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    Il Frecciarossa arriva in Germania: nuovi collegamenti entro il 2026

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    Si rafforza l’integrazione ferroviaria europea grazie all’intesa fra Trenitalia (Gruppo Fs), Deutsche Bahn (DB) e le ferrovie austriache ÖBB. Entro il 2026 saranno operativi i nuovi collegamenti Alta Velocità tra Milano, Roma e Monaco di Baviera, con estensione prevista verso Berlino e Napoli entro il 2028. Il progetto rappresenta un ulteriore passo verso la realizzazione della “Metropolitana d’Europa”, un’ambizione strategica che punta a unire le principali città del continente con servizi ferroviari rapidi, sostenibili ed efficienti.“Collegare in treno l’Italia con le principali città europee – ha dichiarato Gianpiero Strisciuglio, ad e dg di Trenitalia – è uno degli obiettivi strategici del Gruppo Fs. Il Frecciarossa si conferma protagonista anche sui mercati internazionali, con l’ambizione di diventare il treno degli europei e non solo degli italiani”.I collegamenti, operati con il Frecciarossa 1000 – il treno Alta Velocità progettato per viaggiare su più reti europee – partiranno inizialmente con quattro servizi giornalieri tra Milano/Roma e Monaco. Le principali fermate italiane includeranno città come Firenze, Bologna, Verona, Trento e Bolzano. Attraverso l’Austria, i treni proseguiranno fino alla Germania, intercettando anche la domanda di trasporto da e verso altre città come Francoforte e Cracovia.L’iniziativa è stata selezionata dalla Commissione Europea come Progetto Pilota nell’ambito del Commission Action Plan, riconoscendone il valore strategico per la mobilità sostenibile e la coesione del mercato unico europeo.“Inoltre, tra Svizzera, Austria e Italia – ha ricordato Strisciuglio – sono attivi collegamenti Eurocity ed Euronight, realtà che migliorano e rendono più sostenibili le connessioni per lavoro, studio e turismo con il resto d’Europa”. LEGGI TUTTO

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    Le agromafie minacciano la filiera made in Italy. Giro d’affari ormai superiore a 25 miliardi di euro

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    Il giro d’affari delle agromafie ha raggiunto la cifra record di 25,2 miliardi di euro, raddoppiando nel giro di un decennio e recuperando rapidamente le perdite causate dalla pandemia. È quanto emerge dall’ottavo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, presentato a Roma da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio Agromafie. Un fenomeno che si è esteso a nuovi ambiti, coinvolgendo non solo il caporalato e le frodi alimentari, ma anche logistica, cybercrime, appropriazione indebita di terreni agricoli e fondi pubblici.Il settore agroalimentare, uno dei più strategici dell’economia italiana, è diventato terreno fertile per le mafie, che puntano al controllo della filiera dal campo alla tavola. «Molte aziende agricole, pur operando nel contesto del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla Gdo e la difficoltà di accesso al credito», ha denunciato Gian Maria Fara, presidente di Eurispes. «Le mafie, grazie alla loro liquidità, offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficoltà, seguendo un modello simile al land grabbing (l’accaparramento di terreni come forma di investimento; ndr)», ha aggiunto.Coldiretti ha messo in evidenza il ruolo fondamentale del nuovo ddl promosso dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che introduce nel codice penale un intero titolo dedicato ai reati contro il patrimonio agroalimentare, tra cui il reato di agropirateria. «Finalmente si fornisce una risposta penale organica al crimine agroalimentare, con sanzioni proporzionate al fatturato aziendale e misure a tutela di Dop e Igp», si legge nel rapporto.«Se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, quel sottocosto qualcuno lo paga e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli», ha affermato Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti. «È fondamentale che il Parlamento approvi rapidamente questa legge, superando le resistenze di pezzi della grande industria e della Gdo», ha proseguito.Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini (in foto) ha ribadito il ruolo della Confederazione nella lotta alle agromafie. «Siamo stati i primi a sostenere con forza la legge sul caporalato e continuiamo a denunciare lo sfruttamento in ogni parte del mondo. L’Europa deve adottare il modello italiano di controlli», ha dichiarato. LEGGI TUTTO

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    Commerz, uno spiraglio per Unicredit

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    Qualcosa si muove in Germania. In quello che fino a poche ore fa sembrava un muro insormontabile per Unicredit, ora si scorge una fessura. Ieri la ceo di Commerzbank, Bettina Orlopp, ha detto di avere avuto un incontro con il capo di Unicredit, Andrea Orcel, nell’ambito dei rapporti con i grandi investitori della banca. Al pari di altri, anche quello avuto con il banchiere italiano è stato definito «molto costruttivo». Orlopp, a riguardo, ha detto: «L’ho incontrato perché è un investitore. È un grande azionista ed è normale che ci si incontri con gli investitori», ha risposto precisando però di non aver parlato del tentativo di Unicredit di acquisire la seconda banca tedesca. Non ci sono però chiusure a rivedere Orcel: «Parlerò sicuramente con lui perché è un azionista al 9,5% o addirittura al 10%».Sembrano parole di circostanza, però le sfumature retoriche non sono mai irrilevanti nel linguaggio della finanza. Secondo fonti vicine a Commerz consultate da Il Giornale, il dialogo con Orcel non sarebbe da interpretare come l’apertura sulla scalata in corso, ma al momento solo come un atto dovuto a tutti gli azionisti. Resta il fatto di una coincidenza singolare nel giorno in cui arriva il consueto messaggio da Bruxelles con il portavoce della Commissione europea, Olof Gill, che interpellato sulla perdurante contrarietà del governo tedesco sul tentativo di scalata di Unicredit, ha affermato di credere che «il consolidamento sia una cosa positiva», ma «non commentiamo casi singoli». Quella di Gill è una voce che si è già espressa sui dossier bancari, avendo fatto dichiarazioni sul Golden Power esercitato dal governo italiano sull’operazione Unicredit-Bpm (a proposito, secondo indiscrezioni di stampa l’Italia ha chiesto alla Commissione di rinviare all’Antitrust nazionale la decisione sull’Ops). Anche in quell’occasione, pur specificando di non esprimersi sui singoli casi, aveva sottolineato la necessità che le prescrizioni del Golden Power siano «proporzionate».Non sono mai messaggi casuali. Tant’è che il portavoce Gill ha detto che l’Ue ha avviato la procedura Eu Pilot per le prescrizioni italiane, che è un accertamento attivato quando si presume una possibile violazione ai trattati dell’Unione europea. Allo stesso modo, quindi, le parole di ieri di Gill suonano come una tirata d’orecchie alla Germania. Vista la reazione sproporzionata con la quale il nuovo ministro delle Finanze Lars Klingbeil, alle quali si è allineato anche il cancelliere Friedrich Merz, nei confronti dell’operazione. LEGGI TUTTO

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    De Meo scuote l’Europa: “Subito una strategia”

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    Da Imola per il Gran premio di F1, dove ha gareggiato la sua Alpine, all’audizione, ieri, davanti alla Commissione attività produttive della Camera. Tra le interviste a Le Figaro e il Financial Times, con il presidente di Stellantis, John Elkann, e gli impegni sportivi e istituzionali, ultimamente c’è tanta Italia nell’agenda di Luca De Meo, ceo di Renault Group. E per chi già ipotizzava possibili nozze tra le due realtà, la smentita è subito arrivata nei giorni scorsi.A Roma, il top manager ex Fiat, ha risposto alle domande dei deputati sulla grave situazione del settore automotive in Europa. Cosa fare, dunque? Costi elevati, elettriche al palo, incentivi stoppati, assenza di politica industriale, mercato in rapida evoluzione, nodi Usa e Cina: questi i temi affrontati.Il primo allarme lanciato riguarda i costi energetici esagerati e la competitività. «Qui in Europa – ha subito rimarcato De Meo – l’elettricità ha un costo doppio rispetto alla Cina e tre volte sugli Usa, i costi di produzione sono superiori del 30% rispetto alla Cina. I nostri concorrenti, inoltre, ricevono aiuti di Stato molto più sostenuti. C’è bisogno di energia a basse emissioni, a prezzi competitivi. Per produrre una R5 in Francia il costo dell’energia è quasi il doppio di quello della manodopera». LEGGI TUTTO

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    Tassa da 2 euro sui pacchi extra-Ue

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    La proposta della Commissione europea di introdurre una tassa fissa di 2 euro su ogni piccolo pacco proveniente da Paesi extra-Ue in particolare dalla Cina rappresenta un passo avanti nella difesa del mercato unico e della concorrenza leale. La misura, che coinvolge colossi dell’e-commerce come Temu e Shein, punta a garantire equità fiscale e tutela dei consumatori. «Stiamo parlando di 2 euro a pacco, pagati dalla piattaforma», ha chiarito il commissario Ue al Commercio Maros Sefcovic, spiegando che il gettito servirà in parte a rafforzare i controlli doganali, il resto andrà al bilancio Ue. Solo nel 2023 sono stati importati circa 4,6 miliardi di pacchi nell’Unione, oltre il 90% dalla Cina. La proposta prevede anche un’imposta ridotta di 50 centesimi per le merci inviate ai magazzini. Si supererebbe così l’esenzione doganale per gli acquisti sotto i 150 euro, spesso sfruttata da operatori extra-Ue per eludere gli standard di sicurezza. LEGGI TUTTO

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    Mps, ok di Ivass su Piazzetta Cuccia

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    Se l’offerta su Mediobanca avrà successo, il Monte dei Paschi potrà detenere il 13% di Generali a oggi nel portafoglio di Piazzetta Cuccia. Ieri l’Ivass, l’autorità di vigilanza delle assicurazioni, ha infatti dato il via libera all’Ops da 13,3 miliardi lanciata dall’istituto senese. Il provvedimento, preso dal Direttorio integrato, è firmato digitalmente dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta.Si tratta dell’autorizzazione preventiva all’acquisto da parte di Siena di una partecipazione qualificata indiretta, tramite appunto Mediobanca, nelle Generali. Quota che, come ha più volte indicato l’ad di Mps Luigi Lovaglio «è nice to have ma non determinante per l’operazione. Quello che importa è creare una forza competitiva nello scenario italiano», ha detto di recente. Aggiungendo anche che la dipendenza del nuovo gruppo da Generali «sarà molto più bassa». Ora a Siena si attende il responso della Bce, che potrebbe arrivare tra fine maggio e inizio giugno. LEGGI TUTTO

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    Ilva torna a battere cassa. In arrivo 5 miliardi di Stato

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    Una nazionalizzazione mascherata si profila all’ex llva di Taranto. Se infatti è ancora in pista il consorzio formato da Baku Steel Company e Azerbaijan Business Development Fund, che a fine marzo si è aggiudicato la corsia preferenziale per l’acquisizione del polo siderurgico, nelle trattative di queste ore con lo Stato sarebbe emerso che saranno risorse pubbliche per 5 miliardi a fare la parte del leone nel «salvataggio e rilancio» dell’azienda: 2 miliardi di prestiti bancari garantiti dalla Sace e 3 miliardi di contributi pubblici. Numeri che secondo quanto ricostruito dal settimanale Moneta in edicola basterebbero a salvare il gruppo nell’immediato, ma non a sostenere il piano di decarbonizzazione e rilancio vero. Nell’immediato, infatti, servirebbero ora quasi 7 miliardi (riducibili a 5 dopo l’indicente all’Afo 1): 1 miliardo per le manutenzioni, 2 miliardi per ripristinare il circolante, 2 miliardi tra capex e opex e 1,8 miliardi per l’acquisto degli impianti (valore questo che è fermo a prima dell’incidente). Altri 5-6 miliardi, da spalmare al 2030-32, occorreranno poi per il piano di decarbonizzazione e trasformazione, ove fosse confermato. E gli azeri, da parte loro, che ruolo avranno in tutto questo? La trattativa in corso fra il capo di gabinetto di via Veneto, Federico Eichberg, e il vice ministro azero all’Economia, Vali Yusif Oghlu Akhundov, punta a sventare una nazionalizzazione tout court, come ha proposto il leader della Cgil Maurizio Landini, ma di fatto non può non essere letta come una «nazionalizzazione mascherata».In particolare, tra le richieste che stanno pervenendo tramite il viceministro azero ci sono contributi per l’energia, investimenti, la cig e aiuti dal Mase per quanto concerne la decarbonizzazione. Sarebbe infatti superato l’impegno azero della proposta iniziale: 1,1 miliardi circa tra cassa e valorizzazione del magazzino. Il che dovrebbe portare, a livello di patti parasociali, a una quota di capitale ridotta per il socio privato.Va dunque in questa direzione «l’adattamento al piano» preannunciato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso a seguito dell’incendio che ha interessato l’Altoforno 1 del polo tarantino. Non solo. Sempre secondo indiscrezioni è molto probabile che già nell’incontro programmato oggi a Palazzo Chigi con i sindacati ci siano sorprese anche sul fronte occupazionale, con un aumento dei dipendenti Ilva in Cig (al momento sono 4mila). LEGGI TUTTO

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    Al via il cambio di pneumatici: cosa fare dal 15 ottobre

    Anche se il clima è tutt’altro che invernale, può essere molto pericoloso avventurarsi in strade di montagna senza avere i giusti pneumatici nella propria auto. Anche se il regolamento nazionale impone l’obbligo di gomme invernali dal 15 novembre al 15 aprile, da sabato 15 ottobre l’Anas ricorda che in Val d’Aosta prenderà il via l’obbligo di catene a bordo o pneumatici invernali sulle proprie strade “particolarmente esposte al rischio di precipitazioni nevose o formazione di ghiaccio”.Perché si cambiano le gommeRispetto a quelle estive, l’aderenza di quelle invernali è migliore e rende i rischi minimi anche su strade dove sull’asfalto sono presenti criticità dovute alla stagione che avanza. È bene che tutti gli automobilisti abbiano un mese di tempo per organizzarsi nel cambio degli pneumatici o sbrigarsi nel caso in cui debbano imbattersi su strade d’alta quota. Per effettuare il cambio basta recarsi da un gommista o da un rivenditore autorizzato.Temperatura e condizioni stradaliCome si legge su Drivercenter, i pneumatici invernali sono progettati e realizzati “per reagire attivamente ad una temperatura esterna bassa, orientativamente inferiore ai 7°C”. Qualsiasi siano le condizioni del fondo stradale (bagnato, con neve o ghiaccio), dai sette gradi in giù si possono percepire i benefici della tipologia di pneumatico progettato e costruito per far fronte a quel tipo di criticità. “Grazie a uno specifico disegno battistrada e all’utilizzo di lamelle, i pneumatici invernali massimizzano l’aderenza su superfici bagnate, innevate o ghiacciate”, sottolineano gli specialisti. L’aderenza è sicuramente maggiore in queste condizioni (sia in motricità che in frenata) ma si mantengono ottime anche se la strada è asciutta.Per quanto riguarda la frenata, la differenza tra uno pneumatico normale e pneumatico invernale è abissale: secondo alcuni test, su fondo bagnato e con una velocità dell’auto pari a 90 Km/h, nel primo caso saranno necessari 59,2 metri, con quello invernale 53,8. Con un fondo innevato, invece, quello estivo frena in 43,8 metri, quello invernale in 35,5 metri e senza la possibilità di sbandate.Le gomme quattro stagioniNegli ultimi anni, però, vanno molto di moda gli pneumatici “quattro stagioni”, riconoscibili dalla scritta M+S (Mud+ Snow, fango e neve), alcuni con accanto il simbolo del fiocco di neve a indicare la loro idoneità all’utilizzo invernale e su fondi innevati. In generale, però, le gomme “all seasons” hanno un’aderenza minore rispetto a quelle termiche quando il fondo è ghiacciato o c’è la presenza di neve così come i tempi di frenata, ridotti nel secondo caso rispetto al primo. LEGGI TUTTO