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Non possiamo vivere più a lungo di così?

Il marcato aumento dell’aspettativa di vita nel corso del Novecento ha portato a ipotizzare un futuro in cui un numero crescente di persone vivrà più di 100 anni, specialmente tra i nati alla fine del secolo scorso e nei primi vent’anni di quello attuale. È un’ipotesi diffusa e discussa soprattutto in ambito accademico, dove si confrontano esperti di vari ambiti, da quelli sanitari a quelli della statistica e della demografia. Un recente studio si è da poco aggiunto al dibattito, segnalando un rallentamento dell’aumento dell’aspettativa di vita nei paesi più ricchi, che è stato interpretato come un indizio sui limiti di età raggiungibili dalla nostra specie.

Lo è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature Aging e ha tenuto in considerazione le morti registrate in alcuni dei paesi del mondo noti per essere luoghi in cui si diventa mediamente molto vecchi, come il Giappone, la Corea del Sud, la Spagna, la Svezia e l’Italia. L’analisi ha tenuto in considerazione il periodo tra il 1990 e il 2019, in modo da evitare gli anni successivi alla pandemia da coronavirus, che avrebbero probabilmente distorto le stime.

Dalla ricerca è emerso che il tasso di miglioramento nell’aspettativa di vita nel periodo 2010-2019 si è ridotto rispetto a quello osservato tra il 1990 e il 2000. Secondo il gruppo di ricerca i bambini nati a partire dal 2010 hanno una probabilità relativamente bassa di diventare centenari: dell’1,8 per cento per i maschi e del 5,1 per cento per le donne. La probabilità più alta è a Hong Kong dove per le donne si arriva al 12,8 per cento.

Variazione media annuale dell’aspettativa di vita alla nascita (Nature Aging)

S. Jay Olshansky, un epidemiologo dell’University of Illinois Chicago che ha lavorato alla nuova ricerca, ha al sito di Nature che: «Ci sono dei limiti oltre i quali non possiamo spingere la sopravvivenza umana». Olshansky è da tempo uno dei principali sostenitori della finitezza dell’aspettativa di vita per gli esseri umani. Nel 1990 pubblicò un condividendo questa ipotesi e da allora ha raccolto circa 30 anni di dati per trovare conferme alla propria teoria.

Nel Novecento i miglioramenti legati alla salute pubblica e allo sviluppo di nuove cure e terapie hanno permesso di fare aumentare in modo significativo l’aspettativa di vita, per lo meno nei paesi più ricchi. In media si sono aggiunti tre anni di vita ogni decennio, facendo ipotizzare che quell’andamento potesse proseguire ancora portando a una popolazione di centenari tra i nati nel nuovo millennio. Per quanto affascinante, questa ipotesi è però difficile da confermare, visto che gli eventuali centenari saranno tali alla fine di questo secolo o nei primi decenni del prossimo.

Olshansky e colleghi ritengono che non sia comunque questo il caso e che il rallentamento osservato nell’aumento dell’aspettativa di vita sia un indizio sui limiti fisiologici che impediscono al nostro organismo di invecchiare più di tanto. Gli studi sui hanno segnalato l’esistenza di alcuni di questi limiti, ma da tempo si discutono e si indagano le possibilità di intervenire sui meccanismi che portano le cellule a morire e a non rinnovare i tessuti.

Alcuni dei paesi analizzati nello studio hanno mostrato una riduzione più marcata dell’aspettativa di vita rispetto ad altri. Negli Stati Uniti, per esempio, la diminuzione è diventata evidente a partire dal 2010 ed è paragonabile agli andamenti riscontrati in particolari momenti della storia del Novecento, come i periodi di guerra. La riduzione sembra essere collegata a un maggior numero di morti precoci a causa di problemi di salute come diabete e malattie cardiache nella fascia di età compresa tra i 40 e i 60 anni. Gli Stati Uniti sono uno dei paesi dove si è riscontrato un maggiore aumento delle persone fortemente sovrappeso e obese negli ultimi decenni.

La ricerca di Olshansky e colleghi ha portato nuovi elementi al lungo dibattito sull’invecchiamento e la possibilità per molti di superare i cento anni di vita nei prossimi decenni. Lo studio è stato accompagnato da un , pubblicato sempre su Nature Aging, che prova a mettere le conclusioni in un contesto più ampio interrogandosi sull’effettiva possibilità di fare ancora aumentare l’aspettativa di vita.

Secondo il commento, la ricerca è troppo pessimistica sui potenziali progressi che potrebbero essere raggiunti nei prossimi anni in ambito medico, ricordando che solo un secolo fa in pochi ritenevano che si potesse perfino ridurre la mortalità infantile. I vaccini e pratiche di salute pubblica migliori fecero invece la differenza portando il tasso di mortalità infantile dal 20 per cento degli anni Cinquanta al 4 per cento dei giorni nostri. Maggiori politiche di prevenzione, nuove cure e terapie per rallentare l’invecchiamento potrebbero avere un sensibile impatto sull’aspettativa di vita difficile da prevedere oggi.


Fonte: https://www.ilpost.it/scienza/feed/


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