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Nel suo trattato L’origine dell’uomo e la selezione sessuale del 1871, il celebre naturalista britannico Charles Darwin che nel regno animale «in generale i maschi sono più forti e più grandi delle femmine», occupandosi poi in particolare dei mammiferi per spiegare alcune caratteristiche degli esseri umani. Darwin non era l’unico a pensarla in quel modo e a 150 anni di distanza quella convinzione continua a essere piuttosto condivisa non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche nel senso comune.
Eppure, secondo una ricerca da poco pubblicata, quella convinzione è probabilmente errata e non ci sono elementi per sostenere che tra i mammiferi i maschi siano più grandi delle femmine. Nella maggior parte dei casi, almeno.
Il nuovo studio, sulla rivista scientifica Nature Communications, è stato guidato da , una ricercatrice della Princeton University (Stati Uniti) che alcuni anni fa aveva partecipato a un seminario online sui livelli di aggressività in alcune specie i cui maschi e femmine hanno la medesima stazza. Discutendo con i colleghi del corso, Tombak si era che mancavano dati per formulare ipotesi credibili e decise quindi di dedicarsi all’argomento, provando in primo luogo a capire se esistessero effettivamente differenze nella stazza tra varie specie di mammiferi.
Man mano che cercava il materiale insieme a due colleghi, Tombak notò quanto fosse difficile avere dati coerenti e come la questione fosse stata tutto sommato trascurata in passato, fatta eccezione per qualche studio risalente a una cinquantina di anni fa. Il suo lavoro di ricerca era quindi consistito nel raccogliere dati dalla letteratura scientifica tenendo in considerazione le informazioni sulla massa che mediamente raggiungono gli individui adulti in determinate specie. La massa non è l’unico indicatore per determinare la grandezza di un mammifero, ma è il dato che ricorre più spesso (banalmente perché è più semplice pesare o fare la stima del peso di un animale rispetto a valutarne il volume).
Non potendo valutare tutte le di mammiferi esistenti di cui siamo a conoscenza (le stime variano in base alle classificazioni), il gruppo di ricerca ha seguito un approccio statistico, costruendo un campione basato sul 5-6 per cento delle specie per ciascuno dei 16 ordini di mammiferi che contengono almeno una decina di specie; all’elenco sono state poi aggiunte altre specie, selezionate per rendere ancora più equilibrato e rappresentativo il campione. La lista finale conteneva 429 specie con informazioni sulla massa corporea di individui adulti sia di sesso maschile sia di sesso femminile.
L’analisi finale ha tracciato una situazione diversa da quella descritta un secolo e mezzo fa. Tra le 429 specie di mammiferi prese in considerazione, i maschi avevano una stazza più grande delle femmine solo nel 45 per cento dei casi. Nel 39 per cento dei casi gli individui appartenenti ai due sessi avevano sostanzialmente la stessa massa e nel 16 per cento dei casi erano le femmine ad avere una massa superiore a quella dei maschi. I dati, dice lo studio, sembrano indicare che la maggiore grandezza degli individui di sesso maschile non sia la norma, o per meglio dire che non ci sia una regola unica attraverso le specie di mammiferi sulla differenza di stazza tra i sessi.
I maschi con massa superiore a quella delle femmine sono risultati più frequenti tra i carnivori, gli ungulati e alcune specie di primati. Questi animali sono di solito più studiati di altri quando si tratta di valutare le differenze dovute al sesso, di conseguenza questa potrebbe essere una delle cause del perdurare della convinzione sulla maggiore dimensione dei maschi in generale tra i mammiferi.
Roditori e pipistrelli sono relativamente meno studiati, nonostante tutte le loro specie messe insieme costituiscano circa la metà di quelle di mammiferi. Dallo studio è emerso che nel 48 per cento delle specie di roditori prese in considerazione non c’erano differenze di stazza, mentre nel 44 per cento i maschi erano più grandi. Nel caso dei pipistrelli il gruppo di ricerca ha notato che nel 46 per cento delle specie analizzate le femmine erano più grandi.
La differenza tra individui appartenenti alla medesima specie ma di sesso diverso (“dimorfismo sessuale”) è studiata da tempo, proprio perché attraverso lo studio delle differenze si possono comprendere alcune caratteristiche tipiche di una specie. Le ricerche si sono dedicate anche alle differenze di stazza e una delle teorie più condivise dice che in molte specie i maschi dei mammiferi sono più grandi perché devono competere tra loro per contendersi le femmine. La competizione implica spesso un confronto fisico, di conseguenza nel corso dell’evoluzione sarebbero stati avvantaggiati gli individui casualmente nati di stazza maggiore. Per alcune specie di grandi carnivori è probabilmente vero, anche sulla base delle osservazioni del comportamento animale, ma è difficile applicare la medesima ipotesi a molte altre specie di mammiferi.
Tra i roditori e i pipistrelli le cose funzionano diversamente e la minore quantità di studi sul dimorfismo sessuale di questi animali forse spiega in parte perché sia ancora diffusa la convinzione che in generale tra i mammiferi i maschi siano più grandi. Nel caso dei pipistrelli, per esempio, avere una stazza maggiore è probabilmente un vantaggio per le femmine che devono volare anche durante la gravidanza, quando la loro massa è più grande (gli uccelli non hanno questo problema, visto che depongono le uova): hanno bisogno di più forza e capacità alare.
Il nuovo studio cita il lavoro della biologa statunitense Katherine Ralls che negli anni Settanta pubblicò una dove metteva in dubbio la convinzione sulla maggiore stazza degli individui maschi tra i mammiferi, arrivando a conclusioni simili a quelle del gruppo di ricerca di Tombak. All’epoca Ralls aveva analizzato i dati su alcune specie di mammiferi segnalando come fossero comuni femmine di maggiori dimensioni rispetto ai maschi. Ralls aveva ipotizzato che gli individui di sesso femminile fossero più grandi in alcune specie perché questo aumentava la probabilità di produrre nuovi nati più resistenti, dunque con minori rischi di morire nelle prime fasi dello sviluppo. L’ipotesi è discussa da tempo e finora non sono emersi elementi per confermarla.
La ricerca di Tombak è stata accolta con interesse da chi si occupa di evoluzione, ma alcuni esperti hanno fatto notare che per quanto statisticamente rilevante lo studio è basato su una quantità limitata di specie di mammiferi e saranno quindi necessari ulteriori studi. La questione sarà ancora discussa a lungo e contribuirà a comprendere meglio diversità e somiglianze tra le tante specie nella grande classe dei mammiferi, di cui facciamo parte.