Ogni «deliberazione sulla quota residua del ministero dell’Economia in Mps, pari al 4,86%, non sarà adottata in una logica di mera cassa ma strategica», vista «la rilevanza del risparmio per la tutela della sicurezza economica nazionale. Resta inteso che il Mef, in coerenza con gli impegni assunti a livello europeo, non presenterà comunque alcuna lista in occasione del rinnovo del consiglio di amministrazione». Ad affermarlo ieri è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso della sua informativa alla Camera in merito alla vicenda della scalata di Mps su Mediobanca finita nel mirino della Procura di Milano che ipotizza un concerto, una sorta di patto occulto non dichiarato dal mercato, tra gli azionisti di Siena Caltagirone e Delfin.
L’occasione, dunque, è stata utilizzata dal ministro per dichiarare che lo Stato intende rimanere nel capitale del nuovo gruppo Mps-Mediobanca a scopo di presidio del risparmio nazionale, ma senza partecipare al governo dell’istituto.
Il titolare del Tesoro, poi, si è soffermato su un fatto preciso: ovvero la dismissione del 15% di Mps del novembre 2024, quando all’asta l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone (che ha rilevato il 3,5%), Delfin (il 3,5%), Banco Bpm (il 5%) e Anima (il 3%) si aggiudicarono la fetta di azioni messa sul mercato. «Secondo quanto comunicato dal bookrunner, nessun investitore che ha presentato offerte in seno alla procedura è stato escluso». Giorgetti con questa frase ha risposto indirettamente alle rimostranze di Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, in merito all’operazione gestita da Banca Akros. Il numero uno di Piazza Gae Aulenti si era lamentato nella sua deposizione in Procura a Milano di non essere riuscito a partecipare alla procedura. A chi adombra ingerenze del dicastero dell’Economia, il ministro ha precisato che «l’acquisizione degli ordini dagli investitori è stata gestita direttamente da Banca Akros e il Mef non ha conosciuto prima della presentazione del book, ossia del documento finale sulle offerte, né il numero degli investitori individuati da Banca Akros né la modalità di selezione». Allo stesso modo, il Tesoro rifiuta ogni coinvolgimento nella decisione da parte di Mps di lanciare un’offerta pubblica di scambio su Mediobanca, avvenuta quando il Mef aveva già dismesso la partecipazione di controllo ed era venuto a cadere il vincolo di non fare acquisizioni. «Si è trattato di un’operazione deliberata dal cda, peraltro all’unanimità, coerente con le finalità di garantire un polo bancario di rilevante struttura, in relazione alla quale il Mef, per la struttura dell’operazione, ha potuto prendere atto dell’intervenuta valorizzazione dell’asset e dell’assenza di oneri a carico della finanza pubblica, votando favorevolmente, nell’assemblea degli azionisti del 17 aprile, alla proposta di aumento del capitale sociale, da liberare mediante conferimento in natura, a servizio dell’Ops, approvata da ben oltre l’80% degli aventi diritto». La scalata a Piazzetta Cuccia si è poi conclusa positivamente, registrando un’adesione dei soci di Mediobanca oltre l’86%. Un’operazione, conclude Giorgetti, che «la stessa Commissione europea con nota del 21 ottobre 2025, a seguito di una approfondita istruttoria attivata sulla base di un esposto di Mediobanca, ha concluso nel senso che la procedura di dismissione è stata aperta, trasparente e competitiva».
Un parere positivo che si aggiunge a quello di Consob, che a settembre aveva escluso la presenza di un concerto tra gli azionisti.
Ieri il titolo di Mps ha guadagnato oltre il 3% in Piazza Affari mentre Mediobanca è salita dell’1,05 per cento.
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