il paese sino al 2029 sarà il Commissario straordinario nominato dalla Giunta regionale.Una sola lista in corsaAlle elezioni comunali era stata presentata, quasi all’ultimo momento, una lista civica: Forza del popolo, guidata dal candidato sindaco Elia Marcello Demuro. Un tentativo per dare un governo, con gli eletti, alla guida dell’amministrazione comunale. Per i candidati però non c’è stato nulla da fare. La soglia minima e necessaria perché i candidati dell’unica lista presentata, potessero varcare la porta del Municipio, non è stata superata.Loading…Percentuale votanti dell’1,54%Alle urne si sono presentati appena in sei con una percentuale dell’1,54%. E lo spoglio, rapidissimo, ha certificato: 1 scheda nulla, 1 bianca e zero contestate. Gli altri voti al candidato sindaco che, però, non potrà essere eletto. Nulla da fare per il paese che nell’ultima tornata elettorale aveva registrato una partecipazione al voto del 76,92%. Nel 2024 il Consiglio comunale era stato sciolto dopo le dimissioni, per protesta, degli amministratori per mancanza di personale e scarse risorse.Ma che ci fosse poco interesse a votare si era appreso già dalla sera di domenica. Alle 23, infatti, la percentuale sull’affluenza si era fermata allo 0,77%. A guidare il piccolo comune era stato, nell’ultimo anno, il commissario nominato dalla Regione. Ora, alla luce del risultato elettorale, andato peggio della media di tutte le altre amministrazioni, l’attività di governo, sarà portata avanti dal Commissario.A Nuoro trionfa il Campo largoDi tutt’altro tenore il risultato ottenuto a Nuoro dove a vincere è stato il candidato schierato con il Campo Largo, seguendo un percorso già tracciato con la candidatura ed elezione della presidente Alessandra Todde. Emiliano Fenu, deputato del M5S e candidato del Campo Largo, è il nuovo sindaco di Nuoro. L’esponente della coalizione del Campo largo è stato eletto al primo turno con una percentuale che supera il 60%. Al secondo posto Giuseppe Luigi Cucca con una percentuale che non arriva al 30% e poi gli altri candidati con numeri molto più ridotti. LEGGI TUTTO

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    Meloni si prepara a partire per il G7 con la spina di Salvini: «Il rischio non è Putin ma i migranti»

    Ascolta la versione audio dell’articoloNel vertice della scorsa settimana a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni e Antonio Tajani anche Matteo Salvini aveva convenuto che sulla politica estera sarebbe stato saggio evitare esternazioni. La resistenza del leader della Lega però è durata poco. Dal palco della Festa della Vittoria dei Patrioti Ue guidati da Viktor Orban e Marine Le Pen, Salvini prima è tornato alla carica contro eventuali nuove sanzioni a Mosca («allontano la pace») ; poi ha sostenuto che per l’Europa «il pericolo sono gli immigrati clandestini, per lo più islamici, non improbabili carrarmati russi»;infine ha concluso con un «No a un debito europeo per comprare armi, come dice Macron».Tre prese di posizioni che contrastano con la linea di Giorgia Meloni (e del ministro degli Esteri Antonio Tajani). La premier non ha fatto in tempo ad esultare per la sconfitta dell’opposizione sui referendum, che si ritrova ancora una volta a fare i conti con il controcanto del suo alleato e vicepremier. Un tempismo micidiale quello di Salvini. Il suo affondo arriva a pochi giorni dalla partenza di Meloni per il Canada dove domenica 15 giugno si terrà il G7. Ucraina e sanzioni a Mosca saranno ancora una volta tra i temi centrali su cui la premier giovedì 12 a Palazzo Chigi si confronterà con il segretario generale della Nato Mark Rutte in vista del summit del 24 giugno a L’Aia.Loading…Lì come è noto a tutti – anche a Salvini – si ufficializzerà il nuovo obiettivo di spesa per la difesa che (è scontato) parte da almeno il 3,5% del Pil. Per l’Italia significa oltre 30 miliardi in più rispetto a quelli attuali. Una richiesta che va ricordato arriva anzitutto da Donald Trump di cui il segretario della Lega si fregia di essere fedele sostenitore. Anzi per il presidente Usa gli europei “scrocconi” dovrebbero raggiungere il 5%. Obiettivo del governo (e non solo di Macron) è evitare che il costo gravi però sulle spalle dei bilanci nazionali portando inevitabilmente ad un aumento del debito che in prospettiva è molto pericoloso. Ma soprattutto la condivisione dei costi eviterebbe di spalancare il baratro tra chi quella spesa può permettersela – la Germania – e chi invece come l’Italia non può. Salvini evita di addentrarsi nei dettagli. Ma l’affondo alla Festa dei Patrioti lascia intendere che l’armistizio nel Governo è già saltato. Il Capitano va per la sua strada. Che poi questa non coincida con quella dettata da Palazzo Chigi per il momento poco importa. Il suo è un messaggio per il pubblico di casa e il palco dei Patrioti gli offre la cornice ideale per interpretare il ruolo preferito: l’antieuropeista di governo, il ministro che fa l’oppositore. LEGGI TUTTO

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    I 28 Comuni in cui si è raggiunto il quorum: quali sono e com’è andata

    Ascolta la versione audio dell’articoloI cinque referendum non hanno raggiunto il quorum. In 28 comuni sparsi da nord a sud, però, il rito del voto resiste. Gli italiani sono stati chiamati alle urne l’8 e il 9 giugno per esprimersi su cinque quesiti referendari: quattro sul tema del lavoro e uno sui requisiti minimi per ottenere la cittadinanza italiana. A livello nazionale, l’affluenza è stata estremamente contenuta, di poco superiore al 30%, confermando la scarsa partecipazione delle scorse elezioni politiche (quando fu inferiore al 50%) e un generale disinteresse per questi temi specifici. Tuttavia, in 28 comuni si è registrata un’affluenza superiore al 50%, rivelando contesti particolari e dinamiche locali che meritano un’attenzione speciale.Questi comuni mostrano in prevalenza piccole dimensioni demografiche, tranne poche eccezioni. È probabile che nei centri più piccoli la partecipazione civica e il senso di appartenenza alla comunità abbiano favorito il successo dei referendum. Emblematici sono i dati di Rosello, in provincia di Chieti, che guida la classifica con un’affluenza al 66%, seguito da Massello (Torino) al 65%, e Soleminis (Cagliari) al 60%. Numeri molto lontani dalle percentuali nazionali.Loading…Interessanti anche le differenze emerse sul quesito sulla cittadinanza, in cui si votava per abbassare il requisito temporale minimo di permanenza continuativa in Italia, al fine del suo ottenimento, da 10 a 5 anni. A livello nazionale, il “sì” ha prevalso circa 60 a 40, ma in diversi comuni si è registrata una netta inversione di tendenza. Lodine (Nuoro) ha visto un largo trionfo del “sì” con l’83%, risultato simile a quello di Vidracco (Torino), dove il “sì” ha raggiunto addirittura l’84%. Significativo anche il caso di Rosello, che ha registrato il 77% a favore del “sì”. Al contrario, a Sambuco (Cuneo) e Orta Nova (Foggia) il “no” ha prevalso, seppure di misura, con il 53% e il 52% rispettivamente.C’è poi un comune dove a differire con la media nazionale in modo netto sono i risultati dei 4 referendum sul lavoro. È il caso di Vidracco, dove l’affluenza si è attestata al 55%. Nei quesiti promossi per aumentare le tutele dei lavoratori ha prevalso nettamente il “no”, con percentuali superiori al 70%, eccezion fatta per il quarto, relativo alle responsabilità dell’azienda appaltatrice in caso di infortuni sul lavoro di un lavoratore di una ditta in subappalto: in questo caso, il “sì” si è imposto con oltre il 90%.Un altro fattore che ha certamente influito su alcuni risultati è stata la concomitanza delle elezioni amministrative, che ha aumentato il flusso degli elettori ai seggi. In diversi comuni, infatti, la coincidenza con il voto locale ha tirato la volata all’affluenza, significativamente superiore rispetto alla media nazionale. Sono quattro i grandi centri urbani dove, nonostante l’assenza di altre consultazioni, la partecipazione politica è ancora alta e supera in media il 53%. Sono tutti nel centro Italia, tra Emilia-Romagna e Toscana, regioni storicamente di centrosinistra. Si tratta di Anzola dell’Emilia (Bologna), 9294 elettori; Fabbrico (Reggio Emilia), 4737 elettori; Pontassieve (Firenze), 15433 elettori; Sesto Fiorentino (Firenze), 37690 elettori. LEGGI TUTTO

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    Orsini: fare presto l’accordo sui dazi. Spingere su intelligenza artificiale, digitale e innovazione

    Ascolta la versione audio dell’articolo«L’istat ha dichiarato uno O,6% di crescita, dato che come Confindustria avevamo già indicato due mesi fa, quindi mi fa piacere che si sia allineati». Così il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, a margine della Festa dell’innovazione a Venezia promossa per l’ottavo anno da ’Il Foglio’. «Purtroppo – ha aggiunto Orsini – a me piacerebbe vedere sempre il 2% di crescita e non lo O,6%. Detto questo, la preoccupazione più grande sono le ripercussioni che possiamo avere dai dazi degli Stati Uniti, perché potrebbero abbassare ulteriormente quello 0,6%, e questo per noi è un problema».Orsini: con Trump serve il dialogo, piaccia o non piacciaE ancora: «Il governo italiano è consapevole che per noi il mercato degli Stati Uniti, che è il secondo mercato di esportazione, per noi è fondamentale. Quindi serve il dialogo, piaccia o non piaccia non so dire, però si è obbligati». «Serve negoziare subito, perché l’unico grande problema delle imprese dell’industria è l’incertezza. Il negoziato – ha spiegato Orsini – dovrà essere fatto subito su tre capitoli fondamentali: uno è il tema che l’Ue compra l’80% per la difesa dagli Stati Uniti; secondo l’energia: oggi noi compriamo gas naturale rinnovabile, gas, gnl per il rigassificatori; terza cosa è una trattativa sulle big tech, perché il gap tra noi e Usa e la Cina è molto differente. Gli Usa hanno investito 300 miliardi negli ultimi 10 anni, noi in Europa 30 miliardi, la Cina 100. Per fare incrementare la crescita servono investimenti, serve una visione a lungo termine. Stiamo sollecitando l’Europa già da diversi mesi, sottolineando che il tempo è finito e serve reagire velocissimamente. Su alcuni capitoli siamo molto in ritardo». «Poi – ha concluso – c’è il tema della burocrazia europea, se togliesse i dazi interni si incrementerebbe la produttività del 6,7% equivalente a 1000 miliardi. Vedo che in l’Europa c’è in atto una presa di coscienza sulle scelte del passato; però adesso serve che agisca»Loading…Solo mercato unico capitali Europa può aiutare imprese«Abbiamo bisogno di fare in fretta nel creare un mercato unico dei capitali in Europa, perché solo in quel modo possiamo aiutare la nostra impresa e a trasformarsi e a crescere» ha aggiunto il presidente di Confindustria. «In un momento come questo le nostre imprese – ha osservato – hanno dimostrato di essere ancora un’eccellenza moderna. Noi stiamo dialogando in maniera molto positiva con Germania, Francia, Spagna Portogallo, Repubblica Ceca e Polonia, partendo dai punti comuni, e ne abbiamo trovati tanti. Per cui lavoriamo su questi”. Quanto alla scelta sul ritorno all’energia nucleare in Italia, Orsini non ha dubbi: «sì, tutta la vita».Il 26 giugno in agenda con sindacati anche tema salari Orsini ha ribadito che il 26 giugno è stato fissato un incontro con i sindacati, nel corso del quale verrà affrontato anche il tema dei salari «un problema nazionale e non abbiamo paura a dirlo». Il presidente di Confindustria ha però spiegato che spesso, in tema di salari, «viene fatta la media del pollo: teniamo conto che lavorano 22 milioni di persone e noi ne rappresentiamo circa 5,6 milioni. Ma le nostre imprese hanno fatto adeguamento all’inflazione, abbiamo risposto ad alcuni capitoli, tanto che il contratto di Confindustria è il migliore. Detto ciò, sono dell’idea che si può fare di più e meglio costruendo assieme al sindacato contratti che siano legati alla produttività, il che non significa mandare le persone a due velocità». Orsini ha quindi invitato a riflettere anche sui paradigmi dei contratti, «dove tutto è basato su spazio e tempo, ma alla fine nel corso dell’ultimo anno anche io lavoro da uffici prestati o in macchina». Insomma vanno rivisti dei capitoli dei contratti. Per altro, ha detto ancora Orsini, per innalzare la produttività «ci vuole un sistema Paese», oltre che favorire anche processi di aggregazione. «Aggregare significa incrementare le produttività». Ha quindi detto che dovrà essere affrontato il capitolo sulla sicurezza: «non si può più aspettare».Spingere su AI, innovazione e digitale Il presidente di Confindustria ha inoltre auspicato che venga incrementato l’uso dell’Intelligenza Artificiale da parte delle imprese. «Dobbiamo spingere su Ai, innovazione e digitale che sono il futuro delle nostre imprese». In merito all’AI ha indicato che «ne fanno uso solamente l’1,4% delle imprese piccole e l’8,6% delle grandi, contro una media europea del 13,5%». Orsini ha quindi detto che occorre «stare attenti anche ai temi della privacy, che condividiamo», ma ha ricordato che in altri Paesi, come la Gran Bretagna ci sono meno vincoli. «L’Europa ha investito poco in tecnologie – ha quindi incalzato – se gli Usa hanno investito circa 300 miliardi, la Cina 100 miliardi, l’Europa solamente 30 miliardi: c’e’ un gap pazzesco». Ha quindi ribadito che, come emerso all’assemblea dell’associazione che si è tenuta lo scorso 27 maggio, Confindustria chiede al Governo un piano industriale straordinario, con una visione a tre anni. All’interno di tale piano «servono 8 miliardi e considerando il credito d’imposta alle imprese al 25-30%, significa che il 70% lo mettono le imprese e quindi significa che il piano sprigiona almeno 16 miliardi». Concludendo Orsini ha invitato a «innovare, investire in nuove tecnologie e nel digitale». LEGGI TUTTO

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    Referendum, quesito per quesito cosa cambia se vince il sì

    Ascolta la versione audio dell’articoloDomenica 8 giugno e lunedì 9 giugno i cittadini italiani sono chiamati a esprimersi sui cinque referendum approvati a gennaio dalla Corte Costituzionale. Quattro – proposti dalla Cgil – riguardano il tema del lavoro, e in particolare l’abrogazione di alcune parti del Jobs Act. Un quesito, invece, è sul tema della cittadinanza, ed è stato proposto da +Europa. Se non si raggiunge il quorum (50%+1 degli aventi diritto) il referendum non è valido. Ma cosa succede se si dovesse raggiungere il quorum con una vittoria dei sì?Contratti a tutele crescenti e licenziamentiIl primo quesito (scheda verde) propone l’abrogazione delle norme del decreto attuativo del Jobs act (Dlgs 23 del 2015) che ha introdotto il contratto a tutele crescenti che, in caso di licenziamento illegittimo, ha ridotto notevolmente la possibilità di essere reintegrati nel posto di lavoro per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con oltre 15 dipendenti. Il pagamento di un indennizzo sostituisce il reintegro. se vince il sì viene abrogato il Dlgs n. 23/2015 e si torna alla disciplina contenuta nella legge Fornero del 2012 che ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per i licenziamenti ingiustificati sanzionati con l’indennizzo, il limite minimo dell’articolo 18 modificato dalla legge Fornero è di 12 mensilità, più alto delle 6 mensilità del Jobs act, ma il limite massimo è più basso essendo pari a 24 mensilità contro le attuali 36 mensilità. Nei licenziamenti collettivi, se vengono violati i criteri di scelta, anche gli assunti dopo il 7 marzo del 2015 avrebbero diritto al reintegro.Loading…Licenziamenti e indennità nelle PmiIl secondo quesito referendario (scheda arancione) propone di abolire il limite massimo dell’indennizzo previsto dalla legge numero 604 del 1966, modificata dalla legge n.108/1990 per i lavoratori delle cosiddette “piccole imprese” che hanno fino a 15 dipendenti. Il referendum, eliminando il tetto massimo delle sei mensilità, permette al giudice di stabilire un’indennità superiore. Se vince il sì verrebbe meno la soglia massima di indennizzo fissata dalla legge, resterebbe solo la soglia minima di 2,5 mensilità e l’entità dell’indennizzo nelle piccole imprese sarebbe affidata al giudice che potrà, nella definizione del quantum, considerare elementi come l’anzianità di servizio, il numero di dipendenti, le dimensioni dell’impresa.Contratti a termineIl terzo referendum (scheda grigia) riguarda i contratti a termine. Nel quesito promosso dalla Cgil si chiede l’abrogazione delle norme che hanno liberalizzato il contratto a tempo determinato, proponendo l’introduzione di una causale specifica legale per i contratti a tempo determinato di durata inferiore ai dodici mesi. Se vincesse il “sì” l’obbligo della causale per i contratti di lavoro di durata superiore all’anno verrebbe esteso a tutti i contratti a termine, anche fino a 12 mesi. Per stipulare un contratto a termine, di qualunque durata, sarebbe necessario ricorrere all’unica causale legale prevista che è la sostituzione di lavoratori assenti, o alle previsioni dei contratti collettivi. In presenza di un picco di attività non si potrebbe assumere con contratto a termine, a meno che non sia una fattispecie prevista dal contratto collettivo. Da notare che le causali erano state abrogate per i primi 12 mesi perché avevano fatto lievitare il contenzioso.Sicurezza sul lavoroIl quarto quesito riguarda gli appalti (scheda rossa). Si chiede l’abrogazione delle norme che escludono la responsabilità solidale dell’impresa committente per il risarcimento dei danni in caso di infortuni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Il referendum propone l’abrogazione dell’articolo 26, comma 4 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008). In caso di vittoria del “sì” al referendum, l’impresa committente sarebbe chiamata a rispondere in solido anche per il risarcimento dei danni in caso di infortuni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici LEGGI TUTTO