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Fabrizio Corona: “La serie su Yara? Bossetti è convinto di essere un attore” | Ecco quanto gli avrebbe dato Netflix
“Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”, la docu-serie uscita su Netflix il 16 luglio scorso, resta tuttora nella top ten delle serie più viste sulla piattaforma di streaming online. Fabrizio Corona: “La serie su Yara? Bossetti è convinto di essere un attore” | Ecco quanto gli avrebbe dato Netflix – Nanopress.itSulla messa in onda del documentario è intervenuto anche Fabrizio Corona. L’ex re dei paparazzi ha commentato l’intervista a Massimo Bossetti, il muratore di Mapello condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, e la scelta di pubblicare gli audio dei genitori di Yara, che nel corso di questi anni si sono sempre tenuti lontani da telecamere e sguardi indiscreti di giornalisti e televisione.“Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”: la serie dei record su NetflixNon era molto difficile immaginare, anche prima della sua uscita, che la serie riguardante l’omicidio di Yara Gambirasio sarebbe stata un successo di ascolti. La docu-serie resta, a tre settimane dalla sua uscita sulla piattaforma di streaming online, nella top ten delle più viste. Un risultato che era facilmente immaginabile visto quanta attenzione ha attirato su di sé l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, la ginnasta 13enne di Brembate di Sopra, uccisa il 26 novembre del 2010, mentre rientrava a casa, dopo essere stata nella palestra in cui si allenava. La docu-serie su Yara – Nanopress.itIl corpo di Yara fu ritrovato soltanto nel febbraio dell’anno seguente, quando un aeromodellista rinvenne quello che restava della giovane ginnasta in un campo abbandonato di Chignolo d’Isola.Le parole di Fabrizio CoronaLa serie ha suscitato molto interesse e ha generato diverse reazioni, tra cui quella di Fabrizio Corona. Durante un’intervista al podcast MondoCash, Fabrizio Corona ha espresso il suo disappunto per la scelta di Netflix di pubblicare gli audio privati dei genitori di Yara, considerandola una forma di sciacallaggio e strumentalizzazione del dolore. Inoltre, ha criticato Massimo Bossetti, l’ex muratore condannato per l’omicidio di Yara, per il suo comportamento nella serie, affermando che si comporta come un attore e che sarebbe stato pagato profumatamente per la sua partecipazione. Netflix potrebbe aver sborsato 50mila euro per far comparire, l’ormai ex muratore di Mapello, nella docu-serie, ha detto Corona ai microfoni di MondoCash.La serie, diretta da Gianluca Neri, si compone di cinque episodi. Come sempre, c’è chi si è schierato a difesa di Massimo Bossetti, che ha sempre ribadito la sua innocenza e la completa estraneità ai fatti, e chi ha continuato a credere che a uccidere la piccola Yara sia stato proprio il muratore di Mapello. LEGGI TUTTO
Decadenza Todde: per la Procura di Cagliari ordinanza da annullare e sanzione da 40mila euro da rideterminare
Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaIl rischio decadenza si allontana dall’orizzonte della presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde, ma resta la sanzione pecuniaria, anche se dovrà essere rideterminata. C’è una svolta sul caso della governatrice destinataria di un’ordinanza ingiunzione di decadenza emanata dal Collegio regionale di garanzia (e trasmessa al Consiglio regionale) che prevedeva, tra l’altro, anche una sanzione da 40 mila euro per presunte irregolarità nella rendicontazione delle spese elettorali.Le conclusioni della ProcuraPer la Procura di Cagliari il decreto del Collegio regionale di garanzia elettorale è da annullare nella parte relativa alla decadenza, mentre è da confermare la sanzione pecuniaria nella misura inferiore «che il Tribunale vorrà determinare».Loading…«La richiesta – dice Benedetto Ballero, legale del pool difensivo della presidente della Regione Alessandra Todde – è contenuta nelle conclusioni depositate proprio oggi, a fine mattina, dalla Procura che chiede di annullare il decreto del collegio regionale di garanzia per la parte relativa alla sanzione sulla decadenza e confermare la sanzione pecuniaria nella misura inferiore che il collegio vorrà determinare».Le contestazioniIl collegio regionale di garanzia aveva contestato alla governatrice irregolarità nella rendicontazione delle spese della campagna per il voto del febbraio 2024.Atti impugnati e ricorsoL’ordinanza ingiunzione di decadenza, dopo essere stata notificata alla presidente della Regione era stata trasmessa al Consiglio regionale che, però, aveva rinviato ogni decisione in attesa di un pronunciamento definitivo. A seguire, l’impugnazione dell’atto. Il ricorso al Tribunale civile con la prima udienza lo scorso marzo. Poi la decisione di rinviare al 22 maggio. Prossime date, come sottolinea l’avvocato Ballero, il 2 maggio per «nostre conclusioni» e poi il 12 maggio per «memorie difensive». «Nell’udienza del 22 maggio – aggiunge – i giudici decideranno anche della costituzione in giudizio per tutti i ricorsi, sia quelli ad opponendum sia ad adiuvandum». LEGGI TUTTO
25 aprile, Mattarella a Genova: “No a democrazia a bassa intensità”. IL DISCORSO
Celebriamo oggi qui, a Genova, l’ottantesimo anniversario della liberazione dalla dittatura fascista e dalla occupazione nazista. Una regione, la Liguria che, ricca di virtù patriottiche, tanto ha contribuito alla conquista della libertà del nostro popolo. Rendiamo onore alle popolazioni che seppero essere protagoniste nel sostenere e affiancare i partigiani delle montagne e delle città.
Dalla città di Genova, Medaglia d’oro al valor militare per la lotta di Liberazione che – recita la motivazione – ”piegata la tracotanza nemica otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l’onore”, alla città di Savona, Medaglia d’oro, insignita per “l’ostinazione a non subire la vergogna della tirannide”, alle Province di Imperia e di La Spezia, anch’esse Medaglie d’oro. Così come alle Città di La Spezia e di Albenga, alla Provincia di Genova, insignite di Medaglia d’oro al valor civile per la Resistenza. Alle Croci di guerra assegnate, con la stessa motivazione, ai Comuni di Rossiglione, San Colombano Certenoli in val Cichero, Zignago, Albenga.
Dalla Liguria è venuta allora una forte lezione sulla moralità della Resistenza, sulle ragioni di fondo che si opponevano al dominio dell’uomo sull’uomo, si opponevano a un conflitto nato non per difendere la propria comunità ma come aggressione alla libertà di altri popoli. Assumendo comportamenti elementari di rispetto e di solidarietà i partigiani si uniformavano a quel Codice di Cichero, che faceva sì che, nelle formazioni, il capo dovesse mangiare per ultimo, potesse addormentarsi solo una volta accertato personalmente che tutto funzionasse e fosse in ordine, avesse i turni di guardia più gravosi, che non si bestemmiasse, che non si molestassero le donne, che non si requisisse senza pagare il dovuto, che si dovesse dividere con gli altri qualunque cosa si ricevesse.
Fraternità. Un’esperienza che ha tratto ispirazione da una figura, quella di Aldo Gastaldi, il partigiano “Bisagno”, comandante della Divisione Garibaldi-Cichero, protagonista di un impegno per la Patria, la giustizia, la libertà, considerato come servizio d’amore, oltre che esercizio di responsabilità. Morto drammaticamente un mese dopo la Liberazione, Medaglia d’oro al valor militare, la Chiesa di Genova ha determinato di dare avvio al processo canonico di beatificazione di questo Servo di Dio.
Poc’anzi, al cimitero di Staglieno, ho reso omaggio ai caduti del movimento della Resistenza e, con loro, ho reso idealmente omaggio alle figure dei patrioti dei due Risorgimenti che in esso sono ospitati. Nel 1945 l’Italia si univa nuovamente – Sud e Nord – dopo che quest’ultimo era stato separato e trattenuto in ostaggio dai nazisti e dalla Repubblica di Salò. Tante le sofferenze e i caratteri originali della Resistenza ligure, solidamente collegata ai centri di Torino e di Milano e destinata, come essi, a soffrire sino in fondo la barbarie nazista e fascista. Con le stragi della Pasqua di sangue del 1944 alla Benedicta, di Fontanafredda di Masone, all’Olivetta di Portofino, a Costa Binella di Testico, alla Foce del Centa di Albenga, a Molini di Triora, Torre Paponi di Pietrabruna ove due sacerdoti vennero arsi vivi, a Ressora di Arcola.
Qui si sviluppa la maturazione politica di patrioti che sanno assumere, accanto alle operazioni militari di sabotaggio e di contrasto alle forze di occupazione, responsabilità di governo. Qui si collocano anelli di quell’arco di esperienze di “zone libere” che confermano la presenza sul territorio delle formazioni partigiane e la stretta relazione con le popolazioni. Qui, con la libera Repubblica di Pigna e di Triora nell’Imperiese, di Torriglia nel Genovese, della Repubblica del Vara in Alta Val di Vara nello Spezzino, emerge la dimostrazione della estraneità tra regime e popolazioni.
Questo si manifestava nelle vallate, e trovava conferma nelle città dalle quali migliaia di donne e uomini vennero ignobilmente avviate al lavoro coatto in Germania, alla deportazione verso il lager di Mauthausen. E la fabbrica, le fabbriche, si manifestarono, una volta di più, luoghi di solidarietà, scuole di democrazia, con la crescita di coscienza sindacale, e la costituzione delle squadre di difesa operaia. Con gli scioperi nel Savonese e nello Spezzino alla fine del 1943 e nel 1944, che conferirono una forte spinta all’allargamento del consenso verso il movimento partigiano. Gli scioperi a Genova del 1943 sino al giugno del 1944, sino allo sciopero insurrezionale del 1945.
Il crollo del fronte interno del regime si manifestava giorno dopo giorno. Il Bando Graziani per l’arruolamento nei reparti fascisti aveva dato un involontario contributo ai partigiani: posti di fronte al dilemma o repubblichini o in fuga, molti giovani sceglievano la strada della montagna, superando ogni attendismo. I partigiani facevano terra bruciata dei tentativi repubblichini di organizzazione amministrativa: bruciare i registri anagrafici della Rsi impediva, di fatto, sia le requisizioni dei beni dei cittadini, sia i tentativi di coscrizione obbligatoria. Da taluno si è argomentato come il contributo “militare” recato dalla Resistenza non sia stato decisivo per il crollo della Linea Gotica costruita dai tedeschi per ostacolare la risalita della penisola da parte degli Alleati e del Corpo Italiano di Liberazione. Al contrario, come è noto, e il 1944 lo ebbe a dimostrare, le forze dell’Asse in campo avevano difficoltà a presidiare, allo stesso tempo, le aree verso le quali premevano le forze alleate e le zone interne sempre più nelle mani della Resistenza. Veniva ascoltato l’ammonimento rivolto da Giuseppe Mazzini ai tanti che, all’epoca, confidavano nell’intervento d’oltralpe: “più che la servitù, temo la libertà recata in dono”.
La aspirazione profonda del popolo italiano, dopo le guerre del fascismo, era la pace. Il regime aveva reso costume degli italiani la guerra come condizione normale: non la guerra per la vita ma la vita per la guerra. La Resistenza si pose l’obiettivo di raggiungere la pace come condizione normale delle relazioni fra popoli. In gioco erano le ragioni della vita contro l’esaltazione del culto della morte, posto come disperata consegna dalle bande repubblichine. La Resistenza cresceva in tutti i Paesi europei sotto dominazione nazista. Si faceva strada, dalla causa comune, la solidarietà, in grado di superare le eredità delle recenti vicende belliche.
Anche dalle diverse Resistenze nacque l’idea dell’Europa dei popoli, oggi incarnata dalla sovranità popolare espressa dal Parlamento di Strasburgo. Furono esponenti antifascisti coloro che elaborarono l’idea d’Europa unita, contro la tragedia dei nazionalismi che avevano scatenato le guerre civili europee. Un nome per tutti qui a Genova, quello di Luciano Bolis, esponente del Partito d’Azione, orrendamente torturato dalle Brigate nere nel febbraio 1945, miracolosamente sopravvissuto. Medaglia d’argento al valor militare, riposa ora a Ventotene, accanto ad Altiero Spinelli.
Difendere la libertà dei popoli europei è compito condiviso. Ora, l’eguaglianza, la affermazione dello Stato di diritto, la cooperazione, la stessa libertà e la stessa democrazia, sono divenuti beni comuni dei popoli europei da tutelare da parte di tutti i contraenti del patto dell’Unione Europea. La libertà delle diverse Patrie è divenuta la liberazione dell’Europa da chi pretendeva di sottometterla. E fu una lotta così vera da coinvolgere anche persone che i nazisti pretendevano opporre ai partigiani. La solidarietà internazionale si misurò sulle montagne liguri come altrove con l’apporto recato dai tanti che, venuti da patrie lontane, si erano uniti alla Resistenza.
Desidero richiamare la figura del partigiano “Fiodor”, (Fiodor Andrianovic Poletaev), ucciso nella battaglia di Cantalupo il 2 febbraio 1945. A lui, giunto dalla Russia, la Repubblica Italiana ha voluto conferire la Medaglia d’oro al valor militare. Una strada di Genova reca il suo nome. La vita democratica, come si è constatato, cresceva nel carattere proprio alle forze antifasciste genovesi che, accanto alla presenza a di cinque partiti nei CLN del Nord Itali (azionisti, comunisti, democristiani, liberali, socialisti) annoverava una sesta forza politica, il partito mazziniano repubblicano. Questione del tutto peculiare, per dirimere la quale, dal CLNAI, venne inviato Sandro Pertini, settimo Presidente della nostra Repubblica. Oggi, nella sua regione, ne vogliamo onorare la memoria. La sua figura induce a ricordare che la partecipazione politica è questione che contraddistingue la nostra democrazia. E’ l’esercizio democratico che sostanzia la nostra libertà.
Da questi principi fondativi viene un appello: non possiamo arrenderci all’assenteismo dei cittadini dalla cosa pubblica, all’astensionismo degli elettori, a una democrazia a bassa intensità. Anche per rispettare i sacrifici che il nostro popolo ha dovuto sopportare per tornare a essere cittadini, titolari di diritti di libertà. Il rovinio del posticcio regime di Salò, la progressiva sconfitta del nazismo apparivano ormai irreversibili e a Genova, importante bastione industriale, si posero le condizioni dell’insurrezione e, come abbiamo ascoltato, un esercito agguerrito si arrendeva al popolo.
Ridurre le forze tedesche a trattare con i partigiani non fu facile. Preziosa fu la mediazione dell’Arcivescovo di Genova, il Cardinale Pietro Boetto – dichiarato “giusto fra le nazioni” per il soccorso prestato agli ebrei – per giungere a siglare la resa del comando tedesco nella sua residenza di Villa Migone, tra il generale Meinhold e il presidente del CLN Remo Scappini (“Giovanni”). Sarebbe toccato al partigiano Pittaluga – Paolo Emilio Taviani – annunciare la mattina seguente: Genova è libera. Il generale Meinhold – condannato a morte da Hitler come traditore – avrebbe poi scritto: “era la sorte della città e, quello che più contava la vita di migliaia di persone da tutte e due le parti che doveva starci a cuore…. La mia coscienza mi vietava di sacrificare ancora un sol uomo”. Il rischio che Genova finisse distrutta come Varsavia era sventato.
Si apriva la stagione dei diritti umani delle persone e dei popoli, per prevenire i conflitti, per affermare che la dignità delle persone non si esaurisce entro i confini dello Stato del quale sono cittadini. Non ci può essere pace soltanto per alcuni. Benessere per pochi, lasciando miseria, fame, sottosviluppo, guerre, agli altri. E’ la grande lezione che ci ha consegnato Papa Francesco. Nella sua “Fratelli tutti”, ci ha esortato a superare “conflitti anacronistici” ricordandoci che “ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte…Non è possibile accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel passato e fermarsi, e goderlo come se tale situazione ci facesse ignorare che molti nostri fratelli soffrono ancora situazioni di ingiustizia che ci interpellano tutti”.
Ecco perché è sempre tempo di Resistenza, ecco perché sono sempre attuali i valori che l’hanno ispirata. A Genova si espresse e si affermò il respiro della libertà. Un’anima che non sarebbe mai stata tradita. Un patto, un impegno, che non sarebbero venuti meno neppure quando, negli anni ‘70, il terrorismo tentò di aggredire le basi della nostra convivenza democratica. E dalle fabbriche venne una risposta coraggiosa, esigente, che si riassume nel nome di Guido Rossa. La sua testimonianza appartiene a quei valori di integrità e coraggio delle persone che, anche qui, edificarono la Repubblica. Viva la Liguria partigiana, viva la libertà, viva la Repubblica. LEGGI TUTTO
Diciannovenne morta mentre faceva rafting sul fiume Lao, chiesti due rinvii a giudizio
La vittima, Denise Galatà, stava partecipando a un’escursione con i suoi compagni di classe, quando finì in acqua. Il corpo della diciannovenne fu recuperato il giorno seguente.Diciannovenne morta mentre fa rafting – Nanopress.itL’inchiesta ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di decine di persone, ma la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per due di loro.Diciannovenne morta mentre faceva rafting sul fiume Lao, chiesti due rinvii a giudizioLa Procura della Repubblica di Castrovillari ha richiesto il rinvio a giudizio per due persone in relazione alla morte di Denise Galatà, la studentessa diciannovenne dell’Istituto “Rechichi” di Polistena (Reggio Calabria). Denise perse la vita il 30 maggio 2023 mentre partecipava a un’escursione di rafting sul fiume Lao a Laino Borgo (Cosenza). I due imputati sono il presidente del consiglio direttivo della società di rafting e l’istruttore che guidava il gommone su cui si trovava la giovane vittima. L’accusa per entrambi è di omicidio colposo. L’udienza preliminare si terrà davanti al Gip di Castrovillari, competente per il territorio. Nel pomeriggio del 30 maggio 2023, mentre gli altri partecipanti stavano tornando, scattò l’allarme per la scomparsa di Denise in acqua. Il suo corpo senza vita fu recuperato soltanto il giorno seguente, nonostante le ricerche fossero andate avanti per tutta la notte. L’inchiesta portò all’iscrizione nel registro degli indagati di dieci persone, tra cui il sindaco di Laino Borgo, Mariangelina Russo. Furono sequestrati la struttura di rafting e tutti i gommoni e le attrezzature utilizzate durante l’escursione.Le ricerche di Denise Galatà – Nanopress.itSecondo la Procura di Castrovillari, il presidente del consiglio direttivo avrebbe violato il divieto di entrare nel fiume Lao, stabilito da un’ordinanza comunale emessa a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Inoltre, la guida non avrebbe avuto le qualifiche necessarie per affrontare il terzo grado di difficoltà del corso d’acqua, che presentava passaggi di quarto grado. L’equipaggiamento del gommone sarebbe stato inadeguato, e le ragazze a bordo, nonostante la loro inesperienza ed esilità, sarebbero cadute più volte durante la discesa prima dell’evento fatale per Denise. La guida avrebbe anche sottovalutato le criticità della discesa in acqua, come riferisce l’Ansa, continuando la navigazione e affrontando il tratto critico del fiume Lao senza fermarsi, nonostante la ragazza fosse caduta in acqua e non fosse più riemersa. LEGGI TUTTO
Omicidio Sofia Stefani, il gip: «Giampiero Gualandi voleva ucciderla, ha simulato l’incidente»
Secondo il giudice per le indagini preliminari, Giampiero Gualandi avrebbe volontariamente ucciso l’ex vigilessa Sofia Stefani, con cui pare avesse una relazione extraconiugale, che andava avanti da diversi mesi. Sofia Stefani, il gip: «Giampiero Gualandi voleva ucciderla» – Nanopress.itDalle prime indagini sarebbe emerso che la vittima non volesse troncare il rapporto, cosa che invece desiderava fare Gualandi, come confermato i messaggi inviati dall’ex comandante dei vigili alla donna. Il giorno del delitto risultano quindici telefonate partite dal cellulare della vittima verso quello di Gualandi. Secondo il gip, che ha confermato la detenzione per l’ex capo dei vigili urbani, esiste una spiccata pericolosità sociale e il rischio di reiterazione del reato da parte dell’indagato. Omicidio Sofia Stefani, secondo il gip Gualandi voleva ucciderlaNessun incidente. Secondo la ricostruzione fatta dal giudice Domenico Truppa, quando Sofia Stefani e Giampiero Gualandi si sono chiusi in stanza al comando della polizia locale di Anzola, lo scorso 16 maggio, l’uomo aveva già in mente l’omicidio. La discussione tra i due, tra cui pare ci fosse una relazione sentimentale che andava avanti da alcuni mesi, sarebbe stata scatenata dalla volontà della vittima di continuare la storia, mentre Gualandi era esasperato e logorato dalla presenza della donna nella sua vita, tanto da voler chiudere tutti i ponti con lei. A confermarlo i messaggi scoperti sul cellulare dell’uomo.Secondo il gip, che ha confermato la detenzione per l’ex capo dei vigili urbani, esiste una spiccata pericolosità sociale e il rischio di reiterazione del reato da parte dell’indagato. La ricostruzione del delittoStando a quanto ricostruito finora, Gualandi avrebbe pianificato l’azione omicida. Quella mattina ha ritirato la pistola dall’armeria e recuperato la scatola per la pulizia, predisponendo una linea di difesa. Quando Sofia Stefani è arrivata in ufficio, Gualandi l’ha uccisa e ha raccontato che il colpo era partito per sbaglio. A quel punto ha allertato il 118, per chiedereI messaggi tra i due nei giorni precedenti al delitto avrebbero confermato le intenzioni di Gualandi. La mattina in cui l’ex vigilessa è stata uccisa, dal cellulare della vittima sono state effettuate quindici chiamate a quello dell’indagato. Gualandi avrebbe premuto il grilletto per “chiudere definitivamente i conti con una persona che lo ossessionava da alcuni mesi in maniera incessante”. Intanto, mentre prende il via l’esame autoptico sul corpo della vittima, il legale di Giampiero Gualandi ha già annunciato che, la prossima settimana, verrà depositato il ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere la scarcerazione del suo assistito o la misura degli arresti domiciliari. LEGGI TUTTO
POLITICA
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