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Tajani: votiamo fiducia a Von der Leyen, serve stabilità
Tajani: votiamo fiducia a Von der Leyen, serve stabilità | Video Sky TG24 LEGGI TUTTO
Nuovo scossone al MiC: si dimette il direttore generale Cinema e Audiovisivo Nicola Borrelli
La resa dei contiLe dimissioni di Borrelli seguono di pochi giorni quelle, altrettanto rumorose, di Chiara Sbarigia dalla presidenza di Cinecittà. La manager ha rivendicato la volontà di concentrarsi sull’Apa (Associazione Produttori Audiovisivi) – peraltro con il rinnovo della presidenza alle porte – e su una possibile guida della Fondazione Maximo. Ma la tempistica, la frase detta solo qualche giorno prima al Sole 24 Ore in cui parlava del doppio incarico (presidenza di Apa e di Cinecittà) come di «un’opportunità» e il retroscena (i presunti dissidi con il ministro Giuli, e le ombre su un consulente che avrebbe proposto moderazioni a pagamento per ammorbidire la stampa) hanno alimentato sospetti e veleni.Un clima avvelenato, insomma, in cui un nodo sarebbe anche la guerra sotterranea che gli addetti ai lavori registrano fra il ministro e la sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, a sua volta accreditata di un legame molto stretto con Chiara Sbarigia. E per questo il passo indietro della ex presidente di Cinecittà è stato anche visto come il risultato di una prova di forza fra ministro e sottosegretaria leghista, senza arrivare a una resa dei conti fra i due che avrebbe potuto risultare fin troppo pesante per i rapporti fra FdI e Lega.Le dimissioni di Borrelli appaiono così come il capitolo finale – o forse solo il nuovo inizio – di una resa dei conti che investe l’intera catena di comando del ministero della Cultura, in una fase delicata, fra progetti internazionali e riforme decisive per il futuro del settore.Il ministro Giuli diserta lo StregaE intanto il ministro Giuli diserta anche il Premio Strega, polemizzando per non aver «ricevuto i libri». Indicazione che ha portato a un’immediata risposta del principale riconoscimento letterario italiano: «I rapporti con il ministro sono sempre stati amichevoli, ci siamo salutati cordialmente in occasione dell’ultimo Salone del libro di Torino. Non gli abbiamo inviato i libri del premio perché chiediamo agli editori di spedirli unicamente alla giuria dello Strega, da cui si è dimesso il giorno stesso della sua nomina al Ministero della Cultura», ha sottolineato il direttore della Fondazione Bellonci, Stefano Petrocchi. «Naturalmente il ministro era tra gli invitati alla serata finale di domani a Villa Giulia, come in precedenza a quella del Premio Strega Poesia lo scorso 9 ottobre, e saremo felici di riaccoglierlo il prossimo anno in occasione della nostra ottantesima edizione. Qualora volesse tornare a far parte anche della giuria del premio ne saremmo ugualmente onorati».Ma fonti del Mic hanno poi subito fatto notare la “sgrammaticatura istituzionale”: «La Fondazione, chissà per quale motivo, non ha pensato né di reinvitare Giuli in veste di ministro a far parte della giuria del premio, né di inviargli i libri della dozzina, o della cinquina dei finalisti in vista della serata conclusiva». LEGGI TUTTO
Di cosa parlano i consigli comunali? Scuole, traffico, viabilità e rifiuti
Ascolta la versione audio dell’articoloScuole, traffico e viabilità sono i temi discussi con maggiore frequenza nei consigli comunali italiani ma nel Centro Italia e soprattutto al Mezzogiorno s’impone anche il tema rifiuti. È quanto emerge da una ricerca realizzata in occasione di Forum PA da Cedat85, azienda attiva nella produzione di soluzioni di riconoscimento e trasformazione della voce in testo, tecnologie che consentono a circa 300 comuni italiani di trasmettere in streaming il consiglio comunale, verbalizzare automaticamente la seduta, indicizzare e archiviare in tempo reale i contenuti di quanto discusso in assemblea.L’indagine di Cedat85 ha analizzato le sedute consiliari di un campione di comuni italiani che utilizzano la piattaforma Digital4Democracy, nel periodo compreso tra il 19 maggio 2024 e il 20 maggio 2025, individuando gli argomenti più discussi in aula. Al primo posto emerge il tema delle scuole, con 240 menzioni, seguito dalle problematiche legate al traffico (182) e alla viabilità (180).Loading…I temi trattati con minore frequenza riguardano il decoro urbano (40), l’immigrazione (44) e le piste ciclabili (54). Seguono, con un numero leggermente superiore di citazioni, la raccolta differenziata (62), la sicurezza stradale (74) e la gestione del verde pubblico (74). Presentano una frequenza maggiore gli interventi relativi agli autobus (106), agli ospedali (119) e ai servizi sociali (124).Analizzando i dati in base all’area geografica emergono «priorità» diverse. Nelle aule consiliari del Nord e del Centro si conferma la centralità del tema «scuole», in testa alle citazioni al Nord e al Centro. Al Sud, invece, il tema più ricorrente nei verbali dei consigli comunali è quello dei rifiuti.Approfondendo ulteriormente, nel Nord, dopo le scuole, i temi più dibattuti risultano essere il traffico (130 citazioni) e la viabilità (120), a conferma di una forte attenzione alla mobilità urbana. Nel Centro, seguono le scuole i temi della viabilità (16) e dei rifiuti (15). Al Sud, dopo i rifiuti, tornano centrali le scuole (70) e la viabilità (44). LEGGI TUTTO
«Simbolo e nome del M5s sono miei»: Grillo va alla guerra, che cosa rischia Conte
Ascolta la versione audio dell’articoloBeppe Grillo va alla guerra, e questa volta ci va fino in fondo: a circa sei mesi dal voto dell’assemblea costituente del M5s che ha cancellato la figura del Garante e superato l’ultimo tabù grillino, quello del limite del secondo mandato, dalle parti del fondatore si annuncia «a breve» «un’azione legale per riappropriarsi del simbolo e del nome del M5s».La sentenza di Genova del 2021 e la disputa sulla proprietà del marchio M5sDi Grillo si erano perse le tracce da quando, commentando l’esito della votazione che lo aveva “abolito”, aveva dichiarato che «vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio: fatevi un altro simbolo, il movimento è stramorto ma l’humus che c’è dentro no». Ora ci siamo, l’appuntamento è in Tribunale. Ma a chi appartiene davvero il simbolo del movimento nato nel 2009? L’avvocato Lorenzo Borrè, che negli anni scorsi ha rappresentato gli iscritti esclusi dalle votazioni arrivando ad ottenere il famoso “congelamento” degli organi dirigenti da parte del Tribunale di Napoli tra l’estate del 2021 e la primavera del 2022, non ha dubbi: appartiene al fondatore e Garante tramite l’Associazione Movimento 5 Stelle. La riprova arriva dalla Corte d’Appello di Genova, che con la sentenza del 2021 ormai passata in giudicato relativa alla causa n.56/2020 – una delle tante che hanno tempestato la vita del movimento, emessa nel contraddittorio tra M5s del 2009, M5s del 2012 e M5s del 2017, quello oggi presieduto da Conte – «ha detto la parola definitiva sul punto: nome “movimento 5 stelle” e contrassegno originale appartengono esclusivamente a Grillo». Ecco il punto saliente della sentenza della sezione terza civile: «Dirimente in tal senso è la piana lettura dell’art. 3 del Regolamento ivi riportato, ove testualmente si legge che “il nome del Movimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso”… Non vi è dubbio, come già correttamente argomentato dal Giudice di primo grado, che la diversa lettura data dall’appellante a tale disposizione appaia capziosa in quanto intenderebbe scindere l’uso del contrassegno da quello del nome, quando è evidente che i “diritti di uso”, posti alla fine del periodo, non possono che riferirsi tanto al nome quanto al contrassegno».Loading…Il nodo della scrittura privata e della manleva per GrilloC’è poi la questione della manleva. Se il contratto con cui Grillo riceveva dal M5s ben 300mila euro annui per la sua attività di comunicazione è stato rescisso nei mesi scorsi, resta sul tavolo la scrittura provata con cui Grillo si impegna a non promuovere «alcuna contestazione» nei confronti del M5s per quanto riguarda l’uso del nome e del simbolo, anche se in futuro il logo sarà modificato «in tutto o in parte». La contropartita per Grillo – che si impegna anche a «non prestare collaborazione funzionale e/o strutturale ad altre associazioni che hanno quale finalità quella di svolgere attività in contrapposizione e/o concorrenziale» – è appunto la manleva garantita dal movimento che lo solleva dalle conseguenze patrimoniali derivanti da eventuali cause giudiziarie. Certamente l’esistenza di questa scrittura privata, che non ha limite temporale, lega le mani a Grillo. Ma la decisione di andare in Tribunale significa che il fondatore, per una ragione o per l’altra, ha messo in conto di rinunciare alla manleva («le cause ormai sono pochissime», avrebbe confidato nelle scorse settimane ai fedelissimi). E paradossalmente – nota sempre l’avvocato Borrè – tale scrittura privata è la riprova che nome e simbolo appartengono prorio a Grillo: «Se il simbolo fosse del partito di Conte, infatti, perché riconoscere un corrispettivo per la non contestazione del diritto di utilizzo del contrassegno? E siamo proprio sicuri sicuri che il contratto blinda l’associazione? La prima certezza del Diritto, per chi lo pratica, è che non ci sono certezze assolute».Grillo proprietario? Curreri avverte: i partiti non sono marchi aziendaliMateria per gli avvocati ce ne è. Quel che è certo è che si tratta di un percorso lungo e dall’esito incerto: se Grillo può rivendicare la proprietà del simbolo, Conte punta dalla sua sul fatto che la giurisprudenza negli ultimi anni è cambiata e non considera più i simboli dei partiti alla stregua di marchi aziendali ma piuttosto appartenenti per loro natura alla comunità degli iscritti e dei simpatizzanti. Come sostiene il costituzionalista Salvatore Curreri, esperto di diritto dei partiti: «La tendenza a registrare i simboli dei partiti come marchi è contrastata sia a livello ministeriale, perché in contrasto con la normativa vigente in materia di proprietà industriale e potenzialmente elusiva della disciplina sull’uso dei contrassegni elettorali, sia a livello giurisprudenziale, dove si ritiene che il diritto di proprietà individuale sul marchio non può sacrificare integralmente il diritto al suo da parte di un soggetto collettivo come un partito politico». In particolare, spiega ancora Curreri, il Tribunale di Palermo (sezione imprese, ordinanza 4 marzo 2015) ha stabilito che il simbolo di un partito non può essere considerato alla stregua di un marchio d’impresa «perché espressione dell’identità personale del gruppo di individui che si associano per la condivisione di una determinata idea politica. In definitiva, il simbolo di un partito appartiene non ad un soggetto ma alla comunità politica che in esso si riconosce e che in tal senso può agire in sua tutela secondo l’art. 7 del codice civile».I 5 Stelle di Grillo potrebbero scippare a Conte un terzo dei consensiInsomma, sarà un’estate frizzantina. Ad ogni modo se Grillo, alla fine di quella che si prosepetta come una nuova via crucis giudiziaria, non si accontentasse di scippare a Conte il nome e il simbolo ma volesse correre alle politiche sotto le vecchie gloriose insegne, allora le cose per Campo Marzio potrebbero mettersi male. Antonio Noto, all’indomani del voto della costituente, aveva stimato che se ci fossero due partiti, uno di Conte e uno di Grillo, il 30% degli elettori del M5s sceglierebbe il secondo. Vero che in sei mesi ne è passata di acqua sotto i ponti, ma è anche vero che al tempo del sondaggio di Noto la scelta era tra due partiti “generici”: se Grillo si riappropriasse del simbolo e decidesse di correre con qualcuno della vecchia guardia (Toninelli? Raggi?) le conseguenze potrebbero essere ancora più pesanti per Conte. I simboli, si sa, in politica hanno il loro peso. LEGGI TUTTO
ReArm Europe, approvata la mozione di maggioranza. No ai sei documenti presentati dalle opposizioni
Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaL’aula della Camera ha approvato con 144 sì e 105 no la mozione di maggioranza sul tema della difesa europea. Respinti i sei documenti presentati dalle opposizioni. Cinque stelle e Pd si sono reciprocamente astenuti sul voto alle rispettive mozioni. Quella dei pentastellati ha ottenuto 169 no e 51 astensioni. Il gruppo di Avs ha votato a favore. Mentre quella a prima firma Chiara Braga (Pd) ha ottenuto 149 no e 62 astenuti, tra i quali anche i deputati di Avs. Il Pd si è astenuto anche sulla mozione di Azione.La mediazione nella maggioranzaLoading…Nel centrodestra il punto di partenza della Lega era «la ferma opposizione all’attuazione» a ReArm Europe. L’accordo finale è stato trovato con l’impegno del governo «a proseguire nell’opera di rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza nazionale al fine di garantire, alla luce delle minacce attuali e nel quadro della discussione in atto in ambito europeo in ordine alla difesa europea, la piena efficacia dello strumento militare». Nessun riferimento esplicito al concetto di riarmo. Il documento conferma il sostegno a Kiev e l’obiettivo della pace. In una fase successiva, si impegna il governo a favorire «la costituzione di una forza multinazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite». Il governo in Aula ha dato parere favorevole solo a questa mozione, parere contrario ai sei documenti dell’opposizione.Opposizione spaccataTra le mozioni sul piano di riarmo europeo presentate dall’opposizione alla Camera, oltre a quella del M5s che, analogamente ad Avs, chiede esplicitamente di «non proseguire nel sostegno del piano di riarmo europeo ReArm Europe/Readiness 2030», c’è quella del Pd che punta a ”promuovere” una «radicale revisione del piano di riarmo proposto dalla Presidente Von der Leyen» al fine di «assicurare investimenti comuni effettivi non a detrimento delle priorità sociali».Di contro, Più Europa vuole “sostenere il piano ReArm Europe” e Azione intende «partecipare attivamente, in base al piano ReArm Europe e al programma European Defense/Readiness 2030, al percorso di costruzione di un sistema di difesa europea e di progressiva integrazione politica, industriale e militare tra gli Stati membri». Il documento di Italia viva, infine, mira «a promuovere attivamente in sede europea l’attuazione del piano ReArm Europe e a sostenere l’adozione di una strategia industriale europea della difesa ambiziosa, che favorisca l’integrazione, l’innovazione, la competitività e la riduzione delle dipendenze, anche attraverso un massiccio ricorso agli appalti comuni e al potenziamento di strumenti in essere». LEGGI TUTTO
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Nuovo scossone al MiC: si dimette il direttore generale Cinema e Audiovisivo Nicola Borrelli
La resa dei contiLe dimissioni di Borrelli seguono di pochi giorni quelle, altrettanto rumorose, di Chiara Sbarigia dalla presidenza di Cinecittà. La manager ha rivendicato la volontà di concentrarsi sull’Apa (Associazione Produttori Audiovisivi) – peraltro con il rinnovo della presidenza alle porte – e su una possibile guida della Fondazione Maximo. Ma la tempistica, la frase detta solo qualche giorno prima al Sole 24 Ore in cui parlava del doppio incarico (presidenza di Apa e di Cinecittà) come di «un’opportunità» e il retroscena (i presunti dissidi con il ministro Giuli, e le ombre su un consulente che avrebbe proposto moderazioni a pagamento per ammorbidire la stampa) hanno alimentato sospetti e veleni.Un clima avvelenato, insomma, in cui un nodo sarebbe anche la guerra sotterranea che gli addetti ai lavori registrano fra il ministro e la sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, a sua volta accreditata di un legame molto stretto con Chiara Sbarigia. E per questo il passo indietro della ex presidente di Cinecittà è stato anche visto come il risultato di una prova di forza fra ministro e sottosegretaria leghista, senza arrivare a una resa dei conti fra i due che avrebbe potuto risultare fin troppo pesante per i rapporti fra FdI e Lega.Le dimissioni di Borrelli appaiono così come il capitolo finale – o forse solo il nuovo inizio – di una resa dei conti che investe l’intera catena di comando del ministero della Cultura, in una fase delicata, fra progetti internazionali e riforme decisive per il futuro del settore.Il ministro Giuli diserta lo StregaE intanto il ministro Giuli diserta anche il Premio Strega, polemizzando per non aver «ricevuto i libri». Indicazione che ha portato a un’immediata risposta del principale riconoscimento letterario italiano: «I rapporti con il ministro sono sempre stati amichevoli, ci siamo salutati cordialmente in occasione dell’ultimo Salone del libro di Torino. Non gli abbiamo inviato i libri del premio perché chiediamo agli editori di spedirli unicamente alla giuria dello Strega, da cui si è dimesso il giorno stesso della sua nomina al Ministero della Cultura», ha sottolineato il direttore della Fondazione Bellonci, Stefano Petrocchi. «Naturalmente il ministro era tra gli invitati alla serata finale di domani a Villa Giulia, come in precedenza a quella del Premio Strega Poesia lo scorso 9 ottobre, e saremo felici di riaccoglierlo il prossimo anno in occasione della nostra ottantesima edizione. Qualora volesse tornare a far parte anche della giuria del premio ne saremmo ugualmente onorati».Ma fonti del Mic hanno poi subito fatto notare la “sgrammaticatura istituzionale”: «La Fondazione, chissà per quale motivo, non ha pensato né di reinvitare Giuli in veste di ministro a far parte della giuria del premio, né di inviargli i libri della dozzina, o della cinquina dei finalisti in vista della serata conclusiva». LEGGI TUTTO