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    Intesa fa squadra sul venture capital

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    Una doppietta di nuovi fondi andrà ad allargare la gamma di prodotti di Neva Sgr, la società di investimenti in venture capital di Intesa Sanpaolo. Si tratta di Neva II, che punta a una raccolta finale di circa 400 milioni di euro da investire nelle migliori aziende emergenti altamente innovative a livello mondiale, mentre Neva II Italia prevede di raccogliere 100 milioni da riservare alle realtà italiane. In tutto si tratta di un obiettivo totale di 500 milioni che andranno a finanziare società ad alto potenziale di crescita in settori come biotecnologie, aerospazio e settore industriale, digitale e transizione energetica. La società, guidata dal presidente Luca Remmert e dall’amministratore delegato Mario Costantini, ha raggiunto quattro anni di attività e, con il lancio di questi due nuovi fondi, intende bussare alla porta di casse di previdenza, fondi pensione e fondazioni bancarie: realtà importanti del nostro Paese, con patrimoni ingenti, ma che generalmente non vengono coinvolti in questo genere di investimenti, considerati ad alto rischio.Ieri, alla presentazione dei fondi alle Officine grandi riparazioni di Torino, è intervenuto anche il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro (in foto): «Oggi è un giorno importante per la vita di Neva Sgr; breve ma già piena di successi al fianco della capogruppo Intesa Sanpaolo», ha sottolineato, «Neva è partita quattro anni fa con 100 milioni di euro forniti dalla banca e l’abbiamo vista lavorare bene, si è fatta conoscere e apprezzare sui mercati. Oggi, visti i risultati ottenuti, siamo convinti che sia arrivato il momento di crescere ancora». LEGGI TUTTO

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    Mps, Cimbri dà le condizioni ma sfila Bper dalla scalata

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    Carlo Cimbri non è uno che dice le cose per caso. Per questo le dichiarazioni sul Monte Paschi che il presidente di Unipol ha pronunciato a margine delle regate della Louis Vuitton Cup a Barcellona sono – per rimanere in tema – messaggi ai naviganti: uno diretto alla banca guidata da Luigi Lovaglio, che è ancora legata a una partnership assicurativa con Axa; l’altro al ministero dell’Economia che potrebbe collocare un’altra tranche della sua partecipazione nella banca senese (ora al 26,7%).«La quota sic et simpliciter non mi interessa – ha detto il manager – l’unico potenziale interesse è per un accordo commerciale». Per Unipol, quindi, potrebbe esistere solo la partnership industriale, oppure «l’accordo con l’acquisto di una quota per suggellarlo». Va da sé che questa potrebbe essere solo «una piccola quota» e in ogni caso non una partecipazione «che richieda autorizzazioni» (vale a dire inferiore al 10%, ndr).Quella di Cimbri, quindi, è una candidatura (sebbene «senza interessi di governance») a entrare nel capitale di Mps e le sue dichiarazioni arrivano dopo settimane in cui si è tornati a parlare di un collocamento entro l’anno di un altro 10% da parte del Mef, che quindi scenderebbe al di sotto del 20%: buon viatico per contrattare con l’Europa un ulteriore posticipo dell’uscita totale oltre il 2024. Unipol, quindi, potrebbe rilevare proprio questo 10%, prima però Mps deve liberarsi degli altri impegni: a oggi «la partnership assicurativa non è nelle disponibilità di Mps». Ed è come dire: il Monte si liberi prima le mani e poi se ne può parlare. Lovaglio, dal canto suo, ha dichiarato più volte di essere disposto a utilizzare il capitale in eccesso per riscattare il 50% della joint venture con Axa e quindi porre fine all’accordo prima della scadenza del 2027. Un passo che può creare le condizioni per chiudere la triangolazione. Mps, che ha bisogno di un socio forte con l’uscita del Mef, farebbe entrare con una quota significativa Unipol (che controlla una banca importante come Bper) il che aprirebbe la porta, in futuro e con condizioni di mercato diverse, alla nascita del terzo polo bancario tanto caro anche al governo Meloni. Tutto questo mentre Giuseppe Castagna, ad di Bpm, ha confermato anche ieri di «non essere interessato al risiko bancario». LEGGI TUTTO

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    Opa di Banca Generali. Intermonte al delisting

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    Banca Generali si rafforza nell’advisory alle imprese mettendo le mani su Intermonte, storica boutique bancaria milanese. La banca del Leone ha lanciato un’Opa sulla totalità delle azioni ordinarie di Intermonte a 3,04 euro per azione (cum dividendo), a premio del 21,9% rispetto al prezzo di prezzo di chiusura del 13 settembre e del 24% sulla media del titolo degli ultimi tre mesi. L’istituto guidato da Gian Maria Mossa (in foto) ha già dalla sua l’impegno dei manager di Intermonte che complessivamente detengono circa il 53% del capitale. Il controlavore dell’offerta, finalizzata al delisting, è di 98,2 milioni di euro e Banca Generali ritiene di poter generare a regime sinergie di ricavo e di costo tali da consentire un ritorno stimato sull’investimento superiore a tale ammontare. L’operazione avrà un impatto inferiore ai tre punti percentuali sui ratios patrimoniali. Gli analisti di Banca Akros ritengono i multipli dell’acquisizione «non costosi» e da un punto di vista finanziario l’operazione «potrebbe creare valore nel medio termine, mentre da un punto di vista strategico l’acquisizione potrebbe integrare e valorizzare le aree in cui Banca Generali è già attiva».Per la prima volta un wealth manager ingloba una investment banking. Banca Generali intende rafforzare l’offerta verso imprenditori e Pmi, segmento chiave per il private banking, avvicinando il mondo del risparmio all’economia reale e differenziandosi ulteriormente rispetto ai suoi competitor. LEGGI TUTTO

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    Zampata Deutsche Bank contro Unicredit-Commerz

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    Il matrimonio tra Unicredit e Commerbank potrebbe non essere così pacifico come sembrava in un primo momento. Ieri Deutsche Bank ha fatto sapere che sta esplorando modi per rendere più difficile la fusione tra i due istituti, valutando come reagire a un potenziale accordo che creerebbe un forte concorrente nel suo mercato nazionale. In breve, secondo l’agenzia Bloomberg, il ceo Christian Sewing starebbe analizzando la situazione e le opzioni valutate includono l’acquisto di una parte o di tutta la partecipazione di Commerzbank (il 12%) ancora nelle mani del governo tedesco. A sua volta il Financial Times ha rivelato che il governo tedesco non era stato preventivamente informato di un invito rivolto a Unicredit per partecipare alla gara sul 4,49% di Commerzbank che tre settimane fa il ministero delle Finanze aveva messo in vendita. Secondo fonti anonime citate dal quotidiano londinese, i banchieri di JPMorgan Chase che hanno perfezionato le modalità di cessione avrebbero invitato Unicredit a partecipare alla gara lasciando intendere un apprezzamento da parte delle autorità di Berlino, che però sarebbe stato solo supposto. Se ciò sia vero lo sapremo più avanti, non vi è però dubbio che l’operazione con cui la banca guidata da Andrea Orcel è diventata secondo azionista di Commerzbank (con il 9%) ha colto di sorpresa l’establishment tedesco: di là della contrarietà dei sindacati interni, il blitz ha infatti suscitato ostilità pubblica mettendo l’esecutivo Scholz in una posizione decisamente scomoda in vista delle elezioni federali dell’anno prossimo. Così come non è un mistero che fino al mese scorso le autorità tedesche avevano ripetutamente fatto capire a Unicredit e ai concorrenti europei di non essere interessate a cedere Commerzbank a istituti esteri. A rendere più confusa la vicenda, sempre secondo le fonti consultate dal FT, è che nemmeno Unicredit avrebbe contattato il governo tedesco in merito all’operazione. Una versione che però viene smentita dai vertici del gruppo italiano che, al contrario, sostengono che la manifestazione di interesse sarebbe stata comunicata a Berlino poco prima della partecipazione alla gara. La versione è peraltro confermata da una fonte del ministero delle Finanze tedesco, che però precisa di non avere avuto notizia, se non a cose fatte, della quota (il 4,5% di Commerzbank) rastrellata in precedenza dalla banca milanese in Borsa. Ed è probabilmente questa la parte che ha fatto levare bruscamente gli scudi: l’aver fatto intendere, grazie a una manovra attuata nei mesi passati all’insaputa degli interessati, che per Commerzbank non c’è ormai altro destino se non il matrimonio salvifico con l’italiana Unicredit. Niente di più offensivo per le sensibilità di quelle latitudini.Sensibilità che però si scontrano con la volontà delle autorità bancarie centrali, di tutt’altro orientamento. Se è vero che i vertici Bce – ieri attraverso le parole del vicepresidente Luis de Guidos – non esitano a tifare per le fusioni transfrontaliere, qualche giorno fa è stato lo stesso governatore della Bundensbank, Joachim Nagel, a sollecitare implicitamente la possibile acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit. «È chiaro che in Europa abbiamo bisogno di banche forti e robuste» ha detto Nagel, senza però entrare nel merito dell’operazione. Per non dire dei vertici della stessa Commerzbank, che sempre ieri hanno confermato i contatti con i colleghi di Unicredit («Valuteremo i loro progetti con mente aperta, alla luce del dovere legale di agire nel miglior interesse degli azionisti»), sebbene in un’ottica di realizzazione del piano al 2027. LEGGI TUTTO

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    “Su Commerz nessuna fretta ma l’acquisizione è sul tavolo”

    Ascolta ora Unicredit vuole tutta Commerzbank. Andrea Orcel non nasconde l’ambizione di prendere il controllo dell’istituto tedesco, senza fretta ma con le idee chiare. «Potremmo salire, scendere e combinare. Siamo molto pazienti», ha spiegato l’amministratore delegato di Unicredit in un’intervista a Bloomberg Tv in cui ha esplicitato come in cima alle discussioni c’è l’opzione di […] LEGGI TUTTO

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    Banco Bpm, ripartito il tavolo unitario con i sindacati

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    Dopo la dura lettera inviata dal vertice del Banco Bpm ai sindacati confederali First-Cisl, Fisac-Cgil e Uilca, le tre sigle sindacali che a luglio avevano rifiutato il tavolo unitario insieme al Fabi e Unisin sul rinnovo del contratto, come era prevedibile ieri la situazione si è ricomposta con l’adesione delle tre sigle al nuovo tavolo (unitario) convocato dall’istituto di Piazza Meda guidato da Giuseppe Castagna. LEGGI TUTTO

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    Unicredit scala Commerz. Il risiko parte da Berlino

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    Il blitz di Unicredit in Commerzbank ha tutti i tratti di un antipasto in vista di una maxi-fusione bancaria che mancava da anni a livello continentale. A quasi vent’anni di distanza l’istituto di piazza Gae Aulenti torna all’assalto del fortino tedesco e anche allora in prima fila c’era Andrea Orcel. Il banchiere romano nel 2005, allora in Merrill Lynch nella divisione M& A, aveva assistito Unicredit nell’acquisizione da 19,2 miliardi di euro di Hvb.Orcel ha messo in piedi l’assalto a Commerz negli ultimi mesi, come anticipato dal Giornale in primavera, rastrellando azioni mediante operazioni sul mercato in attesa di mettere le mani sull’intero 4,49% ceduto da Berlino attraverso un accelerated book building, proponendo un prezzo d’acquisto a premio del 5% che ha sbaragliato la concorrenza. Con un esborso complessivo inferiore a 1,4 miliardi, Unicredit si è così portata al 9% del capitale della seconda banca tedesca e non nasconde l’ambizione di crescere ancora, lavorando con Commerzbank per «esplorare opportunità di creazione di valore per tutti gli stakeholder». Il prossimo passaggio è la richiesta alla Bce del semaforo verde per superare la soglia del 10% e Orcel ha già avviato i primi contatti «di cortesia» con il top management di Commerzbank, durante i quali non si è però approfondita nessuna ipotesi strategica.Unicredit, che nei giorni antecedenti al blitz aveva informato il governo Meloni delle proprie intenzioni, ha sottolineato il suo supporto ai consigli di gestione e di sorveglianza della banca, con quest’ultimo riunitosi ieri sera per analizzare la mossa di Unicredit. Secondo FT, Commerz sarebbe aperta a discussioni per una potenziale aggregazione. La mossa di Orcel è stata definita «nettamente positiva» da Bruno Giordano, presidente della Fondazione Cariverona (socio all’1,09% di Unicredit).Adesso bisognerà vedere le intenzioni di Berlino, che ancora detiene il 12% dell’istituto e secondo le regole in vigore sui mercati tedeschi non può vendere altri titoli per almeno tre mesi. Il mercato ha subito dato credito a una possibile acquisizione e il titolo Commerzbank è balzato del 16,5% a Francoforte. Tra gli analisti già si ragiona sulla possibile struttura dell’operazione. Equita ipotizza un’aggregazione fatta al 50% in contanti e al 50% in carta con un premio tra il 20% e il 25% e sinergie pari a circa il 10% della base costi di Commerzbank. Il tutto, specifica la sim milanese, non compromettendo i ratio patrimoniali, con un Cet 1 che rimarrebbe in area 13,5-14%, e preservando quindi la politica di distribuzione. Gli analisti di Intermonte invece non escludono un’operazione solo in carta. LEGGI TUTTO