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In Antartide gli scienziati sviluppano una lingua loro

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Uno degli effetti di solito meno notati e discussi della globalizzazione e della diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione di massa è la progressiva scomparsa degli accenti, cioè i particolari modi di pronunciare le parole parlando una stessa lingua. Generalmente la particolarità di un accento tipico di un certo luogo riflette infatti l’isolamento di quel luogo. Ma dal momento che quasi tutti i luoghi del mondo sono oggi meno isolati che mai, gli accenti sono diventati meno distintivi e le differenze tra l’uno e l’altro meno evidenti. C’è però un luogo della Terra che è rimasto piuttosto isolato da tutti gli altri nel tempo, scelto per condurre alcune su come evolvono le lingue parlate e gli accenti in ambienti non esposti alle normali influenze esterne: l’Antartide.

Per via della sua posizione – l’estremo sud del pianeta – e delle sue caratteristiche geografiche e climatiche, l’Antartide è un continente abitato soltanto per periodi di tempo limitati e per fini scientifici, da gruppi di persone di diversi paesi del mondo, . È una specie di enorme laboratorio di ricerca, in cui persone con lingue madri diverse parlano tra loro l’inglese come lingua comune. Alcuni studi di linguistica recenti, tra cui uno in Antartide dalla ricercatrice inglese Stephanie Kaefer, della University of Canterbury, hanno l’evoluzione della lingua parlata nelle stazioni di ricerca. L’inglese colloquiale di ricercatori e ricercatrici, secondo i risultati degli studi, ha caratteristiche condivise che non erano presenti nell’inglese che parlavano prima della loro esperienza comune in Antartide.

Nel 2019 Kaefer trascorse tre settimane in tre diverse stazioni antartiche, per raccogliere dati e informazioni. Scoprì un aspetto già emerso da studi precedenti, e cioè che parte del vocabolario comune utilizzato dai ricercatori e dalle ricercatrici era molto figurato. Ciascuna stazione aveva però espressioni colloquiali distinte. I nuovi arrivati in Antartide, per esempio, sono chiamati nella stazione statunitense fingies, da F.N.G.s: un’abbreviazione presa in prestito dal gergo militare, che significa Fucking New Guy (“nuova recluta del cazzo”, o qualcosa del genere). Nella stazione inglese invece sono chiamati fidlets, che deriva da Falkland Islands Dependencies, il nome del programma nazionale di ricerca britannico in Antartide prima che diventasse British Antarctic Survey (BAS) nel 1962.

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Per definire un’escursione non lavorativa all’esterno della stazione gli statunitensi dicono boondoggle (“perdita di tempo e denaro”), gli inglesi jolly (“gita”). La motoslitta – snowmobile, fuori dall’Antartide – si chiama snow machine (“macchina da neve”) nella stazione statunitense, doo in quella inglese (da ski-doo, “motoslitta”). Nella stazione neozelandese si usano parole originali assenti in altre stazioni, ha scritto Kaefer, come nose wipers (“tergi-naso”), per definire i grandi guanti protettivi utilizzati in condizioni meteorologiche estreme, e tray’d (tray è il “vassoio da portata”), un verbo utilizzato per indicare – you’ve been tray’d! – l’ultima persona che infila un piatto sporco nella lavastoviglie e a cui tocca quindi azionarla e poi svuotarla, da protocollo informale utilizzato nella stazione.

È molto difficile capire esattamente come certe parole inglesi siano diventate di uso comune all’interno delle stazioni in Antartide, secondo Kaefer. Ma l’isolamento è probabilmente un fattore influente nei complessi fenomeni linguistici per cui parole ormai largamente in disuso possono rimanere attuali. «È possibile che quando cominciammo a costruire stazioni di ricerca negli anni Cinquanta e Sessanta parole come boondoggle fossero comuni, e siano all’epoca diventate una parte normale del discorso per poi acquisire una vita propria nella cultura antartica», Kaefer al Guardian.

In generale le lingue vengono trasferite di generazione in generazione in periodi lunghi, all’interno delle comunità. I contatti tra una comunità di parlanti e l’altra determinano la diffusione di caratteristiche linguistiche che possono portare a successive innovazioni. Diversi studi citati da Kaefer mostrano come questi processi siano tendenzialmente più rapidi all’interno di comunità che esistono in ambienti isolati e con popolazioni adulte miste. Questo perché in quel tipo di ambienti i contatti tra membri che parlano diverse varietà di una stessa lingua sono più stretti e frequenti rispetto al normale. Di conseguenza nuovi dialetti possono emergere nel giro di due o tre generazioni.

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Nel gergo di chi fa ricerca scientifica l’Antartide – come anche lo Spazio – non è però un ambiente isolato come altri: è definito un , un acronimo per «isolato, confinato ed estremo». «Dicono che sia più veloce raggiungere qualcuno sulla Stazione Spaziale Internazionale che portare fuori qualcuno dall’Antartide per ragioni mediche in inverno», a BBC Marlon Clark, uno scienziato del British Antarctic Survey. Durante le 26 settimane invernali di buio quasi ininterrotto e clima rigido, gli scienziati in Antartide lavorano, mangiano e socializzano rimanendo a stretto contatto quasi per tutto il tempo, incluso quello libero dal lavoro. Dato che il telefono funziona solo via satellite, le chiamate ai familiari sono costose e quindi relativamente limitate.

La stazione permanente di ricerca inglese Halley nella piattaforma di ghiaccio Brunt, lungo la costa della Terra di Coats, in Antartide, il 23 gennaio 2023 (ANSA-ZUMAPRESS)

In questo tipo di ambienti, ha scritto Kaefer, il vocabolario può cambiare più lentamente che in altre comunità isolate, come nel caso da lei citato della sopravvivenza della parola boondoggle. «È un fenomeno linguistico molto interessante, per cui le parole si preservano o si fossilizzano, in Antartide, perché la lingua non fa tanto avanti e indietro», .

L’Antartide non ha una popolazione nativa né residenti permanenti, ma soltanto una comunità transitoria di scienziati e personale di supporto che vive lì per una parte dell’anno, a rotazione. Nei mesi estivi vivono in Antartide circa 5mila persone, mentre nei mesi invernali soltanto mille. Come da Clark a BBC, i residenti delle basi di ricerca hanno sviluppato nel tempo una sorta di gergo condiviso, un linguaggio pieno di sfumature e fatto di parole che significano poco per chi viene da fuori. «Se è una bella giornata limpida, diciamo dingle day, e se stai uscendo a portare fuori la spazzatura stai facendo un fod plod [plod significa “scarpinata”]», ha detto Clark.

Anche l’accento degli scienziati in Antartide subisce una serie di cambiamenti. Dal 2017 in poi un gruppo di ricerca dell’università tedesca Ludwig Maximilian, a Monaco di Baviera, condusse per diversi anni una ricerca sull’evoluzione fonetica dell’inglese parlato da undici scienziati “invernali” della British Antarctic Survey nel corso del tempo: otto erano inglesi, uno statunitense, uno tedesco e uno islandese. I risultati, pubblicati in un primo scientifico nel 2019, mostrarono che gli scienziati avevano progressivamente sviluppato un accento comune, che lo volessero o no, attraverso interazioni che avevano causato «un aggiornamento incrementale della produzione vocale».

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Durante l’inverno antartico, a intervalli di sei settimane, il gruppo di ricerca effettuò di anno in anno una serie di registrazioni di parole pronunciate dagli scienziati, scelte tra quelle che utilizzavano più di frequente e che contenevano suoni vocalici noti perché differiscono nei vari accenti inglesi. Le registrazioni furono poi confrontate tra loro per misurare tramite strumenti informatici l’evoluzione della pronuncia nel tempo.

Lo studio riscontrò nell’inglese parlato nella stazione una sostanziale «convergenza» fonetica, il fenomeno linguistico per cui persone a stretto contatto cominciano inconsciamente ad acquisire caratteristiche linguistiche omogenee e uniformi all’interno del gruppo. Trascorso un certo periodo, gli scienziati cominciavano in particolare a pronunciare allo stesso modo i suoni /u/ (quello delle vocali “oo” in parole come goose, “oca”), /ju/ (“you” in few, “pochi”), /ɪ:/ (“ee” in happy, “felice”) e /ou/ (“oh” in goat, “capra”, ma anche acronimo di “greatest of all time”).

L’evoluzione fonetica dell’inglese parlato dagli scienziati in Antartide era acusticamente misurabile, sebbene non percepibile all’orecchio umano, e confermava diversi fenomeni linguistici noti e in parte prevedibili. In linea generale mostrò che gli adulti possono sviluppare un accento condiviso in un tempo relativamente breve, contrariamente all’idea secondo cui gli accenti degli adulti sono piuttosto stabili. Gli autori e le autrici suggerirono tuttavia di non trarre troppe conclusioni, considerate la limitatezza e l’eccezionalità del campione, che fu peraltro condizionato in particolare da due valori «anomali» e più influenti degli altri, riconducibili alla persona di lingua tedesca e a quella di lingua statunitense.

Il fatto che le differenze tra le registrazioni in Antartide mostrassero un’evoluzione misurabile della pronuncia, rispetto alle registrazioni di controllo della pronuncia delle stesse parole da parte di parlanti nel Regno Unito, suggerì che l’isolamento incoraggi la formazione di un nuovo accento. Questa conclusione è compatibile con l’ipotesi che, in un arco di tempo sufficientemente lungo, un accento può diventare un dialetto e infine una lingua del tutto separata.

Il ricercatore Jonathan Harrington, coautore dello studio e professore di fonetica all’università Ludwig Maximilian, al sito IFL Science che l’accento comune degli scienziati era principalmente una «fusione» degli accenti regionali che avevano prima dell’esperienza in Antartide, ma anche un’innovazione. Era misurabile ma non percepibile all’orecchio di un ascoltatore umano perché era molto «più embrionale» rispetto agli accenti convenzionali, «dato che ha avuto solo poco tempo per svilupparsi e anche, ovviamente, perché è distribuito solo tra un piccolo gruppo di parlanti».

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Fonte: https://www.ilpost.it/scienza/feed/


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