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La maggioranza ritira l’emendamento per lo stop ai ballottaggi nei comuni?
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaIl blitz in Senato per cambiare la legge elettorale per i Comuni con oltre 15mila abitanti abbassando la soglia al di sotto della quale si va al ballottaggio dal 50% al 40% è già rientrato: l’emendamento firmato dai quattro capigruppo della maggioranza al decreto elezioni sarà ritirato e trasformato in disegno di legge. L’annuncio arriva in serata dagli stessi capogruppo ed evita al presidente meloniano della commissione Affari costituzionali Alberto Balboni il fastidioso compito di dover dichiarare inammissibile l’emendamento. Lo stesso presidente del Senato Ignazio La Russa, interpretando certamente il pensiero del Quirinale, aveva infatti già dichiarato nei giorni scorsi la sua contrarietà allo strumento del decreto: l’articolo 72 della Costituzione, infatti, vieta di intervenire per decreto sulle formule elettorali.Ma se la maggioranza rinuncia al blitz per decreto non rinuncia certo all’obiettivo, ossia quello di rendere i ballottaggi un’ipotesi residuale puntando tutto sul primo turno: chiaro che ad essere penalizzato in questa fase politica è soprattutto il centrosinistra, che fatica a mettere insieme larghe coalizioni ma che poi spesso si ricompone al secondo turno. Un’allergia a tutto campo, quella del centrodestra al ballottaggio, che ha fin qui bloccato anche la messa a punto della legge elettorale per l’elezione del premier facendo finire su un binario morto la stessa riforma costituzionale, visto che il Ddl Casellati giace da mesi in commissione alla Camera dopo il primo via libera del Senato del giugno scorso. L’unico modo per assicurare al premier una maggioranza certa, come recita il testo del Ddl Casellati, è infatti quello di prevedere il ballottaggio tra i primi due arrivati se nessuno raggiunge una certa soglia: la stessa premier Giorgia Meloni è favorevole ad un secondo turno se nessuno raggiunge una certa soglia, individuata appunto nel 40% come quella che si vuole inserire per i Comuni. Ma Forza Italia e soprattutto la Lega di ballottaggio non vogliono neanche sentir parlare, sia esso vero o residuale, e guardano piuttosto al modello delle Regioni dove vige un turno unico con premio di maggioranza. Anche per questo il testo del Ddl Casellati è piuttosto vago sul sistema di voto: «La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, assegnando un premio di base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio». Stop. Non è fissata una soglia al di sopra della quale può scattare il premio per evitare che sia abnorme (la Consulta ha stabilito negli anni scorsi che non può superare il 15%), né quindi viene previsto che cosa accade se nessuno la raggiunge.Loading…Ed è così che in queste ore, quando ancora il confronto all’interno della maggioranza sulla legge elettorale che dovrà sostituire il Rosatellum non è formalmente iniziato, spunta una sorta di “lodo Donzelli”: è il fidato deputato meloniano, infatti, a lanciare l’ipotesi che se nessuno raggiunge il 40% semplicemente il premio non scatta, consegnando una fotografia tutta proporzionale. «Una soglia va certamente messa, visti i noti paletti della Consulta – è il ragionamento che Giovanni Donzelli fa con i suoi -. Se non è possibile inserire il ballottaggio residuale si può lasciare solo il premio sopra il 40%». L’idea di fondo è che il turno unico spingerebbe all’aggregazione dei partiti e dunque al superamento quasi certo della fatidica soglia. Certo, a quel punto occorrerebbe in seconda lettura togliere la parola “garantisca” dal Ddl Casellati.Il “lodo Donzelli” potrebbe sbloccare l’impasse e portare all’approvazione di una riforma elettorale che potrà essere usata già alle prossime politiche anche nel caso in cui la riforma del premierato non fosse nel frattempo entrata in vigore (l’ipotesi al momento più accreditata è che il referendum confermativo si tenga a prossima legislatura già iniziata). Turno unico con l’obbligo di indicare il nome del candidato premier della coalizione sulla scheda elettorale: ce n’è abbastanza per mandare in tilt un centrosinistra non solo diviso e litigioso ma in cui non c’è una premiership riconosciuta da tutti. La segretaria del Pd Elly Schlein, incalzata dal leader 5S Giuseppe Conte, dovrebbe quanto meno sottoporsi al rito pur sempre rischioso delle primarie di coalizione LEGGI TUTTO
Sabato primo contatto Trump-Von Der Leyen, le mosse di Meloni
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaIl piano di un summit fra Donald Trump e i vertici Ue è più vivo che mai nell’agenda di Giorgia Meloni. I funerali di Papa Francesco non possono rappresentare l’occasione giusta, non solo per una questione di forma, ma anche perché sul dossier dazi si registrano ancora distanze che non consentono di parlare di cornici di intesa. Ma ai piani alti del governo sono convinti che ci siano i margini almeno per una stretta di mano tra il presidente americano e Ursula von der Leyen e Antonio Costa, se non anche per brevi colloqui distensivi. O, nella migliore delle ipotesi, per fissare la data di un nuovo incontro ufficiale, magari tra maggio e giugno, un traguardo entro il quale provare ad accelerare l’iter verso un accordo commerciale a dazi-zero tra le due sponde dell’Atlantico.Ipotesi bilaterali a margine dei funerali del PapaDietro le quinte in questi giorni “continuano” i “contatti tecnici” con gli Usa sul tema dazi, fanno sapere dalla Commissione Ue. A Bruxelles un possibile vertice politico con la controparte è considerata “una buona idea”, ma solo “una volta che sarà raggiunto un accordo nella sostanza”. Lo staff di von der Leyen non ha escluso poi bilaterali a margine delle esequie del Pontefice.Loading…Il gelo tra Washington e BruxellesIn questo scenario, la macchina diplomatica a Roma è avviata, anche se i tempi saranno stretti. Perché Trump (con la moglie Melania) partirà venerdì mattina, per arrivare tra la tarda serata e la notte italiana e tornare negli Stati Uniti sabato. Gli occhi saranno puntati su lui e von der Leyen. Perché l’ultimo incontro tra i due è datato. E i primi mesi del secondo mandato del tycoon alla Casa Bianca sono stati contraddistinti dal gelo fra Washington e Bruxelles, fra gli affondi dell’Amministrazione americana contro l’Europa, la strategia di Trump sull’Ucraina e le sue mosse protezionistiche.Il ruolo di MeloniMeloni conta di esercitare il ruolo da facilitatrice dei rapporti Usa-Ue consacrato dalla sua visita a Washington. L’ottimismo del presidente americano sull’accordo con l’Europa e l’invito accettato per una visita ufficiale a Roma, con la promessa di considerare un incontro con i vertici Ue, hanno dato sostanza alla strategia di Meloni. Intanto l’addio al Papa riunirà circa duecento potenti del mondo, un’occasione che molti provano a paragonare con la riapertura di Notre-Dame, quando quattro mesi fa al padrone di casa Emmanuel Macron riuscì il colpo diplomatico della stretta di mano fra il presidente americano e quello ucraino Volodymyr Zelensky (anche lui atteso a Roma).La sede del verticeNei prossimi giorni la premier si ritroverà nella Capitale i protagonisti di questa complessa partita geopolitica, inclusi molti leader europei. Fra di loro anche alcuni, Macron incluso, che storcono il naso di fronte all’ipotesi di Roma come sede di un summit Usa-Ue, che sul fronte europeo è comunque di competenza di Costa, in quanto presidente del Consiglio. C’è chi spinge per Bruxelles, chi per la Polonia, che ha la presidenza di turno. Per Meloni potrebbe essere anche un compromesso accettabile: l’obiettivo diplomatico prioritario in questo momento è avvicinare Stati Uniti ed Europa, e portarli a condividere la data di un summit, creando condizioni negoziali per avvicinare un’intesa. Molti leader saranno già a Roma alla vigilia delle esequie. Non a caso, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto anticipare le celebrazioni per la Festa della Liberazione, dalle 16 alle 12, per poter eventualmente ricevere venerdì pomeriggio a Roma dei capi di Stato e di governo LEGGI TUTTO
Denatalità, senza politiche perdiamo il 9% del Pil. Bonetti: «Agire subito»
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di lettura«La situazione è a dir poco drammatica: l’indice di fertilità è dell’1,2, tra più i bassi d’Europa e tra i più bassi a livello mondiale. Siamo scesi sotto i 400mila nati a fronte di più di 500mila nel 2013. Avanti così e il rapporto tra la popolazione in età lavorativa e quella in età non lavorativa, che oggi è di 3 a 2, sarà di 1 a 1 nel 2050. E, come ha sottolineato Bankitalia con Andrea Brandolini, se i tassi di partecipazione al lavoro restassero quelli attuali il Pil calerebbe di 9 punti percentuali in 25 anni».La presidente di Azione Elena Bonetti, eletta a febbraio scorso con voto unanime presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli “effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto”, rilancia l’allarme contro il declino demografico dopo che si è chiuso, con Bankitalia, il primo importante ciclo di audizioni che ha visto tra i protagonisti anche il Cnel e l’Istat. «Il quadro che emerge richiede urgentemente l’intervento di politiche pubbliche nel breve, nel medio e nel lungo periodo – dice -: queste prime audizioni hanno messo in evidenza che il nostro Paese si trova in una condizione di non sostenibilità economica e sociale per una duplicità di presenza di effetti: da un lato il calo delle nascite, dall’altro lato una longevità della popolazione che in sé è un fatto positivo ma che provoca potenzialmente un aumento della spesa pubblica per l’assistenza sociosanitaria e le pensioni. Il compito della commissione da me presieduta è intanto dare una sistematicità a questi dati. Va poi introdotta anche una prospettiva di valutazione delle politiche pubbliche».Loading…La propostaBonetti insiste molto sulla necessità di introdurre principi di valutazione di impatto ex ante, in fieri ed ex post delle politiche pubbliche contro il declino demografico già nella legge di revisione della contabilità dello Stato. Le politiche su questo fronte, infatti, hanno giocoforza effetto nel lungo periodo: anche se aumentasse improvvisamente la fertilità, come ha sottolineato Bankitalia in audizione, bisognerebbe attendere circa 25 anni per vedere i primi impatti sul mercato del lavoro. «Da qui la necessità di investire sulla formazione continua dei lavoratori per aumentare la produttività e di attivare politiche migratorie più legate alle esigenze delle imprese. Tutti gli auditi hanno sottolineato che l’immigrazione, qualificata e formata, è indispensabile per la sostenibilità del sistema. Ma il nodo principale resta quello delle donne», ricorda Bonetti.«Servono politiche di incentivi che portino ad un aumento della capacità salariale delle donne»Anche Bankitalia ha sottolineato che almeno dagli anni Ottanta sono proprio le lavoratrici a fare più figli: aumentare un tasso di partecipazione femminile che ora è poco sopra il 50% resta la priorità, soprattutto al Sud. Ma non basta fermarsi alla partecipazione, avverte Bonetti. «Oggi avere un figlio ha di fatto un effetto di penalizzazione salariale e troppo spesso anche di abbandono del lavoro – dice -. Per questo bisogna insistere su politiche di incentivi che portino ad un aumento della capacità salariale delle donne, della loro promozione di carriera. Ma occorre anche promuovere servizi territoriali che rendano del tutto compatibile la scelta di maternità accanto a quella lavorativa. A partire dagli asili nido, che rischiano di essere un obiettivo mancato del Pnrr. Bankitalia ha anche ricordato che noi dobbiamo crescere nella gestione paritaria a livello familiare: dare solo alle donne congedi per rimanere a casa ha un effetto negativo sulle donne e, mi permetto di dire, anche sui costi delle imprese».Insomma, agire presto è la parola d’ordine, di fronte alla prospettiva di recessione delineata da Bankitalia. «Non ce lo possiamo permettere», conclude Bonetti. LEGGI TUTTO
Migranti con polsi legati, ministro Piantedosi: “Tutto regolare”
Il trasferimento di alcuni migranti in Albania con i polsi legati rientra “nelle procedure che adottano in piena autonomia gli operatori” ed è avvenuto in “piena regolarità e conformità” alle prescrizioni. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, rispondendo alla domanda di un giornalista nel corso della conferenza stampa sui lavori di Med5 a Napoli. È una procedura per garantire la sicurezza “che condivido”, ha aggiunto il ministro, perché “si tratta di persone che sono state trasferite in limitazione della libertà personale anche per effetto di provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria”. “Non va ignorato – ha detto ancora Piantedosi – che tra le persone trasferite ci sono 5 casi di condanna per violenza sessuale, un caso di tentato omicidio, reati contro patrimonio, furti, resistenza a pubblico ufficiale”.
La polemica
“Scendevano ammanettati”: così Cecilia Strada, europarlamentare del Pd, aveva raccontato ieri la visita istituzionale fatta al porto di Shengjin, in Albania, dove era arrivata nel pomeriggio la nave Libra della Marina Militare con a bordo i 40 migranti trasferiti dai Cpr italiani e poi accompagnati al centro di Gjader, a pochi chilometri di distanza. “Ci hanno spiegato che sono state impiegate delle fascette per motivi di sicurezza – aveva precisato successivamente Strada – per l’incolumità delle persone e per evitare autolesionismo e disordini a bordo”. Risponde oggi il ministro dell’Interno Piantedosi. “Condurli senza alcuna limitazione alla libertà di movimento”, ha affermato il titolare del Viminale “avrebbe significato esporre il personale di accompagnamento” a dei rischi. E per scongiurarli si sarebbe dovuto “quadruplicare il numero delle persone in attività di accompagnamento, impiegare almeno un’altra nave e fare un trasferimento molto costoso. Qualcuno ci avrebbe accusato di spendere molti soldi”. LEGGI TUTTO
Meloni: i dazi Usa una scelta sbagliata ma non è una catastrofe. Orsini: no al panico, reagiamo uniti in Europa
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di lettura«Penso che la scelta degli Stati Uniti sia una scelta sbagliata, che non favorisce né l’economia europea né quella americana, ma penso anche che non dobbiamo alimentare l’allarmismo che sto sentendo in queste ore. Il mercato degli Stati Uniti è un mercato importante per le esportazioni italiane, vale alla fine il 10% del complessivo delle nostre esportazioni e noi non smetteremo di esportare negli Stati Uniti. Significa che ovviamente abbiamo un altro problema che dobbiamo risolvere, ma non è la catastrofe che insomma, alcuni stanno raccontando». A dirlo è la premier Giorgia Meloni in un’intervista al Tg1.«Bisogna ovviamente condividere le nostre proposte con i partner europei – ha proseguiti Meloni -. Qui sì ci sono scelte che possono essere diverse. Ad esempio, io non sono convinta che la scelta migliore sia quella di rispondere a dazi con altri dazi, perché l’impatto potrebbe essere maggiore sulla nostra economia rispetto a quello che accade fuori dai nostri confini. E bisogna aprire una discussione franca, nel merito, con gli americani con l’obiettivo dal mio punto di vista di arrivare a rimuovere i dazi, non a moltiplicarli».Loading…La presidente del Consiglio ha poi fatto sapere: «Stiamo facendo e dobbiamo fare uno studio sull’impatto reale che settore per settore ha questa scelta» dei dazi americani: «Ci confronteremo la settimana prossima con i rappresentanti delle categorie produttive per confrontare anche con le stime che hanno loro, cercare le soluzioni migliori».Orsini: no al panico, dobbiamo reagire uniti in Europa Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini al Tg1 ha detto: «Non ci dobbiamo far prendere dal panico e dobbiamo reagire tutti uniti compatti in Europa per negoziare con gli Stati Uniti». «Il valore stimato dal rapporto presentato ieri dal nostro centro studi è una perdita per le imprese italiane tra i 7 e i 14 miliardi, che è equivalente allo 0,3-0,5% del Pil», spiega. E avverte: «Il rischio di perdere posti di lavoro e di delocalizzazione esiste, pertanto serve, da subito, fare tutto per mantenere le nostre imprese in Italia». E «serve un piano strategico di investimenti e innovazione per le imprese, serve abbassare il costo dell’energia che è un gap competitivo anche verso i Paesi europei, aprire nuovi mercati da subito come il Mercosur e l’India e liberare l’Europa dalla burocrazia. Penso, ad esempio – dice ancora il leader degli industriali -, ai dazi imposti all’auto ieri del 25% che ci obbligano, da subito, a eliminare le sanzioni e a rivedere tutti gli obiettivi del green deal». LEGGI TUTTO