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    Papa: con Sondrio 6 milioni di clienti. Maioli: da Agricole nessuna ostilità

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    «Noi non siamo leoni, accogliamo ma non mangiamo. Vogliamo fare crescere. Crediamo molto nell’operazione sulla Popolare di Sondrio» perché «ha una valenza industriale forte». Il ceo di Bper, Gianni Franco Papa, al Consiglio nazionale della Fabi ieri ha ricordato che «l’operazione con Sondrio è la conclusione del processo trasformativo di una banca il cui dna resta Popolare». E ha ribadito che «il prezzo offerto, con il relativo premio, è giusto». Con Sondrio «raggiungeremo 6 milioni di clienti, confermeremo il nostro ruolo di banca numero tre nel sistema italiano». Poi ha aggiunto: con un «azionariato stabile, mi riferisco a Unipol come maggiore socio della banca, abbiamo una stabilità che – mai dire mai – ci protegge dal diventare gazzella».Rispondendo a una domanda sui dieci anni dalla riforma Renzi sulle Popolari (era gennaio 2015 quando il governo di allora ha cancellato il voto capitario per le banche con oltre 8 miliardi di asset), Papa ha sottolineato che «il voto capitario a volte è anche sinonimo di debolezze del sistema perché può portare, in certe situazioni, ad essere autoreferenziali, creando un rapporto col territorio che, è giusto che ci sia, ma noi rispondiamo al mercato, non alle singole congregazioni del territorio. Da questo punto di vista, la riforma ha funzionato».Ieri sul palco del congresso del sindacato guidato da Lando Sileoni, è salito anche Giampiero Maioli, presidente di Crédit Agricole Italia che è coinvolta nel risiko come azionista di peso del Banco Bpm (ha poco meno del 20%). Le operazioni di M&A annunciate o in corso sono «tutte locali. Io da manager italiano sarei anche felice di vedere m&a cross border», ha esordito Maioli. LEGGI TUTTO

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    Orcel: “Escludo scalate alle Generali”

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    «Se Unicredit volesse scalare Generali, farei una telefonata a Orcel e gli direi di fermarsi», aveva detto lunedì l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, al Consiglio della Fabi in corso a Milano. Questa telefonata ci sarà? Ieri, dallo stesso palco, è arrivata la risposta di Andrea Orcel: «La possiamo escludere». Il ceo di Unicredit, al centro del risiko per l’Ops sul Banco Bpm e per la scalata a Commerzbank di cui ha già il 30%, ha dunque escluso di voler muovere le sue pedine sulla compagnia triestina di cui il gruppo da lui guidato detiene il 6,7 per cento. Escluse anche manovre su Banca Generali (sotto Ops di Mediobanca) perché, ha detto Orcel, «non verrà chiesto agli azionisti questo passaggio, passa direttamente in consiglio». Per il Leone «credo che Banca Generali sia un ottimo canale di distribuzione. Ridurre la distribuzione, io come banca non lo farei mai», ha aggiunto.Il focus dell’intervento del banchiere romano resta per ora sul Banco Bpm. Con la battaglia dei tribunali, i tempi rischiano infatti di scavalcare il 23 luglio, ovvero il termine posticipato da Consob con la sospensiva dell’offerta. Il 4 giugno si terrà la prima udienza al Tar del Lazio in seguito all’appello di Unicredit contro le condizioni imposte dal governo per permettere l’acquisizione dell’istituto di Piazza Meda. «Il percorso Tar-Consiglio di Stato non arriverà in tempo per darci certezza della chiusura dell’operazione» ha detto ieri Orcel, ammettendo che quindi l’offerta «potrebbe» decadere. Poi «può essere sempre riproposta. Il nostro ricorso al Tar è una questione di chiarezza, non di combattimento». L’aggregazione è «un’operazione valida industrialmente e strategicamente, però si scontra su visioni diverse che rendono l’operazione de facto non economica», ha proseguito il ceo di Unicredit riferendosi ai paletti fissati dal governo con il golden power.Strumento, che ha sottolineato Messina lunedì dando un consiglio di realpolitik al collega, deve essere considerato nel nuovo contesto geopolitico di sicurezza nazionale. Su questo punto l’ad Unicredit ieri è stato diplomatico: «L’influenza degli Stati sulle operazioni di mercato è diventata molto significativa e bisogna tenerne conto. Da un altro punto di vista, se guardiamo alle istituzioni europee, queste hanno una visione diversa perché vogliono un sistema monetario più forte». LEGGI TUTTO

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    Francesca Bazoli presidente Guber Banca

    Un posto tutto per loro, dove potranno vivere e sperimentare la loro autonomia sotto gli occhi attenti di educatori qualificati. Da oggi Napoli offrirà, per la prima volta, ai ragazzi con disabilità cognitiva la possibilità di un co-housing, “Casa Comune”, dove essere protagonisti, costruire relazioni e sviluppare attività professionali. La presentazione questa mattina a Palazzo San Giacomo alla presenza degli assessori Luca Trapanese e Antonio De Jesu e del prefetto di Napoli Michele Di Bari.Il progetto, nasce grazie alla partnership tra FoQus, Fondazione Quartieri Spagnoli (ente del Terzo settore che da anni lavora, con eccellenti risultati,alla riqualificazione dei Quartieri con un percorso a base educativa), il Comune del capoluogo partenopeo, Guber Banca, Enel Cuore e Fondazione Etica con il partenariato del Consorzio Co.Re e dell’Associazione AQS. Un’iniziativa innovativa che si rivolge ai bambini e ai giovani affetti da sindrome dello spettro autistico, sindrome Down, e a ragazzi già inseriti nel percorso del Centro “Argo”, un’altra realtà voluta da FoQus a sostegno delle persone con disabilità.Dal 2016, infatti, il Centro “Argo” si propone di valorizzare i talenti dei ragazzi con disagi cognitivi tramite il lavoro, promuovendone le abilità personali, sociali e professionali. “Ecco perché – spiega Renato Quaglia, direttore di FoQus – pensare ad un co-housing, dove svolgere anche attività produttive o di accoglienza, significa dare loro ancora più responsabilità e indipendenza, in una naturale evoluzione dei programmi promossi durante l’anno dal Centro ‘Argo’”.“Casa Comune” – inaugurata il 27 maggio – si sviluppa su due edifici: uno all’interno della Fondazione, a via Portacarrese a Montecalvario, e uno a via del Formale, in un appartamento sequestrato alla camorra. L’alloggio di via del Formale si compone di 200 metri quadrati, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, e si sviluppa su due piani e una terrazza completamente ristrutturati grazie a un originale programma di finanziamento promosso da GUBER BANCA. L’istituto bancario con sede a Brescia ha lanciato nel 2022, su proposta di Fondazione Etica e di FoQus, il suo primo conto deposito vincolato dedicato a un’idea concreta di innovazione a impatto sociale: oltre agli interessi maturati dal singolo cliente sul conto deposito, si è impegnata a contribuire un ulteriore 0,50% annuo delle somme vincolate per la realizzazione della “Casa Comune”, ricevendo un’ampia adesione di clientela all’iniziativa tale da consentire la completa ristrutturazione dell’appartamento devastato dalla camorra prima del sequestro. Enel Cuore invece si è incaricata di arredare i nuovi spazi delle due sedi del co-housing.Il Comune di Napoli ha subito accolto la proposta fatta dall’Ati dei Quartieri Spagnoli per il progetto Casa Comune destinando il bene, confiscato a una famiglia camorristica, alla crescita di un gruppo di ragazzi.“Sono stato colpito dal progetto della Casa Comune – ha dichiarato l’assessore al Welfare Luca Trapanese – non solo per l’attenzione che dedica alle persone più vulnerabili della nostra città, ma soprattutto per il rispetto e la dignità che attribuisce loro. Con sensibilità verso i loro ritmi, il progetto si impegna concretamente a facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro. L’assessorato al Welfare ha partecipato ai costi di ristrutturazione e di acquisto delle attrezzature professionali attraverso i fondi previsti dalla legge 112 del 2016 recante “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, cosiddetta del “Dopo di noi”.“Colpire i beni accumulati da un clan tramite estorsioni, usura o spaccio di droga è una delle azioni più efficaci che lo Stato possa intraprendere. Nel nostro caso – ha dichiarato l’assessore alla Legalità Antonio De Jesu – si tratta di una casa, un tempo appartenente a una famiglia criminale, che sarà invece dedicata ad accogliere e sostenere un gruppo di giovani con autismo. È, senza dubbio, un successo per la parte virtuosa della nostra comunità.”“È un grande onore e una grande emozione per me, e per tutta la comunità di Guber Banca che rappresento oggi -ha dichiarato Francesca Bazoli, Presidente di Guber Banca- partecipare all’inaugurazione di questo progetto in cui abbiamo creduto fin dall’inizio. La restituzione alla collettività di un bene confiscato alla criminalità organizzata e la sua destinazione ad una missione strategica per il futuro della comunità è un segno potente di rigenerazione sociale e civile. Abbiamo scelto di essere al fianco di Fondazione Foqus, con convinzione, perché ammiriamo la forza, il coraggio e la capacità di visione delle persone che hanno dato vita ad un progetto capace di creare percorsi di autonomia e di crescita non solo per coloro cui è destinato questo luogo, ma per l’intera comunità. Questo è il modo in cui intendiamo il nostro ruolo: non solo come attori economici, ma come parte attiva di un cambiamento necessario e condiviso. Per Guber questo spazio non è dunque una semplice voce da inserire nel nostro bilancio di sostenibilità, ma è parte integrante del nostro modo di essere banca.” LEGGI TUTTO

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    Doris: “Per chi fa il cassettista meno tasse sul capital gain”

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    «Defiscalizzare, in modo graduale, l’imposta sul capital gain, per chi investe sul lungo periodo, può aiutare a portare il risparmio verso l’economia reale. Lo abbiamo visto con i Pir quanto sia stato efficace». È quanto ha sostenuto ieri Massimo Doris (nella foto), presidente di Assoreti e ad di Banca Mediolanum, concludendo i lavori del Forum di Assoreti.In merito alla fuoriuscita di risparmi italiani verso l’estero, Doris ha spiegato che «far investire il cliente al 100% in Italia non è nel suo interesse», perchè «bisogna diversificare». Per cui, «noi facciamo investire i nostri clienti in buona parte in Italia, ma non tutto». Anche perchè «così come i risparmiatori italiani investono all’estero, anche gli americani, gli inglesi investono qui». La domanda è cosa fare per «attrarre il capitale estero», ha sottolineato Doris, ritenendo che «questo sia un tema da percorrere e chiedere alle istituzioni, al governo. Non tanto per noi, quanto per il sistema Paese». Inoltre, la defiscalizzazione «aiuterebbe tutti», in quanto, «se il risparmio viene investito nell’economia reale, lo sconto fiscale lo Stato lo vedrà tornare in maggiori consumi». LEGGI TUTTO

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    Messina: “Il risparmio bene strategico”

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    Il numero uno di Intesa Sanpaolo era l’ospite più atteso al Consiglio nazionale della Fabi. E Carlo Messina non ha certo deluso le attese, ieri, con una sequela di risposte su tutti i temi caldi: dal risiko bancario, al Golden Power fino ai commenti sulle decisioni del capo della seconda banca italiana, Unicredit. Pronti via, Messina è subito entrato sul tema più caldo: «Se Unicredit decidesse di scalare Generali chiamerei Andrea Orcel (il ceo di Unicredit, ndr) e gli direi fermati». Un messaggio che ha fatto correre l’immaginazione di chi prospettava l’arrivo di Intesa Sanpaolo su un cavallo bianco semmai dalle parti di Piazza Gae Aulenti si facesse strada qualche ambizione su Trieste. Messina, tuttavia, è descritto da più parti come desideroso di stare alla larga dal polverone che il risiko in corso solleva quotidianamente, qualsiasi cosa succeda. E ieri non ha fatto che confermare questa percezione ribadendo, in modo anche più risoluto, il suo distacco. Al punto da consigliarlo implicitamente al collega Orcel, «avendo contemporaneamente più operazioni, meglio abbandonarne alcune e puntare su un percorso diverso, forse più ragionevole».Il pensiero del ceo di Intesa Sanpaolo è molto chiaro anche sulla vicenda Golden Power, salita alla ribalta dopo le prescrizioni del governo italiano sulla potenziale scalata di Unicredit su Banco Bpm. «Le questioni che riguardano il risparmio sono di indipendenza nazionale, sono di sicurezza nazionale e francamente mi stupisco che non ci abbiano pensato prima». Pur non entrando nel merito delle prescrizioni inflitte dal governo a Unicredit e relative all’Ops Bpm, Messina si è dichiarato rassicurato dal fatto che la legislazione italiana, come del resto accade in tutto il mondo ormai, preveda un meccanismo di difesa da potenziali ingerenze che mettano a repentaglio la sicurezza nazionale. Il capo d’Intesa ha quindi nuovamente ribadito il suo disinteresse verso Generali: «Avere una quota di mercato rilevante – il gruppo Intesa è secondo nel ramo Vita – comporta che determinate operazioni non verrebbero autorizzate e quindi è inutile forzare la mano, sia che siano questioni di Antitrust, sia che siano sicurezza nazionale. Se forzi troppo la mano crei un’incertezza che va a danno di tutti». Il messaggio è sembrato diretto anche anche a quanto sta accadendo in Generali, con il gruppo guidato da Philippe Donnet che sta premendo per una controversa alleanza con la francese Natixis. «Se l’Intesa Sanpaolo italiana si mettesse con l’Intesa Sanpaolo spagnola, si creerebbe un problema di sicurezza nazionale nei due rispettivi Paesi. Non mi infilerò mai in un’operazione di questo tipo». Il che non gli ha impedito di dichiararsi possibilista su operazioni che riguardino private banking e asset management. «Il golden power è qualcosa che fa parte del nuovo mondo», ha proseguito, parlando di uno strumento che ha un suo ruolo nelle grandi trasformazioni attualmente in corso.Nel corso del dibattito si è posto il tema delle quotazioni astronomiche dei titoli bancari coinvolti nel risiko, non solo italiani. E alla domanda se non si è in presenza di una bolla, Messina ha risposto: «Intesa Sanpaolo e Unicredit non sono la stessa cosa di altre presenze sul mercato», dato che «determinati soggetti possono garantire una maggiore sostenibilità dei risultati», mentre «se hai un valore che incorpora un premio per determinate aspettative di aggregazioni o sinergie, da risparmiatore mi porrei qualche domanda». LEGGI TUTTO

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    Castagna: “Nessuna operazione con Mps”. Lovaglio: “Mediobanca? Il prezzo è giusto”

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    «È un’offerta che l’offerente ha voluto far durare 8 settimane, non contento ha chiesto un altro mese. Siamo ancora alle prime battute ma con un’adesione inferiore allo 0,02% e dunque non ci sembra che ci sia un entusiasmo particolare». L’amministratore delegato del Banco Bpm, Giuseppe Castagna, è tornato alla carica sull’Ops lanciata da Unicredit. Lo ha fatto dal palco del congresso della Fabi, iniziato ieri a Milano. Lo stesso palco dove stamattina salirà l’«avversario» Andrea Orcel, alla guida dell’istituto di Piazza Gae Aulenti.Castagna ha ricordato che nel capitale ci sono «azionisti differenziati» rappresentati dal socio industriale Credit Agricole con quasi il 20%, Fondazioni e enti previdenziali con circa l’8% e più del 20% rappresentato dal retail. Noi – ha aggiunto – siamo abbastanza sereni, dipenderà molto dall’offerta finale che in qualche momento dovrà arrivare altrimenti ci saremo presi in giro per sei mesi. Mi auguro che l’offerta vera debba arrivare». Il banchiere partenopeo ha inoltre escluso un’operazione difensiva collegata a Mps per sfuggire all’Ops di Unicredit. «Sarebbe creare ancora ancora più confusione in un mondo già abbastanza confuso», ha detto ricordando che la sua banca è «sotto passivity rule» e loro (Siena) sono «impegnati con Mediobanca».A proposito del Monte dei Paschi, dopo Castagna è salito sul palco proprio l’ad della banca senese, Luigi Lovaglio. «In prospettiva credo che la nostra operazione possa essere una premessa per una più grande», ha risposto interpellato in merito a una possibile operazione con Banco Bpm, qualora l’offerta su Piazzetta Cuccia andasse a buon fine. «La mia personale visione è che la fase di consolidamento continuerà. Non è che se sei più grande sei meno attento al cliente, perché la logica di integrazione deve essere diversa», ha aggiunto il ceo di Mps. Che intanto tira dritto su Mediobanca senza voler ritoccare l’offerta che è «fair». Il progetto industriale resta valido anche dopo l’Ops annunciata da Piazzetta Cuccia su Banca Generali di cui «vanno capiti gli aspetti finanziarie ed economici» ma «una cosa certa è che cancella il brand di Banca Generali e noi su questo siamo un po’ diversi», ha detto Lovaglio. Sulla stessa operazione è tornato a dire la sua, intervenendo sempre ieri però al forum di Assoreti, anche l’ad di Banca Generali, Gian Maria Mossa: «La cosa importante per me non è solo il cosa, ma anche il come, perché questo è un business di persone», ha detto. LEGGI TUTTO

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    I banchieri al confessionale sul risiko

    Lando Maria Sileoni, segretario generale FABI

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    Per la prima volta i banchieri saranno costretti a confessarsi sul grande riassetto in corso, che cambierà il volto del credito e del risparmio degli italiani, davanti all’altare del sindacato. Lo faranno domani e martedì al 129mo consiglio nazionale della Fabi in programma fino a venerdì al Palazzo del Ghiaccio di Milano, in concomitanza con la dodicesima conferenza d’organizzazione del sindacato autonomo dei bancari. Con lo slogan Bank to the future la Federazione autonoma dei bancari italiani pone al centro del dibattito l’Europa, il futuro del settore del credito alla luce delle operazioni lanciate nel settore, le possibili aggregazioni e anche l’occupazione. Insomma, il risiko bancario e i suoi effetti sull’intero comparto, a cominciare dai 300mila lavoratori bancari, di cui 103mila sono interessati dalle partite aperte. Più nel dettaglio, i dipendenti in Italia di Unicredit sono circa 34mila, quelli di Banco Bpm 20mila, quelli di Bper 20.200, quelli di Mps 16.500, quelli di Mediobanca 5mila, quelli di Banca Generali 1.100, quelli di Banca Ifis 1.900, quelli di Anima 300.A confrontarsi di fronte a una platea di 2mila persone con il segretario generale, Lando Maria Sileoni che nelle scorse settimane aveva invocato una «clausola sociale obbligatoria» per fusioni e Ops – saranno anche i protagonisti del risiko come l’amministratore delegato del Banco Bpm, Giuseppe Castagna, quello di Mps, Luigi Lovaglio, e l’ad di Unicredit, Andrea Orcel. E poi il timoniere di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che ha scelto di tenersi fuori dalla mischia, l’ad del gruppo Unipol Carlo Cimbri, di Bnl-Bnp Paribas Elena Goitini, di Bper, Gianni Franco Papa, di Mediocredito Centrale Francesco Minotti, il presidente di Crédit Agricole Italia, Giampiero Maioli, e il vicepresidente di Federcasse, Matteo Spanò. I dibattiti non si fermeranno, però, alle fusioni e alle Ops: sotto i riflettori ci saranno l’intelligenza artificiale che avanza, i nuovi modelli organizzativi che si impongono, una digitalizzazione sempre più rapida, e lavoratori che cercano certezze in uno scenario in continuo movimento. LEGGI TUTTO

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    Assist di Savona a Unicredit. Una forzatura anomala

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    Era fatale che finisse a porte in faccia, e probabilmente la tensione sul fronte Unicredit-Bpm non ha ancora raggiunto il punto più alto, vista la portata degli interessi in campo. Lo scontro frontale tra il presidente della Commissione Finanze della Camera, Marco Osnato, e il presidente della Consob Paolo Savona – che alle critiche del deputato di FdI ieri ha provocatoriamente risposto «se non sono più gradito sono sempre pronto ad andarmene» – di là delle motivazioni che ne sono alla base, dà la misura della deriva imboccata dal violento riposizionamento in corso all’interno del sistema bancario nazionale.Premesso che, per quanto a nostra conoscenza, dubitiamo fortemente che Savona – gradito o non gradito che sia – abbia davvero intenzione di lasciare anzitempo la poltrona di presidente della Consob, la decisione di accordare un mese in più al perfezionamento dell’Ops di Unicredit su Bpm, nel mentre l’operazione è in pieno svolgimento, se non abnorme è sicuramente anomala. E persino unica nella sua specificità, tale da far dubitare che sia nei poteri della Commissione produrre un intervento del genere.Il fatto che vi sia qualche dubbio sulla proporzione di alcune delle prescrizioni imposte all’istituto guidato da Andrea Orcel in virtù del Golden Power, non giustifica una decisione che nei fatti favorisce una parte (Unicredit) a discapito dell’altra (Bpm), che aggiunge incertezza all’incertezza – l’esatto contrario dell’obiettivo che la Consob ha dichiarato di voler conseguire – e pone l’arbitro in una posizione di critica rispetto a un decreto legge adottato dal governo nella pienezza delle sue convinzioni. Un fatto che avrà conseguenze, soprattutto perché contribuisce ad esacerbare i rapporti già tesi (non solo per fatti recenti) tra il ministero dell’Economia e l’attuale vertice di Unicredit. Se mai da parte del ministero c’è stata una volontà, anche minima, di mitigare quelle prescrizioni, ora la decisione della Consob e il ricorso al Tar contro il decreto del governo che Orcel si prepara a depositare, rendono assai difficile che si possa dirimere la questione attorno a un tavolo.Per questo è indispensabile che il governo decida rapidamente sulla richiesta di autotutela presentata dall’istituto milanese: solo in questo modo verrà superata la condizione d’incertezza che la Commissione dichiara essere alla base della decisione. LEGGI TUTTO