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Nel campo della neuropsichiatria è nota da anni una correlazione che genera diversi grattacapi a chi la studia, e di solito curiosità e stupore tra i non addetti: nessuna persona cieca dalla nascita ha mai ricevuto una diagnosi di schizofrenia, che sia noto.
Si tratterebbe di una correlazione negativa, perché alla presenza di una condizione corrisponde l’assenza dell’altra, ma è una scoperta che per essere confermata richiede ulteriori studi, secondo i ricercatori e le ricercatrici che se ne sono occupati negli anni. Le diverse ipotesi formulate per provare comunque a spiegarla, secondo loro, possono servire a comprendere meglio e da una prospettiva insolita una condizione patologica, la schizofrenia, che secondo l’OMS nel 2022 circa 24 milioni di persone nel mondo (lo 0,32 per cento della popolazione mondiale).
Lo più esteso sulla correlazione tra cecità congenita e schizofrenia, pubblicato nel 2018 sulla rivista Schizophrenia Research, fu condotto da un gruppo di ricerca della University of Western Australia. Prese in considerazione i dati di tutta la popolazione di 467.945 persone nate nell’Australia Occidentale tra il 1980 e il 2001, e scoprì che tra quelle che avevano sviluppato la schizofrenia nel corso della vita – 1.870 individui, lo 0,4 per cento del campione – nessuna era cieca dalla nascita o da poco dopo. Cercarono cioè in quel sottogruppo, ma senza trovarne, individui affetti da cecità corticale congenita o precoce, un deficit visivo dovuto a lesioni vascolari, traumatiche o tumorali delle aree visive primarie della corteccia cerebrale.
La è una delle forme più comuni di psicosi (disturbi caratterizzati da un’alterazione dell’equilibrio psichico della persona), e determina una perdita del contatto con la realtà, spesso con deliri e allucinazioni uditive e visive. Sebbene sia una delle condizioni più studiate in assoluto nella psichiatria, non è noto da quali precisi fattori organici sia causata. La ricerca australiana pubblicata nel 2018 mostrò che le persone cieche dalla nascita o da subito dopo non avevano mai sviluppato né la schizofrenia né qualunque altra forma di psicosi, come la paranoia o il disturbo bipolare.
La stessa correlazione fu oggetto di ricerche meno estese ma più concentrate sugli aspetti genetici, come nel caso di uno del 2022 condotto su una famiglia formata da 13 sorelle e fratelli. Tre di loro avevano ricevuto una diagnosi di schizofrenia e altri tre erano ciechi dalla nascita, ma non c’era alcuna sovrapposizione tra i due gruppi. I ricercatori ipotizzarono che nei fratelli non vedenti la cecità congenita avesse avuto un ruolo nell’inibizione dei processi alla base dell’insorgenza della schizofrenia.
Uno del 2023 condotto sui topi però indebolì in parte questa ipotesi scoprendo che la cecità congenita non proteggeva gli individui da forme di schizofrenia indotta (si utilizza una neurotossina nota per la capacità di riprodurre negli animali alcuni tipi di malattie neurologiche, con l’obiettivo di cercare possibili terapie).
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L’epidemiologa psichiatrica Vera Morgan, a capo del gruppo di ricerca dello studio uscito nel 2018, che l’ipotesi più probabile di spiegazione dell’incompatibilità apparente tra schizofrenia e cecità corticale congenita o precoce era un «effetto protettivo» probabilmente determinato da «una sorta di riorganizzazione corticale compensatoria nel cervello», come reazione alla cecità. Altre ricerche, tra cui una nel 2020 sulla rivista Schizophrenia Bulletin, hanno però suggerito di prendere con le molle i risultati dello studio australiano e che dimostrare una correlazione negativa tra due condizioni rare è molto impegnativo e richiede campioni di grandi dimensioni.
I ricercatori e le ricercatrici che considerano la correlazione statisticamente fondata, tra cui Morgan, ipotizzano che ci sia nella cecità congenita qualcosa che protegge le persone dall’insorgenza della schizofrenia. È un’idea che, se confermata da future ricerche, potrebbe avere implicazioni significative nello sviluppo di nuovi approcci terapeutici. Capire cosa provochi l’effetto protettivo e riuscire poi a riprodurlo in laboratorio, come tentato senza successo nello studio sui topi, potrebbe permettere di trovare un modo di intervenire in fasi precoci di manifestazione della schizofrenia per minimizzarne o prevenirne i sintomi.
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Una delle ipotesi prese in considerazione nella ricerca neuroscientifica sulla schizofrenia è che particolari deficit relativi alla memoria, all’, all’apprendimento, al e all’attenzione possano avere un ruolo nell’insorgenza delle psicosi in generale. Secondo questa le persone con cecità congenita o precoce potrebbero invece essere interessate da processi neuroevolutivi che le portano a sviluppare di più proprio l’elaborazione uditiva, l’attenzione, l’olfatto, la memoria e altre facoltà che tendono a essere carenti nella schizofrenia.
Alcune persone con schizofrenia mostrano difficoltà a elaborare sia il tono che la provenienza dei suoni, per esempio. In particolare il deficit nella , benché meno studiato rispetto a quello della percezione di altre di base, può rendere difficile per quelle persone accorgersi che il suono della loro voce proviene da loro stesse: condizione che può favorire la comparsa di allucinazioni.
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Esiste inoltre un’ tra le psicosi e vari problemi relativi alla vista, inclusi movimenti oculari insoliti e frequenze di ammiccamento anormali: problemi che in alcuni casi possono essere predittivi di una diagnosi di schizofrenia, se scoperti prima che l’individuo manifesti sintomi di psicosi. L’interpretazione prevalente di questa associazione è che la vista possa avere un ruolo fondamentale sia nella costruzione del nostro modello di mondo, sia quando questo processo in qualche modo va storto.
I ricercatori che se ne sono occupati ipotizzano che le anomalie nella vista associate alla schizofrenia portino il cervello a ricevere segnali confusi sul mondo, rendendo necessario fare più previsioni per attribuire senso a tutto. A causa dei deficit è possibile che le persone finiscano però per trarre conclusioni sbagliate sulla base delle molte previsioni elaborate dal cervello, non riuscendo a cogliere le incoerenze tra ciò che sanno essere vero sulla base di esperienze passate e ciò che succede nel presente sulla base delle informazioni sensoriali che ricevono. Questa condizione sarebbe alla base delle allucinazioni, che secondo alcuni possono tra l’altro essere sperimentate anche da persone senza psicosi, se bendate per pochi giorni.
La cecità congenita o precoce, secondo questa ipotesi, porterebbe invece il cervello ad attribuire senso a tutte le informazioni sensoriali che riceve evitando il rischio di interpretazioni sbagliate associate a segnali visivi confusi o contraddittori, anche se l’esatto meccanismo di “protezione” da questo rischio non è chiaro.