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  • Perché Meloni vuole cambiare il Rosatellum per un proporzionale con premio oltre il 40%

    Ascolta la versione audio dell’articolo5′ di letturaPremio di maggioranza al posto dei collegi, preferenze e/o listini bloccati, soglie di sbarramento. E chi più ne ha più ne metta. La riforma della legge elettorale è un evergreen, un classico di ogni legislatura. Con la maggioranza di turno che, va da sé, prova ad acconciarsi il sistema elettorale che più la potrebbe favorire. A volte riuscendoci (Silvio Berlusconi con il Porcellum che cancellò in Mattarellum) a volte no (Matteo Renzi con l’Italicum prima, bocciato dalla Corte costituzionale, e con il proporzionale con sbarramento al 5% poi, affossato nel segreto dell’urna alla Camera).Al via l’eterno gioco della legge elettorale: perché ora, visto che si vota a giugno 2027?Il gioco del cambio delle regole elettorali è dunque, se non lecito, sdoganato dalla prassi degli ultimi lustri. C’è solo una regola, rigorosamente non scritta: la legge per eleggere il Parlamento, se va cambiata, va cambiata nell’ultimo anno di legislatura, se non altro perché nessun parlamentare ha la sicurezza di essere rieletto e di conseguenza nessun parlamentare ha interesse a mettere sul tavolo della politica la pistola carica di un nuovo sistema elettorale pronto all’uso per eventuali elezioni anticipate. E allora perché il tema è tornato d’attualità, quando le prossime elezioni politiche si dovrebbero tenere solo a giugno 2027, con soli tre mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura? (La volta scorsa si è votato il 23 settembre per la repentina caduta del governo Draghi, ma l’accordo tra Palazzo Chigi e Quirinale è già quello di un leggero anticipo per non interferire con la sessione di bilancio e quindi l’approvazione della finanziaria di fine anno). Ma, soprattutto, che interesse ha la premier a cambiare la legge elettorale che l’ha fatta vincere tre anni fa quando il suo partito è saldamente primo nei sondaggi, tra il 28 e il 30%, e la coalizione di centrodestra supera la somma delle opposizioni, somma per altro politicamente molto difficile?Loading…Tutti i rischi del Rosatellum per la premier Meloni: con le opposizioni unite esito incertoQui occorre fare un passo indietro. Giorgia Meloni lo aveva già fatto capire nella conferenza stampa di fine/inizio anno: anche se la riforma del premierato non dovesse essere pronta all’uso in tempo per la prossima legislatura, la legge elettorale con cui andremo a votare tra la fine del 2027 e l’inizio del 2028 potrà subire “migliorie”. L’idea ormai prevalente a Palazzo Chigi è quella di approvare il premierato in Parlamento con calma e di celebrare il referendum confermativo solo dopo le politiche per non correre troppi rischi (il tonfo di Renzi, costretto a lasciare Palazzo Chigi dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 2016, è sempre ben presente ai nostri politici). Ma l’attuale legge elettorale – ossia il Rosatellum, basato sul 37% di collegi uninominali e per il resto su un proporzionale con liste bloccate – ha agli occhi della premier il difetto di costringerla a una defatigante trattativa con i partiti minori del centrodestra per la “spartizione” dei collegi uninominali. Basta un dato: oggi la Lega, che nel 2022 ha ben fatto pesare il suo radicamento al Nord, ha 94 parlamentari sul totale di 600, corrispondenti al 16 per cento degli eletti, quando alle urne prese poco meno del 9%. Ma non solo. C’è soprattutto il dato di fatto che con il Rosatellum non c’è la certezza della vittoria: nel 2018 l’esito è stato quello di nessuna maggioranza, tanto che nella scorsa legislatura sono nati tre governi di segno politico diverso (giallo-verde M5s-Lega, giallo-rosso a guida M5s-Pd, la grande coalizione di Draghi); al contrario nel 2022, grazie al fatto che il centrosinistra si è presentato diviso in tre (Pd con Avs e Più Europa, M5s da solo e Terzo polo di Renzi e Calenda), il centrodestra è riuscito a vincere nella quasi totalità dei collegi ottenendo una supermaggioranza.Per non correre rischi al Sud meglio un proporzionale con premio al di sopra del 40%E se alla fine le opposizioni dovessero trovare l’accordo mettendosi tutte assieme, magari solo per un accordo elettorale nei collegi come ha proposto un big del Pd come Dario Franceschini? Secondo le proiezioni il centrosinistra unito, dal M5s ai centristi passando naturalmente per il Pd, vincerebbe tutti i collegi uninominali di regioni come la Campania e la Puglia: grazie al recupero al Sud, in particolare al Senato il centrosinistra potrebbe dunque impedire la formazione di una maggioranza chiara di centrodestra. Dal punto di vista di Palazzo Chigi meglio optare subito, anche senza premierato, sulla soluzione da sempre preferita dal centrodestra e che è anche il “canovaccio” per la futura elezione diretta del premier: un proporzionale con un premio che assicuri a chi vince una maggioranza del 55%. Insomma, sul tavolo c’è un Porcellum che però preveda una soglia per far scattare il premio: nel 2014 la Corte costituzionale, nel bocciare quella legge, ha stabilito infatti che il premio non può in ogni caso superare il 15%. Soglia al 40%, dunque. Cosa fare al di sotto di quella soglia, vista l’allergia del centrodestra e in particolare della Lega al ballottaggio nazionale, non è chiaro. Meloni sarebbe favorevole a prevedere in questo caso residuale un ballottaggio tra le prime due coalizioni, ma la resistenza degli alleati è tale che in Fratelli d’Italia non si esclude di non prevedere alcuna norma di chiusura: se nessuno raggiunge il 40% non scatta il premio e la fotografia del Parlamento resta proporzionale. Ipotesi considerata appunto men che residuale a Palazzo Chigi, a meno che uno degli alleati non voglia affossare Sansone (ossia Meloni) con tutti i filistei sfilandosi dalla coalizione. Un suicidio, insomma.La mina piazzata sotto il campo largo: l’indicazione del capo della coalizioneQuanto alla scelta degli eletti, le ipotesi sul tavolo sono due: o piccoli listini bloccati di tre o quattro nomi riconoscibili da parte degli elettori oppure capilista bloccati e preferenza per tutti gli altri, il che significherebbe però che i partiti piccoli e medi riuscirebbero ad eleggere quasi solo i capilista. Un motivo, questo, di scontro con il Pd e con il M5s, che insistono almeno formalmente sulle preferenze tout court (meno formalmente è vero che tutti i leader di partito vogliono controllare e scegliere le candidature). Ma, preferenze a parte, il Porcellum rivisitato contiene una vera e propria bomba pronta ad esplodere sotto il Pd di Elly Schlein e di conseguenza sotto l’intero centrosinistra: il premio di maggioranza, così come era nel Porcellum, si porta dietro il vincolo del nome del capo della coalizione e quindi il candidato premier. Per Meloni è un modo per avere già alle prossime politiche un premierato di fatto, con la scelta del premier anche se non con la sua elezione diretta, pur senza riforma della Costituzione. Ma questo si traduce in problemi a non finire per il costituendo campo largo, visto che non c’è una premiership riconosciuta da tutti e visto che il leader del M5s Giuseppe Conte non nasconde la sua ambizione di tornare un giorno a Palazzo Chigi. Come dice il costituzionalista ed ex parlamentare del Pd Stefano Ceccanti, «finché si resta nel Rosatellum si possono anche fare accordi solo “in negativo” e non chiarire la questione dei candidati premier, ma se si passa ad una legge con il premio di maggioranza puoi fare le primarie di coalizione, puoi indicare di comune accordo un federatore, puoi anche indicare un nome temporaneo e dire che comunque verrà proposto il nome del leader del partito che prenderà più voti: l’unica cosa che non puoi fare è eludere il problema». Già. LEGGI TUTTO

  • AUTO1.com: grazie ad Allane Mobility oltre 10mila veicoli in più 

    AUTO1.com, la più grande piattaforma B2B di auto usate in Europa, ha avviato una collaborazione con Allane Mobility Group (ex Sixt Leasing), assicurandosi così un’ulteriore disponibilità annuale di 10.000 veicoli di alta qualità della flotta e che rientrano dal leasing. Per i dealer partner, i veicoli sono disponibili online nell’”Asta a catalogo”, un’asta in tempo reale, gestita separatamente e completamente automatizzata. Grazie alla partnership con AUTO1.com, Allane Mobility Group espande la sua rete remarketing a più di 60.000 acquirenti attivi in 30 mercati europei e ottiene i prezzi di vendita migliori per le proprie auto usate.Allane Mobility Group, accoglie positivamente la collaborazione, come spiega Andreas Birgmann, Director Remarketing Allane SE: “L’integrazione dei sistemi è stata effettuata senza problemi e le prime prove hanno dato risultati molto soddisfacenti. Essendo focalizzata su un modello di business digitale per la compravendita di veicoli B2B, AUTO1.com rappresenta per noi il partner ideale per commercializzare in modo efficiente i veicoli della flotta e quelli che rientrano dal leasing. Lo spirito innovativo condiviso è un ottimo presupposto per il reciproco successo”.L’Asta a catalogo, che si svolge ogni settimana in tutta Europa, include da 250 a 300 veicoli di alta qualità, di diverse marche e modelli, appartenenti alla flotta o provenienti dal leasing. Durante la cosiddetta “Fase catalogo”, gli acquirenti possono valutare i veicoli per un’intera settimana, metterli nella loro watchlist e iniziare a fare direttamente offerte. Ogni giovedì alle 11 inizia la “Fase turbo”. I veicoli vengono presentati uno dopo l’altro per un breve periodo di tempo. Da quel momento, per quelli maggiormente richiesti, i potenziali acquirenti hanno l’ultima possibilità di aggiudicarsi l’asta piazzando la loro offerta più alta. Ad asta conclusa, gli acquirenti possono beneficiare del supporto logistico di AUTO1.com con un network di oltre 300 partner in Europa.”Grazie al nostro network molto attivo in Europa, il nostro nuovo partner Allane Mobility Group può beneficiare di un modello d’asta dinamico e, di conseguenza, di prezzi migliori. I dealer, d’altra parte, sono sempre alla ricerca di veicoli di alta qualità da poter acquistare a prezzi di mercato equi e vendere con profitto, soprattutto in questo periodo, a causa della carenza di auto” dice Stefano Galluccio, VP Italy di AUTO1 Group.”Siamo entusiasti di aver trovato un altro grande partner per il remarketing e sicuri di poter apportare un contributo significativo per entrambi”, dichiara Werner König, Managing Director Remarketing di Allane SE.”I nostri partner non devono più passare da una piattaforma all’altra. Possono contare su uno stock diversificato e sui migliori servizi complementari offerti da AUTO1.com. Grazie a questa nuova partnership, i nostri acquirenti hanno ora a disposizione quattro modalità di acquisto. L’Asta a catalogo, le Aste 24h, l’Asta fra clienti privati e l’opzione Acquisto immediato”, dichiara Francesco Rocchi, Director Sales & Remarketing Italy di AUTO1 Group.L’Asta a catalogo è disponibile per tutti i partner registrati in oltre 30 mercati in tutta Europa. Chi è interessato può registrarsi su www.AUTO1.com e in seguito ricevere l’accesso all’Asta a catalogo. LEGGI TUTTO

  • Ascesa e declino di 23andMe

    Fino a qualche anno fa 23andMe era considerata una delle più promettenti e ricche aziende per i test genetici, nata con la promessa di offrire sistemi innovativi per prevedere l’insorgenza di particolari malattie. Oggi le sue condizioni sono talmente precarie da indurre chi ha cause legali con la società ad abbassare le proprie pretese di risarcimento pur di avere qualche soldo. È quello che è successo lo scorso settembre a un gruppo di clienti di 23andMe, che per risolvere una causa legata alla diffusione di dati personali – una vicenda risalente al 2023 e che aveva portato a grandi critiche nei confronti dell’azienda – alla fine ha chiesto 30 milioni di dollari, molto meno di quanto ipotizzato inizialmente, proprio nel timore che in tempi brevi la società possa essere venduta o non abbia più le risorse per pagare.La notizia è stata ampiamente ripresa sui giornali ed è vista come uno dei segni più tangibili della crisi di 23andMe. La società ha perso infatti buona parte del proprio valore in borsa, passando da circa 6 miliardi a meno di 150 milioni di dollari, e fatica a raccogliere nuovi clienti e contratti. Senza nuove idee, la sua cofondatrice Anne Wojcicki potrebbe non essere in grado di salvarla, dopo 20 anni di grandi promesse e risultati spesso deludenti.
    L’alternarsi di successi, enormi investimenti e grandi perdite, con licenziamenti di massa e le dimissioni di vari membri del consiglio di amministrazione, sono nella storia di molte aziende tecnologiche della Silicon Valley, ma nel caso di 23andMe sono ancora più peculiari perché interessano un settore in cui sono state riposte grandi speranze sia da parte degli investitori sia dei clienti. Le aziende che si occupano di salute hanno cercato di sfruttare più di altre le evoluzioni tecnologiche offerte da Internet per offrire servizi innovativi, ingrandirsi e raccogliere gigantesche quantità di dati, spesso sfruttando i vuoti legislativi lasciati da leggi ormai datate.
    23andMe esiste dal 2006, quando fu fondata da Wojcicki insieme a Linda Avey e a Paul Cusenza, che uscì quasi subito dall’iniziativa. Dopo essersi laureata in biologia alla Yale University, nel 1996 Wojcicki aveva iniziato a lavorare come consulente per alcuni fondi di investimento nel settore dell’assistenza sanitaria. Raccontò in seguito di non averne avuto una grande impressione: molte società avevano il solo scopo di produrre e offrire trattamenti medici molto costosi per ottenere il massimo dei rimborsi dalle assicurazioni sanitarie, che gestiscono buona parte dell’accessibilità alle cure negli Stati Uniti. 23andMe nasceva quindi con l’idea di scardinare alcuni di quei modelli di gestione dell’assistenza sanitaria, puntando su metodi innovativi per l’analisi dei dati per la salute. Una conoscenza fortuita favorì il piano.
    In quegli anni Wojcicki aveva conosciuto Sergey Brin e Larry Page, i due cofondatori di Google che avevano preso in affitto il garage di Susan Wojcicki come loro prima sede della startup che stava sviluppando il motore di ricerca. Susan era sorella di Anne e avrebbe poi avuto un ruolo nell’azienda, diventandone una delle più importanti dirigenti e la responsabile di YouTube.
    Tra Brin e Anne Wojcicki era iniziata una relazione e quest’ultima aveva scoperto che Avey stava pensando a sistemi innovativi per offrire a tutti test genetici come sistema di prevenzione per alcune malattie. Wojcicki era interessata all’idea e disse ad Avey che avrebbero potuto collaborare per mettere in piedi una startup. Avey accettò, pensando che Wojcicki fosse il collegamento ideale con Brin e quindi con Google per avere risorse e visibilità.
    Fu in effetti Brin a investire i primi milioni di dollari in 23andMe, a facilitare la ricerca di altri investitori e a valutare l’assunzione di alcuni dipendenti. La scelta del nome derivava dalle 23 paia di cromosomi presenti nel nucleo delle cellule dell’organismo umano in cui è raccolto il materiale genetico di ogni persona. Nel 2007, poche settimane dopo il matrimonio tra Brin e Wojcicki, Google annunciò un importante investimento nella società, che divenne molto discussa e guardata con interesse da altri fondi di investimento.
    L’idea alla base dei servizi di 23andMe era semplice e al tempo stesso ambiziosa. Attraverso il sito dell’azienda si acquista un kit per l’esame del DNA che viene spedito a casa, il cliente sputa in una provetta e la manda a 23andMe che ne analizza il contenuto. Sulla base delle informazioni genetiche raccolte dalla saliva, la società mostra poi al proprio cliente quello che ha scoperto, dalla presenza di geni che indicano il maggior rischio di ammalarsi di qualcosa a una sorta di albero genealogico che mostra la propria discendenza su base geografica.

    Grazie alla grande visibilità data dal coinvolgimento di Google, migliaia di persone inviarono i loro sputi a 23andMe, ricevendo in cambio informazioni genetiche di ogni tipo come la predisposizione a soffrire di calvizie o di obesità e informazioni più particolari come le cause genetiche della consistenza del proprio cerume. Wojcicki si fece notare anche per l’organizzazione di feste in cui ospiti come il miliardario Rupert Murdoch o il produttore cinematografico Harvey Weinstein venivano invitati a sputare nelle provette per sottoporsi ai test.
    Anche grazie a questi eventi 23andMe era riuscita a far parlare di sé, ma il prezzo di 399 dollari per ogni kit era comunque troppo alto per rendere di massa i test genetici. Nel 2009 Wojcicki pensò che uno degli ostacoli alla crescita dell’azienda fosse Avey, che da genetista aveva un approccio più cauto e conservativo nella promozione di ciò che effettivamente si poteva ottenere con un test. Nella maggior parte dei casi, avere uno o più geni riconducibili a una malattia non significa che prima o poi si svilupperà quella malattia: altre variabili genetiche, stili di vita e fattori ambientali hanno un ruolo altrettanto importante. Nei propri “Termini e condizioni” 23andMe chiariva questi aspetti, che però non trasparivano molto dalla comunicazione sulla possibilità di avere grafici e stime sulla presenza di geni noti per essere associati a certe malattie.
    Wojcicki ottenne che Avey venisse estromessa dalla società, diventandone in questo modo l’unica figura di spicco. Le conoscenze maturate in quel periodo le permisero di entrare in contatto con il miliardario Yuri Milner che fece un grande investimento in 23andMe, tale da permettere all’azienda di vendere i test del DNA a 99 dollari.
    La forte riduzione del prezzo e una prima campagna pubblicitaria in tutti gli Stati Uniti attirarono l’attenzione della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia statunitense che si occupa tra le altre cose di farmaci e test diagnostici. La versione del test per scopi sanitari non aveva le autorizzazioni necessarie per essere venduta e la FDA ne bloccò le vendite, riducendo le possibilità di espansione della società.
    Furono necessari circa due anni prima che 23andMe producesse tutta la documentazione necessaria per ricevere un’autorizzazione da parte della FDA. L’operazione richiese milioni di dollari, ma infine rese possibile la vendita dei kit senza particolari limitazioni e in pochi anni i clienti diventarono circa otto milioni.
    Wojcicki puntò molto sulla promozione della parte legata ai test per la discendenza, venduti come uno strumento per scoprire da quali aree geografiche provenissero i propri avi, anche se queste ricostruzioni sono soggette a numerosi errori e approssimazioni. Questo ambito offriva qualche sicurezza in più rispetto a quello dei geni e delle malattie, sul quale comunque l’azienda continuava a fornire servizi e a effettuare ricerche.
    Sergey Brin e Anne Wojcicki a un evento di 23andMe a New York nel 2008, la coppia ha divorziato nel 2015 (Donald Bowers/Getty Images for The Weinstein Company)
    Questa strategia commerciale permise a 23andMe di superare alcune difficoltà economiche sorte negli anni in cui non poteva vendere i propri kit per via delle limitazioni imposte dall’FDA, ma segnalò anche la spregiudicatezza di Wojcicki nel gestire una società che ha a che fare con la salute. La FDA impose a 23andMe di non fornire informazioni sulla presenza di varianti genetiche che potrebbero far aumentare il rischio di ammalarsi di alcuni tipi di cancro, così come di non fornire informazioni su quali farmaci potrebbero funzionare meglio in base ai profili genetici.
    23andMe stava comunque raccogliendo un’enorme mole di dati sulle caratteristiche genetiche di milioni di persone e Wojcicki pensò di sfruttarle in altro modo, offrendo servizi per analisi di massa alle aziende farmaceutiche. Nel 2018 fu stretto un accordo con GSK per l’utilizzo in esclusiva dei dati per cinque anni, ma trovare altre società interessate a collaborare con 23andMe si rivelò più difficile del previsto. GSK nel 2023 ha esteso la propria collaborazione per un anno, attraverso un contratto aggiuntivo da 20 milioni di dollari, ma ultimamente 23andMe non ha più annunciato nuovi accordi con altre aziende.
    I clienti che hanno inviato i loro sputi alla società possono scegliere se metterli a disposizione per attività di ricerca o mantenerli privati, ma 23andMe è stata criticata spesso per il modo in cui gestisce i dati degli utenti. In particolare sono emersi problemi di sicurezza, divenuti evidenti nel 2023 con il furto dei dati di sette milioni di persone, circa la metà degli utenti dell’azienda. E proprio da quella violazione dei dati sarebbe poi partita l’iniziativa legale per la quale c’è ora la proposta di una risoluzione con un risarcimento da 30 milioni di dollari.
    Appena due anni prima della perdita dei dati, 23andMe si era quotata in borsa, approfittando di un periodo in cui c’era un grande interesse per le società che promettevano di aumentare il proprio valore grazie a offerte pubbliche di acquisto miliardarie. Nel febbraio del 2021 il prezzo di una singola azione raggiunse i 321 dollari, ma a partire dal 2022 23andMe iniziò un rapido declino in borsa perdendo buona parte del proprio valore. Oggi un’azione vale poco meno di 5 dollari e anche per questo ci sono forti dubbi sulla capacità dell’azienda di rilanciare le proprie attività.
    L’andamento delle azioni di 23andMe da quando è in borsa (Google)
    Secondo gli analisti il rapido declino di 23andMe in borsa è dipeso sia dallo sgonfiarsi della bolla legata ai servizi per la salute nella Silicon Valley, sia da alcune scelte commerciali poco efficaci dell’azienda. La divisione dedicata alla ricerca di nuove terapie non ha mai portato a risultati soddisfacenti, anche a causa dello scarso coinvolgimento delle grandi aziende farmaceutiche. Nel 2022 23andMe aveva assunto 150 persone per provvedere allo sviluppo di nuovi farmaci, ma l’investimento si è rivelato troppo oneroso, tanto da portare in breve tempo al licenziamento di circa metà delle persone coinvolte in quelle attività.
    Un altro punto debole di 23andMe è stato a lungo il modello basato sul singolo acquisto di un kit, che espone l’azienda alle oscillazioni della domanda, che è sensibilmente diminuita negli ultimi anni. Per provare a superare questa impostazione l’azienda offre da qualche tempo 23andMe+, un servizio in abbonamento per ricevere periodicamente rapporti personalizzati sulla propria salute, consigli per vivere meglio e dettagli su non meglio specificate future scoperte. La sottoscrizione dell’abbonamento ha un costo iniziale di 229 dollari e c’è poi una spesa annuale di 69 dollari.
    23andMe+ ha raccolto poche centinaia di migliaia di adesioni, senza diventare determinante per la società. Nel 2021 23andMe aveva previsto 2,9 milioni di abbonamenti entro la fine di marzo 2024, ma ha chiuso il 2023 con 640 mila abbonati scesi a 562mila nei primi mesi di quest’anno.
    A novembre del 2023 23andMe ha poi presentato Total Health, un nuovo piano in abbonamento che costa quasi 1.200 dollari all’anno e che promette di offrire test genetici più approfonditi, oltre a una serie di servizi per effettuare esami di laboratorio e ricevere consulenze mediche. Il piano non è al momento coperto dalle assicurazioni ed è quindi completamente a carico dei singoli clienti, che al momento non sembrano essere interessati. Il punto di ingresso per la maggior parte di loro è del resto il test nella sua versione classica ed economica, che offre però informazioni generiche e spesso deludenti, di conseguenza non incentiva molto il passaggio alle versioni più costose.
    Tra le altre cose, Total Health viene promosso come un sistema per invecchiare meglio e più lentamente (23andMe)
    Gli abbonamenti e i nuovi servizi per ora non sono stati sufficienti per rinvigorire gli affari di 23andMe, che da quando è stata fondata non ha mai prodotto utili e che lo scorso anno ha licenziato circa un quarto dei propri dipendenti, proprio per ridurre le spese. Le condizioni precarie dell’azienda hanno spinto Wojcicki a proporre di togliere dal mercato azionario l’azienda, ma l’offerta di acquisto per azione – circa 0,40 dollari rispetto ai 10 di quando fu quotata – non solo non ha convinto gli investitori, ma ha anche portato alle dimissioni dell’intero consiglio di amministrazione. I suoi componenti hanno accusato Wojcicki di non avere presentato una proposta credibile e si sono lamentati di non potere fare nulla, visto che Wojcicki ha la quantità di azioni necessaria per vincolare ogni decisione al proprio voto nel consiglio.
    Alla fine della scorsa settimana 23andMe ha proposto di ridurre il numero di azioni in possesso dei suoi investitori, in modo da fare aumentare il valore di ogni singola azione. È una procedura che viene talvolta seguita dalle aziende in difficoltà e che rischiano di uscire da alcuni listini azionari, in questo caso lo statunitense NASDAQ. In mancanza di una ripresa significativa del valore azionario, 23andMe potrebbe essere esclusa dal listino a novembre.
    Nel frattempo Wojcicki ha iniziato a fare proposte ad alcuni fondi di investimento, annunciando l’intenzione della società di potenziare il modello di condivisione dei dati raccolti dai propri utenti con aziende del settore farmaceutico e delle biotecnologie. Non è però chiaro se possa esserci un effettivo interesse per quei dati, considerato che negli ultimi anni sono diventati disponibili a prezzi più accessibili registri con l’intero genoma, cioè tutto il DNA che si trova all’interno di una cellula, rispetto a dati più frammentari come quelli raccolti da 23andMe.
    Le notizie poco incoraggianti sull’andamento della società hanno inoltre avuto un effetto negativo sulle vendite dei kit e degli altri servizi, più che altro per una ridotta fiducia nei sistemi di gestione dei dati dell’azienda. La diffidenza deriva dall’incertezza sulla gestione dei dati nel caso di fallimento o vendita della società, considerato che contengono informazioni sensibili e legate alla salute dei clienti. La società dice che continuerà a mantenere la propria politica per cui i dati possono essere condivisi solo con un consenso dei diretti interessati, e che questa regola sarà mantenuta anche nel caso di una vendita, ma il trasferimento dei dati in sé verso la società acquirente sarebbe comunque un cambiamento a cui pochi clienti avrebbero pensato mentre sputavano in un’innocente provetta quasi vent’anni fa. LEGGI TUTTO

  • Marina Berlusconi su Trump: “100 giorni per far vacillare gli Usa”

    Le politiche protezionistiche di Trump destano preoccupazioni anche alla presidente di Fininvest e gruppo Mondadori Marina Berlusconi. Durante l’inaugurazione della rinnovata libreria Rizzoli in Galleria a Milano l’imprenditrice ha infatti confessato ai giornalisti di apprezzare l’operato della premier Giorgia Meloni, ma di non concordare con le misure commerciali di Donald Trump, nei confronti delle quali nutre perplessità. “Il governo sta andando nella giusta direzione”, dichiara la figlia dell’ex leader di Forza Italia, “far tornare i conti nonostante i vincoli europei è una eredità pesante e Giorgia Meloni sta agendo bene nella trattativa sui dazi”, tuttavia, aggiunge: “è fondamentale, vista la situazione internazionale complessa di grande instabilità, anche in futuro, non discostarsi un millimetro da questi valori e continui a muoversi in modo coerente e coordinato con l’Europa”. 

    L’opinione su Trump
    Il suo discorso non può prescindere dalla situazione internazionale, verso la quale manifesta preoccupazioni verso il leader americano a cui “sono bastati meno di cento giorni per far vacillare le certezze su cui è stato costruito l’ordine politico ed economico del dopoguerra e infliggere un colpo durissimo alla credibilità degli Stati Uniti e dell’Occidente”. Non mancano tuttavia le speranze. Da un lato perché Trump inizia ad essere costretto a fare qualche “marcia indietro” e comunque “l’America non è solo Trump ma di più”. Dall’altra per l’impegno ad una trattativa sui dazi che Giorgia Meloni, ha riconosciuto, lavora per facilitare e che considera l’unica strada. 

    L’elezione del nuovo Pontefice

    Marina chiude con speranza il dialogo con i giornalisti, richiamando l’elezione del nuovo Pontefice, Leone XIV, di nazionalità americana: “Dai Papi ci possiamo aspettare tanti miracoli, tante cose positive e speriamo che aiuti anche da questo punto di vista” ha detto sorridendo. “Non è un miracolo ma come figlia di Silvio Berlusconi che ha dedicato a Forza Italia 30 anno scalda il cuore vedere come questo partito non solo esiste ancora, quando le previsioni erano che potesse scomparire, ma ha ripreso a crescere”. E questo grazie alla “ottima guida di Antonio Tajani che ha fatto e sta ancora facendo un ottimo lavoro”, conclude l’intervento la Presidente. 

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  • Condannato per stalking, dopo 5 ore torna a minacciare l’ex compagna: “A cosa è servito denunciare?”

    La vittima ha raccontato di essere stata costretta a cambiare città e lavoro per due volte, ma questo non è bastato a far desistere il suo ex compagno.Condannato per stalking, dopo 5 ore torna a minacciare l’ex compagna: “A cosa è servito denunciare?” – Nanopress.itLa donna ha raccontato di non sentirsi tutelata dallo Stato, perché – nonostante la denuncia e la condanna – poco o nulla è cambiato. Condannato per stalking, dopo 5 ore torna a minacciare l’ex compagnaUna vicenda drammatica quella che arriva dal Cremonese e che mette bene in luce la difficoltà nel proteggere le vittime di stalking e violenza domestica e quanto ancora occorra fare per offrire maggiori tutele. Dopo essere stato condannato a due anni di reclusione per atti persecutori e revenge porn, un uomo di 53 anni, fotografo di origine turca, è stato rilasciato con la condizionale. Tuttavia, appena cinque ore dopo la sua scarcerazione, ha ripreso a perseguitare la sua ex compagna, una donna di 33 anni.Nonostante la condanna e i mesi trascorsi in custodia cautelare, l’uomo ha continuato a tormentare la sua ex, creando profili falsi sui social media, contattando i suoi amici e diffondendo insulti attraverso una finta pagina di giornale. La vittima ha cambiato lavoro e città due volte, ma lui è riuscito a rintracciarla ogni volta. In un’intervista al Corriere della Sera, la donna ha espresso il suo senso di impotenza e frustrazione, sentendosi non tutelata nonostante le denunce e il supporto ricevuto da parte delle persone a lei vicine. “Sono andata dallapsichiatra, ho avuto vicino persone che mi hanno sostenuto, ma non è stata una passeggiata. E poi succede questo? A che cosa è servito denunciare?” è stato il duro sfogo della vittima. LEGGI TUTTO

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