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  • Ascesa e declino di 23andMe

    Fino a qualche anno fa 23andMe era considerata una delle più promettenti e ricche aziende per i test genetici, nata con la promessa di offrire sistemi innovativi per prevedere l’insorgenza di particolari malattie. Oggi le sue condizioni sono talmente precarie da indurre chi ha cause legali con la società ad abbassare le proprie pretese di risarcimento pur di avere qualche soldo. È quello che è successo lo scorso settembre a un gruppo di clienti di 23andMe, che per risolvere una causa legata alla diffusione di dati personali – una vicenda risalente al 2023 e che aveva portato a grandi critiche nei confronti dell’azienda – alla fine ha chiesto 30 milioni di dollari, molto meno di quanto ipotizzato inizialmente, proprio nel timore che in tempi brevi la società possa essere venduta o non abbia più le risorse per pagare.La notizia è stata ampiamente ripresa sui giornali ed è vista come uno dei segni più tangibili della crisi di 23andMe. La società ha perso infatti buona parte del proprio valore in borsa, passando da circa 6 miliardi a meno di 150 milioni di dollari, e fatica a raccogliere nuovi clienti e contratti. Senza nuove idee, la sua cofondatrice Anne Wojcicki potrebbe non essere in grado di salvarla, dopo 20 anni di grandi promesse e risultati spesso deludenti.
    L’alternarsi di successi, enormi investimenti e grandi perdite, con licenziamenti di massa e le dimissioni di vari membri del consiglio di amministrazione, sono nella storia di molte aziende tecnologiche della Silicon Valley, ma nel caso di 23andMe sono ancora più peculiari perché interessano un settore in cui sono state riposte grandi speranze sia da parte degli investitori sia dei clienti. Le aziende che si occupano di salute hanno cercato di sfruttare più di altre le evoluzioni tecnologiche offerte da Internet per offrire servizi innovativi, ingrandirsi e raccogliere gigantesche quantità di dati, spesso sfruttando i vuoti legislativi lasciati da leggi ormai datate.
    23andMe esiste dal 2006, quando fu fondata da Wojcicki insieme a Linda Avey e a Paul Cusenza, che uscì quasi subito dall’iniziativa. Dopo essersi laureata in biologia alla Yale University, nel 1996 Wojcicki aveva iniziato a lavorare come consulente per alcuni fondi di investimento nel settore dell’assistenza sanitaria. Raccontò in seguito di non averne avuto una grande impressione: molte società avevano il solo scopo di produrre e offrire trattamenti medici molto costosi per ottenere il massimo dei rimborsi dalle assicurazioni sanitarie, che gestiscono buona parte dell’accessibilità alle cure negli Stati Uniti. 23andMe nasceva quindi con l’idea di scardinare alcuni di quei modelli di gestione dell’assistenza sanitaria, puntando su metodi innovativi per l’analisi dei dati per la salute. Una conoscenza fortuita favorì il piano.
    In quegli anni Wojcicki aveva conosciuto Sergey Brin e Larry Page, i due cofondatori di Google che avevano preso in affitto il garage di Susan Wojcicki come loro prima sede della startup che stava sviluppando il motore di ricerca. Susan era sorella di Anne e avrebbe poi avuto un ruolo nell’azienda, diventandone una delle più importanti dirigenti e la responsabile di YouTube.
    Tra Brin e Anne Wojcicki era iniziata una relazione e quest’ultima aveva scoperto che Avey stava pensando a sistemi innovativi per offrire a tutti test genetici come sistema di prevenzione per alcune malattie. Wojcicki era interessata all’idea e disse ad Avey che avrebbero potuto collaborare per mettere in piedi una startup. Avey accettò, pensando che Wojcicki fosse il collegamento ideale con Brin e quindi con Google per avere risorse e visibilità.
    Fu in effetti Brin a investire i primi milioni di dollari in 23andMe, a facilitare la ricerca di altri investitori e a valutare l’assunzione di alcuni dipendenti. La scelta del nome derivava dalle 23 paia di cromosomi presenti nel nucleo delle cellule dell’organismo umano in cui è raccolto il materiale genetico di ogni persona. Nel 2007, poche settimane dopo il matrimonio tra Brin e Wojcicki, Google annunciò un importante investimento nella società, che divenne molto discussa e guardata con interesse da altri fondi di investimento.
    L’idea alla base dei servizi di 23andMe era semplice e al tempo stesso ambiziosa. Attraverso il sito dell’azienda si acquista un kit per l’esame del DNA che viene spedito a casa, il cliente sputa in una provetta e la manda a 23andMe che ne analizza il contenuto. Sulla base delle informazioni genetiche raccolte dalla saliva, la società mostra poi al proprio cliente quello che ha scoperto, dalla presenza di geni che indicano il maggior rischio di ammalarsi di qualcosa a una sorta di albero genealogico che mostra la propria discendenza su base geografica.

    Grazie alla grande visibilità data dal coinvolgimento di Google, migliaia di persone inviarono i loro sputi a 23andMe, ricevendo in cambio informazioni genetiche di ogni tipo come la predisposizione a soffrire di calvizie o di obesità e informazioni più particolari come le cause genetiche della consistenza del proprio cerume. Wojcicki si fece notare anche per l’organizzazione di feste in cui ospiti come il miliardario Rupert Murdoch o il produttore cinematografico Harvey Weinstein venivano invitati a sputare nelle provette per sottoporsi ai test.
    Anche grazie a questi eventi 23andMe era riuscita a far parlare di sé, ma il prezzo di 399 dollari per ogni kit era comunque troppo alto per rendere di massa i test genetici. Nel 2009 Wojcicki pensò che uno degli ostacoli alla crescita dell’azienda fosse Avey, che da genetista aveva un approccio più cauto e conservativo nella promozione di ciò che effettivamente si poteva ottenere con un test. Nella maggior parte dei casi, avere uno o più geni riconducibili a una malattia non significa che prima o poi si svilupperà quella malattia: altre variabili genetiche, stili di vita e fattori ambientali hanno un ruolo altrettanto importante. Nei propri “Termini e condizioni” 23andMe chiariva questi aspetti, che però non trasparivano molto dalla comunicazione sulla possibilità di avere grafici e stime sulla presenza di geni noti per essere associati a certe malattie.
    Wojcicki ottenne che Avey venisse estromessa dalla società, diventandone in questo modo l’unica figura di spicco. Le conoscenze maturate in quel periodo le permisero di entrare in contatto con il miliardario Yuri Milner che fece un grande investimento in 23andMe, tale da permettere all’azienda di vendere i test del DNA a 99 dollari.
    La forte riduzione del prezzo e una prima campagna pubblicitaria in tutti gli Stati Uniti attirarono l’attenzione della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia statunitense che si occupa tra le altre cose di farmaci e test diagnostici. La versione del test per scopi sanitari non aveva le autorizzazioni necessarie per essere venduta e la FDA ne bloccò le vendite, riducendo le possibilità di espansione della società.
    Furono necessari circa due anni prima che 23andMe producesse tutta la documentazione necessaria per ricevere un’autorizzazione da parte della FDA. L’operazione richiese milioni di dollari, ma infine rese possibile la vendita dei kit senza particolari limitazioni e in pochi anni i clienti diventarono circa otto milioni.
    Wojcicki puntò molto sulla promozione della parte legata ai test per la discendenza, venduti come uno strumento per scoprire da quali aree geografiche provenissero i propri avi, anche se queste ricostruzioni sono soggette a numerosi errori e approssimazioni. Questo ambito offriva qualche sicurezza in più rispetto a quello dei geni e delle malattie, sul quale comunque l’azienda continuava a fornire servizi e a effettuare ricerche.
    Sergey Brin e Anne Wojcicki a un evento di 23andMe a New York nel 2008, la coppia ha divorziato nel 2015 (Donald Bowers/Getty Images for The Weinstein Company)
    Questa strategia commerciale permise a 23andMe di superare alcune difficoltà economiche sorte negli anni in cui non poteva vendere i propri kit per via delle limitazioni imposte dall’FDA, ma segnalò anche la spregiudicatezza di Wojcicki nel gestire una società che ha a che fare con la salute. La FDA impose a 23andMe di non fornire informazioni sulla presenza di varianti genetiche che potrebbero far aumentare il rischio di ammalarsi di alcuni tipi di cancro, così come di non fornire informazioni su quali farmaci potrebbero funzionare meglio in base ai profili genetici.
    23andMe stava comunque raccogliendo un’enorme mole di dati sulle caratteristiche genetiche di milioni di persone e Wojcicki pensò di sfruttarle in altro modo, offrendo servizi per analisi di massa alle aziende farmaceutiche. Nel 2018 fu stretto un accordo con GSK per l’utilizzo in esclusiva dei dati per cinque anni, ma trovare altre società interessate a collaborare con 23andMe si rivelò più difficile del previsto. GSK nel 2023 ha esteso la propria collaborazione per un anno, attraverso un contratto aggiuntivo da 20 milioni di dollari, ma ultimamente 23andMe non ha più annunciato nuovi accordi con altre aziende.
    I clienti che hanno inviato i loro sputi alla società possono scegliere se metterli a disposizione per attività di ricerca o mantenerli privati, ma 23andMe è stata criticata spesso per il modo in cui gestisce i dati degli utenti. In particolare sono emersi problemi di sicurezza, divenuti evidenti nel 2023 con il furto dei dati di sette milioni di persone, circa la metà degli utenti dell’azienda. E proprio da quella violazione dei dati sarebbe poi partita l’iniziativa legale per la quale c’è ora la proposta di una risoluzione con un risarcimento da 30 milioni di dollari.
    Appena due anni prima della perdita dei dati, 23andMe si era quotata in borsa, approfittando di un periodo in cui c’era un grande interesse per le società che promettevano di aumentare il proprio valore grazie a offerte pubbliche di acquisto miliardarie. Nel febbraio del 2021 il prezzo di una singola azione raggiunse i 321 dollari, ma a partire dal 2022 23andMe iniziò un rapido declino in borsa perdendo buona parte del proprio valore. Oggi un’azione vale poco meno di 5 dollari e anche per questo ci sono forti dubbi sulla capacità dell’azienda di rilanciare le proprie attività.
    L’andamento delle azioni di 23andMe da quando è in borsa (Google)
    Secondo gli analisti il rapido declino di 23andMe in borsa è dipeso sia dallo sgonfiarsi della bolla legata ai servizi per la salute nella Silicon Valley, sia da alcune scelte commerciali poco efficaci dell’azienda. La divisione dedicata alla ricerca di nuove terapie non ha mai portato a risultati soddisfacenti, anche a causa dello scarso coinvolgimento delle grandi aziende farmaceutiche. Nel 2022 23andMe aveva assunto 150 persone per provvedere allo sviluppo di nuovi farmaci, ma l’investimento si è rivelato troppo oneroso, tanto da portare in breve tempo al licenziamento di circa metà delle persone coinvolte in quelle attività.
    Un altro punto debole di 23andMe è stato a lungo il modello basato sul singolo acquisto di un kit, che espone l’azienda alle oscillazioni della domanda, che è sensibilmente diminuita negli ultimi anni. Per provare a superare questa impostazione l’azienda offre da qualche tempo 23andMe+, un servizio in abbonamento per ricevere periodicamente rapporti personalizzati sulla propria salute, consigli per vivere meglio e dettagli su non meglio specificate future scoperte. La sottoscrizione dell’abbonamento ha un costo iniziale di 229 dollari e c’è poi una spesa annuale di 69 dollari.
    23andMe+ ha raccolto poche centinaia di migliaia di adesioni, senza diventare determinante per la società. Nel 2021 23andMe aveva previsto 2,9 milioni di abbonamenti entro la fine di marzo 2024, ma ha chiuso il 2023 con 640 mila abbonati scesi a 562mila nei primi mesi di quest’anno.
    A novembre del 2023 23andMe ha poi presentato Total Health, un nuovo piano in abbonamento che costa quasi 1.200 dollari all’anno e che promette di offrire test genetici più approfonditi, oltre a una serie di servizi per effettuare esami di laboratorio e ricevere consulenze mediche. Il piano non è al momento coperto dalle assicurazioni ed è quindi completamente a carico dei singoli clienti, che al momento non sembrano essere interessati. Il punto di ingresso per la maggior parte di loro è del resto il test nella sua versione classica ed economica, che offre però informazioni generiche e spesso deludenti, di conseguenza non incentiva molto il passaggio alle versioni più costose.
    Tra le altre cose, Total Health viene promosso come un sistema per invecchiare meglio e più lentamente (23andMe)
    Gli abbonamenti e i nuovi servizi per ora non sono stati sufficienti per rinvigorire gli affari di 23andMe, che da quando è stata fondata non ha mai prodotto utili e che lo scorso anno ha licenziato circa un quarto dei propri dipendenti, proprio per ridurre le spese. Le condizioni precarie dell’azienda hanno spinto Wojcicki a proporre di togliere dal mercato azionario l’azienda, ma l’offerta di acquisto per azione – circa 0,40 dollari rispetto ai 10 di quando fu quotata – non solo non ha convinto gli investitori, ma ha anche portato alle dimissioni dell’intero consiglio di amministrazione. I suoi componenti hanno accusato Wojcicki di non avere presentato una proposta credibile e si sono lamentati di non potere fare nulla, visto che Wojcicki ha la quantità di azioni necessaria per vincolare ogni decisione al proprio voto nel consiglio.
    Alla fine della scorsa settimana 23andMe ha proposto di ridurre il numero di azioni in possesso dei suoi investitori, in modo da fare aumentare il valore di ogni singola azione. È una procedura che viene talvolta seguita dalle aziende in difficoltà e che rischiano di uscire da alcuni listini azionari, in questo caso lo statunitense NASDAQ. In mancanza di una ripresa significativa del valore azionario, 23andMe potrebbe essere esclusa dal listino a novembre.
    Nel frattempo Wojcicki ha iniziato a fare proposte ad alcuni fondi di investimento, annunciando l’intenzione della società di potenziare il modello di condivisione dei dati raccolti dai propri utenti con aziende del settore farmaceutico e delle biotecnologie. Non è però chiaro se possa esserci un effettivo interesse per quei dati, considerato che negli ultimi anni sono diventati disponibili a prezzi più accessibili registri con l’intero genoma, cioè tutto il DNA che si trova all’interno di una cellula, rispetto a dati più frammentari come quelli raccolti da 23andMe.
    Le notizie poco incoraggianti sull’andamento della società hanno inoltre avuto un effetto negativo sulle vendite dei kit e degli altri servizi, più che altro per una ridotta fiducia nei sistemi di gestione dei dati dell’azienda. La diffidenza deriva dall’incertezza sulla gestione dei dati nel caso di fallimento o vendita della società, considerato che contengono informazioni sensibili e legate alla salute dei clienti. La società dice che continuerà a mantenere la propria politica per cui i dati possono essere condivisi solo con un consenso dei diretti interessati, e che questa regola sarà mantenuta anche nel caso di una vendita, ma il trasferimento dei dati in sé verso la società acquirente sarebbe comunque un cambiamento a cui pochi clienti avrebbero pensato mentre sputavano in un’innocente provetta quasi vent’anni fa. LEGGI TUTTO

  • Vertice Nato, Meloni: accordo «sostenibile». Sì all’ipotesi dazi Usa al 10%

    Ascolta la versione audio dell’articoloUn accordo da cui emerge «la compattezza dell’alleanza e la volontà di quell’alleanza di rafforzarsi». Concluso il vertice dei capi di Stato e di governo dei 32 Paesi della Nato, Giorgia Meloni commenta positivamente con i cronisti la dichiarazione finale con cui ci si impegna ad aumentare la spesa per difesa e sicurezza fino al 5% del Pil entro il 2035. «Impegni sostenibili per l’Italia», assicura la premier, che esclude per il 2026 l’attivazione della clausola di salvaguardia già chiesta da dodici Paesi Ue, tra cui la Germania, per godere di uno spazio di bilancio aggiuntivo fino all’1,5% del Pil. «Per gli anni a venire si valuterà sulla base di quella che è la situazione economica». Tra il lungo colloquio con il presidente Trump alla cena offerta ieri sera dai reali d’Olanda e la riunione di stamattina la presidente del Consiglio afferma di aver toccato «ongoing» anche il tema dazi: sull’ipotesi di chiudere l’intesa Ue-Usa al 10% si dice «abbastanza d’accordo. Ho sentito le imprese, non sarebbe particolarmente impattante».Sicurezza «dominio ampio», dalle infrastrutture alla migrazione irregolareL’incremento al 5% dal 2% attuale, sottolinea la presidente del Consiglio, «non è distante dall’impegno che l’Italia già assunse nel 2014 quando era all’1% delle spese di difesa in rapporto al Prodotto interno lordo e si impegnò, come ribadito da tutti i governi che mi hanno preceduto, ad aumentarlo dell’1 per cento. A questo si aggiunge un 1,5% di spesa sulla sicurezza». Meloni conferma quanto già affermato alle Camere nei giorni scorsi: «Sono risorse che noi dobbiamo spendere e spendiamo comunque su materie molto più ampie della questione di difesa. La questione della sicurezza oggi coincide con un dominio particolarmente ampio che riguarda la difesa dei confini, la migrazione irregolare, le infrastrutture critiche, la mobilità militare, le infrastrutture nel senso più generale, ma anche l’intelligenza artificiale, la ricerca, l’innovazione tecnologica. Risorse che servono a mantenere questa nazione forte, come è sempre stata».Loading…«Nessun euro sarà distolto dalle altre priorità del governo»«Sono impegni sostenibili», ha scandito Meloni. «Lo voglio ribadire: per l’Italia questa spesa è necessaria per rafforzare la nostra difesa, per rafforzare la nostra sicurezza in un contesto che lo necessita, ma in una dimensione che ci consente di assumere questi impegni sapendo già che non distoglieremo neanche un euro dalle altre priorità del governo a difesa e a tutela degli italiani».No alla clausola di salvaguardia nel 2026, poi si valuteràAlla domanda del Sole 24 Ore sull’esigenza di reperire circa 100 miliardi in dieci anni (dagli attuali 35 miliardi spesi per la difesa e 10 per la sicurezza a 100 e 45 miliardi), la premier ha risposto: «Ho sentito molti numeri dati in questi giorni un po’ dalla stampa, un po’ dal Parlamento, che mi sembrano molto distanti dalla realtà. Noi abbiamo ovviamente fatto i nostri calcoli per il 2026 e non riteniamo che ci serva utilizzare la escape clause. Poi chiaramente per gli anni a venire si valuterà sulla base di quella che è la situazione economica».«Nessun obbligo annuale e libertà sulle decisioni di spesa»Sollecitata sulla considerazione del responsabile economico della Lega, Alberto Bagnai, sull’insostenibilità dell’obiettivo del 5%, Meloni taglia corto: «Sono venuta qui dopo una risoluzione votata da tutta la maggioranza. Ho spiegato varie volte che è una decisione che noi abbiamo preso con cognizione di causa, facendo le nostre valutazioni con il ministro dell’Economia. Sono convinta che sia sostenibile, per l’ampiezza delle spese, per il fatto che parliamo di un impegno a dieci anni che nel 2029 si deve in ogni caso ridiscutere, per il fatto che non ci sono incrementi obbligati annuali per gli Stati e questo consente di fare le scelte in base all’andamento della situazione in quel particolare momento. Quindi c’è una flessibilità totale». L’altra richiesta italiana che, a detta della premier, è stata soddisfatta riguarda la discrezionalità degli Stati nazionali sulle decisioni di spesa: a spetta a ognuno scegliere cosa considera una minaccia, perché «le minacce che affronta una nazione che si affaccia sul Mediterraneo come l’Italia e quelle che affronta un Paese Baltico sono distanti anni luce. Allora o ci fidiamo l’uno dell’altro e ognuno fa il suo pezzo di lavoro in questo quadro oppure se pensiamo che possiamo imporre a tutti un unico standard facciamo una cosa che non è utile per nessuno». LEGGI TUTTO

  • Almasri, Gelmini: autorizzazione a procedere atto dovuto

    Almasri, Gelmini: autorizzazione a procedere atto dovuto | Video Sky TG24 LEGGI TUTTO

  • Separazione delle carriere, via libera del Senato tra le proteste dell’opposizione: ecco cosa cambia

    Ascolta la versione audio dell’articoloIl Senato ha dato il via libera alla seconda lettura della riforma costituzionale della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Il voto del Senato ratifica il secondo dei quattro passaggi parlamentari che scandiscono l’iter della riforma. Il primo è stato quello di Montecitorio lo scorso 16 gennaio. Come prevedibile nessuna modifica, come già avvenuto alla Camera, è stata fatta al testo approvato dal Governo l’anno scorso. Sui due successivi passaggi Governo e maggioranza spingeranno sull’acceleratore con l’obiettivo di andare alla celebrazione del probabile referendum, che non prevede un quorum, nella primavera 2026.Meloni: passo verso una giustizia più equa e trasparente“L’approvazione in seconda lettura al Senato della riforma costituzionale della giustizia, segna un passo importante verso un impegno che avevamo preso con gli italiani e che stiamo portando avanti con decisione”. Lo afferma sui social la premier Giorgia Meloni. “Il percorso – aggiunge – non è ancora concluso, ma oggi confermiamo la nostra determinazione nel dare all’Italia un sistema giudiziario sempre più efficiente, equo e trasparente”.Loading…La protesta delle opposizioniProtesta delle opposizioni in Aula al Senato dopo l’approvazione del ddl costituzionale sulla separazione delle carriere. Molti senatori dell’opposizione hanno intonato il coro ‘vergogna, vergogna’. I parlamentari del Pd hanno protestato alzando dei cartelloni con la copertina della Costituzione. Dai banchi del M5S hanno sollevato dei cartelli per dire alla maggioranza di non portare avanti questa legge in nome di Falcone e Borsellino. ‘Non in mio nome’, recitano i cartelli affiancati dalla foto dei giudici antimafia. Accanto il cartello ‘ma nel loro’, con accanto un fotomontaggio di Licio Gelli accanto a Silvio Berlusconi.I senatore del Pd, al momento del voto della riforma della separazione delle carriere, hanno tutti esposto un frontespizio della Costituzione rovesciata. I deputati di M5s hanno invece alzato un cartello con le immagini di Borsellino e Falcone con la scritta “non nel loro nome”.
    +++FOTO DIFFUSA DALL’UFFICIO STAMPA – USARE SOLO PER ILLUSTRARE OGGI LA NOTIZIA INDICATA NEL TITOLO – NON ARCHIVIARE – NON VENDERE – NON USARE PER FINI NON GIORNALISTICI – NPK+++Calenda: votiamo sì alla separazione delle carriere. Renzi si astieneAnche se alla riforma mancano i due terzi dei voti necessari per evitare il referendum popolare confermativo, una parte dell’opposizione appoggia l’intervento. E’ il caso di Azione. «Votiamo a favore della separazione delle carriere, era nel nostro programma elettorale. Che problema c’è, se ritieni che sia una cosa giusta per il Paese perchè non dovrei votarlo» ha detto Carlo Calenda a Ominbus, su La7. Mentre Renzi schiera Iv sulla linea dell’astensione. Un’astensione di “apertura”La separazione delle carriereIl cuore del provvedimento è dunque la separazione delle carriere dei pm e dei giudici, per cui ciascuno a inizio carriera dovrà fare una scelta definitiva di funzione, e restarci. Insomma niente più ’porte girevoli’ tra pm e giudici secondo un’espressione abusata negli anni scorsi. LEGGI TUTTO

  • Decreto flussi, riforma maturità e scudo penale per i medici: in corso il Consiglio dei ministri

    Ascolta la versione audio dell’articoloÈ in corso la riunione del Consiglio dei ministri chiamato a esaminare, fra l’altro, il disegno di legge delega sullo scudo penale ai sanitari, il decreto per la riforma dell’esame di maturità e un decreto in materia di ingresso regolare di lavoratori e cittadini stranieri, nonché di gestione del fenomeno migratorio. Fra i provvedimenti all’ordine del giorno, ci sono anche tre disegni di legge delega al governo, per le riforme dell’ordinamento forense, dell’ordinamento della professione di dottore commercialista e di esperto contabile e della disciplina degli ordinamenti professionali.Scudo penale per i mediciPunibilità dei medici solo per “colpa grave”, tenendo conto anche del contesto operativo e della “scarsità delle risorse umane e materiali disponibili”. È quanto prevede una bozza del disegno di legge delega al governo in materia di professioni sanitarie e disposizioni relative alla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, che dovrebbe essere presentato oggi in Consiglio dei ministri e molto atteso dalla categoria, dopo lo slittamento del provvedimento avvenuto nell’ultimo Cdm prima della pausa estiva. Si introdurrebbe così in maniera strutturale il cosiddetto scudo penale per i medici, già previsto durante la pandemia di Covid-19.Loading…Bozza dl maturità in 7 articoli, bocciatura per chi rifiuta di sostenere oraleQuanto alla riforma dell’esame di maturità, la bozza del provvedimento, che si compone di 7 articoli, introduce misure urgenti per riformare l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione e per garantire il regolare avvio dell’anno scolastico 2025/2026. Il suo obiettivo principale – si legge nella relazione tecnica – è «potenziare la funzione formativa, culturale e orientativa dell’esame di Stato». La riforma mira a mettere al centro lo «sviluppo integrale della studentessa e dello studente», compresa la sua «maturazione critica, etica, civica e relazionale».Il decreto introduce anche gli esami integrativi e ne definisce le modalità di svolgimento. In particolare, il dl rinomina l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione in “esame di maturità”. Inoltre, i percorsi di alternanza scuola-lavoro, già definiti come «percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento», vengono ri-denominati “percorsi di formazione scuola-lavoro”. La composizione delle commissioni d’esame è stata rivista per renderla “più efficiente e funzionale”. Ciascuna commissione sarà ora composta da due commissari esterni e due commissari interni per ognuna delle due classi abbinate, in sostituzione dei tre esterni e tre interni previsti dalla normativa precedente. Prevista la bocciatura, inoltre, per gli studenti che si rifiutano di sostenere l’orale alla maturità. Il decreto-legge chiarisce infatti che l’esame di maturità si considera validamente superato solo con il regolare svolgimento di tutte le prove, che includono due prove scritte a carattere nazionale e un colloquio. Se un candidato si rifiuta deliberatamente di sostenere una delle prove, l’esame non è considerato valido. LEGGI TUTTO

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