Nei film degli anni ’80 i robot che pulivano e cucinavano erano i protagonisti indiscussi. iRobot, fondata nel 1990 negli Stati Uniti, ha reso questa fantasia realtà: nel 2002, ha lanciato sul mercato Roomba, il primo aspirapolvere di massa. Il dispositivo autonomo, capace di navigare gli ambienti domestici evitando ostacoli, divenne in poco tempo un fenomeno culturale oltre che commerciale. Al punto che nel mondo sono stati venduti oltre 50 milioni di esemplari e il marchio Roomba è diventato sinonimo della categoria. E a gennaio 2024, Amazon si era proposto di acquistare la società per 1,4 miliardi, nozze poi saltate dopo che l’Ue si era mostrata pronta a bloccare la transazione.
Ieri però gli ingranaggi si sono fermati. Già a marzo la società aveva espresso dei dubbi sulla sua posizione, preoccupata per la capacità di battere la concorrenza, soprattutto quella asiatica, e di subire dei rallentamenti a causa dei dazi. Nelle ultime ore, prima che aprisse Wall Street, dove è quotata dal 2005, ha toccato una perdita dell’86% per poi stabilizzarsi al -73%. La notizia è rimbalzata dopo che domenica ha presentato una istanza di fallimento. Contestualmente, la società ha annunciato che passerà sotto il controllo del suo principale fornitore e creditore cinese, Shenzhen Picea Robotics.
La procedura, che dovrebbe concludersi entro febbraio 2026, porterà alla cancellazione delle azioni ordinarie e alla trasformazione di iRobot in società privata interamente controllata dalla compagnia di Shenzhen. Diventa così chiaro che dove i margini si assottigliano e la concorrenza accelera, anche i simboli dell’innovazione di ieri non tengono il passo.
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