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    Bilaterale Meloni-Trump: una panchina tra gli aceri per trattare su guerra, armi e dazi

    Ascolta la versione audio dell’articoloUna panchina di legno tra gli aceri nel cuore dell’Alberta ha fatto da sfondo all’incontro bilaterale tra Donald Trump e Giorgia Meloni prima del rientro a sorpresa a Washington del Presidente Usa, dopo neppure ventiquattr’ore dal suo arrivo. Meloni invece è rimasta, e oggi tirerà le somme di questo summit che ha visto la crisi mediorientale assoluta protagonista.I temi del colloquioCon Trump la Premier ha parlato «dei più recenti sviluppi in Iran» e della necessità di «riaprire la strada del negoziato» che è al centro anche della dichiarazione concordata con gli altri Grandi e che alla fine ha avuto il via libera anche del leader Usa. Meloni è poi tornata a insistere sulla necessità di spingere il più possibile su un immediato cessate il fuoco a Gaza.Loading…I daziAltro tema caldo al centro del colloquio, i dazi. Trump su questo aveva avuto nel pomeriggio un faccia a faccia con Ursula von der Leyen dove però non si è entrati nel merito ma si è comunque ribadito la volontà da parte sia degli Usa che della Ue di arrivare a un intesa prima del 9 luglio, quando torneranno in vigore le tariffe al 50% sui prodotti Ue importati negli States.Le spese per la difesaInfine le spese per la difesa. Il comunicato di Palazzo Chigi fa esplicito riferimento al vertice Nato della prossima settimana. L’intesa sul 5% del Pil (3,5 per spese militari in senso stretto e 1,5 per quelle destinate anche a infrastrutture) è ormai assodata. Meloni però punta a spalmare l’impegno finanziario in un decennio e in modo flessibile (ossia permettendo diverse allocazioni di anno in anno) . La Francia è sulla stessa posizione e il cancelliere tedesco Merz così come il Primo ministro britannico, Keir Starmer – con ciascuno dei quali la Premier aveva avuto un incontro bilaterale – hanno manifestato la disponibilità a sostenerla. Ma è chiaro che il tassello decisivo è il via libera statunitense. Palazzo Chigi però al momento preferisce evitare di rendere pubblico il verdetto consegnatole da Trump sulla panchina di Kananastis. LEGGI TUTTO

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    Meloni vede Trump: lavorare per cessate il fuoco a Gaza

    Ascolta la versione audio dell’articolo«A margine del Vertice G7 di Kananaskis, e alla viglia della sessione dedicata ai temi di politica estera, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha avuto un incontro bilaterale con il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump». Lo riferisce una nota di Palazzo Chigi, spiegando che «il colloquio ha permesso di discutere dei più recenti sviluppi in Iran, riaffermando l’opportunità di riaprire la strada del negoziato».Meloni a Trump, lavorare per il cessate il fuoco a GazaNel corso della conversazione con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la premier Giorgia Meloni «ha anche ribadito la necessità, in questo momento, di lavorare per il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza».Loading…Focus anche sui daziLa conversazione ha infine permesso alla presidente del Consiglio di confermare “l’importanza del conseguimento di un accordo sul negoziato commerciale Ue-Usa e di affrontare il tema delle prospettive del prossimo Vertice Nato dell’Aja”.Al G7 l’incontro fra Meloni e Trump su una panchina del lodgeIl bilaterale fra la premier Giorgia Meloni e il presidente degli Stati Uniti a margine del G7 si è svolto su una panchina di legno del Pomeroy Kananaskis Mountain Lodge, sede del vertice. L’incontro è stato immortalato nelle immagini diffuse da Palazzo Chigi, in cui si vede Meloni protesa in avanti parlando al presidente americano, che ha partecipato alla cena con cui si chiude la prima giornata del summit prima del ritorno a WashingtonL’allentamento della pressione» sulla StrisciaLa convinzione della premier è che a medio termine una delle soluzioni possibili per il Medio Oriente sia «l’allentamento della pressione» sulla Striscia. Lo ha detto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in una telefonata prima di volare in Canada, e lo ha ribadendo a Kananaskis ai suoi interlocutori. Il confronto con il presidente americano è arrivato in un momento cruciale nell’agenda di Meloni. Anche perché l’Italia, come del resto gli altri Paesi al tavolo, è rimasta spiazzata dal sostegno del tycoon all’idea che Vladimir Putin possa fungere da mediatore tra Israele e Iran. LEGGI TUTTO

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    Ambrosini: «Politica migratoria troppo securitaria e il mercato chiede solo braccia, non cervelli»

    Ascolta la versione audio dell’articoloMaurizio Ambrosini, sociologo, studia da anni i processi e le politiche migratorie, materie che insegna all’Università Statale di Milano. Autore di numerosi testi sull’argomento, gli abbiamo chiesto di spiegarci cosa non funziona nelle attuali regole italiane per l’ingresso di lavoratori stranieri, che spesso rischiano di alimentare il lavoro irregolare.«L’attuale politica degli ingressi, basata su decreti flussi e click day, e insieme gravata di preoccupazioni securitarie, con la richiesta di lunghi controlli e avare autorizzazioni, continua a non funzionare a dovere. Per di più, apre il campo a truffe e raggiri, ai danni soprattutto di immigrati e candidati all’immigrazione. In sostanza non si sa mai se le autorizzazioni arriveranno, e quando arrivano in genere è troppo tardi: i datori hanno già dovuto ingegnarsi a trovare qualche altro modo per rispondere alle loro esigenze. Senza contare che fino a tempi recenti i decreti flussi, quando la procedura andava a buon fine, sono serviti essenzialmente a regolarizzare lavoratori già in forza».Loading…Quali sono i limiti del click day? Anzitutto esiste solo in Italia, rappresenta un’anomalia nel panorama europeo, di cui non si avverte la necessità e non si spiega la motivazione. Poi mette in piedi una lotteria, in cui fattori casuali, come la velocità della connessione, il buon funzionamento del sistema, la rapidità del tocco dell’operatore, finiscono per determinare il successo dell’operazione. E’ il contrario di un sistema razionale e ben congegnato di governo degli ingressi per lavoro. Infatti a quanto sembra i datori si sono stancati e non hanno neppure più coperto le quote disponibili.Perché in Italia arriva dall’estero meno della metà dei laureati rispetto a Francia, Germania e Spagna? La politica ha le sue colpe, sotto il profilo delle complesse, costose e sospettose procedure per riconoscere i titoli di studio conseguiti all’estero, soprattutto fuori dall’area OCSE. Non so mai se davvero arrivano pochi laureati, o sono pochi quelli che vedono riconosciuta la loro laurea. Ma direi che il problema fondamentale è il mercato: mi pare che la nostra economia, a parte qualche eccezione come il sistema sanitario, continui a richiedere essenzialmente braccia. I cervelli noi li esportiamo, anziché attrarli. Sono convinto che se le imprese avessero veramente importanti fabbisogni di lavoro altamente qualificato, ossia di laureati, troverebbero il modo di farli arrivare. Lo strumento c’è, è la carta Blu dell’UE, ma è utilizzato pochissimo. Anche gli sviluppi di carriera sono rari: molti immigrati riescono bene o male a stabilizzarsi (2,4 milioni di occupati regolari), ma difficilmente a progredire all’interno delle imprese.Le misure del Governo per aprire nuove strade all’immigrazione regolare qualificata funzionano? Il governo Meloni ha tre diverse politiche migratorie in precario equilibrio: ostilità verso i rifugiati dal Sud del mondo; proseguimento della buona accoglienza dei rifugiati ucraini; apertura senza precedenti ai lavoratori, con un decreto flussi da 452.000 nuovi ingressi in tre anni. Buona inoltre l’idea di consentire l’ingresso fuori quota a lavoratori formati all’estero da operatori italiani. Ma come ho già detto, le procedure funzionano male e le istanze securitarie bloccano quelle economiche. Alla fine, il diavolo si nasconde nei dettagli. LEGGI TUTTO

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    Tajani: l’Iran ha superato la linea rossa, ora al lavoro per la de-escalation

    Ascolta la versione audio dell’articolo«Per quanto riguarda il programma nucleare dell’Iran, noi abbiamo il rapporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite secondo il quale l’Iran ha violato le regole ed è andato al di là della linea rossa per quanto riguarda la costruzione dell’arma atomica. Quindi le osservazioni israeliane sono assolutamente fondate sulla base di una relazione indipendente che arriva dall’agenzia dell’Onu».Tajani sottolinea le ragioni di Israele: «L’Iran ha superato la linea rossa»Prima ancora di andare in Parlamento per l’audizione davanti alla commissioni Esteri di Camera e Senato, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani rafforza la linea del governo dopo che, a caldo, la premier Giorgia Meloni nel suo colloquio telefonico con il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva sottolineato la necessità che «l’Iran non possa in alcun caso dotarsi dell’arma nucleare», auspicando al contempo che «gli sforzi condotti dagli Stati Uniti per giungere ad un accordo possano ancora avere successo». La linea rossa, ribadisce dunque in Parlamento Tajani, è in realtà già stata superata. «Di fronte a una minaccia nucleare, non può esservi alcuna ambiguità. L’Iran non può dotarsi della bomba atomica. Ho voluto trasmettere questo messaggio anche al presidente della Repubblica israeliano Isaac Herzog, al quale ho ribadito il diritto di Israele a garantire la propria sopravvivenza tutelandosi da un possibile attacco nucleare». E ancora: «La decisione di lanciare l’operazione è scaturita da informazioni di intelligence su Teheran, tali da configurare una minaccia esistenziale per Israele, per la regione e per la comunità internazionale».Loading…«L’Italia è in prima linea per la de-escalation»Un sostanziale appoggio all’azione di Israele, dunque, in sintonia con la posizione assunta dal presidente Usa Donald Trump (“l’Iran faccia l’accordo prima che non ne resti più nulla”). La strada del governo italiano resta quella della ripresa dei colloqui per la denuclearizzazione e, da parte dell’Italia, il lavoro diplomatico per una de-escalation del conflitto («su questo fronte siamo in prima linea»). Le cui conseguenze, in caso di un prolungato scontro militare, sarebbero enormi anche dal punto di vista economico, sottolinea Tajani: è a rischio la libertà di navigazione in una rotta cruciale per l’Italia e per il commercio globale e ci sarebbero conseguenze sul piano energetico, umanitario e migratorio.«Finora nessuna situazione critica per i 50mila italiani nell’area»Infine, le informazioni sugli italiani – militari e civili – presenti nell’area. «Attualmente si trovano circa 50.000 italiani in tutta la regione mediorientale. La presenza più significativa è in Israele, con circa 20.000 connazionali, mentre sono circa 500 quelli residenti in Iran. Al momento non ci sono state segnalate situazioni critiche – ha detto Tajani -. A questi si aggiungono i nostri militari presenti nell’area, dall’Iraq al Libano, dal Golfo al Sinai, che seguiamo insieme al ministero della Difesa. Le nostre ambasciate sono in contatto con tutti i connazionali che hanno chiesto informazioni per rientrare in Italia. Stanno tutti bene e stanno ricevendo – uno ad uno – ogni possibile assistenza, tenendo conto dell’interruzione del traffico aereo nella regione», ha aggiunto. «In particolare, un gruppo di 36 pellegrini della Conferenza Episcopale Italiana, presente a Gerusalemme, è stato assistito dal nostro Consolato Generale ed è riuscito a raggiungere la Giordania».Opposizioni critiche: o si appoggia Israele o si lavora per la de-escalationL’informativa di Tajani non ha convinto le opposizioni, che la hanno trovata quantomeno contraddittoria. Si può appoggiare nella sostanza l’azione di Israele e al contempo assicurare di voler lavorare per la de-escalation, si chiede Francesco Silvestri del M5s: «Ci saremmo aspettati posizioni politiche più chiare. Nonostante il suo tono deciso, i contenuti appaiono contraddittori. Che senso ha venire qua a dire tutto e il contrario di tutto? A dire che sostiene la de-escalation ma anche l’azione che ha fatto Netanyahu? Queste cose sono in contraddizione. Non ha chiarito se è a favore di quello che è appena successo, nelle tempistiche rispetto agli sforzi che si fanno per una de-escalation vera». Più sfumata la posizione della segretaria del Pd Elly Schlein, che ha voluto sottolineare che «nessuno più di noi è ostile al regime iraniano che opprime le donne e nessuno più di noi sostiene il movimento Donna vita libertà, tuttavia questa azione improvvisa e unilaterale di Israele non può che indebolire le trattative nei luoghi deputati». Delle due l’una, dice Schlein chiedendo al governo di non schiacciare il Paese sugli «umori alterni» di Trump: «O si pensa che quello di Israele sia un attacco legittimo, e alcune dichiarazioni della maggioranza vanno in questa direzione, e allora bisogna avere il coraggio di dire: ha fatto bene. O si pensa che bisogna fermare l’escalation, e allora bisogna dire a Netanyahu di fermarsi e all’Iran di frenare le sue reazioni. L’attacco unilaterale all’Iran non è la via. Vorremmo chiarezza, lo chiediamo al governo e alla Ue». LEGGI TUTTO

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    Pisa, al congresso cittadino primi schiaffi tra schleiniani e riformisti. Ceccanti ricorre: voto non valido

    I punti chiaveAscolta la versione audio dell’articoloContrordine compagni, non si vota più. Anzi sì, si vota. Mentre a livello nazionale la segretaria del Pd Elly Schlein studia la possibile resa dei conti con la minoranza riformista sul piede di guerra dopo il fallimento del referendum contro il renziano Jobs Act in due step (assemblea nazionale a luglio per ribadire la linea e congresso anticipato a inizio 2026 per blindarsi oltre le elezioni politiche del 2027), un primo assaggio di ciò che potrebbe avvenire nei circoli dem ce lo dà Pisa. Dove il congresso del primo circolo per eleggere dopo oltre due anni di vacatio il segretario cittadino rischia di finire a carte bollate in tribunale. Una carica delicata, quella del segretario cittadino, in vista delle candidature per le elezioni del 2028 che potrebbero riportare a “casa” Pisa dopo 10 anni di guida centrodestra con il sindaco uscente e non più ricandidabile Michele Conti, della Lega.Il congresso pisano della discordia: i due elenchi e un testimone d’eccezione, Stefano CeccantiIl fattaccio avviene il giorno 10 giugno al congresso del circolo di S. Marco-Giusto per il rinnovo del livello comunale. E se voleva essere un colpo di mano senza troppa pubblicità da parte di alcuni, il caso ha voluto che ci fosse un iscritto d’eccezione: il costituzionalista Stefano Ceccanti, parlamentare del Pd per due legislature nonché uno degli estensori dello statuto del partito ai tempi della fondazione nel 2007. Ascoltiamolo, dalla lettera pubblicata sul quotidiano Il Tirreno e sui suo blog: «Prima per whatsapp e poi all’inizio dei lavori in persona la segretaria del circolo, l’unica legittimata a convocare, segnala che non esistono le condizioni giuridiche per procedere al voto, non essendoci un elenco condiviso degli aventi diritto al voto», scrive Ceccanti. Gli elenchi insomma sono due, uno certificato dalla commissione provinciale di garanzia e un altro vidimato successivamente dalla commissione per il congresso con in più 60 tessere (pare riconducibili a sostenitori di Biondi, molti dei quali di nazionalità albanese) che sono contestate dagli avversari in quanto non pagate o comunque pagate in ritardo: da qui la sospensione decisa dalla segretaria del circolo dopo una circolare in tal senso a tutti i circoli del segretario provinciale Oreste Sabatino. «Mi attengo dunque a tale comunicazione – continua Ceccanti – e abbandono la riunione per ripartire verso Roma. Giunto in stazione, sulla chat del circolo alcuni autoconvocati, nel dissenso della segretaria, annunciano di aver proceduto comunque al voto. Replico pertanto su whatsapp che se si intende fare con ciò una qualche forma di originale manifestazione politica lo si può certo fare, purché non si pretenda di dare valore giuridico ad un voto senza un elenco condiviso e non convocato dalla segretaria».Loading…Prima la sospensione, poi gli “autoconvocati” votano lo stesso: vince Biondi con 42 votiAlla fine nel circolo S. Marco-Giusto vince il candidato schleiniano Marco Biondi contro il candidato riformista Mario Iannella con 42 voti su 100 iscritti (5 i voti per Iannella e un astenuto). E Ceccanti ricorre, come la segretaria del circolo, ai garanti provinciali. Evidente che i sostenitori di Biondi – candidatura frutto dell’accordo degli schleiniani – candidatura frutto dell’accordo degli schleiniani con il gruppo vicino all’europarlamentare ed ex sindaco di Firenze Dario Nardella e agli organizzatori della lista civica Pisa al centro (che ha sostenuto il sindaco di centrodestra Conti) – si sono fatti prendere la mano finendo per risultare più realisti del re. Si racconta di urla e addirittura spintoni. I riformisti, va da sé, prendono la palla al balzo e denunciano un tentativo di “pulizia etnica”. «Spero che non sia il prodromo di quanto potrà accadere a livello nazionale nel Pd – è la polemica chiosa dello stesso Ceccanti -. La democrazia interna è merce rara di questi tempi e il Pd, pur con tutti i suoi difetti, è quello che in Italia la garantisce di più fin dalla nascita… Voglio sperare che una tale deriva sia arginata il prima possibile, comunque prima di ritrovarci tutti quanti sotto le macerie di un partito e della democrazia».Il sospetto dei riformisti: arginare la loro area in vista delle regionali d’autunnoIl sospetto dei riformisti è che si voglia arginare il più possibile la loro area anche in vista delle prossime regionali d’autunno: nel mirino ci sarebbe la ricandidatura dell’influente presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, che in quanto al secondo mandato avrebbe bisogno di una deroga. Non è un mistero che la segretaria Elly Schlein vorrebbe candidare un uomo (o una donna) a lei più vicino al posto del governatore Eugenio Giani, al suo primo mandato, ma è anche vero che la sostituzione è politicamente complicata visto che Giani non ha intenzione di farsi indietro: se non è possibile sostituirlo è però possibile sostituire il “cerchio” attorno a lui. Si vedrà. Intanto, con una lettera spedita dal segretario Sabatino a Schlein e per conpscenza al responsabile organizzazione Igor Taruffi, il caso Pisa è già finito dritto sul tavolo del Nazareno. LEGGI TUTTO

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    Regionali, la corsa a ostacoli per salvare Zaia

    Ascolta la versione audio dell’articoloNo al terzo mandato, anzi sì. Si ricomincia. E l’obiettivo di Palazzo Chigi diventa ora quello di cambiare – e subito – la legge 165 del 2004, ossia la legge nazionale che fissa il limite di due mandati per i governatori e che la Corte costituzionale ha fatto prevalere sulle leggi regionali bocciando quella della Campania. Con due obiettivi: permettere la ricandidatura di Luca Zaia in Veneto, pacificando la Lega e mettendo così in sicurezza il governo, e rigettare nel campo avversario la patata bollente del governatore dem Vincenzo De Luca, che a quel punto potrebbe ricandidarsi in Campania minando l’accordo tra Pd e M5s su Roberto Fico.La strada del decreto o di un emendamento potrebbe essere sbarrata dal QuirinaleMa con quale strumento? La strada del decreto ah hoc o di un emendamento a un provvedimento già in corsa (si ipotizza il Ddl sui ballottaggi nei comuni o quello sulla riduzione del numero dei consiglieri, entrambi all’esame della commissione Affari costituzionali del Senato) incontrerebbe, considerando che siamo ormai alla vigilia del voto regionale d’autunno, più di un’obiezione da parte del Quirinale. La via più sicura resta un disegno di legge, ma i tempi sarebbero più lunghi.Loading…L’ipotesi di rinviare le elezioni regionali e il possibile scoglio dell’incostituzionalitàPer questo nella maggioranza si sta facendo strada anche l’idea di uno slittamento delle elezioni, ad esempio marzo. E qui i rischi raddoppiano: visto che la data delle elezioni la decidono le regioni in accordo con il governo, alcuni governatori come ad esempio il dem Eugenio Giani in Toscana potrebbero convocare comunque le elezioni in autunno. Non solo: allungare le legislature regionali senza un grave motivo (l’ultima volta c’era la pandemia) potrebbe incontrare di nuovo le perplessità del Quirinale nonché, ad abundantiam, quelle della Corte costituzionale in caso di possibile impugnativa. Senza contare il fatto che il “soldato” da salvare, ossia Zaia, è già al terzo mandato: qui sta alla maestria del ministro leghista Roberto Calderoli trovare una soluzione giuridica per computare fin qui solo due mandati.Meloni in cerca di soluzione: il “premio” è il sì della Lega alla riforma elettoraleInsomma, il terzo mandato è più facile a dirsi che a farsi. Anche perché resta la contrarietà di Forza Italia, che andrebbe a sua volta compensata. Ma a Palazzo Chigi la volontà di trovare una soluzione c’è: è vero che Giorgia Meloni rinuncerebbe a candidare in Veneto un suo uomo, ma è anche vero che sul tavolo dell’accordo ci sono vari dossier e tra questi spicca quello della riforma del Rosatellum. Fin qui la Lega ha fatto orecchie da mercante rispetto all’ipotesi sostenuta da Fratelli d’Italia e Forza Italia di un proporzionale con premio di maggioranza del 55% per chi supera il 40% dei voti e con indicazione del candidato premier sulla scheda. Ma ora, in cambio del terzo mandato, potrebbe arrivare dalle parti di Via Bellerio il via libera atteso dalla premier: un vincitore certo, senza più la lotteria dei collegi uninominali soprattutto al Sud, e ”elezione” di fatto del premier anche in assenza di premierato. Lo scambio, dal punto di vista di Meloni, vaut bien une messe. LEGGI TUTTO

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    Marina Berlusconi a due anni dalla morte del padre: «Il suo primo desiderio è sempre stato quello di sentirsi amato»

    Ascolta la versione audio dell’articoloA due anni dalla morte il Cavaliere continua a essere un protagonista della politica italiana. Un «imprenditore visionario», «un leader politico che ha creduto in un centrodestra unito e in una Nazione forte e autorevole», scrive sui social Giorgia Meloni. Ma il ricordo più forte e allo stesso tempo più politico è quello della primogenita Marina. «Il primo desiderio di mio padre è sempre stato quello di sentirsi amato», racconta in un’intervista al Giornale dove torna alle ultime ore al capezzale del padre, alle ultime chiacchierate e a quegli appunti scritti con mano malferma in cui rivendicava la sua storia politica che è poi anche la storia di Forza Italia. In quel 12 giugno del 2023 molti, moltissimi davano per scontato che al funerale di Berlusconi presto sarebbe seguito quello del suo partito. Non è andata così, come sappiamo. Forza Italia non è soltanto sopravvissuta: ha tenuto botta. E molto bene. Lo ha fatto per due ragioni precise.Da un lato, la famiglia, con Marina in prima linea, che oltre a tenere vivo il pensiero e lo spirito politico del padre ha sempre assicurato che avrebbe continuato a sostenere anche finanziariamente il partito. Dall’altro, la tenacia di Antonio Tajani, che non si è fatto schiacciare dagli alleati né marginalizzare da una coalizione sbilanciata e che anche sul fronte dell’organizzazione e della gestione interna si è fatto sentire (vedi la crescita dei versamenti dei parlamentari). «Sei sempre con me» scrive sui social il vicepremier azzurro che proprio in coincidenza del secondo anniversario della morte del fondatore ha presentato l’Accademia della libertà per i giovani, dedicata a Silvio Berlusconi. Quel «sei sempre con me» non è solo un richiamo affettivo ma anche politico. Oggi Forza Italia ha un gradimento stabile, viaggia attorno all’8% e in più di un rilevamento supera la Lega di Matteo Salvini.«Amico mio, ci manchi», è il messaggio del segretario del Carroccio che si somma a quelli provenienti da gran parte del mondo politico, soprattutto del centrodestra. In realtà Salvini e Berlusconi oggi difficilmente avrebbero avuto la stessa visione del mondo. «Non capiva chi ambisce a farsi temere: era quanto di più lontano dal suo modo di essere», dice la Presidente di Fininvest che in questi mesi non ha lesinato critiche a Donald Trump. Berlusconi chiedeva una giustizia giusta, invocava una responsabilità civile dei magistrati e parlava di Europa come patria comune, ricorda Marina. Il sogno di Adenauer, Schuman e De Gasperi amava ripetere il Cavaliere. Un «patriottismo europeo», legato a doppio filo all’alleanza con gli Stati Uniti e fondato sul buon senso e sull’idea che la guerra è «la follia delle follie». «Se nel mondo ci fosse un po’ più di Silvio Berlusconi, forse ci sarebbe meno sofferenza», dice oggi Marina anche con riferimento ai conflitti che divampano soprattutto ad est e in Medio Oriente. Finora la primogenita ha sempre smentito chi dava per possibile una sua «discesa in campo». Ma la suggestione resta. Il brand Berlusconi non è passato di moda.Loading… LEGGI TUTTO

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    Ddl spazio, via libera definitivo del Senato. Dall’assicurazione alle start up: ecco le nuove regole per gli operatori

    Ascolta la versione audio dell’articoloVia libera del Senato la prima legge nazionale sullo spazio. Considerato il pilastro regolamentare per lo sviluppo di settori ad alta innovazione, a forte connotazione strategica per le implicazioni anche politiche che ne discendono, governo e maggioranza hanno deciso di blindarsi in Parlamento. I punti centrali della legge sono l’obbligo per gli operatori privati di richiedere e ottenere un’autorizzazione e di dotarsi di un’assicurazione con massimale a 100 milioni per il risarcimento dei danni cagionati a terzi sulla superficie terrestre nonché agli aeromobili in volo e alle persone e cose che vi si trovano a bordo. Vengono previste l’elaborazione di un Piano nazionale per l’economia dello spazio, la costituzione di un Fondo per il supporto al settore e corsie preferenziali negli appalti per startup e Pmi. Ma le imprese, fin dall’esame della Camera, hanno chiesto senza esito un regime transitorio sull’iter autorizzativo e l’abbassamento del massimale assicurativo.Ruolo chiave dell’Agenzia spazialeGli operatori dovranno richiedere un’autorizzazione a Palazzo Chigi o al Mimit, autorità delegata per lo spazio, tramite l’Agenzia spaziale italiana (Asi). L’Agenzia spaziale gestirà le richieste e avrà anche poteri di ispezione, con cui si confronterà con Difesa e Servizi segreti.Loading…Assicurazione, massimale fissato a 100 milioniIl Ddl, ribadisce anche l’obbligo di immatricolare gli oggetti spaziali lanciati in Italia in un apposito Registro, con codice preceduto dall’identificativo nazionale ITA. «L’operatore è sempre tenuto al risarcimento dei danni cagionati a terzi sulla superficie terrestre nonché agli aeromobili in volo» e alle persone e cose che vi si trovano a bordo, fatta eccezione che sia provato che i danni sono stati causati da un terzo o dallo stesso danneggiato. Ne deriva uno obbligo di stipulare contratti assicurativi a copertura dei danni con massimale a 100 milioni di euro per ciascun sinistro.Nel disegno di legge figura un obbligo per gli operatori di stipulare contratti assicurativi a copertura dei danni con massimale a 100 milioni di euro per ciascun sinistroNegli appalti quote per start-up e PmiViene introdotto un obbligo di subappalto di almeno il 10% a favore delle start-up e delle Pmi in caso di appalti non suddivisi in lotti e un emendamento di Forza Italia, approvato in commissione, stabilisce che il Piano nazionale includa anche politiche e misure specifiche di sviluppo per questa categoria di imprese. LEGGI TUTTO