In Italia l’amministratore di condominio è una figura ibrida: un po’ contabile, un po’ manager, un po’ mediatore. Gestisce soldi che non sono suoi, firma contratti, tiene in ordine la documentazione, convoca assemblee, segue manutenzioni e lavori straordinari, risponde (spesso) anche quando il problema nasce dal vicino del terzo piano e non dall’impianto. Ecco tutto ciò che c’è da sapere.
Quanto guadagna
Quando ci si chiede “quanto guadagna?”, la risposta non è quasi mai una cifra secca perché il compenso dipende dal numero di unità gestite, dalla complessità dello stabile e da come viene definito il perimetro “ordinario” vs “extra”. Detto questo, per dare riferimenti più precisi: nelle stime più ricorrenti il compenso per la gestione ordinaria viene indicato in media intorno a 50–80 € l’anno per unità immobiliare (di solito più IVA), mentre in contesti più impegnativi o in grandi città può salire fino a circa 120 € per unità. Tradotto in numeri: un condominio da 20 unità può collocarsi indicativamente su 1.000–1.600 € l’anno di ordinario (e fino a 2.400 € se si applicano tariffe più alte), mentre uno da 50 unità può andare da 2.500–4.000 € (fino a 6.000 € nei casi più “premium”), prima di considerare eventuali compensi per attività straordinarie come lavori, pratiche e contenziosi.
Ordinario e straordinario: dove cambia davvero il conto
La variabile che pesa di più è il confine tra ordinario e straordinario. Lavori, pratiche tecniche, gestione delle urgenze, recupero morosità, contenziosi, bonus e cantieri possono incidere in modo importante sul totale che l’amministratore fattura in un anno. Ed è qui che spesso nascono incomprensioni: non tanto sul “quanto”, ma sul “per cosa”.
Compenso dichiarato e trasparente
C’è un punto di legge spesso sottovalutato: il compenso non può essere lasciato implicito. Al momento dell’accettazione della nomina (e anche in caso di rinnovo) deve essere indicato in modo analitico; se questa indicazione manca, la nomina può essere considerata nulla. In altre parole, il condominio ha diritto a sapere chiaramente quanto paga e come è costruita la cifra.
Come si diventa amministratore
I requisiti sono fissati dalle disposizioni di attuazione del Codice civile. In sintesi servono requisiti di onorabilità e idoneità (assenza di specifiche cause ostative come determinate condanne o provvedimenti che impediscono l’esercizio) e, per chi svolge l’attività come professione, è richiesto anche un titolo di studio almeno di scuola secondaria di secondo grado. A questo si aggiunge l’obbligo di formazione: un corso iniziale e un aggiornamento periodico, secondo le regole del decreto ministeriale che definisce durata, contenuti e struttura del percorso.
Amministratore “interno”
Quando l’amministratore è scelto tra i condomini dello stesso stabile, il quadro può essere diverso rispetto al professionista esterno su alcuni requisiti formativi e di titolo di studio. È uno dei motivi per cui alcuni palazzi nominano un interno “per risparmiare” o per avere un referente immediato, mentre altri preferiscono un professionista strutturato per ridurre rischi, conflitti e improvvisazioni.
Cosa è già legge e cosa è ancora proposta
Qui serve chiarezza: molte delle “novità” di cui si parla oggi non sono obblighi già operativi, ma proposte di riforma in discussione. Nelle ultime settimane del 2025 è stata depositata alla Camera una proposta (Atto n. 2692, presentato l’11 novembre 2025) che interviene su più aspetti del condominio e punta anche a irrigidire il profilo dell’amministratore, spingendo verso una professionalizzazione più forte.
Nel testo depositato si parla, tra le idee più incisive, di un elenco nazionale (registro pubblico) con requisiti più stringenti per l’accesso e l’esercizio e di un impianto che tende a rendere la figura più “certificata” e controllabile.
Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed

