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Meloni: Italia attrattiva per gli investimenti stranieri, ma va affrontato costo energia
Meloni: d’accordo con Orsini su piano industrialeOk della premier alla proposta di piano industriale straordinario per l’Italia lanciata da Orsini all’assemblea di Confindustria. «Sono d’accordo presidente, sono d’accordo tanto che il Governo sta lavorando già insieme al settore produttivo, alle parti sociali per delineare le linee di una politica industriale di medio e di lungo periodo» ha detto Meloni. E ha aggiunto: «Abbiamo avviato anche un processo di consultazione pubblica per scrivere una nuova strategia industriale, le proposte arrivate serviranno a definire il Libro Bianco del Made in Italy al 2030 che puntiamo a presentare prima dell’estate». E ancora: «Presidente, voglio dirle che ci siamo, e ci siamo anche a partire dalle semplificazioni, sulle quali ha ragione, penso che bisogna procedere in modo più spedito, mi prendo personalmente l’impegno a occuparmene, perché ci sono delle cose che si possono fare più velocemente, il Governo è molto impegnato su questo, ma sicuramente ci possiamo lavorare con maggiore velocità».Procedure più semplici e tempi certi per investimentiMeloni si è detta d’accordo con Orsini anche sul fatto che «sia necessario rilanciare gli investimenti e prevedere procedure più semplici e tempi certi. Lo dico anche in riferimento al piano Transizione 5.0. Nella sua prima versione era risultata troppo restrittiva. Abbiamo provato a renderla più accessibile, però siamo pronti a ulteriori correttivi se il tiraggio non dovesse essere quello auspicato. Correttivi anche condivisi con voi. Un ragionamento simile vale per Transizione 4.0: il nostro impegno, quello che stiamo tentando di fare, è lavorare con la Commissione Ue per capire, come ho già detto, se vi sia la possibilità, nell’ambito della revisione del Pnrr, di inserire entrambi questi strumenti, semplificandoli»Per la competitività contestiamo transizione ideologicaNon basta. Per la presidente del Consiglio «è fondamentale per la competitività dell’intero sistema produttivo europeo avere il coraggio di contestare e correggere un approccio ideologico alla transizione energetica che ha provocato danni enormi senza produrre i vantaggi ambientali decantati». E ancora: «Ha ragione Orsini quando dice che una tecnologia non si cambia per norma: solo chi non aveva mai messo piede in un capannone poteva pensare di farlo, ma è quello che ha fatto l’Europa scegliendo la strada forzata della transizione all’elettrico, le cui filiere sono controllate dalla Cina. Io – ha aggiunto Meloni – ancora oggi non riesco a capire il senso strategico di fare una scelta del genere»Il dialogo Usa-Ue sia più politico che burocratico Capitolo dazi. Il rapporto con gli Stati Uniti è «fondamentale». Per mantenere la forza dell’Occidente, «i nostri destini sono interconnessi. Durante la mia visita a Washington ho proposto un incontro a Roma fra Ue e Usa. Un primo incontro è avvenuto il 18 maggio a Palazzo Chigi con Vance e von der Leyen. È stato l’inizio di un dialogo che l’Italia ha continuato a facilitare in questi giorni, e che va portato avanti, se posso permettermi, con un approccio più politico che burocratico»L’Ue rimuova i dazi interni che si è autoimposta LEGGI TUTTO
Vertice Nato, Meloni: accordo «sostenibile». Sì all’ipotesi dazi Usa al 10%
Ascolta la versione audio dell’articoloUn accordo da cui emerge «la compattezza dell’alleanza e la volontà di quell’alleanza di rafforzarsi». Concluso il vertice dei capi di Stato e di governo dei 32 Paesi della Nato, Giorgia Meloni commenta positivamente con i cronisti la dichiarazione finale con cui ci si impegna ad aumentare la spesa per difesa e sicurezza fino al 5% del Pil entro il 2035. «Impegni sostenibili per l’Italia», assicura la premier, che esclude per il 2026 l’attivazione della clausola di salvaguardia già chiesta da dodici Paesi Ue, tra cui la Germania, per godere di uno spazio di bilancio aggiuntivo fino all’1,5% del Pil. «Per gli anni a venire si valuterà sulla base di quella che è la situazione economica». Tra il lungo colloquio con il presidente Trump alla cena offerta ieri sera dai reali d’Olanda e la riunione di stamattina la presidente del Consiglio afferma di aver toccato «ongoing» anche il tema dazi: sull’ipotesi di chiudere l’intesa Ue-Usa al 10% si dice «abbastanza d’accordo. Ho sentito le imprese, non sarebbe particolarmente impattante».Sicurezza «dominio ampio», dalle infrastrutture alla migrazione irregolareL’incremento al 5% dal 2% attuale, sottolinea la presidente del Consiglio, «non è distante dall’impegno che l’Italia già assunse nel 2014 quando era all’1% delle spese di difesa in rapporto al Prodotto interno lordo e si impegnò, come ribadito da tutti i governi che mi hanno preceduto, ad aumentarlo dell’1 per cento. A questo si aggiunge un 1,5% di spesa sulla sicurezza». Meloni conferma quanto già affermato alle Camere nei giorni scorsi: «Sono risorse che noi dobbiamo spendere e spendiamo comunque su materie molto più ampie della questione di difesa. La questione della sicurezza oggi coincide con un dominio particolarmente ampio che riguarda la difesa dei confini, la migrazione irregolare, le infrastrutture critiche, la mobilità militare, le infrastrutture nel senso più generale, ma anche l’intelligenza artificiale, la ricerca, l’innovazione tecnologica. Risorse che servono a mantenere questa nazione forte, come è sempre stata».Loading…«Nessun euro sarà distolto dalle altre priorità del governo»«Sono impegni sostenibili», ha scandito Meloni. «Lo voglio ribadire: per l’Italia questa spesa è necessaria per rafforzare la nostra difesa, per rafforzare la nostra sicurezza in un contesto che lo necessita, ma in una dimensione che ci consente di assumere questi impegni sapendo già che non distoglieremo neanche un euro dalle altre priorità del governo a difesa e a tutela degli italiani».No alla clausola di salvaguardia nel 2026, poi si valuteràAlla domanda del Sole 24 Ore sull’esigenza di reperire circa 100 miliardi in dieci anni (dagli attuali 35 miliardi spesi per la difesa e 10 per la sicurezza a 100 e 45 miliardi), la premier ha risposto: «Ho sentito molti numeri dati in questi giorni un po’ dalla stampa, un po’ dal Parlamento, che mi sembrano molto distanti dalla realtà. Noi abbiamo ovviamente fatto i nostri calcoli per il 2026 e non riteniamo che ci serva utilizzare la escape clause. Poi chiaramente per gli anni a venire si valuterà sulla base di quella che è la situazione economica».«Nessun obbligo annuale e libertà sulle decisioni di spesa»Sollecitata sulla considerazione del responsabile economico della Lega, Alberto Bagnai, sull’insostenibilità dell’obiettivo del 5%, Meloni taglia corto: «Sono venuta qui dopo una risoluzione votata da tutta la maggioranza. Ho spiegato varie volte che è una decisione che noi abbiamo preso con cognizione di causa, facendo le nostre valutazioni con il ministro dell’Economia. Sono convinta che sia sostenibile, per l’ampiezza delle spese, per il fatto che parliamo di un impegno a dieci anni che nel 2029 si deve in ogni caso ridiscutere, per il fatto che non ci sono incrementi obbligati annuali per gli Stati e questo consente di fare le scelte in base all’andamento della situazione in quel particolare momento. Quindi c’è una flessibilità totale». L’altra richiesta italiana che, a detta della premier, è stata soddisfatta riguarda la discrezionalità degli Stati nazionali sulle decisioni di spesa: a spetta a ognuno scegliere cosa considera una minaccia, perché «le minacce che affronta una nazione che si affaccia sul Mediterraneo come l’Italia e quelle che affronta un Paese Baltico sono distanti anni luce. Allora o ci fidiamo l’uno dell’altro e ognuno fa il suo pezzo di lavoro in questo quadro oppure se pensiamo che possiamo imporre a tutti un unico standard facciamo una cosa che non è utile per nessuno». LEGGI TUTTO
Tragedia a Cermenate, bimbo di 4 anni si tuffa in piscina e non riemerge: morto dopo 4 giorni di agonia in ospedale
La tragedia si è registrata la scorsa domenica mattina a Cermenate, provincia di Como, in una piscina pubblica in cui il piccolo si trovava insieme alla sua famiglia. Tragedia a Cermenate, bimbo di 4 anni si tuffa in piscina e non riemerge: morto dopo 4 giorni di agonia in ospedale – Nanopress.itQuando i bagnini del centro sportivo hanno recuperato il corpicino, il piccolo era già in stato di incoscienza. Nonostante il ricovero d’urgenza all’ospedale di Bergamo, non c’è stato nulla da fare.Tragedia a Cermenate, bimbo di 4 anni si tuffa in piscina e non riemergeSi è conclusa in maniera drammatica la vicenda del piccolo di 4 anni di Lomazzo, provincia di Como, che la scorsa domenica mattina è rimasto vittima di un incidente in una piscina pubblica di Cermenate, poco distante dal paese in cui viveva. Il piccolo è deceduto dopo 4 giorni di ricovero all’ospedale di Bergamo, dove era arrivato in condizioni disperate. Dal giorno dell’incidente, il bambino, di origini marocchine, non aveva più ripreso conoscenza. Stando a quanto ricostruito finora, il piccolo sarebbe passato dalla piscina baby a quella degli adulti senza che nessuno se ne accorgesse. Quando i bagnini del centro lo hanno recuperato, il bambino era già in stato di incoscienza. Trasferito con l’elisoccorso nel nosocomio piemontese, la notte scorsa i medici ne hanno dichiarato il decesso.Il piccolo è morto dopo 4 giorni di agonia – Nanopress.itSotto shock i familiari del piccolo e la comunità di Cermenate e di Lomazzo, dove la famiglia del bambino viveva da anni ed era ben integrata.Annegamenti: numeri in crescitaQuella di Carminate è l’ennesima tragedia che conferma quanto siano preoccupanti i dati sugli annegamenti in Italia. Ogni anno, più di 400 persone perdono la vita in acqua, e tra queste circa 40 sono minori. Negli ultimi dieci anni, il totale delle vittime è stato di circa 3.760, con 429 bambini e ragazzi coinvolti. Il Lazio ha registrato una media di 16 decessi per annegamento all’anno, mentre in tutto il centro Italia sono morti 55 minori tra il 2012 e il 2021.Appena una settimana fa sono morte quattro persone nei laghi italiani: Anisa, la bambina di 7 anni morta nel bioparco di Caraglio, Hanna Shabratska e il figlio Oleksiy, trovati senza vita nel lago di Garda, dove si erano tuffati per un bagno insieme, mentre un turista inglese ha perso la vita nel lago di Como. Il 17 luglio scorso due giovanissimi sono morti nel Brenta: uno di loro si è tuffato cercando di salvare l’amico che non sapeva nuotare. LEGGI TUTTO
Tajani: votiamo fiducia a Von der Leyen, serve stabilità
Tajani: votiamo fiducia a Von der Leyen, serve stabilità | Video Sky TG24 LEGGI TUTTO
Meloni alla prova partecipazione, per Schlein test sulla linea del Pd e sulle alleanze
Ascolta la versione audio dell’articoloTolto di mezzo dalla Corte costituzionale il quesito sull’autonomia differenziata targata Lega – a novembre con la riscrittura, di fatto, della legge Calderoli e a gennaio con lo stop vero e proprio al voto – l’appuntamento referendario dell’8 e 9 giugno ha indubbiamente perso il motore politico più forte, quello che avrebbe potuto mettere in crisi il governo Meloni e segnare forse il punto di inversione di tendenza tanto evocato dalla segretaria del Pd Elly Schlein («se il referendum avrà successo la premier dovrà riflettere sul fatto che il rapporto con il Paese si è definitivamente rotto, come si è già visto alle amministrative», è il refrain di queste ore).Il miraggio del quorum e l’asticella dei 12 milioni di votantiLa verità è che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, nessuno pensa che possa essere raggiunto il quorum del 50% più uno degli elettori (oltre 25 milioni) necessario per validare il referendum. Ed è così che lunedì sera non si conteranno tanto i sì e i no ai cinque quesiti – uno sulla cittadinanza e quattro sul lavoro contro quel che resta del renziano Jobs act – quanto i partecipanti al voto: secondo molti analisti politici per le opposizioni e la Cgil, che hanno promosso il referendum, sarebbe un successo politico se si sfiorasse almeno il 40% (20 milioni), ma nel Pd e nel sindacato di Maurizio Landini si è abbassata prudentemente l’asticella a 12 milioni: lo stesso numero di elettori che alle scorse politiche hanno scelto i partiti del centrodestra.Loading…L’attenzione di Meloni alla partecipazione in vista delle politicheDodici milioni, dunque. Il che sarebbe comunque un segnale di allarme per Giorgia Meloni. E probabilmente la convincerebbe a rompere gli indugi e cambiare la legge elettorale nazionale in modo da mettere il più possibile in sicurezza il vantaggio elettorale che ancora la maggioranza registra nei sondaggi con l’eliminazione dell’aleatoralità dei collegi uninominali e l’introduzione di un premio di maggioranza del 55% per la coalizione che supera il 40% dei voti. Non a caso la premier ha scelto un modo per così dire originale di invitare all’astensione per evitare che il numero dei votanti raggiunga un livello di guardia: andrà al seggio – ha annunciato – ma non ritirerà le schede. Un’astensione di fatto senza però correre il rischio dell’effetto Craxi (nel 1991 il leader socialista invitò ad andare al mare e il referendum sulla legge elettorale passò). Per l’astensione si sono schierati d’altra parte i partiti del centrodestra, da Fratelli d’Italia alla Lega a Forza Italia, con l’eccezione del piccolo Noi Moderati di Maurizio Lupi che invita a votare 5 no.Campo largo in libertà: le posizioni del M5s e dei centristiUna conta tra maggioranza e opposizione, dunque? Non proprio. Il problema, per Schlein, è che le posizioni sono variegate anche all’interno del campo largo, con il M5s di Giuseppe Conte che ha lasciato libertà di voto sul quesito presentato dal segretario di Più Europa Riccardo Magi che mira ad abbassare da 10 a 5 anni il tempo per richiedere la cittadinanza italiana ed è schierato per 4 sì ai referendum sul lavoro. All’opposta sponda del campo largo c’è Azione di Carlo Calenda che al contrario è per il sì al solo quesito sulla cittadinanza. Ma le divisioni sono soprattutto interne allo stesso Pd: a fronte della linea ufficiale ribadita dalla segretaria di 5 sì, come Alleanza Verdi Sinistra e Cgil, la linea prevalente dei riformisti della minoranza è per due sì (cittadinanza e infortuni sul lavoro) e tre no (i quesiti che riguardano vari aspetti del Jobs act).Il niet dei riformisti del Pd sul Jobs act: non abiuriamoLa maggior parte della classe dirigente che dieci anni fa, con Matteo Renzi segretario del Pd e premier, votò convintamente la riforma del lavoro non se la sente insomma di fare pubblica abiura e rivendica quella stagione: tra i nomi, per dire, ci sono l’ex premier Paolo Gentiloni e gli ex ministri Lorenzo Guerini, Graziano Delrio e Marianna Madia. E ci sono anche gli ultrariformisti di LibertàEguale di Enrico Morando, Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini che invitano a votare solo sulla cittadinanza e a non ritirare affatto le altre. Quanto a Renzi, “padre” del Jobs act, un po’ macchinosamente ha dato queste indicazioni di voto: sì al quesito sulla cittadinanza, no al quesito sui licenziamenti e i contratti a tutele crescenti e a quello sulla reintroduzione delle causali nei contratti a tempo determinato e libertà di voto sugli altri due quesiti, quello sulla responsabilità in caso di incidenti sul lavoro e quello sui licenziamenti, e i relativi risarcimenti, nelle piccole imprese. LEGGI TUTTO
Meloni: Italia attrattiva per gli investimenti stranieri, ma va affrontato costo energia
Meloni: d’accordo con Orsini su piano industrialeOk della premier alla proposta di piano industriale straordinario per l’Italia lanciata da Orsini all’assemblea di Confindustria. «Sono d’accordo presidente, sono d’accordo tanto che il Governo sta lavorando già insieme al settore produttivo, alle parti sociali per delineare le linee di una politica industriale di medio e di lungo periodo» ha detto Meloni. E ha aggiunto: «Abbiamo avviato anche un processo di consultazione pubblica per scrivere una nuova strategia industriale, le proposte arrivate serviranno a definire il Libro Bianco del Made in Italy al 2030 che puntiamo a presentare prima dell’estate». E ancora: «Presidente, voglio dirle che ci siamo, e ci siamo anche a partire dalle semplificazioni, sulle quali ha ragione, penso che bisogna procedere in modo più spedito, mi prendo personalmente l’impegno a occuparmene, perché ci sono delle cose che si possono fare più velocemente, il Governo è molto impegnato su questo, ma sicuramente ci possiamo lavorare con maggiore velocità».Procedure più semplici e tempi certi per investimentiMeloni si è detta d’accordo con Orsini anche sul fatto che «sia necessario rilanciare gli investimenti e prevedere procedure più semplici e tempi certi. Lo dico anche in riferimento al piano Transizione 5.0. Nella sua prima versione era risultata troppo restrittiva. Abbiamo provato a renderla più accessibile, però siamo pronti a ulteriori correttivi se il tiraggio non dovesse essere quello auspicato. Correttivi anche condivisi con voi. Un ragionamento simile vale per Transizione 4.0: il nostro impegno, quello che stiamo tentando di fare, è lavorare con la Commissione Ue per capire, come ho già detto, se vi sia la possibilità, nell’ambito della revisione del Pnrr, di inserire entrambi questi strumenti, semplificandoli»Per la competitività contestiamo transizione ideologicaNon basta. Per la presidente del Consiglio «è fondamentale per la competitività dell’intero sistema produttivo europeo avere il coraggio di contestare e correggere un approccio ideologico alla transizione energetica che ha provocato danni enormi senza produrre i vantaggi ambientali decantati». E ancora: «Ha ragione Orsini quando dice che una tecnologia non si cambia per norma: solo chi non aveva mai messo piede in un capannone poteva pensare di farlo, ma è quello che ha fatto l’Europa scegliendo la strada forzata della transizione all’elettrico, le cui filiere sono controllate dalla Cina. Io – ha aggiunto Meloni – ancora oggi non riesco a capire il senso strategico di fare una scelta del genere»Il dialogo Usa-Ue sia più politico che burocratico Capitolo dazi. Il rapporto con gli Stati Uniti è «fondamentale». Per mantenere la forza dell’Occidente, «i nostri destini sono interconnessi. Durante la mia visita a Washington ho proposto un incontro a Roma fra Ue e Usa. Un primo incontro è avvenuto il 18 maggio a Palazzo Chigi con Vance e von der Leyen. È stato l’inizio di un dialogo che l’Italia ha continuato a facilitare in questi giorni, e che va portato avanti, se posso permettermi, con un approccio più politico che burocratico»L’Ue rimuova i dazi interni che si è autoimposta LEGGI TUTTO
Vertice Nato, Meloni: accordo «sostenibile». Sì all’ipotesi dazi Usa al 10%
Ascolta la versione audio dell’articoloUn accordo da cui emerge «la compattezza dell’alleanza e la volontà di quell’alleanza di rafforzarsi». Concluso il vertice dei capi di Stato e di governo dei 32 Paesi della Nato, Giorgia Meloni commenta positivamente con i cronisti la dichiarazione finale con cui ci si impegna ad aumentare la spesa per difesa e sicurezza fino al 5% del Pil entro il 2035. «Impegni sostenibili per l’Italia», assicura la premier, che esclude per il 2026 l’attivazione della clausola di salvaguardia già chiesta da dodici Paesi Ue, tra cui la Germania, per godere di uno spazio di bilancio aggiuntivo fino all’1,5% del Pil. «Per gli anni a venire si valuterà sulla base di quella che è la situazione economica». Tra il lungo colloquio con il presidente Trump alla cena offerta ieri sera dai reali d’Olanda e la riunione di stamattina la presidente del Consiglio afferma di aver toccato «ongoing» anche il tema dazi: sull’ipotesi di chiudere l’intesa Ue-Usa al 10% si dice «abbastanza d’accordo. Ho sentito le imprese, non sarebbe particolarmente impattante».Sicurezza «dominio ampio», dalle infrastrutture alla migrazione irregolareL’incremento al 5% dal 2% attuale, sottolinea la presidente del Consiglio, «non è distante dall’impegno che l’Italia già assunse nel 2014 quando era all’1% delle spese di difesa in rapporto al Prodotto interno lordo e si impegnò, come ribadito da tutti i governi che mi hanno preceduto, ad aumentarlo dell’1 per cento. A questo si aggiunge un 1,5% di spesa sulla sicurezza». Meloni conferma quanto già affermato alle Camere nei giorni scorsi: «Sono risorse che noi dobbiamo spendere e spendiamo comunque su materie molto più ampie della questione di difesa. La questione della sicurezza oggi coincide con un dominio particolarmente ampio che riguarda la difesa dei confini, la migrazione irregolare, le infrastrutture critiche, la mobilità militare, le infrastrutture nel senso più generale, ma anche l’intelligenza artificiale, la ricerca, l’innovazione tecnologica. Risorse che servono a mantenere questa nazione forte, come è sempre stata».Loading…«Nessun euro sarà distolto dalle altre priorità del governo»«Sono impegni sostenibili», ha scandito Meloni. «Lo voglio ribadire: per l’Italia questa spesa è necessaria per rafforzare la nostra difesa, per rafforzare la nostra sicurezza in un contesto che lo necessita, ma in una dimensione che ci consente di assumere questi impegni sapendo già che non distoglieremo neanche un euro dalle altre priorità del governo a difesa e a tutela degli italiani».No alla clausola di salvaguardia nel 2026, poi si valuteràAlla domanda del Sole 24 Ore sull’esigenza di reperire circa 100 miliardi in dieci anni (dagli attuali 35 miliardi spesi per la difesa e 10 per la sicurezza a 100 e 45 miliardi), la premier ha risposto: «Ho sentito molti numeri dati in questi giorni un po’ dalla stampa, un po’ dal Parlamento, che mi sembrano molto distanti dalla realtà. Noi abbiamo ovviamente fatto i nostri calcoli per il 2026 e non riteniamo che ci serva utilizzare la escape clause. Poi chiaramente per gli anni a venire si valuterà sulla base di quella che è la situazione economica».«Nessun obbligo annuale e libertà sulle decisioni di spesa»Sollecitata sulla considerazione del responsabile economico della Lega, Alberto Bagnai, sull’insostenibilità dell’obiettivo del 5%, Meloni taglia corto: «Sono venuta qui dopo una risoluzione votata da tutta la maggioranza. Ho spiegato varie volte che è una decisione che noi abbiamo preso con cognizione di causa, facendo le nostre valutazioni con il ministro dell’Economia. Sono convinta che sia sostenibile, per l’ampiezza delle spese, per il fatto che parliamo di un impegno a dieci anni che nel 2029 si deve in ogni caso ridiscutere, per il fatto che non ci sono incrementi obbligati annuali per gli Stati e questo consente di fare le scelte in base all’andamento della situazione in quel particolare momento. Quindi c’è una flessibilità totale». L’altra richiesta italiana che, a detta della premier, è stata soddisfatta riguarda la discrezionalità degli Stati nazionali sulle decisioni di spesa: a spetta a ognuno scegliere cosa considera una minaccia, perché «le minacce che affronta una nazione che si affaccia sul Mediterraneo come l’Italia e quelle che affronta un Paese Baltico sono distanti anni luce. Allora o ci fidiamo l’uno dell’altro e ognuno fa il suo pezzo di lavoro in questo quadro oppure se pensiamo che possiamo imporre a tutti un unico standard facciamo una cosa che non è utile per nessuno». LEGGI TUTTO