Non c’è politica senza riti, non c’è potere senza corollario di simboli. La cerimonia di investitura dei re Ndembu, tribù insediate negli odierni Congo e Angola, con un sacerdote che li taglia e li insulta mentre si raccolgono in atteggiamento umile dentro una capanna, non è poi tanto distante dai complicati passaggi che presiedono all’investitura del presidente della Repubblica in Parlamento, tra cabine chiuse, rintocchi di campane, il cannone del Gianicolo che spara 21 colpi a salve, gli onori militari, l’inno nazionale, la scorta dei corazzieri.
In “Politica nuda. Riti e simboli del potere” (AltraVista, 2025) il giornalista Alberto Ferrarese esplora le mille vie attraverso cui il potere costruisce la sua «religiosità laica» per conquistare e rassicurare i suoi fedeli. «La politica – scrive – è probabilmente l’ambito della società in cui più forte resta l’aspetto simbolico e rituale, perché non può farne a meno: senza non è che amministrazione». Lo sanno bene gli italiani, e tra gli italiani i romani, abituati all’intreccio perpetuo tra sacro e profano. Di là dal Tevere la famosa “fumata bianca” per i nuovi Papi attesa in Piazza San Pietro, di qua le celebrazioni per il 2 giugno, la festa della Repubblica.
Loading…
La Lega dei richiami “padani”
Ma riti e simboli servono anche a battezzare i nuovi movimenti. Il rito dell’ampolla di acqua del Po, inventato da Umberto Bossi a chiusura della “Festa dei popoli padani”, è servito alla Lega per segnare i presunti confini della Padania; il mito fondativo di Pontida, il luogo vicino a Bergamo in cui nel 1167 i comuni si allearono contro Federico Barbarossa, resiste ancora oggi nell’era di Matteo Salvini, omaggiato dal raduno annuale dei militanti del Carroccio.
Meloni, l’era del fantasy al potere
Il partito di Giorgia Meloni affonda le sue radici fisiche nel luogo altrettanto “sacro” di Colle Oppio, una specie di grotta ricavata tra i ruderi delle Antiche Terme di Traiano, e quelle simboliche ne “Il Signore degli anelli”, il capolavoro fantasy di John Ronald Reuel Tolkien, citatissimo dalla premier e dai suoi. Dai “Campi Hobbit” organizzati dalla destra a Montesarchio negli anni Settanta discende un patrimonio condiviso di riferimenti che anima persino le correnti-comunità, come i Gabbiani di Fabio Rampelli. La stessa autodefinizione di “underdog” della presidente del Consiglio nel suo primo discorso alla Camera attinge da una fortunata mitologia che sostiene gli “sfavoriti” in lotta contro le avversità. Atreju, il nome della kermesse dei giovani di Fdi, va nella stessa direzione: è il protagonista della “Storia infinita” che combatte l’avanzare del Nulla.
Il caso di scuola: la discesa in campo di Berlusconi
Si deve, però, a Silvio Berlusconi l’esempio più formidabile di creazione da zero di riti e simboli per la sacralizzazione di un leader. Ferrarese, forte della sua esperienza di cronista nei palazzi della politica italiana ed europea, ripercorre la discesa in campo del Cavaliere nel 1994, preparata dai migliori manager di Publitalia 80 anche con la costruzione di un potente apparato simbolico. Con l’idea dirompente di puntare sulla «doppia valenza politico-calcistica» del nome “Forza Italia”, l’inno e il discorso “L’Italia è il Paese che amo” registrato su un set montato in un cantiere della villa di Macherio. Tutto anche in seguito pensato come «una professione di fede, sul modello di quello della messa cattolica», fondata sul culto della personalità e l’uso massiccio della televisione e della cartellonistica stradale. Il mondo del marketing aziendale trasferito alla politica, la «religione della libertà» come promessa.
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/rss/notizie/politica.xml

