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Adozione embrioni congelati, Ministra Roccella: “Entro un mese il ddl”
La ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, ha confermato quanto anticipato al quotidiano la Verità: entro un mese sarà pronto il disegno di legge sull’adozione degli embrioni crioconservati in stato di abbandono. Insieme alla Roccella stanno lavorando al testo il ministro della Salute Orazio Schillaci e alla Giustizia Carlo Nordio. “Seguiremo la legge sulle adozioni – ha detto la ministra su Rai Radio1 -. Cercheremo di fare una legge in cui assimiliamo l’adozione dell’embrione all’adozione di un bambino. Seguendo, più o meno, la stessa procedura, con tutte le cautele del caso”.
“Situazione assurda e inquietante”
“Ci siamo posti il problema, perché è una situazione assurda e un po’ inquietante – ha detto ancora Roccella -. Questi embrioni crioconservati, che non hanno nessun criterio di morte, se conservati correttamente possono sopravvivere per sempre. Questo limbo in cui si trovano va sanato, anche perché’ sono tantissimi, non abbiamo neanche cifre precise, perché la crioconservazione attiene ai singoli centri ed è complicato avere una nozione precisa su quanti siano”. La ministra ha rilevato che “la situazione è molto complessa, la legge è molto delicata, non trattiamo cellule e tessuti, come qualcuno ha detto, trattiamo embrioni, ovuli già fecondati, cioè possibili bambini. Ci sono tanti problemi, il primo è costituire con certezza lo stato di abbandono dell’embrione. Ci siamo posti il tema, visto che il problema delle adozioni ora si è molto intensificato, perché i bambini adottabili sono sempre meno e anche le adozioni internazionali sono sempre meno, perché gli Stati, con la crisi demografica, tendono a considerare i bambini come un ‘bene’ demografico, oltre al fatto che ci sono anche condizioni geopolitiche difficili per cui alcuni stati hanno chiuso, per motivi di conflitti, questa strada”. LEGGI TUTTO
Dramma a Chioggia, aggredisce l’ex fidanzata: la donna lo denuncia e lui si toglie la vita
La donna è stata trasferita d’urgenza in ospedale, ma non sarebbe in pericolo di vita. La vittima e il suo ex fidanzato lavoravano entrambi per la stessa ditta, la Veritas, società che gestisce i rifiuti.Donna aggredita a Chioggia – Nanopress.itLa vittima lo aveva denunciato ai carabinieri. Scoperto il fatto, l’uomo – un 50enne di Noale – si è tolto la vita. Il suicidio risalirebbe a un paio di giorni fa. Dramma a Chioggia: 50enne si suicida dopo essere stato denunciato dall’ex fidanzataHa aggredito la sua ex fidanzata, così lei ha sporto denuncia ai carabinieri. Quando lui ha scoperto di essere stato denunciato, ha deciso di farla finita. La vittima del tentato omicidio è una donna di 35 anni, che è ricoverata all’ospedale dell’Angelo, ma non è in pericolo di vita. L’uomo, un 50enne di Nole, è stato trovato senza vita nella sua abitazione a Noale. Il suicidio risalirebbe a un paio di giorni fa.I due avevano avuto una relazione che negli ultimi tempi era diventata piuttosto turbolenta. La vittima e il suo ex fidanzato lavoravano entrambi per la stessa ditta, la Veritas, società che gestisce i rifiuti. LEGGI TUTTO
25 aprile, Mattarella a Genova: “No a democrazia a bassa intensità”. IL DISCORSO
Celebriamo oggi qui, a Genova, l’ottantesimo anniversario della liberazione dalla dittatura fascista e dalla occupazione nazista. Una regione, la Liguria che, ricca di virtù patriottiche, tanto ha contribuito alla conquista della libertà del nostro popolo. Rendiamo onore alle popolazioni che seppero essere protagoniste nel sostenere e affiancare i partigiani delle montagne e delle città.
Dalla città di Genova, Medaglia d’oro al valor militare per la lotta di Liberazione che – recita la motivazione – ”piegata la tracotanza nemica otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l’onore”, alla città di Savona, Medaglia d’oro, insignita per “l’ostinazione a non subire la vergogna della tirannide”, alle Province di Imperia e di La Spezia, anch’esse Medaglie d’oro. Così come alle Città di La Spezia e di Albenga, alla Provincia di Genova, insignite di Medaglia d’oro al valor civile per la Resistenza. Alle Croci di guerra assegnate, con la stessa motivazione, ai Comuni di Rossiglione, San Colombano Certenoli in val Cichero, Zignago, Albenga.
Dalla Liguria è venuta allora una forte lezione sulla moralità della Resistenza, sulle ragioni di fondo che si opponevano al dominio dell’uomo sull’uomo, si opponevano a un conflitto nato non per difendere la propria comunità ma come aggressione alla libertà di altri popoli. Assumendo comportamenti elementari di rispetto e di solidarietà i partigiani si uniformavano a quel Codice di Cichero, che faceva sì che, nelle formazioni, il capo dovesse mangiare per ultimo, potesse addormentarsi solo una volta accertato personalmente che tutto funzionasse e fosse in ordine, avesse i turni di guardia più gravosi, che non si bestemmiasse, che non si molestassero le donne, che non si requisisse senza pagare il dovuto, che si dovesse dividere con gli altri qualunque cosa si ricevesse.
Fraternità. Un’esperienza che ha tratto ispirazione da una figura, quella di Aldo Gastaldi, il partigiano “Bisagno”, comandante della Divisione Garibaldi-Cichero, protagonista di un impegno per la Patria, la giustizia, la libertà, considerato come servizio d’amore, oltre che esercizio di responsabilità. Morto drammaticamente un mese dopo la Liberazione, Medaglia d’oro al valor militare, la Chiesa di Genova ha determinato di dare avvio al processo canonico di beatificazione di questo Servo di Dio.
Poc’anzi, al cimitero di Staglieno, ho reso omaggio ai caduti del movimento della Resistenza e, con loro, ho reso idealmente omaggio alle figure dei patrioti dei due Risorgimenti che in esso sono ospitati. Nel 1945 l’Italia si univa nuovamente – Sud e Nord – dopo che quest’ultimo era stato separato e trattenuto in ostaggio dai nazisti e dalla Repubblica di Salò. Tante le sofferenze e i caratteri originali della Resistenza ligure, solidamente collegata ai centri di Torino e di Milano e destinata, come essi, a soffrire sino in fondo la barbarie nazista e fascista. Con le stragi della Pasqua di sangue del 1944 alla Benedicta, di Fontanafredda di Masone, all’Olivetta di Portofino, a Costa Binella di Testico, alla Foce del Centa di Albenga, a Molini di Triora, Torre Paponi di Pietrabruna ove due sacerdoti vennero arsi vivi, a Ressora di Arcola.
Qui si sviluppa la maturazione politica di patrioti che sanno assumere, accanto alle operazioni militari di sabotaggio e di contrasto alle forze di occupazione, responsabilità di governo. Qui si collocano anelli di quell’arco di esperienze di “zone libere” che confermano la presenza sul territorio delle formazioni partigiane e la stretta relazione con le popolazioni. Qui, con la libera Repubblica di Pigna e di Triora nell’Imperiese, di Torriglia nel Genovese, della Repubblica del Vara in Alta Val di Vara nello Spezzino, emerge la dimostrazione della estraneità tra regime e popolazioni.
Questo si manifestava nelle vallate, e trovava conferma nelle città dalle quali migliaia di donne e uomini vennero ignobilmente avviate al lavoro coatto in Germania, alla deportazione verso il lager di Mauthausen. E la fabbrica, le fabbriche, si manifestarono, una volta di più, luoghi di solidarietà, scuole di democrazia, con la crescita di coscienza sindacale, e la costituzione delle squadre di difesa operaia. Con gli scioperi nel Savonese e nello Spezzino alla fine del 1943 e nel 1944, che conferirono una forte spinta all’allargamento del consenso verso il movimento partigiano. Gli scioperi a Genova del 1943 sino al giugno del 1944, sino allo sciopero insurrezionale del 1945.
Il crollo del fronte interno del regime si manifestava giorno dopo giorno. Il Bando Graziani per l’arruolamento nei reparti fascisti aveva dato un involontario contributo ai partigiani: posti di fronte al dilemma o repubblichini o in fuga, molti giovani sceglievano la strada della montagna, superando ogni attendismo. I partigiani facevano terra bruciata dei tentativi repubblichini di organizzazione amministrativa: bruciare i registri anagrafici della Rsi impediva, di fatto, sia le requisizioni dei beni dei cittadini, sia i tentativi di coscrizione obbligatoria. Da taluno si è argomentato come il contributo “militare” recato dalla Resistenza non sia stato decisivo per il crollo della Linea Gotica costruita dai tedeschi per ostacolare la risalita della penisola da parte degli Alleati e del Corpo Italiano di Liberazione. Al contrario, come è noto, e il 1944 lo ebbe a dimostrare, le forze dell’Asse in campo avevano difficoltà a presidiare, allo stesso tempo, le aree verso le quali premevano le forze alleate e le zone interne sempre più nelle mani della Resistenza. Veniva ascoltato l’ammonimento rivolto da Giuseppe Mazzini ai tanti che, all’epoca, confidavano nell’intervento d’oltralpe: “più che la servitù, temo la libertà recata in dono”.
La aspirazione profonda del popolo italiano, dopo le guerre del fascismo, era la pace. Il regime aveva reso costume degli italiani la guerra come condizione normale: non la guerra per la vita ma la vita per la guerra. La Resistenza si pose l’obiettivo di raggiungere la pace come condizione normale delle relazioni fra popoli. In gioco erano le ragioni della vita contro l’esaltazione del culto della morte, posto come disperata consegna dalle bande repubblichine. La Resistenza cresceva in tutti i Paesi europei sotto dominazione nazista. Si faceva strada, dalla causa comune, la solidarietà, in grado di superare le eredità delle recenti vicende belliche.
Anche dalle diverse Resistenze nacque l’idea dell’Europa dei popoli, oggi incarnata dalla sovranità popolare espressa dal Parlamento di Strasburgo. Furono esponenti antifascisti coloro che elaborarono l’idea d’Europa unita, contro la tragedia dei nazionalismi che avevano scatenato le guerre civili europee. Un nome per tutti qui a Genova, quello di Luciano Bolis, esponente del Partito d’Azione, orrendamente torturato dalle Brigate nere nel febbraio 1945, miracolosamente sopravvissuto. Medaglia d’argento al valor militare, riposa ora a Ventotene, accanto ad Altiero Spinelli.
Difendere la libertà dei popoli europei è compito condiviso. Ora, l’eguaglianza, la affermazione dello Stato di diritto, la cooperazione, la stessa libertà e la stessa democrazia, sono divenuti beni comuni dei popoli europei da tutelare da parte di tutti i contraenti del patto dell’Unione Europea. La libertà delle diverse Patrie è divenuta la liberazione dell’Europa da chi pretendeva di sottometterla. E fu una lotta così vera da coinvolgere anche persone che i nazisti pretendevano opporre ai partigiani. La solidarietà internazionale si misurò sulle montagne liguri come altrove con l’apporto recato dai tanti che, venuti da patrie lontane, si erano uniti alla Resistenza.
Desidero richiamare la figura del partigiano “Fiodor”, (Fiodor Andrianovic Poletaev), ucciso nella battaglia di Cantalupo il 2 febbraio 1945. A lui, giunto dalla Russia, la Repubblica Italiana ha voluto conferire la Medaglia d’oro al valor militare. Una strada di Genova reca il suo nome. La vita democratica, come si è constatato, cresceva nel carattere proprio alle forze antifasciste genovesi che, accanto alla presenza a di cinque partiti nei CLN del Nord Itali (azionisti, comunisti, democristiani, liberali, socialisti) annoverava una sesta forza politica, il partito mazziniano repubblicano. Questione del tutto peculiare, per dirimere la quale, dal CLNAI, venne inviato Sandro Pertini, settimo Presidente della nostra Repubblica. Oggi, nella sua regione, ne vogliamo onorare la memoria. La sua figura induce a ricordare che la partecipazione politica è questione che contraddistingue la nostra democrazia. E’ l’esercizio democratico che sostanzia la nostra libertà.
Da questi principi fondativi viene un appello: non possiamo arrenderci all’assenteismo dei cittadini dalla cosa pubblica, all’astensionismo degli elettori, a una democrazia a bassa intensità. Anche per rispettare i sacrifici che il nostro popolo ha dovuto sopportare per tornare a essere cittadini, titolari di diritti di libertà. Il rovinio del posticcio regime di Salò, la progressiva sconfitta del nazismo apparivano ormai irreversibili e a Genova, importante bastione industriale, si posero le condizioni dell’insurrezione e, come abbiamo ascoltato, un esercito agguerrito si arrendeva al popolo.
Ridurre le forze tedesche a trattare con i partigiani non fu facile. Preziosa fu la mediazione dell’Arcivescovo di Genova, il Cardinale Pietro Boetto – dichiarato “giusto fra le nazioni” per il soccorso prestato agli ebrei – per giungere a siglare la resa del comando tedesco nella sua residenza di Villa Migone, tra il generale Meinhold e il presidente del CLN Remo Scappini (“Giovanni”). Sarebbe toccato al partigiano Pittaluga – Paolo Emilio Taviani – annunciare la mattina seguente: Genova è libera. Il generale Meinhold – condannato a morte da Hitler come traditore – avrebbe poi scritto: “era la sorte della città e, quello che più contava la vita di migliaia di persone da tutte e due le parti che doveva starci a cuore…. La mia coscienza mi vietava di sacrificare ancora un sol uomo”. Il rischio che Genova finisse distrutta come Varsavia era sventato.
Si apriva la stagione dei diritti umani delle persone e dei popoli, per prevenire i conflitti, per affermare che la dignità delle persone non si esaurisce entro i confini dello Stato del quale sono cittadini. Non ci può essere pace soltanto per alcuni. Benessere per pochi, lasciando miseria, fame, sottosviluppo, guerre, agli altri. E’ la grande lezione che ci ha consegnato Papa Francesco. Nella sua “Fratelli tutti”, ci ha esortato a superare “conflitti anacronistici” ricordandoci che “ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte…Non è possibile accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel passato e fermarsi, e goderlo come se tale situazione ci facesse ignorare che molti nostri fratelli soffrono ancora situazioni di ingiustizia che ci interpellano tutti”.
Ecco perché è sempre tempo di Resistenza, ecco perché sono sempre attuali i valori che l’hanno ispirata. A Genova si espresse e si affermò il respiro della libertà. Un’anima che non sarebbe mai stata tradita. Un patto, un impegno, che non sarebbero venuti meno neppure quando, negli anni ‘70, il terrorismo tentò di aggredire le basi della nostra convivenza democratica. E dalle fabbriche venne una risposta coraggiosa, esigente, che si riassume nel nome di Guido Rossa. La sua testimonianza appartiene a quei valori di integrità e coraggio delle persone che, anche qui, edificarono la Repubblica. Viva la Liguria partigiana, viva la libertà, viva la Repubblica. LEGGI TUTTO
Ue: accordo Italia-Albania sui migranti deve rispettare il diritto europeo
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di lettura«Quando estendono l’applicazione delle disposizioni di diritto nazionale che attuano il diritto dell’Unione a situazioni che esulano dall’ambito di applicazione di quest’ultimo, gli Stati membri devono farlo in modo da non compromettere o eludere l’applicazione delle norme armonizzate o degli obblighi da esso previsti». Lo afferma il commissario europeo alla Migrazione Magnus Brunner in risposta a un’interrogazione presentata da diversi esponenti del M5s, Pd e Avs sul protocollo Italia-Albania e la conformità al diritto europeo del trasferimento di migranti in Paesi terzi, precedentemente esclusa dalla Commissione europea.Lo spazio di manovra degli accordi bilaterali «Per quanto riguarda l’iniziativa condotta dall’Italia a seguito della firma di un protocollo sulla gestione della migrazione con l’Albania, l’attuazione di tale protocollo ai sensi del diritto italiano non deve compromettere il sistema europeo comune di asilo o incidere negativamente sulle norme comuni dell’Ue – sottolinea il commissario -. Deve inoltre essere complementare alle vie di accesso all’asilo esistenti e non può frapporsi alle finalità e agli obiettivi del diritto dell’Unione in quest’ambito, né ledere i diritti e le garanzie che gli Stati membri devono concedere alle persone che si trovano in queste situazioni».Loading…Accordo Italia Albania, via libera definitivo del Senato con 93 sì e 61 no«Sulla base delle informazioni di cui dispone la Commissione, l’iniziativa dell’Italia mira a trasferire determinate categorie di cittadini di paesi terzi intercettati in alto mare verso centri situati in territorio albanese, ma soggetti alla giurisdizione italiana, affinché ne vengano esaminate le domande di protezione internazionale. In caso di rifiuto di tali domande, l’Italia effettuerebbe procedure di rimpatrio da tali centri», prosegue Brunner.Monitoraggio confermato«Ai sensi della direttiva rimpatri, il cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare può essere rimpatriato nel proprio paese di origine, in un paese di transito in conformità di accordi di riammissione a livello dell’Ue o bilaterali o di altre intese, o in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato. La Commissione continuerà a seguire da vicino l’attuazione del protocollo Italia-Albania, monitorando in particolare la corretta applicazione del diritto dell’Unione in tale contesto», conclude.Ciriani: su modello Albania governo al lavoro per superare ostacoli“Il progetto in Albania è un’operazione che presenta profili inediti e di complessità rispetto ai quali il Governo è al lavoro per mettere a punto soluzioni in grado di superare gli ostacoli sinora incontrati al fine di consentire la piena funzionalità dei centri realizzati”. Lo ha detto al question time il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, facendo riferimento in particolare al protocollo Italia-Albania messo sotto osservazione dalla Commissione Ue. “Tra l’altro procedure accelerate di frontiera, a partire dal 2026, costituiranno un obbligo per gli Stati membri in virtù del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo e le nuove regole europee impongono all’Italia di organizzarsi per l’accoglienza e il trattenimento di diverse migliaia di persone; pertanto gli 880 posti delle strutture in Albania rappresentano un’indiscutibile opportunità”, ha evidenziato Ciriani. “La prosecuzione del progetto si inserisce nella linea tracciata dal Governo sin dal suo insediamento, che mira a ricondurre i flussi migratori entro una cornice di legalità e sostenibilità. In piena coerenza con tale impostazione, il progetto andrà avanti nella convinzione che il contrasto all’immigrazione irregolare, che si avvantaggia dell’utilizzo strumentale delle richieste di asilo, sia la strada da perseguire per combattere gli affari di trafficanti senza scrupoli”, ha aggiunto. LEGGI TUTTO
Parla il generale Jean: “Perché l’esercito russo è stato battuto…”
L’ipotesi che l’Ucraina possa diventare un nuovo Vietnam o un nuovo Afghanistan per la Russia si fa ogni giorno più concreta. Il presidente Vladimir Putin, molto probabilmente, non aveva considerato che il conflitto potesse durare così tanto tempo, sottovalutando la strenua difesa del popolo ucraino che, sembra, stia logorando l’esercito russo. Il generale Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista ha espresso le sue preoccupazioni al quotidiano Il Sussidiario. “L’esercito russo – ha dichiarato – non è mai stato pensato per una guerra a lunga scadenza con combattimenti nelle città, ma è stato organizzato per eventuali conflitti in campo aperto, da qui il grande numero di mezzi corazzati a disposizione, mentre la fanteria può schierare un numero limitato di uomini”.Sarebbe proprio questo il motivo principale del cambio di strategia da parte di Putin, il quale, non riuscendo a vincere le battaglie con i soldati città per città, ha deciso di bombardare in maniera indiscriminata anche i civili, nel tentativo di creare terrore e costringere gli ucraini ad arrendersi. Lo stesso sistema è stato utilizzato in Cecenia e in Georgia, Negli ultimi giorni a Kiev e in altri centri ucraini sono stati bombardati supermercati e altri obiettivi frequentati dai civili, un’escalation di violenza che sta mettendo a dura prova la popolazione indigena. Secondo il generale Jean, l’esercito russo non è organizzato per la guerriglia di quartiere. “I soldati di Putin – ha spiegato – sono stati addestrati per una eventuale guerra contro la Nato, un conflitto in campo aperto, non nei centri urbani. Non è un caso che il numero delle truppe di fanteria sia piuttosto limitato, mentre non lo è quello dei carri armati e dei mezzi corazzati in generale”.L’obiettivo della Russia è quello di occupare tutta la linea costiera affinché unisca in un solo blocco russo i territori che vanno da Odessa al Donbass, ma la strada sembra in salita per la forte resistenza degli ucraini. Ciò ha infastidito Putin che ha già rimosso dal loro incarico due comandanti dello Stato maggiore dell’esercito. Nelle ultime ore sta girando voce che la Russia starebbe utilizzando armi chimiche e biologiche, ma il generale Jean non sembra credere a questa possibilità. “Lo escluderei – ha detto – sono incontrollabili e, considerando anche i venti che spirano in Ucraina, sarebbe un autogol”. LEGGI TUTTO
POLITICA
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