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Elezioni comunali a Taranto 2025, chi sono i sei candidati sindaco
Introduzione
Taranto si prepara alle elezioni comunali per eleggere il suo nuovo sindaco. La città pugliese è tra quelle chiamate a votare domenica 25 maggio dalle ore 7 alle 23, e lunedì 26 maggio dalle ore 7 alle 15. Nel caso in cui nessun candidato ottenesse il 50%+1 dei voti al primo turno, si procederà con il ballottaggio già in calendario per domenica 8 e lunedì 9 giugno. Si tratta delle stesse giornate in cui in tutta Italia si tornerà alle urne anche per i referendum abrogativi relativi a lavoro e cittadinanza. In tutto sono sei i candidati sindaco, mentre uno è stato escluso. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla sfida elettorale a Taranto. LEGGI TUTTOEletti i quattro giudici della Consulta. Sono Marini, Cassinelli, Luciani e Sandulli
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaIl Parlamento in seduta comune ha eletto quattro giudici della Corte costituzionale. Si tratta di Francesco Saverio Marini (500 voti), Massimo Luciani (505), Maria Alessandra Sandulli (502), Roberto Cassinelli (503). Tutti hanno raggiunto il quorum dei tre quinti necessario all’elezione. A proclamarli è stato il presidente della Camera Lorenzo Fontana.Il via libera arriva con l’intesa tra i partiti, di maggioranza e opposizione, dopo 14 votazioni per un giudice e cinque per gli altri tre. Costante è stato nel tempo il pressing del Quirinale affinché finalmente il Parlamento eleggesse i componenti che impedivano alla Consulta di riunire il plenum.Loading…Torna il plenum dopo 460 giorniDopo 460 giorni la Corte costituzionale ritrova dunque il plenum, anche se ne trascorrerà ancora qualcun altro prima che i nuovi giudici prestino giuramento dinanzi al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ed entrino formalmente in carica. Tanti ne sono passati infatti dalla fine del mandato di Silvana Sciarra, l’11 novembre del 2023, prima che il 21 dicembre scorso concludessero il loro ruolo anche Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperretti. Una vacatio ampia ma non la più lunga. Il record infatti è di 626 giorni, che trascorsero dalle dimissioni di Giuseppe Frigo, il 7 novembre 2016, e il giuramento del successore Luca Antonini, il 26 luglio 2018. Tre giorni in più rispetto ai 623 registrati tra il 23 ottobre 1995 e il 9 luglio 1997, dalla fine del mandato di Vincenzo Caianiello e il giuramento del suo successore Annibale Marini. In entrambi casi complice della lunga attesa anche il passaggio di legislatura. Non si tratta comunque di casi sporadici, soprattutto quando ad essere nominati debbono essere i giudici scelti dal Parlamento. Trascorsero infatti 541 giorni prima che il 21 dicembre 2015 giurassero i tre giudici tra i quali era compreso anche il sostituto di Luigi Mazzella, arrivato a fine mandato il 28 giugno dell’anno precedente (l’11 novembre del 2014 aveva giurato Silvana Sciarra, in base agli accordi tra i partiti destinata a succedere a Gaetano Silvestri, anche lui uscito dalla Corte con Mazzella). 524 invece i giorni dalla cessazione del mandato di Cesare Mirabelli e Francesco Guizzi, il 21 novembre 2000, e il giuramento di Romano Vaccarella e di Ugo De Siervo, il 29 aprile 2002.Tajani: in Forza Italia legittime aspirazioni ma nessuna lite«Avete raccontato cose che non esistevano. Non so perché. Non c’è mai stato un problema sul candidato che doveva esprimere il centrodestra. Il problema era sul nome indipendente che la sinistra doveva proporci. Quando ce l’hanno dato, ieri o l’altro ieri – Sandulli – abbiamo detto va bene e abbiamo detto domani si vota. Non c’è mai stato un problema dentro Forza Italia: che ci fossero legittime aspirazioni sì, ma non abbiamo mai litigato, abbiamo sempre detto fin dall’inizio – e i parlamentari lo sapevano – che c’era un accordo di tutti i partiti di non mettere parlamentari in carica». Così il ministro degli Esteri e leader di Fi, Antonio Tajani. Con la scelta di Roberto Cassinelli «abbiamo depistato tutti, nessuna ha indovinato. È un giurista, ha i requisiti, era uno dei nomi in valutazione. Ho sempre detto che alla fine FI avrebbe espresso un nome», aggiunge il capogruppo azzurro al Senato, Maurizio Gasparri, parlando con i cronisti in Transatlantico a Montecitorio.Conte: nostre idee più chiare che in maggioranzaAnche l’opposizione plaude per il passo in avanti da tanto atteso. «Abbiamo trovato un accordo, siamo finalmente giunti a una soluzione. Alla fine noi avevamo le idee più chiare delle forze di maggioranza che sono arrivate all’ultimo» ha commentato, a margine di un’iniziativa sull’autonomia, il presidente M5S Giuseppe Conte, parlando del voto del Parlamento in seduta comune. LEGGI TUTTO
Governo: perché Salvini vuole tornare al Viminale, anche se per ora resta al Mit
Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaMatteo Salvini, acclamato segretario della Lega per la terza volta, vuole tornare al Viminale. Lì lo reclamano militanti e vertici del Carroccio. E lui stesso non si è tirato indietro quando domenica dal palco di Firenze il vicepremier si è detto “a disposizione” per un eventuale ritorno. E’ ormai caduto lo stigma dell’accusa di sequestro di persona grazie all’assoluzione al processo Open Arms di Palermo. L’aspirazione è legittima. Ma implicherebbe che l’attuale titolare del ministero, Matteo Piantedosi, facesse un passo indietro. Cosa che, almeno al momento, non sembra intenzionato a fare, forte anche del sostegno di FdI e Forza Italia che ne difendono l’operato.Le motivazioni di SalviniDa tempo Salvini è convinto che solo da ministro dell’Interno potrà rilanciare le percentuali della Lega e sperare così nell’altro obiettivo, inscritto nel nome del partito: Lega primo partito della coalizione e Salvini premier. Con un solo altro tentativo a disposizione, quello delle prossime elezioni. Perchè questo mandato, ha fatto intendere, sarà l’ultimo: «Al prossimo congresso sarò qui da delegato, e qui in sala c’è chi sarà il prossimo segretario, anche se non so chi» ha dichiarato infatti Salvini che alle assise previste nel 2029 dunque non correrà da segretario.Loading…La retromarcia della LegaMa tra gli alleati di governo, la proposta viene vista come un rimpasto ad personam né necessario né voluto. Salvini al Viminale? «Io ho grande considerazione del ministro Piantedosi, sta lavorando benissimo» dichiara gelido il ministro degli Esteri Antonio Tajani al margine del Consiglio Ue Commercio. E la stessa premier ha sempre fatto capire di non gradire nessun rimpasto. Davanti al muro degli alleati e al silenzio di Meloni, la cautela diventa d’obbligo e dalla Lega spiegano che se, da un lato, «il desiderio del partito è chiaro», «Salvini non intende fare forzature o accelerazioni», è «totalmente immerso nel suo lavoro al Mit» con un approccio sempre costruttivo a beneficio della maggioranza». Conclusione: il partito «non pone e non porrà problemi a Giorgia Meloni». Per ora Salvini resta al Ministero delle Infrastrutture.La telefonata con PiantedosiEd è probabilmente per disinnescare eventuali tensioni che lo stesso Salvini sente il ministro dell’Interno, Matteo Piantendosi (suo capo di gabinetto quando il leader della Lega era il titolare del Viminale ai tempi del governo Conte I) come riferiscono fonti della Lega, assicurando che «tra i due c’è stima, amicizia e sintonia. Il feeling umano, professionale e politico non verrà mai meno e non è in discussione». E Salvini, ospite di ’Cinque minuti’ su Raiuno, frena ancora: «Io ritengo che Piantedosi, oltre a essere un leale servitore dello Stato, sia anche un ottimo ministro. Noi le risposte le diamo anche approvando il decreto sicurezza».Per la vulgata leghista, in caso di rimpasto, Piantedosi potrebbe lasciare il ministero dell’Interno e correre per la presidenza della Campania alle prossime regionali. Una prospettiva che, però, il titolare del Viminale sembra non considerare affatto. Almeno per ora: «Io fuori dal ministero ambirei solo ad un ruolo all’Avellino Calcio, è l’unica passione che coltivo al di fuori del Viminale», risponde LEGGI TUTTO
Landini: parte del Paese non sa che ci sono i referendum
Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di lettura«C’è un problema di scarsa informazione. Finora le tv e i giornali non hanno fatto un’informazione, tante persone non sanno che c’è il referendum», «oggi siamo qui perché è importante informare le persone visto che non tutti lo stanno facendo. C’è una parte di Paese che non sa che ci sono i referendum». Lo ha detto il segretario della Cgil, Maurizio Landini, coi giornalisti al mercato di piazzale don Baroni a Lucca, prima tappa toscana oggi per invitare a votare Sì ai cinque referendum su lavoro e cittadinanza dell’8-9 giugno. «È importante esser qui, parlare per ricostruire una partecipazione, una democrazia»«Referendum perché per i giovani è un disastro»«Perché facciamo questi referendum? Perché per i giovani è un disastro, c’è una precarietà senza fine, ci sono salari troppo bassi, si muore sul lavoro. Quindi è il momento di provare a cambiare questa situazione». Così ancora Landini.Loading…«Quello che vogliamo fare è andare a ascoltare, anche ascoltare le critiche, perché è un momento in cui devi anche ricostruire un rapporto per provare a cambiare la situazione. Non è che abbiamo fatto tutte le cose giuste, bisogna essere onesti. Essere qui è un elemento di umiltà per ascoltare, per capire, per verificare se quello che stiamo facendo corrisponde ai bisogni delle persone». Per il segretario della Cgil «è importante fare questo lavoro in questo mese – ha anche detto – di contatto, di coinvolgimento, ascoltando le persone e invitando le persone a decidere. Poi, ognuno vota quello che ritiene più opportuno, noi ovviamente li invitiamo a votare ’sì’, ma ognuno usa la sua testa». LEGGI TUTTO
Meloni, mediatrice tra Trump e l’Europa: dazi, armi e la strategia per l’Italia
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaNon finire stritolata tra Washington e Bruxelles. Non essere costretta a scegliere tra Donald Trump e Ursula von der Leyen. Giorgia Meloni è una trapezista senza rete. Da un lato, la minaccia del Presidente Usa che incombe sull’Europa con i suoi dazi e la sua richiesta di riarmo. Dall’altro, l’Unione Europea, divisa e paralizzata, come sempre. La premier italiana ha scelto di stare al centro, di fare da mediatore. Ma quel ruolo che oggi le sembra una posizione di forza si può trasformare in un abito troppo stretto, soffocante. Meloni lo sa ma non ha alternative. Anzi è convinta che può ricavarne qualcosa di solido in prospettiva. Ad esempio una flessibilità del Patto di stabilità sul computo delle spese per la Difesa, che Roma chiede da anni senza successo.I dazi e il riarmo dell’Europa Il riarmo dell’Europa assieme ai dazi sono i due temi portanti di questo inizio anno su cui incombe l’ombra del nuovo inquilino della Casa Bianca, come dimostra il confronto avvenuto nel Consiglio straordinario di lunedì 3 febbraio a Bruxelles. Un vertice durante il quale Meloni da un lato ha suggerito agli alleati di evitare il corpo a corpo con Trump e dall’altro è tornata alla carica sulla necessità di escludere dal calcolo del deficit le spese per la Difesa. Per ora il Presidente Usa ha minacciato ma non deciso di aumentare le tariffe: “Vuole negoziare”, è la convinzione della Premier. In parte è certamente vero. Ma solo in parte, perché la stessa Presidente del Consiglio è consapevole che quella minaccia a breve si tradurrà in qualcosa di molto concreto e doloroso. Soprattutto per i Paesi più esposti nell’interscambio con gli Usa: Germania e Italia.Loading…Le elezioni tedesche in arrivoNel frattempo, la data del 23 febbraio incombe. Sono le elezioni tedesche, e Trump potrebbe aspettarne l’esito prima di affondare il colpo sui dazi. Chissà se qualcuno – magari Elon Musk, il suo amico e sponsor della destra estrema europea– gli ha suggerito di temporeggiare, per vedere di quanto salirà l’AfD e puntare sulle difficoltà di Berlino per formare il nuovo governo. E non è da escludere anche che, quando la minaccia si farà concreta, Trump l’articolerà. Nel senso che si muoverà puntando a dividere la Ue, favorendo alcuni prodotti rispetto ad altri. Comprare armi (e gas liquido) made in Usa può certo aiutare a riequilibrare la bilancia commerciale tra le due sponde dell’Atlantico e rendere meno ostile Trump. Meloni ci conta. Ma per giocare questa carta ha bisogno di soldi, di margini di spesa che Bruxelles, per ora, non le concede. E così la Premier prova a barattare il riarmo con la flessibilità, chiedendo che le spese militari siano escluse dal calcolo del deficit, che si adottino misure straordinarie – emissione di debito – come avvenuto con il Covid.Si lavora a un faccia a faccia von der Leyen-TrumpLa Presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è detta disponibile a una qualche forma di flessibilità mentre si lavora a un possibile faccia a faccia a Washington. No (per ora) della Germania e dell’Olanda. Un no paradossale, soprattutto quello di Amsterdam, che ha un ministro dell’Economia di destra-destra che va a braccetto con Matteo Salvini e un ex premier, Mark Rutte ( quello che andò a Tunisi con Meloni per firmare il patto sui migranti) alla guida della Nato, impegnato proprio a spingere per l’aumento della spesa militare europea. Il cortocircuito è evidente.Oggi scommessa, domani vicolo cieco?L’Italia al momento è ancora parecchio sotto il tetto del 2% del Pil che era stato fissato qualche anno fa e che nel frattempo è diventato anacronistico. Trump ha alzato l’asticella al 5%. Per noi si tradurrebbe in oltre 100 miliardi. Impossibile, anche solo in prospettiva. Meloni sa che l’Italia, da sola, rischia di essere solo un vaso di coccio tra i giganti. Eppure, continua a provarci. Con una strategia che somiglia a una scommessa ma che domani potrebbe rivelarsi un vicolo cieco. LEGGI TUTTO