Con l’Ucraina senza se e senza ma («abbiamo sempre sostenuto l’Ucraina e continueremo a sostenerla, non possiamo lasciare questa vicenda alle telefonate tra Trump e Putin ma serve il coinvolgimento dell’Unione europea»); barra dritta sull’europeismo («o l’Europa fa un salto davanti nell’integrazione politica o sarà messa ai margini, l’Europa o sarà federale o non sarà, bisogna partire da subito con le cooperazioni rafforzate con chi ci sta e proseguire sulla strada degli investimenti comuni»); attenzione al tema della crescita («in manovra non c’è nulla per far ripartire il Paese»); assicurazione che il Pd è e resterà un partito plurale e che tutte le voci saranno ascoltate («è finito il tempo delle divisioni e dei litigi, la maggioranza è oggi più larga ma io continuo e continuerò a essere sempre la segretaria di tutto e di tutti la segretaria di tutto il partito»). E, come ciliegina sulla torta a sottolineare la valorizzazione di tutte le anime fondatrici del Pd, la tessera del partito del 2026 dedicata a Tina Anselmi, «la prima donna ministra, una cattolica democratica…»
Bonaccini e i suoi entrano in maggioranza: «C’è da mandare a casa la destra»
Ce ne è abbastanza perché la ormai ex minoranza di Energia popolare che ha come riferimento il presidente del partito ed ex competitor di Elly Schlien allo scorso congresso Stefano Bonaccini possa votare sì al documento della segretaria ed entrare così ufficialmente in maggioranza. «Ci sono dei momenti in cui le aspirazioni e le ambizioni personali devono essere messi da parte perché viene prima il partito, ci sono dei momenti in cui le ambizioni personali e il partito vengono messi da parte perché viene prima il Paese. Dobbiamo parlare al Paese, stando uniti, mettendo da parte le ambizioni personali: c’è da mandare a casa la destra», dice dal palco del centro congressi di Viale Manzoni a Roma, dove è riunita l’annuale assemblea del Pd, il coordinatore nazionale dei bonacciniani Alessandro Alfieri. Il quale dice anche quello che Schlein non vuole dire, ferma nella sua strategia di non attaccare mai gli alleati del campo largo: «Ai Cinque Stelle va ricordato che i valori non sono negoziabili: a Giuseppe Conte vogliamo dire che non sono ammessi ammiccamenti alle politiche trumpiane», è l’avvertimento al presidente del M5s, che nei giorni scorsi ha invitato l’Europa «inconcludente» ad affidarsi al cosiddetto piano di pace del presidente Usa.
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La larga maggioranza a favore di Schlein: 225 sì e 36 astenuti
Alla fine va come doveva andare e la relazione della segretaria è approvata con 225 voti a favore, nessun contrario e 36 astenuti: sono i riformisti doc, tra cui molti gentiloniani, che fanno riferimento a Lorenzo Guerini e che ieri hanno preso la parola per ricordare anche loro – con Lia Quartapelle, Pina Picierno e Giorgio Gori – che il sostegno a Kiev e la difesa delle liberaldemocrazie è conditio sine qua non e che bisogna tornare a parlare al Nord e ai ceti produttivi. «Dobbiamo fare un salto di qualità, innanzitutto sull’impresa, la manifattura. Qui il Pd c’è troppo poco – è l’invito di Gori -. La crescita economica deve essere la nostra priorità». E ancora: «Il problema è che il Pd ha perso la fiducia sia della maggioranza degli operai, sia degli imprenditori, da quelli più grandi a quelli più piccoli. La sinistra è percepita lontana, ostile all’attività di impresa. Si sbagliano? Bene, sta a noi dimostrarlo: il Pd può candidarsi come il partito della crescita e della redistribuzione».
L’opposizione costruttiva dei riformisti doc di Guerini, Delrio e Gori
Ad ogni modo la scelta dell’astensione al posto del voto contrario o del non voto, come accadeva in passato, è un segnale di apertura anche da parte del combattivo gruppetto dei riformisti doc che a fine ottobre si sono staccati dalla bonacciniana Energia popolare. E Schlein può portare a casa un risultato insolito nel Pd, non prevedibile solo qualche settimana fa: un partito mai così unito e una maggioranza mai così ampia (oltre all’area di Bonaccini sono entrati in maggioranza gli ex lettiani di Crea, ossia Marco Meloni, Anna Ascani e altri, nonché l’altro ex competitor allo scorso congresso Gianni Cuperlo) che la sostiene come candidata premier e guida del campo largo in vista delle politiche del 2027.
L’avviso a Conte: o guida il Pd o si fanno le primarie di coalizione
Certo, in un certo senso in casa dem si stanno facendo i conti senza l’oste, ossia senza Conte, il quale continua a non concedere la premiership alla segretaria del Pd e mette condizioni per l’alleanza difficilmente accettabili («faremo l’alleanza con il Pd solo se verranno accolte le nostre battaglie di sempre»). Il timore di molti dei dirigenti vicini a Schlein è che alla fine il presidente del M5s rifiuti di partecipare alle primarie di coalizione e proponga il passo indietro dei leader in favore di un candidato terzo che sia garanzia per tutti, come ad esempio il sindaco di Napoli ed ex ministro del Conte 2 Gaetano Manfredi. Ma per ora la linea di Largo del Nazareno è solo una: o il candidato premier lo fa il leader del partito più grande della coalizione, cioè Schlein, oppure si fanno le primarie di coalizione. Terzium non datur.
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